IL CONTRATTO DI RICERCA
2. Tipologia dei contratti di ricerca
2.2. I contratti di promozione della ricerca
2.2.1 Disciplina giuridica dei contratti di promozione della ricerca
Per quanto riguarda la legislazione in tema di Università, abbiamo visto come le norme in materia contrappongano un’attività commerciale ad un’attività istituzionale; in tale quadro, i programmi di finanziamento sono generalmente considerati proprio come attività di carattere istituzionale. Per essi, dunque, l’interesse prevalente di cui al D.M. 30 dicembre 1981 sarebbe quello dell’Università e non già del committente, oppure i due interessi sarebbero posti sullo stesso piano.
La normativa in materia più volte richiamata, e in particolare l’art. 66 D.P.R. n. 382/1980, non prende in considerazione il tema dei programmi di finanziamento in quanto per il legislatore nel 1980 i finanziamenti, soprattutto quelli comunitari, non rivestivano per le Università l’importanza che hanno acquistato oggi.
Si potrebbe porre allora, secondo alcuni autori, il problema se le Università possano stipulare contratti di finanziamento, e soprattutto se, sulla falsariga di quanto è disposto per i contratti c.d. conto terzi, sia possibile attribuire compensi al personale che partecipa alla loro esecuzione e se le amministrazioni centrali delle Università possano applicare una ritenuta per la copertura delle spese generali. Ma tali problemi sembra possano essere agevolmente superati53.
Innanzitutto, oggi si riconosce una più generale autonomia contrattuale degli atenei che emerge sia dalla disciplina interna delle Università che dalla normativa nazionale e da quella comunitaria. È soprattutto per l’impulso del diritto dei programmi comunitari che alle Università viene oggi riconosciuta una capacità generale, che non può essere limitata ad una tipologia di contratti, e dunque anche le questioni relative all’incentivazione e al prelievo possono essere affrontate senza un necessario collegamento con i contratti conto terzi. Ciò detto, secondo alcuni autori appare allora anacronistico operare ancora una distinzione tra attività commerciale e attività istituzionale, mentre sarebbe meglio affermare in modo esplicito la capacità generale delle Università di stipulare contratti con gli Enti finanziatori, qualunque sia la tecnica di spesa adottata54. 2.2.1 Disciplina giuridica dei contratti di promozione della ricerca 53 R. Cippitani, op. cit., 104‐105. 54
R. Cippitani, op. cit., 105. Verrebbe meno, secondo l’autore, l’eccezionalità dello strumento contrattuale come mezzo di reperimento delle risorse, anche se continua a valere il principio che l’attività contrattuale deve essere finalizzata a raggiungere gli obiettivi istituzionali. Secondo l’autore, infatti, tutte le attività svolte dall’Università sono istituzionali in quanto perseguono le finalità previste dalla legge. Anche i compensi accessori e la quota di spese generali potranno essere determinate ogniqualvolta l’attività dell’Università generi risorse, indipendentemente dalla tecnica di spesa adottata, siano essi appalti o sovvenzioni.
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L’inquadramento sistematico dei rapporti instaurati tra i soggetti che operano come promotori e finanziatori dell’attività di ricerca presenta difficoltà e incertezze superiori rispetto a quelle che si pongono in relazione alle commesse di ricerca.
Nella ricostruzione della disciplina dei contratti di ricerca, il primo dato da considerare è la frequente partecipazione al contratto di soggetti pubblici, i quali prendono la veste di committenti o quella di esecutori della ricerca. Nei contratti di promozione della ricerca, in particolare, assumono per lo più il ruolo di erogatori ma talvolta anche quello di destinatari del finanziamento. Spesso, poi, sono soggetti pubblici entrambe le parti del rapporto. Diviene quindi opportuno chiedersi se, in questi casi, gli atti siano sottoposti a particolari norme che possano indurre a qualificarli come contratti di diritto pubblico. Se per le commesse di ricerca sembra chiara la non configurabilità come contratti di diritto pubblico, per i contratti di promozione occorre qualche spiegazione in più55.
