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Coppie I incontro II incontro Repertori II incontro Beatrice

7.2.3 Discussione dei risultati della seconda fase della ricerca

La seconda fase del nostro studio longitudinale è stata condotta dopo la nascita del/della bambin*, tra la dodicesima e la diciottesima settimana di vita, e aveva come obiettivo fondamentale analizzare i discorsi prodotti dalle coppie distinguendo i reper-tori interpretativi (Potter, Wetherell, 1987), gli eventuali dilemmi ideologici (Billig et al., 1988) e i rispettivi dispositivi retorici (Edwards, Potter, 1992) riferiti al genere, al carico domestico e ai ruoli genitoriali. Tale analisi, focalizzandosi sull’effettiva parteci-pazione e assunzione di responsabilità da parte di padri e madri, ha reso possibile un confronto con i dati prodotti durante il primo incontro relativi alle aspettative sulla fu-tura gestione dei compiti genitoriali e, contemporaneamente, ha evidenziato la pre-senza di condizioni di coerenza (in senso progressista o tradizionalista) o di condizioni di incoerenza, che esprimono alcuni dilemmi ideologici nella coppia.

Durante il secondo incontro si è fatto ricorso, in aggiunta all’intervista semi-strutturata (strumento scelto anche per la prima fase della ricerca), al metodo osservativo per

in-dividuare durante lo svolgimento delle attività di gioco e di cura (il cambio del pannoli-no) sequenze interattive che favorissero o inibissero la partecipazione di un membro della coppia genitoriale. L’osservazione delle interazioni triadiche era volta alla produ-zione di brevi sequenze filmiche che nel corso della terza fase della ricerca consentisse-ro di mettere in luce con la coppia la natura co-costruita e relazionale della partecipa-zione di entrambi i genitori ai compiti di cura. Come sarà illustrato nel corso del pros-simo paragrafo, le sequenze facilitatorie o inibitorie prodotte durante le interazioni so-no state presentate alla coppia attraverso una sessione di video feed-back (terzo incon-tro).

La produzione di una metodologia di ricerca fortemente sistemica diventa una vera e propria necessità se si pensa che in letteratura, a partire dalla seconda metà degli anni

’90, è stata posta un’enfasi particolare e, in alcuni casi, eccessiva sul ruolo giocato dalla madre rispetto al controllo dell’accesso paterno alla gestione dei compiti di cura, tanto da arrivare a parlare di maternal gatekeeping (De Luccie, 1995; Allen, Hawkins, 1999).

Sebbene tale costrutto ipotizzi anche una responsabilità paterna, è forte il rischio che alcune scelte metodologiche e alcune domande di ricerca continuino ad attribuire, più o meno esplicitamente, un eccesso di colpe alle donne che con i loro atteggiamenti verso il genere e la genitorialità inciderebbero sulla scarsa partecipazione del padre al-le attività di cura (Walker, McGraw, 2000; Schoppe-Sullivan et al., 2008). In particolare, il massiccio ricorso all’utilizzo di questionari per “raccogliere” dati ha mostrato nel tempo alcuni limiti. I ricercatori e le ricercatrici che utilizzano le scale Likert si basano sull’assunto cognitivista per cui attraverso la dichiarazione di accordo o disaccordo sia possibile misurare in un dato momento gli atteggiamenti delle persone, intesi come strutture mentali coerenti nei contenuti, e contemporaneamente sia possibile predirne il comportamento (Billig, 1991). Tuttavia, sebbene oggigiorno le persone dichiarino at-teggiamenti egualitari verso i generi e i ruoli di genere è nota la permanenza nella so-cietà occidentale di forti diseguaglianze di genere a scapito delle donne, seppur spesso mistificate. Inoltre, quando le persone sono lasciate libere di esprimersi, riferiscono anche idee tra loro in contraddizione, come dimostra l’Unequal egalitarianism rilevato da Wetherell, Stiven e Potter (1987) che evidenza la contemporanea presenza di di-chiarazioni egualitarie e posizioni tradizionaliste. Tali “incoerenze” sono indicate dall’approccio socio-cognitivista come errori che strumenti più sofisticati dovrebbero eliminare (Fiske, Taylor, 1984). Tuttavia, se riconosciamo il dilemma e l’incongruenza

come una componente della natura e dell’essenza umana, allora il divario nei contenu-ti del dichiarato e tra dichiarato e agito, non possono che essere intesi come oggetto di studio fondamentale della psicologia sociale (Billig, 1987).

