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Il dispositivo del Protocollo di Palermo relativo al traffico di migranti via mare

TRAFFICO DI MIGRANTI PER VIA MARITTIMA

3. Il Protocollo alla Convenzione contro il crimine transnazionale organizzato relativo al traffico di migranti (smuggling of migrants) per

3.3 Il dispositivo del Protocollo di Palermo relativo al traffico di migranti via mare

Come risulta dall’art. 2168, nonché dall’accessorietà alla Convenzione contro il crimine transnazionale organizzato, scopo essenziale del Protocollo relativo al traffico di migranti è quello di prevenire il traffico di migranti e di assicurare la repressione penale delle organizzazioni criminali che lo realizzano, incoraggiando, a tal fine, la cooperazione tra gli Stati parti.

permanent residence, such return shall be with due regard for the safety of that person and for the status of any legal proceedings related to the fact that the person is a victim of trafficking and shall preferably be voluntary. At the request of a receiving State Party, a requested State Party shall, without undue orunreasonable delay, verify whether a person who is a victim of trafficking in persons is its national or had the right of permanent residence in its territory at the time of entry into the territory of the receiving State Party. In order to facilitate the return of a victim of trafficking in persons who is without proper documentation, the State Party of which that person is a national or in which he or she had the right of permanent residence at the time of entry into the territory of the receiving State Party shall agree to issue, at the request of the receiving State Party, such travel documents or other authorization as may be necessary to enable the person to travel to and re-enter its territory. This article shall be without prejudice to any right afforded to victims of trafficking in persons by any domestic law of the receiving State Party. This article shall be without prejudice to any applicable bilateral or multilateral agreement or arrangement that governs, in whole or in part, the return of victims of trafficking in persons”.

167 In tal senso, CARACCIOLO, Dalla tratta cit., p. 178.

168 Art. 2 del Protocollo relativo al traffico di migranti: “The purposes of this Protocol are: (a) To prevent and combat trafficking in persons, paying particular attention to women and children; (b) To protect and assist the victims of such trafficking, with full respect for their human rights; and (c) To promote cooperation among States Parties in order to meet those objectives”.

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La protezione dei migranti non rientra, invece, tra gli obbiettivi principali del Protocollo, posto che tali individui assumono un ruolo attivo nella configurazione della fattispecie. Ciò ovviamente non significa che lo strumento in esame si disinteressa della tutela dei diritti delle vittime, bensì che questa tutela si concentra su di uno standard minimo avente a oggetto i diritti fondamentali. Così alla protezione dei migranti irregolari è dedicato un solo articolo, l’art. 16, che impone agli Stati l’obbligo di proteggere il diritto alla vita e il diritto a non essere sottoposti a tortura o ad altri trattamenti o pene inumani o degradanti, l’obbligo di proteggerli contro forme di violenza cui potrebbero essere sottoposti in quanto individui o componenti di un gruppo e l’obbligo di rispettare il diritto alla protezione consolare. Un riferimento indiretto alla tutela dei diritti dei migranti è, inoltre, previsto all’art. 9, par. 1, lett. a169. Per gli stessi motivi, nulla si dispone circa l’assistenza, il reinserimento ed eventuali possibilità di permessi di ingresso nei confronti del migrante, fatti salvi i casi di asilo ai sensi del diritto internazionale vigente.

Il profilo della protezione dei migranti rileva, seppur indirettamente, anche in considerazione delle modalità di realizzazione del contrasto allo “smuggling”. In questo senso è significativo che ai sensi dell’art. 5 del Protocollo170, gli Stati parti si siano impegnati a non assoggettare ad azione penale i migranti coinvolti, sebbene essi concorrano volontariamente – come s’è detto – alla realizzazione dell’ingresso irregolare. Gli Stati parti si impegnano, piuttosto, ad adottare misure legislative e di altro tipo necessarie per conferire il carattere di reato ai sensi del proprio diritto interno ai comportamenti previsti agli artt. 3 e 6 del Protocollo.

169 Art. 9, par. 1, lett. a, del Protocollo relativo al traffico di migranti: “Where a State Party takes measures against a vessel in accordance with article 8 of this Protocol, it shall ensure the safety and humane treatment of the persons on board”.

