INTERNAZIONALE IN MATERIA DI SOCCORSO IN MARE
2. L’obbligo di prestare soccorso in mare nel diritto internazionale
2.3 L’obbligo di prestare soccorso in mare nel quadro dell’IMO: la Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare Convenzione per la salvaguardia della vita umana in mare
(SOLAS) e la Convenzione sulla ricerca e il salvataggio (SAR)
La Convenzione SOLAS, nelle sue versioni successive, è considerata il principale strumento internazionale in materia di sicurezza dei traffici marittimi e soccorso alle imbarcazioni che si trovino in situazioni di pericolo.
50 BARNES,The International cit., p. 137.
51 Le complesse procedure di emendamento della CNUDM sono disciplinate agli artt. 313-314 del medesimo strumento.
52 In tal senso si vedano, tra gli altri, BARNES,The International cit., p. 109; COPPENS, The Law of
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La prima versione della Convenzione in esame è stata adottata nel 1914, a seguito del naufragio del Titanic, evento che ha rivelato in tutta la sua drammaticità l’urgenza di disciplinare ogni aspetto della vita a bordo che potesse comportare pericolo per la vita umana53. Successive modifiche sono state apportate nel 1929, nel 1948 e nel 1960. La versione oggi in vigore è quella che è stata adottata nel 1974, come successivamente emendata.
Ai fini del presente lavoro, particolarmente rilevante risulta essere il Capitolo V (Safety of navigation) dell’allegato alla Convenzione SOLAS54, che contiene specifiche disposizioni inerenti la sicurezza della navigazione.
Preliminarmente, per quanto concerne l’ambito di applicazione territoriale degli obblighi in materia di soccorso in mare, vale la pena rilevare che, diversamente dalla CNUDM, la Convenzione SOLAS prevede espressamente che essi trovino applicazione anche nelle acque territoriali. La regola 1 (1) del Capitolo V prevede, infatti, che “[u]nless expressly provided otherwise, this chapter shall apply to all ships on all voyages except [government ships]; and ships solely navigating the Great Lakes of North America”.
Sul piano sostanziale, la Convenzione SOLAS pone obblighi in materia di soccorso in mare sia in capo al comandante della nave sia in capo agli Stati costieri.
Per quanto concerne gli obblighi aventi quale destinatario il comandante della nave, la regola 33 (1) dispone che:
“[t]he master of a ship at sea which is in a position to be able to provide assistance, on receiving a signal from any source that persons are in distress at sea, is bound to proceed
53 Sul punto si rimanda a COLOBY, La sûreté des ports maritimes, in Défense nationale, 2009, pp. 69-70; CHURCHILL,LOWE, The Law of the Sea, Manchester, 1988, p. 265.
54 La Convenzione SOLAS si compone di una serie di disposizioni che stabiliscono obblighi generali e procedurali, nonché di un allegato diviso in dodici capitoli.
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with all speed to their assistance, if possible informing them or the search and rescue service, that the ship is doing so. If the ship receiving the distress alert is unable or, in the special circumstances of the case, considers it unreasonable or unnecessary to proceed to their assistance, the master must enter in the log-book the reason for failing to proceed to the assistance of the persons in distress and, taking into account the recommendations of the Organization, inform the appropriate search and rescue service accordingly”.
La suddetta disposizione non solo prevede l’obbligo in capo al comandante della nave di procedere con tutta rapidità a prestare assistenza alle persone in pericolo in mare, ma, nell’eventualità in cui non sia stato possibile intervenire in modo adeguato, impone allo stesso di comunicare i motivi che l’abbiano impedito e di informare il competente servizio di ricerca e salvataggio. In tal modo, è possibile effettuare una valutazione delle ragioni che hanno condotto il comandante della nave ad assumere tale decisione e giudicare la sua eventuale responsabilità.
Per quanto riguarda, invece, gli obblighi in materia di soccorso in mare in capo agli Stati costieri, già nella versione della Convenzione SOLAS adottata nel 1948 era previsto l’obbligo di predisporre un adeguato servizio di ricerca e salvataggio lungo le proprie coste. Secondo quanto previsto dalla regola 15 (a), contenuta nel Capitolo V:
“[e]ach contracting Government undertakes to ensure that any necessary arrangements are made for coast watching and for the rescue of persons in distress at sea round its coasts. These arrangements should include the establishment, operation and maintenance of such maritime safety facilities as are deemed practicable and necessary having regard to the density of the seagoing traffic and the navigational dangers and should, so far as possible, afford adequate means of locating and rescuing such persons”.
