Capitolo secondo Sette contro Tebe
2. La preparazione dell’apparizione del cadavere
2.2. LA PAURA DEL CORO (vv 720-91)
La prima coppia strofica e la seconda strofe, come abbiamo visto, raccolgono le fila dei temi sollevati nel corso del tentativo del coro di fermare Eteocle: l’Erinni del padre, l’eredità (che assegnerà a entrambi, rendendoli finalmente uguali, la terra per la sepoltura), l’uccisione reciproca che non può essere espiata.
I vv. 740-41 (‘o nuovi dolori della casa, mescolati a mali antichi!’) ampliano tuttavia il panorama: dalla morte dei fratelli, ormai prossima, il coro con un lungo excursus risale alle origini della maledizione della stirpe di Laio, ripercorrendo le luttuose vicende della famiglia. Il coro, dunque, è lucidamente in grado di inserire il presente all’interno dello schema della maledizione e di comprendere che la vicenda di Eteocle e Polinice ne costituisce il culmine e l’estremo compimento (cfr. il breve e lapidario ritorno al presente ai vv. 790-91, dopo l’elaborato excursus sul passato).
2.2.1. Il tema dell’eredità
67Il tema dell’eredità compare più volte nel corso della parte finale del dramma68 e costituisce un elemento di continuità tra i vari momenti che seguono l’uscita di scena di Eteocle:
- nel nostro passo, ai vv 727-33: ‘uno straniero l’eredità spartisce, quel Calibo (sc. ferro) che degli Sciti è oriundo, affilato liquidatore dei beni, il ferro d’animo crudo, che in lotto assegna tanta terra da abitare quanta occupare ne possono dei morti, dalle vaste pianure per sempre esclusi’;
- nelle parole del messaggero, ai vv. 815-19: ‘ma i due strateghi col martellato scitico ferro si son divisa (διέλαχον) l’intera eredità. Così avranno quel tanto di terra che nel sepolcro occupare potranno, lì traslati per infame destino in accordo ai voti paterni’;
- nel lamento finale, ai vv. 906-7: ‘acuminati cuori si divisero l’eredità, in parti uguali (ὥστ’ ἴσον λαχεῖν)’.
Si tratta dunque di una spartizione ereditaria tutt’altro che pacifica il cui arbitro è il ferro scitico, la spada che divide equamente i lotti di terra da assegnare agli eredi nel momento stesso in cui trafigge (e dunque ‘divide’) i loro corpi.
67 Cfr. T
HALMANN 1978,GARZYA 1996.
34 Il tema del λαγχάνειν, tuttavia, compare nel dramma anche in riferimento alle sorti dell’intera città: ai vv. 375-76 il messaggero dice ‘bene conosco e bene riferirò la situazione dei nemici: dirò come ciascuno alle porte fu designato per sorteggio (εἴληχεν πάλον)’. Dunque i guerrieri nemici hanno ottenuto in sorte la loro postazione; ciò porterà allo scontro tra i fratelli, che a loro volta otterranno in sorte la loro lugubre eredità.
2.2.2. Le origini della maledizione e la trilogia tebana
Il coro, ai vv. 743-790, ripercorre le tappe della maledizione, dalle origini fino all’esito finale ormai vicino69
. Il timore presente, dunque, porta il coro a guardare al passato e ad esaminare le cause della situazione attuale70.
69 Per notizie sulle origini del mito della stirpe di Edipo e sulla sua rielaborazione da parte di
Eschilo rispetto alla versione della Tebaide cfr. e.g. BALDRY 1956, SOMMERSTEIN 1989. Forse il mito più antico lascia traccia di sé ai vv. 785-86: questi versi potrebbero alludere al fatto che, nella Tebaide, la maledizione di Edipo ai figli (che non erano frutto di incesto, in quanto nati da seconde nozze) era dovuta al fatto che essi gli avevano portato per un sacrificio una coscia invece di una spalla. La questione è tuttavia controversa, poiché pochi versi prima il coro collega chiaramente sia l’accecamento di Edipo sia la maledizione alle ‘sventurate nozze’; Sommerstein preferisce immaginare che ‘l’avaro nutrimento’ a cui si fa riferimento i questi versi indichi che Edipo al momento della scoperta della terribile verità era ormai vecchio e veniva mantenuto e nutrito dai figli. Essi, tuttavia, assumono il controllo dei suoi beni e mal sopportano di doversi occupare del padre. In quest’ottica, secondo Sommerstein, il contenuto della maledizione (spartirsi le ricchezze con la spada) acquisterebbe un senso più profondo.
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Per un’analisi della struttura del passo cfr. THALMANN 1978,97-99. Si tratta di un passo di fondamentale importanza, in quanto Eschilo stesso tira le fila della trilogia che lui stesso ha composto, e i cui primi due drammi (Laio e Edipo) sono andati perduti (cfr. WINNINGTON-INGRAM 1983, 40 segg.). Lo stasimo presenta le vicende della famiglia (verosimilmente in conformità a quanto il pubblico ha appena visto in scena) in questo modo:
- Seconda antistrofe: la maledizione dura da tre generazioni, da quando Laio offese Febo e l’oracolo pitico gli profetizzò che per salvare la città doveva evitare di avere figli. Non ci viene detto, tuttavia, in cosa consistesse l’offesa di Laio a Febo. È interessante notare che in realtà il finale dei Sette vedrà la salvezza della città, nonostante la stirpe di Laio si sia estinta sanguinosamente; a differenza di quanto affermava l’oracolo, dunque, i destini della famiglia e della città si dividono.