Partendo da tale premessa epistemologica si è proceduto all’analisi dei dati prodotti durante il secondo incontro con le coppie e il/la loro figli*.

Per quanto riguarda la gestione dei lavori domestici le coppie sono state categorizzate secondo le tre tipologie individuate nella prima fase dello studio longitudinale (Mag-gior carico per lei; Mag(Mag-gior carico per lui e Paritarie) al fine di favorire il confronto tra quanto dichiarato sulla propria organizzazione interna alla casa prima e dopo la nascita del/ della bambin*.

Anche in questa fase dello studio appare dominante una distribuzione dei compiti di tipo tradizionalista che propone una divisione dei ruoli fortemente connotata in fun-zione del sesso di appartenenza (Coltrane, 1989). Undici coppie - come nel primo in-contro - hanno dichiarato che il maggior carico nella gestione delle attività domestiche è sulle spalle delle donne, impegnate in qualsiasi compito routinario, mentre gli uomini svolgono lavori occasionali, come la gestione del giardino, o nei casi più estremi sono totalmente disimpegnati rispetto a qualsiasi attività rivolta alla casa. Le diadi che pro-pongono tale distribuzione riconoscono implicitamente ai compiti domestici una carat-teristica o natura femminile che esonera gli uomini da una partecipazione più attiva.

Per questo motivo, il coinvolgimento maschile nelle faccende domestiche è riconosciu-to da entrambi i membri della coppia come un aiuriconosciu-to facoltativo (Coward, 1993), che genera la gratitudine della “regina della casa”, la quale controlla in modo solitario la gestione della sfera intima ed emotiva familiare. Al contrario, l’uomo riconosciuto da entrambi i partner come il principale breadwinner trova nel carico di ore dedicate al la-voro retribuito l’alibi perfetto per decidere di limitare o di escludere la propria parteci-pazione al lavoro domestico (Blood, Wolfe, 1960). Tale giustificazione è condivisa an-che dalle donne-lavoratrici, an-che danno per scontato il proprio maggiore coinvolgimen-to nelle faccende domestiche, ed eventualmente anche nelle cure da dedicare al/alla figli*, poiché attualmente usufruiscono ancora del congedo per maternità. Solo una coppia, in particolare una donna, nonostante giustifichi l’attuale organizzazione tradi-zionalista in base alla propria maggiore disponibilità di tempo, manifesta un dilemma ideologico che sottende il desiderio di riacquisire una distribuzione dei ruoli interni pa-ritaria agita dalla diade prima della nascita del figlio. Tale discorso dimostra come le

donne possano e debbano assumere un ruolo attivo nel processo di emancipazione femminile al fine di scardinare lo status quo dettato dalla cultura patriarcale per poter giungere a una distribuzione equa dei ruoli interni ed esterni alla casa (Lazar, 2007).

La condizione atipica di maggior carico per lui dei compiti domestici ha registrato un piccolo aumento rispetto al primo incontro, passando da una sola coppia a tre. Ancora una volta, tuttavia, si conferma che sebbene gli uomini siano sul piano pratico impe-gnati attivamente nell’organizzazione e nello svolgimento di tali compiti, le diadi non agiscono una concreta de-costruzione dei ruoli gender-typed (Butler, 1993), poiché l’investimento maschile nelle faccende domestiche è ritenuto necessario affinché la caregiver principale possa invece occuparsi totalmente del/della propri* bambin*.

Infine, le coppie paritarie hanno registrato un lieve calo rispetto ai dati del primo in-contro, passando da 8 a 6 casi. Gli uomini e le donne che propongono tale organizza-zione, come rilevato dalle analisi del primo incontro, condividono equamente i diversi compiti legati alla gestione della propria casa, sostenendo l’interscambiabilità dei ruoli nello svolgimento dei lavori domestici ed extradomestici. Attraverso tale distribuzione fluida dei compiti si conferma il carattere dinamico e performativo del genere (Butler, 1993), in quanto risultato dell’agire dell’individuo all’interno di interazioni quotidiane (West, Zimmerman, 1987; Ferree, 1990; Thompson, 1993).