170 Art. 5 del Protocollo relativo al traffico di migranti: “Migrants shall not become liable to criminal prosecution under this Protocol for the fact of having been the object of conduct set forth in article 6 of this Protocol”.

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Per quanto di specifico rilievo ai fini del presente scritto, il Protocollo relativo al traffico di migranti prevede una parte speciale relativa all’immigrazione per via marittima: il capitolo II, agli artt. 7-9, prevede, infatti, la possibilità di esercitare misure di coercizione, quali il blocco, l’abbordaggio e la visita dell’imbarcazione qualora sussistano ragionevoli motivi di sospetto che essa sia coinvolta in tale attività. Conformemente a quanto previsto all’art. 9, par. 4, esse devono essere eseguite unicamente da navi da guerra o da aeromobili militari, o da altre navi o aeromobili chiaramente contrassegnati e identificabili come al servizio dello Stato e autorizzati a tal fine.

Le misure di contrasto concretamente esperibili variano in funzione dei rapporti intercorrenti tra lo Stato che interviene e la posizione giuridica della nave.

Uno Stato che ha ragionevoli motivi di sospettare che una nave che batte la sua bandiera o che vanta l’iscrizione nel suo registro – o che è priva di nazionalità o che, pur battendo la bandiera di un altro Stato o rifiutando di mostrare la propria, ha in realtà la nazionalità dello Stato in questione – sia coinvolta nel traffico di migranti via mare, può richiedere assistenza agli altri Stati parte per porre fine al comportamento illecito. Gli Stati che hanno ricevuto tale richiesta hanno l’obbligo di fornire assistenza, nei limiti dei mezzi di cui dispongono, e in ogni caso nella massima misura possibile, come previsto dal generale obbligo di cooperazione contenuto all’art. 7 del Protocollo (art. 8, par. 1, del Protocollo).

L’art. 8, par. 2, del Protocollo disciplina, inoltre, l’ipotesi di intervento di uno Stato in relazione a una nave che batta la bandiera o sia iscritta nei registri di un altro Stato. In questo caso, lo Stato parte che ha

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ragionevoli motivi171 per sospettare che una nave che esercita la libertà di navigazione in conformità al diritto internazionale e che batte bandiera di un diverso Stato parte sia coinvolta nel traffico di migranti via mare deve preventivamente contattare le competenti autorità dello Stato della bandiera inalberata, in primo luogo per avere conferma dell’appartenenza della nave e, se confermata, per ottenere l’autorizzazione a procedere all’esercizio di misure di coercizione172. Qualora vengano rinvenute prove che la nave è effettivamente coinvolta in tale traffico, lo Stato richiedente può adottare le misure opportune in relazione alla nave, alle persone e al carico a bordo, secondo l’autorizzazione fornita dallo Stato di bandiera173.

171 L’espressione utilizzata all’art. 8, par. 2, del Protocollo relativo al traffico di migranti “reasonable

grounds to suspect” sembra escludere situazioni di mero sospetto, pur non richiedendo l’effettiva

consapevolezza del coinvolgimento della nave nel traffico di migranti: in tal senso, HINRICHS,

Measures against Smuggling of Migrants at Sea: A Law of the Sea Related Perspective, in RBDI,

2003, p. 431.

172 Nelle summenzionate Legislative Guides, al par. 95, viene espresso l’auspicio che gli Stati parti estendano la propria giurisdizione nelle acque internazionali sulle navi battenti bandiera di un altro Stato parte, senza specificare se ciò comporterebbe una limitazione della giurisdizione esclusiva dello Stato della bandiera, che, di conseguenza, non sarebbe più chiamato a dare la propria autorizzazione in relazione all’azioni esercitabili ai sensi dell’art. 8 del Protocollo. Se, da un lato, tale ipotesi avrebbe quale effetto quello di garantire una maggiore efficacia del sistema convenzionale, dall’altro, essa potrebbe trovare applicazione concreta solo in presenza di una specifica disposizione al riguardo in base alla quale lo Stato parte si impegna ad accettare a priori che qualsiasi imbarcazione battente la propria bandiera, sospettata di essere coinvolta nel traffico di migranti, sia fermata e visitata dalla nave militare di qualsiasi Stato parte. Anche se non è da escludere che la proposta inserita nelle Legislative Guidelines potrebbe, in futuro, costituire oggetto di emendamento, dubbi sorgono riguardo la possibilità che una tale limitazione delle competenze dello Stato di bandiera riceva il consenso necessario a una modifica del testo.