- Terza strofe: Laio, nonostante le parole dell’oracolo, genera Edipo; egli uccide il padre e sposa la madre, dalla quale ha dei figli.
35 Non stupisce che Eschilo collochi dopo un punto cruciale del dramma un momento in cui il coro ricorda il passato. Notiamo, come esempi di un simile procedimento, il canto sul regno felice di Dario (dopo la scena del fantasma) in Pers. 852 segg. e il racconto delle vicende di Io (dopo la decisione di Pelasgo di consultare l’assemblea) in Suppl. 524 segg.: anche in quei casi la ricostruzione delle vicende passate e delle origini della stirpe termina con il ritorno al presente71.
- Quinta strofe: poi però egli scopre l’incesto, perciò si acceca e maledice i figli a spartirsi con la spada le ricchezze. Il coro teme che questa maledizione stia per compiersi. Manca un riferimento all’uccisione di Laio; tuttavia, come vedremo tra poco, troviamo altrove indizi sicuri che anche questo evento era trattato nella trilogia.
La sequenza degli eventi è abbastanza chiara; non è possibile, tuttavia, stabilire con certezza quali di essi fossero effettivamente rappresentati sulla scena e quali invece fossero lasciati fuori campo e narrati come antefatti. Se il Laio comprendeva la morte del personaggio che dà il nome al dramma è probabile che la maledizione di Febo e la nascita di Edipo costituissero gli antefatti narrati nel prologo, che secondo un papiro (POxy. 2256 fr. 2.4.1) era recitato da Laio stesso. La vicenda della Sfinge era invece trattata nel dramma satiresco che chiudeva la tetralogia. I tre drammi corrisponderebbero quindi alle tre generazioni e alle tre fasi del compimento della maledizione. I frammenti dei primi due drammi che ci sono pervenuti sono minimi. Lo scolio a Ar. Vespe 289 ci dice che nel Laio si faceva riferimento alla pratica di esporre neonati in vasi (sicuramente in relazione alla sorte che Laio riservò a Edipo). Sappiamo anche che nel dramma un assassino gustava e sputava il sangue della vittima; se si trattasse di Edipo avremmo di fronte un personaggio assai diverso da quello a cui Sofocle ci ha abituati, ma purtroppo non possiamo dire nulla di più. Possiamo però affermare con una certa sicurezza che la morte di Laio era trattata nella trilogia: lo scolio a Edipo re 733 ci restituisce infatti il seguente frammento:
<ΑΓΓ.?> <x-> ἐπῆιμεν τῆς ὁδοῦ τροχήλατον σχιστῆς κελεύθου τρίοδον, ἔνθα συμβολάς τριῶν κελεύθων Ποτνιάδων ἠμείβομεν
Giungevamo al trivio aperto da ruote della strada divisa, dove superavamo la congiunzione di tre strade di Potnia.
La brevità del frammento non ci permette di capire se esso sia da attribuire al Laio o all’Edipo. È comunque interessante notare come, anche in questo caso, la morte del personaggio (che sappiamo essere sopraggiunta proprio a quel trivio) non venga mostrata sulla scena ma narrata da un messaggero testimone degli eventi. Il POxy 2256 ci dice che il Laio era ambientato a Tebe, ed è molto probabile che lo stesso valga per l’Edipo; l’omicidio, avvenuto fuori dalla città, sarebbe stato rappresentabile solo attuando un macchinoso cambio di scena. Anche nel caso di Laio possiamo quindi ipotizzare lo schema consueto: il personaggio, sul quale grava un oracolo inquietante, esce di scena e muore; l’assassinio viene narrato da un messo e, probabilmente, il cadavere appare in seguito sulla scena.
36 Nel nostro passo dei Sette, quindi, vengono unite e giustapposte due strutture ricorrenti in Eschilo e solitamente indipendenti tra loro: l’espressione della paura del coro dopo l’uscita di scena di un personaggio votato alla morte e il ricordo del passato. Le due strutture, in questo caso, acquistano senso l’una grazie all’altra e si valorizzano a vicenda:
- la paura del coro è dovuta proprio al fatto che egli intuisce l’esito finale della maledizione in base alle sue tappe precedenti;
- il racconto delle vicende della stirpe, d’altro canto, si differenzia da quelli dei Persiani e delle Supplici proprio per il suo particolare rapporto con il presente. Nei Persiani il passato felice e prospero sotto Dario si contrappone alla disfatta presente, nelle Supplici il coro si rivolge a Zeus chiedendogli protezione in nome del suo amore per la loro antenata Io; nei Sette, invece, il presente è la diretta conseguenza e il compimento del doloroso passato della stirpe.
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