2.I CRITERI GENERALI DI COMPORTAMENTO 1.1 L’ ARTICOLO 21 DEL TUF
1.5 LA DISCIPLINA DEL CONFLITTO D’INTERESSE
La disciplina del conflitto d’interesse rappresenta uno dei punti cardine e più dibattuti in materia di intermediazione finanziaria. Dal punto di vista della regolamentazione vi è stata una vera e propria evolutiva nel corso del tempo. Tuttavia prima di esaminare le disposizioni normative relative alla disciplina del conflitto d’interesse dalla legge n. 1 del 1991 recante “disciplina dell'attività di intermediazione mobiliare e disposizioni sull'organizzazione dei mercati mobiliari”, meglio nota come legge SIM, ad oggi è necessario porre alcune considerazioni che stanno alla base della ratio in virtù della quale il legislatore non ritiene di dover vietare all’intermediario di agire al verificarsi di situazioni di conflitto d’interesse.
La dottrina100 infatti osserva che alla base di tale scelta del legislatore vi sono innanzi tutto due motivazioni. In primis il termine conflitto potrebbe risultare fuorviante. A tal proposito si dovrebbe parlare di divergenza d’interessi in quanto non è necessariamente vero che l’intermediario per il solo fatto di perseguire un interesse non coincidente con quello del cliente vi entri in conflitto. Da ciò la dottrina evidenzia come non sia necessariamente vero che le situazioni originate da conflitto d’interesse siano dannose per l’investitore in quanto questo potrebbe esserne favorito. Le situazioni di conflitto d’interesse quindi vanno considerate anche nella loro accezione positiva.
In secondo luogo la polifunzionalità degli intermediari ormai è divenuta consuetudine e quindi l’insorgere di situazioni di conflitto d’interessi è pressoché inevitabile. Risulterebbe impossibile per l’intermediario evitare di incappare in condizioni di conflitto d’interesse, quindi vietare all’intermediario di agire in via assoluta al verificarsi di tali situazioni sarebbe stato una condizione troppo severa e paralizzante. Tuttavia il legislatore ha imposto dei presidi alla tutela dell’investitore anche al verificarsi di tali situazioni
100 Zitiello L., La MiFID in Italia, La nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, Itaedizioni, Torino,
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Un primo tentativo di disciplina dei conflitti d’interessi fu dato dalla legge SIM, la quale all’articolo 9 comma 5 lett. c) demandava alla Banca d’Italia, d’intesa con la Consob, l’adozione mediante regolamento di presidi organizzativi e contabili volti ad assicurare la separazione delle varie attività esercitate. La previsione di tali barriere organizzative, c.d. chinese walls non era l’unico presidio posto dalla legge SIM la quale all’articolo6 comma 1 lett. g) introduceva la c.d. disclose or abstain. Tale principio imponeva il divieto di operare; tuttavia questo veniva meno imponendo l’obbligo di disclosure e dell’autorizzazione preventiva time by time. Con la disclosure si aveva la convinzione di colmare il gap informativo esistente tra cliente e intermediario.
La dottrina101 evidenziava però delle problematiche in merito a tale meccanismo soprattutto in riferimento al mercato finanziario. Queste vertevano sul fatto che il meccanismo della disclosure time by time risultava “ingessante” soprattutto in relazione alla dinamicità del rapporto e alle scarse competenze - il riferimento va soprattutto a quelle maggiormente tecniche - del cliente nel valutare le informazioni fornitegli dall’intermediario.
Preso atto delle problematiche comportanti un meccanismo simile, il legislatore comunitario mediante il c.d. decreto Eurosim all’articolo 17 comma 1 lett. c) optò per l’imposizione di un modello che prevedeva presidi organizzativi e strutturali volti a “ridurre al minimo” il verificarsi di conflitti d’interesse con l’obiettivo di garantire il fair treatment di ogni cliente.
L’allora articolo 21 del TUF alla lettera c), nel quale era stato traslato l’articolo 17 comma 1 lett. c) del decreto Eurosim, non impediva più all’intermediario di agire al verificarsi di una situazione conflittuale con il cliente ma richiedeva agli intermediari di strutturarsi in modo da ridurre al minimo il realizzarsi di situazioni di conflitto d’interesse. Al verificarsi di queste l’intermediario poteva agire purché lo facesse in modo da assicurare equità e trasparenza ai clienti.