Nei contratti di promozione della ricerca, secondo l’impostazione prevalente, l’erogazione patrimoniale non è determinata in rapporto di corrispettività con la prestazione dovuta dal ricercatore, né in misura equivalente ai risultati conseguibili o conseguiti dal finanziatore. L’erogazione di una somma di denaro, piuttosto, ha una funzione di rilevanza generale caratteristica del diritto pubblico, ovverosia il sostegno ad un’attività di interesse collettivo. Proprio questi profili funzionali potrebbero indurre a ritenere che i contratti di promozione abbiano oggetto dotato di natura pubblicistica, ma anche a ravvisare alla loro base un atto amministrativo di sovvenzionamento.
Tuttavia, va osservato che un ruolo di promozione scientifica di fatto viene svolto anche da soggetti privati come da fondazioni culturali; perciò i negozi in esame non possono sicuramente considerarsi ad oggetto pubblico in senso proprio. Più solido sembrerebbe invece l’assunto che i contratti di promozione siano di natura pubblicistica in quanto accederebbero ad un atto concessorio. Addirittura, l’assunto sembrerebbe trovare conferma nelle norme che disciplinano il contratto di ricerca del CNR: l’art. 20, 2° co., n. 1 del D.P.C. 16 gennaio 1967, come abbiamo visto nel precedente paragrafo 2.2, autorizza il CNR a concedere finanziamenti per lo svolgimento di determinati programmi mediante contratti di ricerca. Nella specie,
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M. Basile, op. cit., 434‐435. Ai fini della qualificazione giuridica di un’attività in senso pubblicistico, non sono di per sé decisivi né la natura del soggetto agente o dei suoi scopi istituzionali, né il carattere degli interessi che quell’attività mira a soddisfare. Decisiva, piuttosto, è la soggezione dell’ente (in ordine all’attività considerata) ad una disciplina che gli conferisca un carattere fortemente autoritativo. Con riguardo ai contratti degli Enti pubblici, la maggior parte della dottrina nega la legittimità della categoria del contratto di diritto pubblico, escludendo che nella loro disciplina siano ravvisabili i tipici connotati pubblicistici, a partire dall’attribuzione all’ente di poteri autoritativi o imperativi.
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tuttavia, la ricorrenza di un atto concessorio preliminare al contratto sembra dubbia, ravvisandosi qui soltanto una delibera di accoglimento integrale del programma e del relativo finanziamento. Tale delibera, osserva un importante autore, potrebbe anche avere natura di atto amministrativo ma costituisce comunque la manifestazione di volontà dell’Ente in ordine alla stipula del contratto di ricerca. La tesi più plausibile, dunque, è quella di mantenere i contratti di ricerca nell’ambito del diritto comune56.
Va osservato che nell’area del diritto privato, mentre sono molti i tipi negoziali previsti e regolati per assicurare lo scambio tra un facere e un compenso in denaro, non esiste un tipo che assolva ad una funzione mista, tra l’altro fortemente marcata dall’interesse collettivo, come quella dei contratti di promozione della ricerca, e questo fa sì che la ricostruzione della loro disciplina presenti difficoltà superiori rispetto a quelle che sorgono in relazione alle commesse.
Facendo leva sulla cooperazione e sulla comunione di interessi che si crea fra i contraenti, la dottrina maggioritaria ha inquadrato i contratti di promozione nella categoria dei contratti associativi e, in particolare, dell’associazione in partecipazione di cui agli artt. 2549 ss. c.c. Tramite queste forme associative, un soggetto cointeressa alla propria attività economica un altro soggetto che gli garantisca un apporto, in genere di natura pecuniaria, riconoscendogli il diritto di partecipare agli utili di tale attività. La gestione dell’impresa o dell’affare rimane in capo all’associante, che la svolge però con il controllo del partner.
