IL CONTENUTO‐TIPO DEI CONTRATTI DI RICERCA
2. La struttura tipica di un contratto di ricerca
2.3. L’oggetto del contratto
2.3.1. L’obbligo di ricerca
Uno dei caratteri imprescindibili del contratto di ricerca, in ragione della particolare attività in esso dedotta, è sicuramente la modificabilità del suo oggetto nel corso della sua esecuzione, modificabilità la cui iniziativa può venire sia dal ricercatore che, più frequentemente, dal committente. Il jus variandi che il committente è solito riservarsi, si spiega facilmente se teniamo conto del fatto che l’attività di ricerca necessita spesso in corso d’opera di una ridefinizione degli obiettivi che le parti intendono conseguire, necessità che emerge solitamente dallo stato di avanzamento dei lavori e dai risultati che ne derivano, i quali, a volte, possono suggerire una revisione dell’oggetto per meglio raggiungere gli obiettivi prefissati.
2.3.1. L’obbligo di ricerca.
L’obbligazione principale del ricercatore consiste nello svolgere il programma scientifico concordato con il committente; dunque, è innanzitutto un’obbligazione di comportamento, e più precisamente, quella di eseguire l’attività commissionata con correttezza e diligenza, nonché secondo le regole fondamentali che la perizia impone.
A tal proposito, si è sempre discusso in dottrina se l’obbligo di ricerca consista in una obbligazione di mezzi o di risultato, e la scelta maggioritaria è sempre stata nel senso di una obbligazione di mezzi in ragione dell’alea connessa ai risultati della ricerca. Il risultato inventivo non costituisce, dunque, un elemento essenziale del contratto di ricerca in quanto la ricerca può anche non condurre ad un’invenzione.
Infatti, similmente a quanto si è sempre sostenuto per le obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, l’obbligazione del ricercatore sarebbe una obbligazioni di mezzi e non di risultato in quanto il professionista‐ricercatore, assumendo l'incarico di svolgere la ricerca commissionata, si impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato ma non a conseguirlo. Con la particolarità, da tenere sempre in considerazione, che il risultato sperato presenta generalmente un certo margine di aleatorietà.
In realtà, la dottrina italiana già da tempo ha avvertito come la dicotomia di cui si è detto abbia perso consistenza. Se si assume, infatti, che la prestazione è sempre un comportamento diretto al soddisfacimento del credito, si deve anche ammettere che tale soddisfacimento dipenderà pure dall’oggetto, perché ad esso si commisura la rilevanza giuridica dell’interesse del creditore. Tale premessa, come osservano alcuni autori, non consente di istituire una netta separazione fra obbligazioni di mezzi e di risultato, ma serve a mettere in rilievo che il nesso tra l’attività ed il risultato può
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atteggiarsi in modo diverso e che l’esame deve essere necessariamente condotto caso per caso, anche alla luce del regolamento contrattuale redatto dalle parti11.
Secondo alcuni autori, la qualifica dell’obbligo di ricerca come obbligazione di mezzi apparirebbe poco proficua e il merito da riconoscere ai suoi fautori sarebbe soltanto quello di aver messo in evidenza l’elevata aleatorietà dell’opera investigativa. Osservano questi autori che tra i caratteri dell’obbligo di ricerca, c’è quello del regime della responsabilità contrattuale il quale, nei contratti di ricerca, poggia sul principio della colpa. Qui il grado o il tipo di diligenza cui deve attenersi il debitore non dipendono dal livello di incertezza del risultato dell’attività dovuta o dalla circostanza che il debitore risponda o meno del verificarsi di tale risultato, bensì dalla natura della prestazione. In tal senso, l’aleatorietà della ricerca offrirebbe al ricercatore spazio per fornire la prova della mancanza di colpa, dimostrando ad esempio che la causa a lui non imputabile che ha reso la prestazione impossibile è consistita nell’infruttuosità delle indagini dedotte in contratto. Occorrerà allora dimostrare che le indagini si sono rivelate inidonee a far acquisire le nuove conoscenze e gli altri risultati previsti, sebbene eseguite con la dovuta diligenza. Si sarà dunque di fronte non ad un inadempimento del ricercatore ma ad un risultato negativo, nel senso sopra spiegato, dunque ad un caso di estinzione dell’obbligo per inutilità della prestazione12.
Il problema della natura della prestazione dovuta, come osserva un importante autore, ha scarsa rilevanza se riferito al contratto di ricerca. Infatti, pur trattandosi di obbligazione di comportamento o di mezzi, la prestazione presuppone un risultato obiettivo che deve identificarsi nell’esecuzione della ricerca, indipendentemente dal fatto che ciò abbia o meno condotto alla realizzazione di risultati nuovi secondo l’apprezzamento delle parti. In conclusione, ribadiamo che l’attività di ricerca è convenuta come oggetto del contratto non per assicurare un risultato, ma senz’altro in vista di un risultato. Ed è in questa luce che deve valutarsi l’adempimento delle obbligazioni da parte del ricercatore, tenuto conto dei richiamati principi di diligenza, perizia, correttezza e buona fede, i quali, dinanzi ad un generico facere dedotto in contratto, concorrono a determinare la prestazione dovuta13.
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A. Candian, op. cit., 523.
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M. Basile, op. cit., 445. In tal caso, semmai, si porrà il problema di stabilire se ciò avrebbe potuto essere individuato inizialmente, e se quindi ci sia stata cattiva predisposizione del programma di ricerca della quale il ricercatore debba rispondere per averla causata o per non averla tempestivamente rilevata e resa nota al creditore.
