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3. la concezione differenziata dei ruoli familiari. Le rappresentazioni sociali relative ai ruoli di genere all’interno delle mura domestiche possono influenzare le aspettative

5.2 La psicologia sociale discorsiva e la critica alla social cognition

La psicologia sociale discorsiva, affermata negli anni’80, trova i suoi massimi esponenti in Michael Billig (1985), fondatore del gruppo di ricerca Discourse and Rhetoric Group (DARG) presso l’Università inglese di Loughborough, e Jonathan Potter e Margaret Wetherell coautori del testo Discourse and Social Psychology. Beyond Attitudes and Behaviour (1987) definito manifesto della corrente discorsivista. Tale approccio, attra-verso il metodo antiquariale (Billig, 1987), ha portato alla riscoperta dei sofisti e della retorica e segnato una rottura epistemologica rispetto alle psicologie dominanti. Fa-cendo propria la tesi di Protagora, la prospettiva retorico-argomentativa osserva che a ogni posizione (logos), mentale o discorsiva, corrisponde una posizione opposta (anti-logos) (Billig, 1987). La presentazione di posizioni contrapposte rispetto alla tesi sposa-ta dà luogo a dispute interminabili nelle quali il vincitore è colui/colei che offre le stra-tegie argomentative più efficaci.

Anche la psicologia discorsiva ha un suo referente negativo, o anti-logos, rappresenta-to dalla psicologia sociale sperimental-cognitivista (De Grada, Bonaiurappresenta-to, 2002). I due approcci, secondo una presentazione esteriormente oggettiva, danno forma a un di-battito aperto e incessante che esprime posizioni opposte retoricamente costruite per convincere della superiorità della propria posizione e dei limiti di quella opposta.

In particolare, la social cognition, privilegiando gli aspetti razionali della conoscenza, si focalizza nello studio dei meccanismi attraverso i quali gli individui si rappresentano e costruiscono mentalmente gli oggetti sociali. Il contesto socio-culturale, collocato nella testa dell’individuo, non è oggetto d’interesse poiché è ritenuto stabile e predetermi-nato (Costall, 1991). Tale rappresentazione del mondo determina l’adozione di tecni-che di ricerca tecni-che ignorano la flessibilità e la conflittualità della vita quotidiana, diffi-cilmente riconducibile a categorie preformate e fisse nel tempo (Potter, 2000).

L’attenzione esclusiva della social cognition alla mente e ai suoi oggetti posti a fonda-mento del sociale, non solo ha allontanato la psicologia dallo studio del comportamen-to e delle motivazioni delle persone, ma soprattutcomportamen-to ha segnacomportamen-to un ricomportamen-torno alla psicolo-gia della mente che appare del tutto poco sociale (Gergen, Gigerenzer, 1991).

La psicologia sociale discorsiva, al contrario, si focalizza su fattori sociali, in particolare il linguaggio, e su azioni-interazioni quotidiane, riconoscendo l’interazione discorsiva come contesto necessario per lo studio di ogni fenomeno psicologico (Edwards, 1997;

Potter, 1999). Attraverso il linguaggio donne e uomini non si limitano a dire qualcosa, ma agiscono attraverso atti verbali (Austin, 1962; Searle, 1969; Potter, Wetherell, 1987). Lo scambio discorsivo è, perciò, studiato secondo un approccio interindividuale o sociale che si discosta dall’immagine del discorso come finestra sulla mente suggerita dalla social cognition (Billig, 1991). Ciò significa che ogni risultato prodotto dall’interazione discorsiva avrà sempre delle implicazioni sull’essenza dei parlanti (Ger-gen, 1998). Tutti i discorsi sono sempre rivolti ad almeno un destinatario, reale o vir-tuale, che ne influenza le azioni reciproche e regola la comunicazione attraverso diver-se forme di feed-back (Galimberti, 1994; De Grada, Bonaiuto, 2002). In questo modo, l’approccio discorsivo presenta un carattere estremamente sociale: l’azione umana è intesa come prodotto della relazione dialogica e conseguentemente deindividualizzata.

In opposizione agli studi della social cognition si afferma che discorso e pensiero sono fortemente connessi (Billig, 1987). Il pensiero umano è osservato nelle discussioni e negli scambi retorici dell’argomentazione (Billig, 1991). La capacità di conversare offre

la possibilità di esprimere i propri pensieri e di manifestare le proprie opinioni e pren-dere posizione. In questo modo, la semplice scelta di una parola implica una presa di posizione all’interno di un dibattito (Mantovani, 2008). In questo modo la psicologia discorsiva attribuisce allo stesso pensiero una natura dialogica (De Grada, Bonaiuto, 2002), riconoscendo agli stati mentali un’origine sociale (Billig, 1991). “Per dirlo con un paradosso, da non prendere troppo alla lettera, le persone non conversano perché hanno pensieri riposti da esprimere, ma hanno pensieri in quanto sono in grado di conversare” (Billig, 1987, trad. it. 1999, p. 205). Secondo tale prospettiva tutti i nostri pensieri si strutturano secondo coppie di opposti per cui ogni mossa cognitiva è sog-getta a una contromossa. Il discorso, offrendo la possibilità di esprimere una posizione, diventa il contesto nel quale gli atteggiamenti sono costruiti (Potter, Wetherell, 1987;