Sebbene la maggior parte degli Stati a quel tempo avesse già predisposto un adeguato servizio di ricerca e di salvataggio in grado di fornire assistenza a coloro che venissero a trovarsi in pericolo in mare, la suddetta disposizione si configura come il primo tentativo di cooperazione
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a livello internazionale finalizzato a istituire un sistema di soccorso in mare la cui responsabilità spetta agli Stati e non ai comandanti delle imbarcazioni. Il medesimo obbligo è stato ribadito in termini pressoché analoghi anche nella Convenzione SOLAS oggi in vigore, che alla regola 7 (1) del Capitolo V dispone che:
“[e]ach Contracting Government undertakes to ensure that necessary arrangements are made for distress communication and co-ordination in their area of responsibility and for the rescue of persons in distress at sea around their coasts. These arrangements shall include the establishment, operation and maintenance of such search and rescue facilities as are deemed practicable and necessary, having regard to the density of the seagoing traffic and the navigational dangers and shall, so far as possible, provide adequate means of locating and rescuing such persons”.
Anche lo strumento in esame, tuttavia, presenta dei limiti in termini di applicazione sul piano pratico. Esso non fornisce, infatti, specifiche indicazioni sulle modalità di approntamento di un adeguato servizio di ricerca e di salvataggio. Tale circostanza, unitamente al verificarsi di episodi di mancato soccorso in mare e all’emergere della questione relativa alla definizione di chi avesse il compito di compiere salvataggi e quali conseguenze da ciò discendessero, ha condotto, nel 1979, all’adozione della Convenzione SAR.
La Convenzione SAR pone a carico degli Stati parte l’obbligo di fornire assistenza a ogni persona in pericolo in mare, senza distinzioni relative alla nazionalità o allo status o alle circostanze nelle quali la stessa è
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ritrovata55: esso si estende, pertanto, anche nei confronti dei migranti irregolari56.
L’obbligo in esame è stato ribadito nei medesimi termini anche in una circolare adottata dal Comitato di sicurezza marittima dell’IMO recante misure provvisorie contro le pratiche pericolose associate al trasporto di migranti in mare57. La circolare è stata adottata sulla base di una proposta congiunta avanzata da Francia, Grecia, Regno Unito e Italia, la quale, già nel 1998, era stata destinataria di misure provvisorie a seguito del naufragio dell’imbarcazione albanese Kater i Rades, provocato dallo speronamento da parte della corvetta italiana Sibilla58.
La Convenzione SAR è stata redatta avendo come riferimento fondamentale il principio di cooperazione internazionale. In tale ottica, gli Stati parte si impegnano a sviluppare, non solo individualmente, ma soprattutto in cooperazione con gli Stati vicini, servizi di ricerca e soccorso in grado di provvedere effettivamente e nel modo più sicuro all’assistenza e al salvataggio in mare di ogni persona in pericolo59. Essa prevede, infatti, la conclusione di accordi regionali per la delimitazione tra gli Stati costieri di zone di ricerca e salvataggio (in seguito: zone SAR), da intendersi quali aree di dimensione definita, associate a un centro di coordinamento del soccorso di competenza nazionale, relative sia alle acque territoriali sia alle acque internazionali adiacenti. Le zone SAR sono ripartite d’intesa con gli Stati interessati, in quanto non corrispondono necessariamente alle frontiere
55 Cap. 2.1.10 Convenzione SAR.
56 Cap. 2.1.1 Convenzione SAR.
57 Comitato per la sicurezza marittima IMO, Circolare 896/Rev.1, Interim Measures for Combating
Unsafe Practices Associated with the Trafficking or Transport of Migrants by Sea, 12 giugno 2001,
disponibile al sito www.imo.org/en/OurWork/Facilitation/IllegalMigrants/Documents/MSC.1-Circ.896-REV1.pdf (consultato, da ultimo, il 23 febbraio 2017).
58 Per un’approfondita analisi del caso della nave Kater i Rades si rinvia infra, cap. 5, par. 3.1.
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marittime esistenti60, devono essere contigue e, nei limiti del possibile, non sovrapposte61.
Gli accordi conclusi e le eventuali modifiche devono essere comunicate al Segretario generale dell’IMO, depositario della Convenzione62.