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A. Nuzzo, op. cit., 552. Riguardo alla responsabilità civile, secondo l’autore, vale il principio dettato nell’art. 2236 c.c., secondo il quale quando la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d'opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave. Si applicherebbe, altresì, l’art. 2232 c.c. che prevede la responsabilità del prestatore d’opera per il fatto degli ausiliari o sostituti di cui si avvalga, nei limiti in cui tale possibilità gli sia riconosciuta dal committente e dall’oggetto della propria prestazione.
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Per ciò che attiene il grado di diligenza richiesta al ricercatore, in particolare, in via generale si può affermare che non potrà essere quella ordinaria ma, in ragione della natura dell’attività di ricerca, a costui sarà normalmente richiesta una diligenza di tipo tecnico‐professionale. Il grado di diligenza richiesta, dunque, non è dovuto al fatto che l’obbligo di ricerca sia un’obbligazione di mezzi, ma esclusivamente alla natura dell’attività dovuta.
A noi sembra che di obbligazioni di risultato, semmai, potrebbe eventualmente parlarsi soltanto in quei casi in cui l’oggetto della ricerca è rappresentato dall’esecuzione di un’analisi, di una misura o taratura, dalla realizzazione di un prototipo o anche dalla prestazione di una consulenza (c.d. prestazioni tariffate). In tali casi, a nostro avviso, la mancata esecuzione della misura o della realizzazione del prototipo, la mancata prestazione della consulenza richiesta, possono ben determinare l’inadempimento del ricercatore. Ad esso, nei casi descritti, è infatti richiesta una mera prestazione di fare in cui non è incluso, o normalmente non si attende, il raggiungimento di un risultato ulteriore rispetto a quello oggetto della prestazione, la quale di volta in volta consisterà nella consegna della misura, della prova, della taratura, del prototipo o del parere. Il risultato del quale stiamo parlando, ovverosia quello al quale normalmente tende colui che investe nella ricerca, è la soluzione nuova ed originale ad un problema tecnico del committente, soluzione che possa consentirgli di rimanere competitivo sul mercato e di battere la concorrenza. Tale soluzione, in particolare, si identifica con un’invenzione suscettibile di protezione attraverso la procedura prevista per il rilascio di un brevetto.
Da ultimo, occorre ricordare la recente sentenza della Cassazione a Sezione Unite del 2008, n. 577, la quale ha fatto proprio un orientamento che nell’ultimo decennio si è progressivamente consolidato, stabilendo che la distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato, specialmente se applicata alle ipotesi di prestazione d’opera intellettuale, è da ritenersi superata, tenendo conto che un risultato è comunque dovuto in tutte le obbligazioni: a questo riguardo, aggiunge il Collegio, la distinzione in analisi può avere, al più, una mera utilità descrittiva.
Il risultato dovuto, si afferma, è in ogni caso richiesto in generale dall’art. 1218 c.c. che fissa l’impossibilità come unica causa di esonero dalla responsabilità del debitore.
La tradizionale dicotomia tra obbligazioni di mezzi e di risultato comporterebbe una sostanziale violazione dell’art. 1218 c.c. che pare proprio non permettere questa distinzione, e viene criticata sul presupposto della unitarietà delle obbligazioni. Osservano alcuni autori che la giurisprudenza ha in passato seguito questa distinzione perché utile ai fini della prova e perché quasi spaventata dal significato non giuridico del termine “risultato”. In effetti, come osservano questi stessi autori, un risultato
119 dovuto è presente in ogni obbligazione e il problema, semmai, consiste nel distinguere il risultato sempre presente dal “risultato del risultato”, che rappresenterebbe in tale senso una sorta di garanzia14. L’errore che si annida nell’idea di obbligazione di mezzi, come osservano gli autori che hanno commentato la sentenza, consiste nel soggettivizzare il dovere del debitore staccandolo dalla sua corrispondenza con la sfera creditoria, e quindi dal bisogno che ha dato origine al rapporto stesso. Proprio il requisito della corrispondenza della prestazione all’interesse del creditore ex art. 1174 c.c., invero, fa esigere di considerare l’oggetto dell’obbligazione come un risultato che si possa misurare in relazione a una valutazione di utilità o di convenienza per il creditore15.
La considerazione del risultato dovuto, dunque, mette in evidenza il profilo obiettivo dell’oggetto dell’obbligazione facendo distinguere la responsabilità che ne deriva, fondata sull’inadempimento, dalla responsabilità extracontrattuale fondata sulla colpa.
Le Sezioni Unite, in proposito, affermano che tutte le obbligazioni sono disciplinate dalla regola generale dell’art. 1218 c.c., comprese le obbligazioni professionali, salvo un atteggiamento di minore severità per l’errore tecnico quando la prestazione implichi la soluzione di problemi tecnici di grave difficoltà16.
Ne deriva, riprendendo un orientamento ormai consolidato in tema di onere della prova in caso di inadempimento o inesatto adempimento, che l’inadempimento rilevante nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni c.d. di comportamento non è qualunque inadempimento ma solo quello che costituisce causa efficiente del danno. Competerà al debitore, dunque, dimostrare che l’inadempimento non vi è stato o che, pur esistendo, non è stato nella fattispecie causa dell’evento dannoso.