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IL DISCORSO DEL MESSAGGERO (vv 792-821)

Capitolo secondo Sette contro Tebe

2. La preparazione dell’apparizione del cadavere

2.3. IL DISCORSO DEL MESSAGGERO (vv 792-821)

Dunque dopo il canto del coro entra in scena un messaggero72; egli tranquillizza il coro dicendo brevemente che la città è salva, ma aggiunge che alla settima porta Apollo ha dato compimento alla maledizione. Questo breve resoconto (vv. 792-802) sollecita le domande del coro, che in una breve stichomythia appare ansioso di capire cosa è accaduto esattamente all’ultima porta; si giunge così al pieno svelamento del fratricidio (vv. 811 segg.). C’è dunque motivo sia di gioia (per la salvezza della città) sia di pianto (per la morte dei fratelli) e il successivo canto del coro prenderà le mosse proprio da questa riflessione. Dopo aver evocato ancora una volta il tema dell’equa eredità, il messaggero esce di scena. Ormai tutto è pronto per l’arrivo dei cadaveri. La notizia della morte dei fratelli ha esasperato la disperazione del coro dando conferma di ciò che prima era solo un timore; la carica emotiva creatasi nel coro troverà pieno sfogo con l’arrivo dei cadaveri, segno visibile di ciò che il messaggero ha riferito73, sui quali verrà innalzato il lamento.

Il racconto del messaggero è estremamente conciso e privo di qualsiasi dettaglio sulla lotta tra i fratelli: l’evento cruciale, che il pubblico ha temuto e atteso per tutto il corso del dramma, è riassunto in appena una trentina di versi, in netto contrasto con il lungo dialogo tra Eteocle e il messo sulla disposizione dei guerrieri alle porte. In effetti siamo già stati informati dei rispettivi schieramenti e, nel comunicare la notizia cruciale, il messaggero si limita a dire l’indispensabile: la città è salva, ma alla settima porta entrambi i guerrieri sono morti. Lo svolgimento della lotta tra i fratelli viene condensato in un unico momento, quello finale: non ci viene narrata una sequenza di colpi e contraccolpi e il momentaneo prevalere di uno dei due guerrieri sull’altro, ma solo la mossa decisiva e perfettamente simmetrica con cui

72 Non sappiamo se si tratti dello stesso messaggero già comparso nel corso del dramma o di un

personaggio diverso, come ritiene ad esempio WILAMOWITZ (Aisch. Interpr. 85). Secondo Di Gregorio (DI GREGORIO 1967, P.7) se il messaggero fosse lo stesso il suo ingresso al v. 792 sarebbe maggiormente giustificato (egli, mandato da Eteocle ad osservare i nemici con un gruppo di esploratori ai vv. 36 segg., sarebbe tornato per descrivere lo schieramento nemico e poi si sarebbe di nuovo recato sul luogo dello scontro, tornandone poi per narrare l’esito della battaglia). Effettivamente il ms. M nella lista dei personaggi nomina un solo ἄγγελος, ma questo sarebbe l’unico indizio di un’identità tra i due messaggeri; la questione rimane dunque indecidibile.

38 i due fratelli si uccidono a vicenda, finalmente identici e uniti nel loro destino di morte.

2.3.1. Il ruolo del messaggero

74

Taplin75 fornisce una definizione precisa di ‘scena del messaggero’, basata su tre indispensabili caratteristiche:

- colui che racconta deve essere stato testimone degli eventi; - deve essere narrata una scena importante;

- il racconto deve avere una precisa funzione drammatica.

Nella tragedia greca, come nota Taplin, il messaggero è solitamente un personaggio di basso rango, anonimo e senza ulteriori ruoli nel dramma (come quello che narra la battaglia nei Persiani), anche se comunque dotato di una sua personalità; casi come quello di Clitemestra in Ag. 1380 segg., dunque, costituirebbero delle variazioni significative rispetto alla norma.