Secondo quanto previsto dalla Convenzione SAR, gli obblighi degli Stati parti non si limitano al salvataggio delle persone in pericolo in mare, ma comprendono anche lo sbarco delle stesse in un “luogo sicuro” (place of safety), come conferma la definizione di soccorso: “[a]n operation to retrieve persons in distress, provide for their initial medical or other needs, and deliver them to a place of safety”63. Appare, dunque, evidente che, una volta soccorse, le persone tratte in salvo, compresi i migranti irregolari, debbano essere trasportate da qualche parte.
La spinosa questione dell’individuazione di un luogo sicuro presso cui condurre i migranti soccorsi in mare si è rivelata in tutta la sua portata a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, con riferimento ai casi di mancato soccorso dei boat people provenienti dall’Indocina. All’epoca, infatti, una volta effettuata l’operazione di soccorso in mare, al comandante della nave soccorritrice, obbligato a mantenere a bordo i migranti64, era
60 Cap. 2.1.7 Convenzione SAR.
61 Cap. 2.1.3 Convenzione SAR.
62 Art. 7, par. 1 Convenzione SAR
63 Cap. 1.3.2 Convenzione SAR. Per un’approfondita e recente analisi della nozione di “place of
safety” si rimanda a RATCOVICH, The Concept of ‘Place of Safety’: Yet Another Self-Contained
Maritime Rule or a Sustainable Solution to the Ever-Controversial Question of Where to Disembark Migrants Rescued at Sea?, in Australian YIL, 2016, p. 81.
64 Il comandante della nave rappresenta l’autorità a bordo e, di conseguenza, è responsabile del carico, sia esso umano o meno. Sulla figura dei passeggeri clandestini nel quadro della disciplina internazionale si rinvia a GOY, Le régime international du passager clandestin, in Annuaire du droit
de la mer, 2001, p. 169; PAYRE, Les passagers clandestins, in Annuaire du droit maritime et
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sovente opposto il divieto di sbarco da parte degli Stati costieri, riluttanti ad assumere la presa in controllo dell’imbarcazione e, di conseguenza, la responsabilità degli individui a bordo65.
La medesima situazione si è verificata anche nella prassi più recente, come dimostrano i casi della nave norvegese Tampa66, della nave tedesca Cap Anamur67, che concerneva Italia e Malta, e della nave Pinar, anch’essa riguardante Italia e Malta. In particolare, l’ultimo caso, risalente al mese di aprile del 2008, ha interessato un mercantile turco che, dopo aver tratto in salvo centoquarantacinque naufraghi nella zona di alto mare fra Malta e Lampedusa, si è ritrovato bloccato in quella posizione, non avendo ricevuto autorizzazione di ingresso ai rispettivi porti né da Malta, nella cui zona SAR era avvenuto il salvataggio, né dall’Italia, che, in virtù di tale circostanza, non riteneva di doversi assumere alcun obbligo al riguardo68. La vicenda è terminata con lo sbarco dei naufraghi in Italia, stante la grave emergenza umanitaria verificatasi a bordo. Le autorità italiane hanno comunque avuto premura di contestare il mancato intervento delle autorità maltesi, invitandole a non considerare l’autorizzazione allo sbarco come un precendente69.
65 GAMMELTOFT-HANSEN,Extraterritorial Migration Control and the Reach of Human Rights, in
CHETAIL, BAULOZ (a cura di), Research Handbook on International Law and Migration, Cheltenham, 2014, p. 128; KNEEBONE, The Pacific Plan: The Provision of “Effective Protection”?, in IJRL, 2006, p. 696.
66 V. supra, cap. 1, par. 2.2.1.
67 V. supra, par. 2.2.
68 Sul punto DE VITTOR, Soccorso in mare e rimpatri in Libia: tra diritto del mare e tutela
internazionale dei diritti dell’uomo, in RDI, 2009, p. 800.
69 Si veda quanto riportato in“Gli immigrati della Pinar sono sbarcati- Maroni: «Intervento
definitivo dalla Ue»”, in Il Corriere della Sera, 20 aprile 2009, disponibile al sito
www.corriere.it/cronache/09_aprile_20/sicilia_cargo_pinar_sbarco_immigrati_porto_empedocle_c 51ef9ea-2d6b-11de-b92c-00144f02aabc.shtml (consultato, da ultimo, il 23 febbraio 2017).