Nei contratti di promozione, in realtà, il soggetto che si impegna ad effettuare l’erogazione pecuniaria, piuttosto che partecipare agli utili economici, partecipa agli eventuali risultati tecnici dell’attività di ricerca finanziata. Abbiamo visto che il ruolo promozionale del soggetto erogante costituisce causa del contratto e che tale ruolo viene salvaguardato non imponendo l’equivalenza fra l’apporto del promotore e la sua partecipazione ai frutti della ricerca, e non obbligando il ricercatore a restituire l’apporto ricevuto. Ma, a ben vedere, un simile profilo promozionale è assente nelle diverse forme di associazione in partecipazione dove, di regola, il finanziatore partecipa agli utili in misura corrispondente all’entità del suo apporto ed ha diritto ad aver restituito tale apporto o il suo equivalente allo scadere del negozio. È proprio la presenza dell’aspetto promozionale nei contratti di ricerca che, secondo alcuni autori, denunzia la loro atipicità e deve indurre il giurista a ricostruirne la normativa avvalendosi anche dei principi che governano l’attività promozionale pubblica, in particolare quella di sovvenzionamento, estendendoli anche ai rapporti di ricerca promossi da soggetti privati nell’interesse generale. Tra questi principi, in particolare,
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M. Basile, op. cit., 435‐436. Ciò non esclude, tuttavia, che per la natura pubblica di una o entrambe le parti, per alcuno di tali contratti o per il rapporto che ne deriva, valgano delle norme di diritto speciale.
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assumono rilevanza quelli che obbligano il destinatario delle somme ricevute ad impiegarle nell’attività sovvenzionata, quelle che attribuiscono all’Ente erogante incisivi poteri di controllo su tale attività e lo autorizzano a sciogliere il rapporto in caso di inosservanza degli obblighi fondamentali gravanti sul destinatario dell’erogazione57.
Secondo altri autori, quando la concessione di un finanziamento è effettuata in vista di una specifica utilizzazione finalizzata allo svolgimento di un’attività attraverso la quale si soddisfa un interesse comune ai contraenti, è preferibile ricondurre questi contratti ai c.d. mutui di scopo o di destinazione. La funzione economico‐sociale di questi contratti non si esaurisce nel consentire al beneficiario il godimento del finanziamento, ma concerne la destinazione dello stesso, essendo la disponibilità dei mezzi forniti dal promotore strumentale all’interesse di perseguire la finalità preordinata per legge o per volontà delle parti. Da tale impostazione ne deriva, tra l’altro, che il contratto stipulato con l’intesa che il finanziamento sarà utilizzato per finalità diverse da quelle formalmente indicate è nullo; che il corrispettivo non dovrà necessariamente prevedere interessi, potendo consistere in una prestazione di fare anche aleatoria; che il beneficiario sarà obbligato ad utilizzare il finanziamento per la destinazione convenuta, svolgendo l’attività prevista con la dovuta diligenza ed efficienza secondo idonei criteri tecnici, finanziari ed economici58.
2.3. Conclusioni
La rassegna svolta nelle pagine che precedono ha mirato a fornire un’idea sulla molteplicità dei contratti di ricerca, e soprattutto ha tentato di spiegare la necessità di ricostruirne la disciplina muovendo dalla specifica funzione che ciascuno di essi assolve. Ma mostra anche come la sovrapposizione degli interessi che la ricerca scientifica soddisfa, e in particolare la coesistenza di profili pubblicistici e privatistici, sia tale da rendere molto impegnativo stabilire in quale misura le attività di ricerca oggetto del contratto servano all’uno o all’altro contraente.
Come abbiamo visto, infatti, non sempre è chiaro quando l’interesse dell’organizzazione di ricerca sia diretto a ricavare un utile dall’erogazione finanziaria dell’altra parte, a poter beneficiare dei possibili risultati derivanti dalla ricerca, a poter assolvere meglio i propri compiti istituzionali, oppure a tutti questi obiettivi insieme.