173 Art. 8, par. 2, del Protocollo relativo al traffico di migranti: “A State Party that has reasonable grounds to suspect that a vessel exercising freedom of navigation in accordance with international law and flying the flag or displaying the marks of registry of another State Party is engaged in the smuggling of migrants by sea may so notify the flag State, request confirmation of registry and, if confirmed, request authorization from the flag State to take appropriate measures with regard to that vessel. The flag State may authorize the requesting State, inter alia: (a) To board the vessel; (b) To search the vessel; and (c) If evidence is found that the vessel is engaged in the smuggling of migrants by sea, to take appropriate measures with respect to the vessel and persons and cargo on board, as authorized by the flag State”. La formulazione di tale disposizione riprende integralmente quanto affermato all’art. 12 della sopra citata circolare IMO 896 dell’11 dicembre 1998.

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Il Protocollo disciplina, infine, la condotta di uno Stato parte che ha ragionevoli motivi per sospettare che una nave è coinvolta nel traffico di migranti via mare quando questa risulta priva di nazionalità o può essere a essa assimilata, come previsto all’art. 8, par. 7. Si tratta dell’eventualità che forse si verifica più di frequente, posto che spesso le c.d. “carrette del mare” impiegate nel traffico di migranti irregolari sono prive di qualsiasi elemento identificativo della loro nazionalità174. In tale ipotesi, lo Stato “sospettante” può fermare e ispezionare la nave; se il sospetto è confermato da prove, esso può adottare le misure opportune, conformemente al diritto interno e al diritto internazionale rilevante.

Il regime delineato nel Protocollo relativo al traffico di migranti si conforma, in buona sostanza, a quanto previsto dal diritto consuetudinario e dalla CNUDM in tema di giurisdizione sulle navi in alto mare175, lasciando, tuttavia, irrisolti alcuni problemi.

Perplessità suscita, innanzi tutto, la summenzionata disciplina relativa al diritto di visita della nave senza nazionalità, prevista all’8, par. 7. In questo caso, non sembra, infatti, agevole individuare quali possano essere le “misure opportune”: il Protocollo, nemmeno in altre sue disposizioni, offre alcun elemento chiarificatore al riguardo. Inoltre, il rinvio al diritto interno, oltre ad ampliare a dismisura la discrezionalità delle azioni esercitabili in concreto, corre il rischio, se riferito a ordinamenti che nulla

174 BROWN, Jurisdictional Problems Relating to Non-Flag State Boarding of Suspect Ships in

International Waters: A Practitioner's Observations, in SYMMONS (a cura di), Selected

Contemporary Issues in the Law of the Sea, Leiden, 2011, pp. 77-78; MCDORMAN, Maritime

Terrorism and the International Law of Boarding of Vessels at Sea: A Brief Assessment of the New Developments, in CARON,SCHEIBER (a cura di), The Oceans in the Nuclear Age - Legacies and

Risks, Leiden, 2010, pp. 250-252.

175 Per un’approfondita analisi riguardo il rapporto intercorrente tra il Protocollo relativo al traffico di migranti e la CNUDM, si rinvia a HINRICHS, Measures cit., p. 415.

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prevedano al riguardo, di creare un preoccupante vuoto normativo176. Sarebbe, invece, stato utile e opportuno specificare il genere delle misure adottabili poiché, a sua volta, il rinvio al diritto internazionale rilevante risulta ambiguo e non aiuta a definire la reale efficacia delle misure di contrasto177. Infatti, se attraverso tale espressione ci si riferisce all’art. 110 CNUDM, lo Stato interveniente non potrebbe fare altro che richiedere allo Stato di bandiera il permesso di effettuare l’arresto dell’imbarcazione e dei trafficanti. Questa interpretazione, tuttavia, sembra eccessivamente restrittiva. Appare più in linea con lo scopo del Protocollo interpretare il riferimento in esame come un rinvio alle norme di diritto internazionale che regolano l’esercizio concreto della giurisdizione attuativa, in particolare quelle sull’uso della forza nell’arresto di imbarcazioni e persone a bordo, nonché quelle in materia di tutela dei diritti umani per quanto concerne la privazione della liberà personale178. Una siffatta interpretazione sembrerebbe, quindi, autorizzare anche l’adozione di misure coercitive, se previste dalle norme nazionali dello Stato interveniente.