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Proprio in seguito al verificarsi della drammatica vicenda della nave Tampa, nella sessione tenutasi nel mese di novembre del 2001, l’Assemblea generale dell’IMO ha adottato la risoluzione A. 920 (22), in materia di revisione delle misure di sicurezza e delle procedure relative al trattamento delle persone soccorse in mare70.
Attraverso tale risoluzione è stato assegnato al Comitato per la sicurezza marittima, al Comitato giuridico e al Comitato di facilitazione il compito di riesaminare tutti i principali strumenti adottati in seno all’IMO “to identify any existing gaps, inconsistencies, duplications or overlaps in that legislation”71. In particolare, il fine ultimo della revisione operata dagli organi IMO era quello di assicurare il rispetto di tre principi cardine del diritto del mare: che alle persone in situazione di pericolo sia prestato soccorso indipendentemente dalla nazionalità, dallo status e dalle circostanze nelle quali sono rinvenute; che alle navi soccorritrici sia consentito di sbarcare gli individui soccorsi in un luogo sicuro; che a tutti gli individui soccorsi, compresi i rifugiati, i richiedenti asilo e i migranti irregolari, sia garantito a bordo dell’imbarcazione intervenuta un trattamento conforme ai pertinenti strumenti adottati in sede IMO, alle rilevanti norme in materia di tutela dei diritti umani e ai principi delle più risalenti tradizioni marinare72.
70 Assemblea generale IMO, Review of Safety Measures and Procedures for the Treatment of
Persons Rescued at Sea, Risoluzione A. 920 (22), 29 novembre 2001, disponibile al sito
http://international-maritime-rescue.org/sar-operations/file/512-a-920-22-review-of-safety-measures-and-procedures-for-the-rreatment-of-persons-rescued-at-sea (consultato, da ultimo, il 24 febbraio 2017).
71 Ibidem, par. 1.
72 FIFE, The Duty to Render Assistance at Sea: Some Reflections after Tampa, in PETMAN,KLABBERS
(a cura di), Nordic Cosmopolitanism: Essays in International Law for Martti Koskenniemi, Leiden, 2003, p. 477.
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L’allora Segretario generale dell’IMO aveva, infatti, rilevato che le problematiche giuridiche connesse al contrasto dei flussi migratori irregolari via mare non avrebbero trovato soluzione attraverso l’adozione di nuovi strumenti finalizzati a garantire la sicurezza marittima, posto che il fenomeno migratorio esula dal diritto del mare strettamente inteso e impone, piuttosto, di considerare i pertinenti strumenti in materia di tutela dei diritti umani e dei rifugiati, stante la presenza della suddetta categoria di individui fra i migranti73.
In tale quadro, nel 2004, l’urgente necessità di individuare un luogo sicuro in cui condurre gli individui soccorsi in mare ha indotto il Comitato per la sicurezza marittima dell’IMO a chiarire le procedure esistenti ai fini della sua determinazione. Ciò è avvenuto attraverso l’adozione di due risoluzioni di emendamento, rispettivamente, alla Convenzione SAR e alla Convenzione SOLAS, entrate in vigore nel 2006 per tutti gli Stati parte alle medesime Convenzioni con la sola eccezione di Malta, aventi quali obbiettivi quello di garantire agli individui in pericolo l’assistenza necessaria e di minimizzare le possibili conseguenze negative per l'imbarcazione che presti soccorso.
A questo proposito, l’emendato art. 3.1.9 della Convenzione SAR prevede che:
“Parties shall co-ordinate and co-operate to ensure that masters of ships providing assistance by embarking persons in distress at sea are released from their obligations with minimum further deviation from the ships’ intended voyage, provided that releasing the
73 Si veda il discorso pronunciato dall’allora Segretario generale dell’IMO, William O’Neil, il 19
novembre 2001, disponibile al sito
www.imo.org/Newsroom/mainframe.asp?topic_id=82&doc_id=1703 (consultato, da ultimo, il 24 febbraio 2017).
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master of the ship from the obligations does not further endanger the safety of life at sea. The Party responsible for the search and rescue region in which such assistance is rendered shall exercise primary responsibility for ensuring such co-ordination and co-operation occurs, so that survivors assisted are disembarked from the assisting ship and delivered to a place of safety, taking into account the particular circumstances of the case and guidelines developed by the Organisation. In these cases, the relevant Parties shall arrange for such disembarkation to be effective as soon as reasonably practicable”74.