Nella maggioranza dei casi troviamo quello che Taplin definisce un ‘aftermath messenger’ e la scena del messaggero si colloca in un momento di transizione tra la partenza di uno o più personaggi e il ritorno dei sopravvissuti o dei cadaveri. Dopo la partenza troviamo solitamente un intervallo corale (come abbiamo avuto modo di constatare nei Sette), seguito dall’arrivo del messaggero che narrerà i fatti avvenuti nello spazio extrascenico (battaglie, suicidi, dispute, omicidi) dei quali è stato testimone. Una volta svolto il suo compito il messaggero se ne va e, dopo un breve intermezzo (corrispondente, nei Sette, ai vv. 821-47), il protagonista rientra in scena, vivo o morto. Taplin individua l’araldo dei Sette come l’unico esempio eschileo di questa categoria, che è invece comunissima in Euripide; abbiamo visto, tuttavia, che lo stesso procedimento era già stato usato nella trilogia per la morte di Laio.

Il messaggero dei Persiani e quello dell’Agamennone appartengono invece per Taplin ad un’altra categoria (quella degli ‘advance messengers’), in quanto narrano un evento avvenuto al di fuori del tempo drammatico e preparano così l’arrivo di un personaggio fondamentale.

74 Per una trattazione completa dell’evoluzione delle scene di messaggeri dalle origini della

tragedia a Euripide cfr. DI GREGORIO 1967.

75 T

39 Taplin giunge quindi alla conclusione che Eschilo abbia utilizzato le scene del messaggero nella loro tipologia usuale (‘aftermath messenger’) assai meno di Sofocle e Euripide. Il nostro messo di Sette 792 segg. ne costituirebbe l’unico esempio nei drammi conservati, se non fosse per la brevità e mancanza di particolari del suo racconto; esamineremo invece più avanti il modo assai diverso in cui viene presentata la morte fuori scena nell’Agamennone e nelle Coefore.

In Eschilo, dunque, le tipiche strutture utilizzate da Sofocle ed Euripide per gestire la morte fuori scena di un personaggio non si sono ancora cristallizzate e ci vengono presentate nella loro fase di genesi e di sperimentazione. Ne possiamo riconoscere i primi germi nel caso dei Sette; analizzando l’Orestea vedremo come la sperimentazione di Eschilo in relazione alla morte dei personaggi copre una notevole gamma di espedienti e situazioni sceniche.

Di Gregorio76 ha tracciato le linee fondamentali dell’evoluzione che porta le scene di messaggeri dalle prime sperimentazioni alla tipica forma euripidea, ormai fissata nelle sue caratteristiche. Eschilo giocò sicuramente un ruolo fondamentale in questo sviluppo, tanto che Filostrato77 lo considera l’inventore della figura dell’ἄγγελος; naturalmente ciò non significa che prima di Eschilo non esistessero scene di annuncio, ma che lui per primo le fece spesso pronunciare da un messaggero e non da un personaggio già coinvolto nella trama del dramma. Di Gregorio prende in considerazione tutte le scene di annuncio, non solo quelle legate alla morte di personaggi fuori scena; possiamo comunque riconoscere, anche nei casi di nostro interesse, il seguente andamento:

- il nucleo originario del discorso del messaggero doveva essere costituito dalla rhesis, come risulta ad esempio dal caso dei Persiani;

- il ruolo della rhesis si indebolisce sempre di più e il resoconto degli eventi viene affidato piuttosto allo scambio finale con il coro.

All’interno di questa evoluzione il nostro passo di Sette 792-819 segna un importante passo avanti: la notizia fondamentale non è più in posizione iniziale e 76 D I GREGORIO 1967. 77 Vitae sophist., I 9: εἰ γὰρ τὸν Αἰσχύλον ἐνθυμηθείημεν ὡς πολλὰ τῇ τραγῳδίᾳ ξυνεβάλετο ἐσθῆτί τε αὐτὴν κατασκευάσας καὶ ὀκρίβαντι ὑψηλῷ καὶ ἡρώων εἴδεσιν ἀγγέλοις τε καὶ ἐξαγγέλοις καὶ οἷς ἐπὶ σκηνῆς τε καὶ ὑπὸ σκηνῆς χρὴ πράττειν κτλ.