In secondo luogo, l’espressione utilizzata all’art. 8, par. 2, del Protocollo, “engaged in the smuggling of migrants by sea”, lascia aperta la possibilità di intervento concessa dal diritto internazionale in base alla

176 In tal senso, CARTA, Misure di contrasto al traffico di migranti via mare, in PALMISANO (a cura di), Il contrasto al traffico di migranti nel diritto internazionale, comunitario e interno, Milano, 2008, p. 105.

177 Si veda quanto affermato sul punto in SCOVAZZI, Human Rights and Immigration at Sea, in RUBIO-MARÍN (a cura di), Human Rights and Immigration, Oxford, 2014, p. 129: secondo l’Autore, infatti, “[t]he reference to the right to take ‘appropriate measures in accordance with relevant domestic and international law’ is of no concrete help, considering that international law does not provide for any specific action which could have some effectiveness and that domestic law can only be in conformity with rules of international law”.

178 In tal senso, PAPANICOLOPULU, Immigrazione irregolare via mare ed esercizio della

giurisdizione: il contesto normativo internazionale e la recente prassi italiana, in ANTONUCCI, PAPANICOLOPULU,SCOVAZZI (a cura di), L’immigrazione cit., p. 20.

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presenza costruttiva, permettendo di ricomprendere anche la partecipazione della nave madre che effettua il trasbordo di migranti a bordo di imbarcazioni minori che proseguono il viaggio verso la costa. Non sembra rientrare, invece, nell’ambito di applicazione di tale disposizione il natante che presti soccorso in mare ai migranti che erano trasportati su di un’altra nave a fini di lucro179.

Se, come emerge dalle considerazioni sopra svolte, il Protocollo relativo al traffico di migranti non costituisce uno strumento innovativo per quanto concerne il diritto del mare strettamente inteso180, esso fornisce, invece, un contributo di rilievo per quanto riguarda le misure di prevenzione e cooperazione: gli artt. da 10 a 15 tendono, infatti, a orientare l’azione degli Stati parti verso uno sviluppo coordinato della cooperazione internazionale nelle materie disciplinate dal testo, sostenendo l’adozione di misure preventive di carattere uniforme e, contestualmente, promuovendo il rafforzamento delle attività svolte dagli organismi di controllo dell’immigrazione.

Il Protocollo promuove, inoltre, lo scambio di notizie riguardanti le attività operative svolte ai confini e i profili di lotta all’immigrazione irregolare: gli Stati parti si impegnano a trasmettersi reciprocamente le informazioni relative alle modalità operative delle organizzazioni criminali nei propri mari (art. 10), in particolare quelle relative ai punti di imbarco, di destinazione e agli itinerari dei flussi di migranti irregolari. Inoltre, essi si

179 Legislative Guides cit., par. 97.

180 In tal senso si veda RONZITTI, Coastal Jurisdiction over Refugees and Migrants at Sea, in ANDO, MCWHINNEY,WOLFRUM (a cura di), Liber Amicorum Judge Shigeru Oda, The Hague, 2001, p. 1286: “For the time being, insofar as the law of the sea is concerned, the Protocol cannot be considered a point of departure for creating new customary international law”. Tale orientamento è stato ribadito più di recente in TREVISANUT, Which Borders for the EU Immigration Policy?

Yardsticks of International Protection for EU Joint Borders Management, in AZOULAI,DE VRIES (a cura di), EU Migration Law, Legal Complexities and Political Rationales, Oxford, 2014, p. 126.

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impegnano a introdurre nel proprio ordinamento norme relative alle navi commerciali utilizzate per il traffico di migranti (art. 11, parr. 2 e 3). Tra le misure di frontiera si ribadisce anche l’onere di introdurre nel proprio ordinamento, qualora non esista già, un obbligo a carico del trasportatore o del proprietario dell’imbarcazione riguardo il controllo dei documenti dei passeggeri e la loro validità, con la possibilità di emettere sanzioni in caso di inadempimento181.