Anche per quanto riguarda l’analisi dei discorsi dedicati all’effettiva partecipazione dei partner ai compiti di cura rivolti al/alla figli* e al significato attribuito al ruolo paterno e materno si è fatto ricorso ai tre scenari sulla genitorialità (Egualitari, Tradizionalisti e Dilemmatici) individuati nella prima fase della ricerca. Il confronto tra i dati delle analisi dei discorsi prodotti nel pre e post- nascita pone in evidenza un risultato interessante relativo alla tendenza durante il secondo incontro a estremizzare le posizioni che prima dell’arrivo del/della bambin* si mostravano dilemmatiche (85% dei casi). In particolare, aumenta nettamente lo scenario genitoriale di tipo tradizionalista (50% contro il 5%

del primo incontro), allo stesso tempo aumenta seppur meno drasticamente anche quello egualitario (30% contro il 10% del primo incontro), mentre diminuisce enorme-mente lo scenario dilemmatico (20% contro il 85% del primo incontro).

La maggiore tradizionalizzazione dei ruoli genitoriali è coerente con i dati della lettera-tura nazionale e internazionale, che sottolineano un ulteriore aumento del carico di la-voro familiare per le donne a seguito della nascita del/della primogenit* (Brines, 1994;

Bianchi et al., 2000; Greenstein, 2000; Kroska, 2004; Lothaller, Mikula, Schoebi, 2009;

Istat, 2012).

Lo scenario genitoriale tradizionalista conferma rispetto ai dati del primo incontro una distribuzione dei compiti familiari dettata dall’appartenenza sessuale (Wilson, 1975).

Le donne assumono un ruolo centrale e fondamentale nella cura del/della bambin*, mentre gli uomini riconosciuti come naturalmente meno competenti fungono da sup-porter o helper (Coltrane, 1996; 2000; Sunderland, 2000; Davis, Greenstein, 2004;

Mannino, Deutsch, 2007; Doucet, 2009). Il riconoscimento, a livello sociale e di coppia, delle neo-madri come esperte caregiver favorisce la comparsa nei discorsi tradizionali-sti di repertori interpretativi legati al costrutto del maternal gatekeeping (Allen, Haw-kins, 1999; Fagan, Barnett, 2003; McBride et al., 2005; Cannon et al., 2008; Gaunt, 2008; Schoppe-Sullivan et al., 2008) che confermano la predisposizione delle donne ai compiti di cura e la difficoltà degli uomini a raggiungere gli alti standard proposti dalla partner. Tale tipologia di discorsi non fa altro che reiterare una netta divisione gender-typed dei ruoli fuori e dentro casa, infatti, se la donna è naturalmente l’unica in grado di occuparsi del/della figli* ne consegue che dovrà disinvestire il suo impegno relativo al mondo del lavoro.

Effettivamente le coppie con scenario genitoriale tradizionalista ricorrendo a repertori che confermano la complementarietà dei ruoli maschili e femminili (Parsons, Bales, 1955), riconoscono all’uomo una maggiore propensione per il lavoro retribuito e defi-niscono - sebbene solo implicitamente poiché una tale posizione potrebbe generare una valutazione sociale negativa - la gestione della conciliazione un problema unica-mente o maggiorunica-mente a carico delle madri lavoratrici (Beagan et al., 2008; Romano, 2008; Perrone et al., 2009; Reyneri, 2009; Sartori, 2009). La casa e la famiglia si tra-sformano così per le donne in vere e proprie “prigioni dorate”: da una parte, infatti, il senso comune le incatena in rappresentazioni idilliache riferite alle gioie e alla realizza-zione personale legate alla cura dei propri cari, dall’altra impedisce loro di operare scel-te libere rispetto alla possibilità di dedicarsi inscel-teramenscel-te al mondo del lavoro retribui-to. Il fatto che le stesse donne facciano ricorso a tali repertori interpretativi rende an-cora più evidente come il femminile sia socializzato alla cultura patriarcale che relega il gentil sesso a posizioni di sottomissione rispetto al sesso forte (Burr, 1998; Cameron, 1998; Lazar, 2007).