40 contenuta in una tirata del messaggero (nei Persiani la notizia della sconfitta è presentata immediatamente ai vv. 249-55, per poi essere ampliata ed arricchita di particolari accessori nella rhesis vera e propria). Infatti l’ἀγγελία dei vv. 792-802 non può essere considerata completa, in quanto si limita ad alludere enigmaticamente all’informazione fondamentale (la morte dei fratelli) senza tuttavia svelarla esplicitamente e per intero. Tale informazione è invece il frutto della breve ma incalzante stichomythia con il coro. La presenza di un breve recitativo seguito da un dialogo che porta alla vera e propria ἀγγελία segna dunque una tappa decisiva: il dialogo è destinato a diventare sempre più importante, il coinvolgimento emotivo del coro sarà sempre più accentuato e la notizia cruciale non verrà più fornita nella rhesis iniziale ma in quella finale. Sofocle tenterà di rendere più organico il collegamento del dialogo con le rheseis, mentre Euripide sopprimerà quasi del tutto la rhesis iniziale e darà maggior risalto, tramite il dialogo, ai sentimenti scatenati dall’annuncio imminente.

2.3.2. Problemi testuali

I vv. 792-821 hanno sollevato diversi problemi testuali (molti dei quali rimangono senza una soluzione sicura) che potrebbero mettere in dubbio la struttura che abbiamo finora individuato (breve rhesis iniziale con ἀγγελία ‘incompleta’, dialogo con il coro e rhesis finale che completa l’ ἀγγελία fornendo l’informazione principale). Li ripercorreremo brevemente, con lo scopo non tanto di prendere una posizione precisa sulle singole questioni ma di valutarne le eventuali conseguenze rispetto alla configurazione generale della scena del messaggero.

Abbiamo già ricordato che secondo Taplin la brevità della scena costituirebbe un’anomalia rispetto alle tipiche scene di messaggero, categoria che tuttavia, come abbiamo visto, in Eschilo non appare ancora stabilmente definita. Von der Mühll78 ipotizza perciò che il testo tradito sia in realtà lacunoso e che il discorso originario prevedesse la narrazione dello scontro; la lacuna potrebbe anche essere dovuta non ad un guasto della tradizione ma all’intervento consapevole dell’interpolatore, che avrebbe abbreviato la scena del messaggero per lasciare spazio all’arrivo di Antigone e Ismene. Tuttavia, come abbiamo visto, in realtà la mancanza di dettagli è

41 strettamente funzionale alle esigenze del dramma: non solo abbiamo già ricevuto in precedenza abbondanti informazioni sugli schieramenti, ma il brevissimo resoconto enfatizza l’uguaglianza dei fratelli al momento del reciproco colpo mortale, senza soffermarsi sull’andamento dello scontro.

Inoltre in Eschilo il contrasto tra una scena assai estesa (nel nostro caso quella delle sette porte) ed una brevissima è tutt’altro che raro; basti pensare a Persiani 598- 622 (in contrasto con 155-531) e a Supplici 600-624 (in contrasto con 176-523). È quindi possibile che la brevità della scena non sia dovuta all’interpolatore ma alla volontà dell’autore; vi ritroviamo condensati, anzi, diversi temi ricorrenti del dramma (la metafora della città come nave, l’ostilità di Apollo, la follia di Laio che diede origine alle disgrazie della stirpe).

I vv. 803-811, nei quali il coro esorta ansiosamente il messaggero a chiarire cosa è accaduto, sono stati considerati da molti79 come l’unione di due diversi strati testuali (anche in questo caso dovuti all’intervento dell’interpolatore) copiati erroneamente uno dopo l’altro. A far dubitare del testo tradito ha contribuito in particolare la forte somiglianza dei vv. 804 e 820, ma gli studiosi sono in disaccordo su quale dovesse essere l’aspetto del testo originario e sono state avanzate le proposte più svariate. Ciò che importa, tuttavia, è che in ogni caso doveva essere presente uno scambio tra il coro e il messaggero prima della conferma della morte dei fratelli.

Anche i vv. 811-21 hanno suscitato dubbi; Page80, ad esempio, propone di spostare i vv. 820-21 tra 811 e 812 (così che la tirata del messaggero tratti prima la reciproca uccisione dei fratelli e poi il tema dell’eredità), mentre Dawson, West e Sommerstein81, seguendo Butler, preferiscono espungere i vv. 820-21.

In ogni caso, nonostante i numerosissimi tentativi di emendare il testo tradito, la struttura che abbiamo individuato non ne viene intaccata: se rifiutiamo la tesi di Von der Mühll della presenza di una lacuna, l’andamento generale della scena del messaggero, teso verso la rivelazione finale, rimane sostanzialmente immutato.

79 Cfr. e.g. W

ILAMOWITZ,Aisch. Interpr. 88 e 95.

80 P

AGE 19752 (1972).

81 D

42