L’attuazione degli obbiettivi sanciti sul piano internazionale deve essere perseguita attraverso un’adeguata formazione degli operatori. Secondo quanto previsto all’art. 14 del Protocollo in esame, gli Stati parti si impegnano su di un triplice piano: in primo luogo, essi assicurano o rafforzano la formazione specializzata per i funzionari dei servizi di immigrazione e per altri funzionari competenti nella gestione del fenomeno (par. 1); in secondo luogo, si impegnano a cooperare tra di loro e con le competenti organizzazioni internazionali, organizzazioni non governative, con altre organizzazioni competenti e con soggetti della società civile, a seconda dei casi, per fare in modo che sia fornita un’adeguata formazione del personale impegnato sul loro territorio e per tutelare i diritti dei migranti oggetto di traffico (par. 2); infine, gli Stati parte con esperienza nel settore si impegnano a fornire assistenza tecnica e le necessarie risorse (a titolo esemplificativo, mezzi, sistemi informatizzati e lettori di documenti) agli

181 Il controllo dei documenti costituisce uno dei pilastri del sistema Palermo. Il Protocollo in esame, in particolare, contiene due specifiche disposizioni al riguardo, l’art. 12 (“Each State Party shall take such measures as may be necessary, within available means: (a) To ensure that travel or identity documents issued by it are of such quality that they cannot easily be misused and cannot readily be falsified or unlawfully altered, replicated or issued; and (b) To ensure the integrity and security of travel or identity documents issued by or on behalf of the State Party and to prevent their unlawful creation, issuance and use”) e l’art. 13 (“At the request of another State Party, a State Party shall, in accordance with its domestic law, verify within a reasonable time the legitimacy and validity of travel or identity documents issued or purported to have been issued in its name and suspected of being used for purposes of conduct set forth in article 6 of this Protocol”).

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Stati che sono di frequente utilizzati come Paesi di origine o di transito per il traffico di migranti (par. 3).

Il Protocollo relativo al traffico di migranti si pone, inoltre, quale quadro di riferimento per la definizione di accordi o intese operative tra gli Stati parti a livello bilaterale o regionale. L’art. 17 prevede, infatti, due tipi di cooperazione182: la cooperazione internazionale propriamente intesa, vale a dire quella attuata attraverso la conclusione di accordi bilaterali o regionali tra Stati parti, e la cooperazione internazionale di carattere tecnico/operativo, ossia realizzata tramite la conclusione di accordi interistituzionali tra le competenti agenzie e amministrazioni degli Stati parti.

A tal riguardo, vale la pena rilevare che il Modulo 8, dedicato alla cooperazione internazionale, del Basic Training Manual on Investigating and Prosecuting the Smuggling of Migrants183, oltre a dettagliare le modalità attraverso le quali la cooperazione prevista all’art. 17 del Protocollo può essere attuata, prevede che gli Stati parti possano decidere se cooperare formalmente o informalmente, sulla base di quanto previsto dal proprio ordinamento nazionale184. Secondo quanto stabilito dal summenzionato Modulo 8, la cooperazione informale deve, invece, assumere carattere formale qualora sia posta in essere al fine di istituire un procedimento di tipo penale o qualora consista in attività di ricerca,

182 Art. 17 del Protocollo relativo al traffico di migranti: “States Parties shall consider the conclusion of bilateral or regional agreements or operational arrangements or understandings aimed at: (a) Establishing the most appropriate and effective measures to prevent and combat the conduct set forth in article 6 of this Protocol; or (b) Enhancing the provisions of this Protocol among themselves”.

183 UNODC, Basic Training Manual on Investigating and Prosecuting the Smuggling of Migrants.

Module 8, International Cooperation, Wien, 2010, disponibile al sito

www.unodc.org/documents/human-trafficking/Basic_Training_Manual_e-books_English_Combined.pdf (consultato, da ultimo, il 22 febbraio 2017).

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sequestro o altre misure coercitive, in modo da garantire l’ammissibilità delle prove così raccolte innanzi alla giurisdizione competente185.

Mentre sul piano operativo l’utilizzo di canali di cooperazione informale comporta notevoli vantaggi, dal punto di vista giuridico esso

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