De Grada, Bonaiuto, 2002; Mantovani, 2003). Gli atteggiamenti sono perciò intesi co-me costruzioni sociali situate in specifici contesti storico-culturali e responsabili della categorizzazione e descrizione di fatti, persone, problemi (Edwards, 1997; Mantovani, 2003). È evidente come tale definizione si allontani profondamente da quanto propo-sto dalla social cognition. Gli atteggiamenti non sono più intesi come realtà mentali espresse attraverso il parlato né sono definiti valutazioni personali che guidano e de-terminano in modo assoluto le condotte umane, definizione che ne evidenzia la natura fortemente individuale; piuttosto, secondo Billig (1987), devono essere riferiti al con-testo argomentativo. Un atteggiamento esprime una posizione su questioni socialmen-te rilevanti che sono dibattusocialmen-te e generano controversie all’insocialmen-terno di un dato consocialmen-testo, senza disaccordi non esisterebbero neppure gli atteggiamenti (Potter, Wetherell, 1987). Attraverso l’espressione degli atteggiamenti quindi gli individui hanno la possi-bilità di esplicitare le proprie convinzioni personali e contemporaneamente inserirsi all’interno di un dibattito pubblico (Billig, 1991).

“Il possesso di un atteggiamento indica perciò un’affermazione di disaccordo così come di accordo e si-gnifica disponibilità implicita a entrare in una controversia. Di conseguenza, possiamo aspettarci che i possessori di atteggiamenti giustifichino le loro posizioni, critichino i punti di vista concorrenti e gene-ralmente discutano sulle questioni” (Billig, 1987, trad. it. 1999, pp. 303-304).

Gli individui non possiedono un unico atteggiamento, come supposto dalla social co-gnition, ma ricorrendo a modelli di discorso complessi e spesso in contraddizione esprimono opinioni contrastanti (Potter, Wetherell, 1987). I temi che compongono tali

contrapposizioni sono offerti dalla società attraverso un set di argomenti vincenti (Gramsci, 1948) che permette di pensare e parlare del mondo. In questo modo, il sen-so comune offre le materie prime attraversen-so le quali le persen-sone possen-sono costruire i propri atteggiamenti, opinioni, argomentazioni e resoconti (Edley, Wetherell, 1999).

Tuttavia il senso comune ha anch’esso una natura dilemmatica (Billig, 1991), poiché propone temi e concezioni del mondo contrastanti in cui soggiacciono gli stereotipi (Billig, 1987).

In questo contesto epistemologico, il tentativo proposto dalla social cognition di “mi-surare” gli atteggiamenti attraverso la manifestazione di accordo o disaccordo a for-mule predefinite, come nel caso delle scale Likert, appare del tutto inadeguato soprat-tutto di fronte alla complessità e varietà di alcuni temi “sensibili”, moralmente coinvol-genti e socialmente rilevanti (Mantovani, 2003). Ciò sembra essere confermato dagli stessi risultati prodotti dalle ricerche condotte secondo il paradigma cognitivista, in cui si evidenzia che troppo spesso le persone dichiarano idee generali su questioni partico-lari, ma agiscono in maniera opposta (Billig, 1987). La critica alle tecniche classiche di rilevazione degli atteggiamenti risiede nel fatto che il significato di un atteggiamento espresso “[…] non risiede semplicemente nel complesso delle definizioni delle parole usate per esprimere la posizione: risiede anche nel contesto argomentativo (Billig, 1991, trad. it. 1995, p. 59). Riconoscendo la natura fortemente contradditoria degli at-teggiamenti e adottando un approccio emico, la psicologia sociale discorsiva si focaliz-za sulle modalità con cui le valutazioni sono formulate e utilizfocaliz-zate dai/dalle parlanti (Potter, 2000). La relazione paradossale che esiste tra il discorso e il parlante ci per-mette di evidenziare i set di “dilemmi ideologici” che compongono i pensieri, la vita e le esperienze delle persone (Billig et al., 1988). I dilemmi ideologici sono una variante dei paradossi più generali del linguaggio, che da una parte favorisce l’autonomia dei/delle parlanti e dall’altra determina la ripetizione di segni e stereotipi convenzio-nalmente accettati (Billig, 1991).

Le persone sono così riconosciute come i padroni e gli schiavi del linguaggio; i prodotti e i produttori del discorso (Barthes, 1981; Billig, 1991). La ripetizione del senso comu-ne, tuttavia, non lascerà invariata l’ideologia; ogni discorso ha una natura situata, che varia in funzione del contesto perciò ogni affermazione avrà un significato differente e

“ogni ripetizione sarà la creazione che conduce il passato verso il futuro” (Billig, 1991, trad. it. 1995, p. 28).