Il principio della disclose or abstain non veniva comunque abbandonato. La dottrina102 evidenziava però come il meccanismo della disclosure fosse divenuto, col passare del tempo, non idoneo ai fini della tutela dell’interesse del cliente. Questa infatti era divenuta un’informativa standardizzata che assumeva un ruolo meramente formale e che poco rendeva l’idea sulla fattispecie generatrice del conflitto d’interesse. In tale ottica l’intermediario forniva le informazioni relative al conflitto d’interesse al sol fine di esentarsi da ogni responsabilità. Tali considerazioni ci portano a capire come tale meccanismo risultasse inidoneo a porre il cliente nelle condizioni di attuare una scelta consapevole.
101 Sartori F., Le regole di condotta degli intermediari finanziari, Giuffrè Milano 2004, p 280
102 Zitiello L., La MiFID in Italia, La nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, Itaedizioni, Torino,
2009, p. 181. Sul punto si veda Gabrielli E., Lener R., I contratti del mercato finanziario, UTET Giuridica, 2011, Seconda Edizione, p. 314,
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Con l’entrata in vigore della MiFID la disciplina del conflitto d’interesse è mutata radicalmente in quanto il legislatore comunitario ha posto l’attenzione più sull’adozione di misure organizzative che sulla disciplina della disclosure.
La disciplina in tal senso trova applicazione in due regole disposte dall’articolo 21, comma 1-bis del TUF alle lettere a) e b). Alla lettera a) viene posto l’obbligo all’intermediario di identificare i potenziali conflitti e di gestirli mediante l’adozione di idonee strutture organizzative. Soltanto qualora quanto stabilito dalla lettera a) non risultasse idoneo a tutelare l’interesse del cliente dal conflitto allora alla lettera b) si dispone l’uso della disclosure.
In merito all’uso della disclosure la direttiva precisa il ruolo secondario che questa deve avere rispetto ai presidi organizzativi. Infatti il considerando 27 della MiFID dispone che all’intermediario non è consentito un eccessivo affidamento sulla comunicazione, ovvero sulla disclosure, senza che vi sia un’adeguata considerazione di come tali conflitti possano essere adeguatamente gestiti. La dottrina103 afferma che in tal modo il legislatore comunitario abbia chiarito definitivamente il ruolo della disclosure nel sistema post MiFID andando a sottolineare con forza la centralità dei presidi organizzativi di gestione dei conflitti d’interesse ed il ruolo marginale che invece deve essere dato alla disclosure.
Obiettivo della MiFID è potenziare, rispetto alla trasparenza, la funzione di compliance.104 In tale ottica spetterà alla funzione di internal audit l’individuazione delle misure organizzative idonee a sterilizzare i conflitti d’interesse svolgendo un ruolo consultivo, propositivo e di stimolo al CDA. In presenza di situazioni di conflitto non vi è alcun obbligo di raccolta dell’autorizzazione del cliente da parte dell’intermediario prima di procedere all’effettuazione dell’operazione.
La disciplina del conflitto d’interesse subirà ulteriori modifiche con il recepimento da parte del legislatore italiano della direttiva 2014/65/UE c.d. MiFID 2. Questa pone l’accento sul concetto di prevenzione, richiamata sia dal considerando n. 56 che all’articolo 23 comma 1 della MiFID 2. Il considerando citato afferma come sia importante identificare e prevenire o gestire i conflitti d’interesse e attenuare il potenziale impatto dei rischi da questi derivanti in virtù della gamma sempre più ampia di attività che gli intermediari svolgono simultaneamente.
Qualora il confitto si concretizzi e vada a discapito della tutela dell’interesse del cliente viene richiamata anche in questo caso la disclosure. Questa, disposta dall’articolo 23 comma 2 della MiFID II, consiste, ai sensi del successivo comma 3, in una informazione fornita su supporto
103 De Poli M., La nuova normativa MiFID, Ipsoa, 2009, p. 59 parla di “argine” posto alla “scappatoia” della
comunicazione.
104 Zitiello L., La MiFID in Italia, La nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, Itaedizioni, Torino,
2009, p. 202,. In merito De Poli M., La nuova normativa MiFID, Ipsoa, 2009, p. 66 parla di traghettamento dell’investitore “dall’incompiuto mito illuminista della trasparenza al mito efficientista della compliance”.
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durevole e dettagliata sulla base delle caratteristiche del cliente. Tale informativa deve consentire al cliente di prendere una decisione avvertita sul servizio al quale il conflitto d’interesse è riferito. La nuova disciplina MiFID vede aumentare la tutela del cliente in quanto l’intermediario dovrà dimostrare di aver adottato presidi organizzativi non solo atti all’identificazione e alla gestione dei conflitti d’interesse ma anche a prevenire il potenziale insorgere di questi.