In termini sostanzialmente analoghi l’emendato art. 4.1.1 della Convenzione SOLAS dispone che:
“Contracting Governments shall co-ordinate and co-operate to ensure that masters of ships providing assistance by embarking persons in distress at sea are released from their obligations with minimum further deviation from the ships’ intended voyage, provided that releasing the master of the ship from the obligations under the current regulation does not further endanger the safety of life at sea. The Contracting Government responsible for the search and rescue region in which such assistance is rendered shall exercise primary responsibility for ensuring such coordination and co-operation occurs, so that survivors assisted are disembarked from the assisting ship and delivered to a place of safety, taking into account the particular circumstances of the case and guidelines developed by the Organisation. In these cases, the relevant Contracting Governments shall arrange for such disembarkation to be effective as soon as reasonably practicable”75.
L’obbligo per lo Stato responsabile della zona SAR di adoperarsi affinché le persone soccorse siano condotte in un luogo sicuro rappresenta un fondamentale punto di svolta rispetto alla disciplina precedente. Fino a
74 Comitato per la sicurezza marittima IMO, Risoluzione 155/78, 20 maggio 2004, disponibile al sito www.imo.org/en/OurWork/Facilitation/personsrescued/Documents/Resolution%20MSC.155-%2078.pdf (consultato, da ultimo, il 24 febbraio 2017).
75 Comitato per la sicurezza marittima IMO, Risoluzione 153/78, 20 maggio 2004, disponibile al sito
www.imo.org/en/OurWork/Facilitation/personsrescued/Documents/Resolution%20MSC.153(78)-MSC%2078.pdf (consultato, da ultimo, il 24 febbraio 2017).
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quel momento risultava, infatti, un vuoto normativo riguardo la sorte di tali individui, rendendo, altresì, complesso stabilire quando uno Stato potesse essere considerato responsabile per l’inadempimento dell’obbligo di salvataggio. Con l’entrata in vigore del suddetto emendamento, lo Stato responsabile della zona SAR risulta gravato di un più incisivo obbligo di risultato, e non solo di un obbligo di cooperazione e di condotta.
Contestualmente alle due risoluzioni di emendamento, il Comitato per la sicurezza marittima dell’IMO ha adottato le “Guidelines on the Treatment of Persons Rescued at Sea”76, le quali, pur non avendo carattere giuridicamente vincolante, mirano a fare maggiore chiarezza sulla nozione di “place of safety”. Secondo quanto previsto al principio 6.12, con tale espressione si intende:
“a location where rescue operations are considered to terminate. It is also a place where the survivors’ safety of life is no longer threatened and where their basic human needs (such as food, shelter and medical needs) can be met. Further, it is a place from which transportation arrangements can be made for the survivors’ next or final destination”.
Anche la nave soccorritrice può costituire un luogo sicuro, sebbene esclusivamente in via provvisoria. I suddetti emendamenti e le linee guide insistono, infatti, sul ruolo attivo che lo Stato della bandiera e lo Stato costiero devono assumere nel liberare la nave intervenuta dal “peso” della gestione a bordo delle persone soccorse. Come affermato dal principio 6.13:
“[a]n assisting ship should not be considered a place of safety based solely on the fact that the survivors are no longer in immediate danger once aboard the ship (…). Even if the ship is capable of safely accommodating the survivors and may serve as a temporary
76 Comitato per la sicurezza marittima IMO, Guidelines on the Treatment of Persons Rescued at
Sea, Risoluzione 167(78), 20 maggio 2004, disponibile al sito www.imo.org/OurWork/Facilitation/IllegalMigrants/Documents/MSC.167%2878%29.pdf
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place of safety, it should be relieved of this responsibility as soon as alternative
arrangements can be made” (corsivi aggiunti).
Anche il principio 6.14 si esprime in termini sostanzialmente analoghi, precisando che: “[a] place of safety may be on land, or it may be aboard a rescue unit or other suitable vessel or facility at sea that can serve as a place of safety until the survivors are disembarked to their next destination”.
Per quanto di rilievo ai fini del presente scritto, vale la pena rilevare che anche i giudici italiani hanno avuto modo di pronunciarsi sul punto. Nella sentenza pronunciata dal Tribunale di Agrigento il 7 ottobre 2009 relativa al caso Cap Anamur, il collegio giudicante ha ritenuto di specificare che tale “peso” non si riferisce unicamente alle incombenze legate alla somministrazione del vitto e dell’assistenza medica, ma, soprattutto, va