La concezione dilemmatica del pensiero e della condotta umana si presenta come un’ulteriore critica alla social-cognition che, tra la fine degli anni’50 e l’inizio degli an-ni’60, ha proposto numerose teorie sulla coerenza tra atteggiamenti e comportamenti.

Tra tutte le proposte teoriche probabilmente la più famosa è la Teoria della dissonanza cognitiva di Festinger (1957), la quale sostiene che ogni persona, seguendo una moti-vazione biologica, nel tentativo di ridurre o di evitare una condizione di disagio emoti-vo, prodotta dall’incoerenza, o dissonanza, tra atteggiamenti e comportamenti, cerca di allineare tutte le proprie credenze per dare un’immagine più coerente ed equilibrata di sé. Parlare di una motivazione biologica sottende la necessità “naturale” e costante per l’uomo e per il suo pensiero di spingersi verso l’unilateralità, o idées fixes, così co-me il “ciarlatano” di Fiske e Taylor (1984, p. 88) “che tenta di far sì che i dati vadano nella maniera più vantaggiosa possibile per le teorie che egli già possiede”. In questo modo si afferma che per natura noi siamo degli oratori unilaterali, che allontanano dal-la propria mente le informazioni contrarie aldal-la nostra tesi. Questa posizione è stata for-temente criticata da Billig (1987) sostenendo la necessità di considerare la coerenza una pulsione retorica, che guida alla giustificazione di una data posizione e all’evitamento delle critiche. “Collocare la dissonanza in un contesto retorico implica che le incoerenze nel discorso possano riposare indisturbate, e senza disturbare, qua-lora la discussione dovesse accendersi attorno a un’altra questione” (Billig, 1987, trad.

it. 1999, p.281). Ciò significa che non siamo sempre motivati a giustificare le nostre in-coerenze, ma soltanto quando posti di fronte a critiche interne o esterne, che stimola-no le stimola-nostre argomentazioni nel tentativo di negare le contraddizioni. Al fine di produr-re giustificazioni, o produr-resoconti, che separino atteggiamenti generali da azioni specifiche Billig (1987) propone tre tipi di discussioni:

1. Discussioni su azioni particolari: per evitare l’accusa di incoerenza si può sostenere che tale azione non dovrebbe essere riferita a quell’atteggiamento. È questo il caso dell’unequal egalitarianism (Wetherell, Stiven, Potter, 1987) in cui uomini e donne af-fermano “credo nella parità , però …”. Tale introduzione agisce come smentita (Hewitt, Stoke, 1975) utile per prevenire giudizi negativi. L’approvazione degli ideali liberali è contrapposta al discorso delle “considerazioni pratiche”, autorizzando in tal modo l'o-ratore a difendere lo status quo mentre devia le accuse di sessismo o fanatismo (Edley, Wetherell, 1999). “Se il particolare può essere messo al sicuro in una differente cate-goria d’atteggiamento attraverso una ridefinizione della situazione, allora

l’atteggiamento incoerente può essere conservato, venendo giudicato irrilevante per la specifica situazione in questione” (Billig, 1987, trad. it 1999, p. 313).

2. Discussione su atteggiamenti generali: si tratta della messa in discussione dell’essenza dell’atteggiamento. Interpretando in modi differenti lo stesso atteggia-mento è possibile giustificare azioni diverse. Per esempio i ragazzi intervistati da Edley gestiscono il dilemma ideologico tentando di alleviare la tensione tra ideali contrappo-sti, screditando l’immagine del “nuovo padre” che non soltanto desidera condividere i lavori di cura con la partner, ma vorrebbe partorire o allattare (Edley, Wetherell, 1999).

3. Discussione delle discussioni su atteggiamenti: in questo caso l’oggetto della contro-versia è l’essenza stessa della contraddizione tra l’atteggiamento e l’azione “che due cose siano coerenti l’una con l’altra è una questione d’opinione” (Salancik, 1982, p.56).

Sono soprattutto gli psicologi a discutere tra loro delle discussioni. Il disaccordo tra i due psicologi non è di tipo logico o empirico, ma retorico, poiché riguarda l’individuazione di un’essenza (ciò che per uno è pseudo-incoerenza, per l’altro è in-coerenza genuina). Essi sono in disaccordo sul disaccordo (Billig, 1987).

In conclusione, l’analisi dei discorsi prodotti quotidianamente dimostra che la conce-zione tradizionale degli atteggiamenti per cui alla parola corrisponde l’oggetto risulta impraticabile, mentre ne evidenzia la natura ambivalente e molteplice. La prospettiva retorica riconosce l’importanza dello svelamento dei dilemmi ideologici e del divario tra opinioni e tra atteggiamento generale e azione specifica. Attraverso la discussione, è possibile riconoscere la natura molteplice della realtà quotidiana difficilmente ricon-ducibile a un unico resoconto.