Allo stesso modo, non è sempre agevole accertare se un Ente pubblico di ricerca, quando decide di sostenere totalmente o parzialmente gli oneri economici di un’attività di ricerca altrui, lo faccia per beneficiare dei suoi risultati, per dare un aiuto 57 M. Basile, op. cit., 443. 58 G. Aghina, op. cit., 301.
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finanziario all’organizzazione di ricerca, per promuovere il progresso dell’intera collettività, oppure per più di questi fini insieme. Per conseguenza, non sempre risulta facile inquadrare le fattispecie di volta in volta in esame tra le commesse di ricerca o tra i contratti di promozione.
La complessità del fenomeno costituisce uno dei motivi per i quali spesso si crea nella pratica una sorta di dissociazione tra forma del contratto e realtà del rapporto di ricerca, e queste ambiguità si riflettono negativamente anche sul modo di risolvere uno dei problemi cruciali in materia: quello della partecipazione dei contraenti ai risultati delle ricerche.
A nostro avviso, per definire con chiarezza il sistema degli interessi in campo, occorrerebbe un intervento del legislatore che precisi la fondamentale bipartizione tra negozi destinati a commissionare ricerca e negozi destinati invece a promuoverla.
109 CAPITOLO IV IL CONTENUTO‐TIPO DEI CONTRATTI DI RICERCA 1. Premesse
Nei capitoli che precedono, abbiamo avuto modo di osservare come quella dei contratti di ricerca sia una categoria molto ampia che ricomprende una serie di tecniche negoziali le quali, pur condividendo il medesimo nomen, si differenziano tra loro per aspetti sostanziali in quanto sottendono interessi e fini differenti. Abbiamo visto, altresì, che la dottrina specialistica raggruppa tali contratti in due categorie di cui abbiamo ampiamente dato conto: le commesse di ricerca, dette anche conto terzi, ed i contratti di promozione della ricerca. Sappiamo poi che la caratteristica tipica del diritto dei contratti nel sistema giuridico italiano è l’autonomia dei consociati, ed abbiamo avuto modo di analizzare il fondamento dell’autonomia negoziale delle Università e degli altri Enti e Istituti pubblici di ricerca.
Vediamo ora, nel dettaglio, come il principio dell’autonomia privata operi in concreto concentrandoci sulle clausole “tipiche” che le parti di un contratto di ricerca ritengono solitamente congrue con lo scopo da esse perseguito, attraverso un’analisi di quella che è la prassi degli Enti pubblici di ricerca quando negoziano un contratto con un’impresa privata.
Al fine di determinare il contenuto‐tipo di un contratto di ricerca, sono stati selezionati un certo numero di Enti pubblici di ricerca appartenenti al territorio nazionale, aventi in comune il fatto di essere tutte organizzazioni attive nel campo del trasferimento tecnologico.
E’ importante sin da ora sottolineare che l’indagine oggetto del presente lavoro è basata su di un criterio di scelta arbitrario, senza alcun riferimento al merito o alla maggiore operatività di una struttura piuttosto che dell’altra, ed è basata per lo più sull’esperienza acquisita in tre anni di lavoro a servizio di due diversi Enti pubblici di ricerca.
L’indagine è stata condotta attraverso l’esame comparato degli schemi‐tipo utilizzati dagli Enti pubblici ricerca selezionati, e rispecchia situazioni e tendenze realmente esistenti. Infatti, della maggior parte degli Enti coinvolti, ho potuto seguire in prima persona il percorso che, partendo dalle trattative, ha condotto alla formazione e successiva sottoscrizione del contratto di ricerca.
Nell’analisi che si condurrà, faremo riferimento ai soli contratti di ricerca che nella prassi vengono qualificati “commesse di ricerca” o “conto terzi”, non occupandoci dei