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Le differenti interpretazioni della nozione di “distress”

INTERNAZIONALE IN MATERIA DI SOCCORSO IN MARE

3. La complessa attuazione dell’obbligo di prestare soccorso in mare nel Mediterraneo Mediterraneo

3.1 Le differenti interpretazioni della nozione di “distress”

La prima questione riguarda la nozione di “distress”. Tale concetto, pur essendo espressamente previsto nei pertinenti strumenti internazionali, è interpretato dai centri nazionali di coordinamento del soccorso in modo difforme, con ciò determinando ritardi ingiustificati nel rispondere a eventi SAR.

La Convenzione SAR definisce espressamente il “distress” come “a situation wherein there is a reasonable certainty that a vessel or a person is threatened by grave and imminent danger and requires immediate assistance”91.

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Ulteriori elementi finalizzati a definire il concetto in esame precisano che, sebbene lo stato di pericolo debba richiedere una certa urgenza, “there need not to be immediate physical necessity”92. Inoltre, la nozione di “distress” è stata interpretata come una situazione in grado di fare insorgere in un marinaio esperto “a well-grounded apprehension of the loss of the vessel and cargo or of the lives of the crew”93. Successivamente, è stato precisato che, per effettuare una richiesta di soccorso, non è necessario attendere il momento in cui l’imbarcazione sta per sbattere contro le rocce94.

In tempi più recenti, la Commissione del diritto internazionale ha affermato che, sebbene una situazione di “distress” presupponga necessariamente un grave pericolo, ciò non implica che tale pericolo debba unicamente avere a oggetto la vita umana95.

Come anticipato, nella prassi in materia di immigrazione per via marittima sovente gli Stati hanno adottato interpretazioni differenti circa la valutazione della sussistenza di una situazione di pericolo, al fine di limitare – talvolta in modo alquanto discutibile – il proprio intervento.

92 In tal senso si è pronunciato Lord Stowell nel caso deciso dall’Alta Corte dell’ammiragliato britannica, relativo alla nave Eleanor, sentenza del 22 novembre 1809, in English Reports, Vol. CLXV, p. 1968, disponibile al sito www.commonlii.org/uk/cases/EngR/1809/493.pdf (consultato, da ultimo, il 24 febbraio 2017).

93 Si veda quanto affermato dalla Suprema Corte statunitense nel caso The New York, sentenza del

10 febbraio 1818, in United States Reports: Cases Adjudged in the Supreme Court, Vol. III, p. 68 .

94 Commissione generale dei reclami Messico-Stati Uniti, parere reso il 2 aprile 1929, Kate A. Hoff c. The United Mexican States, pubblicato in AJIL, 1929, pp. 860-865.

95 Commissione del diritto internazionale, Eighth Report on State Responsibility, by Mr. Roberto

Ago, Special Rapporteur. The Internationally Wrongful Act of the State, Source of International Responsibility, Doc. A/CN.4/318 e Add.1-4, in ILC Yearbook Vol. II Part II, 1979, par. 135,

disponibile al sito

http://untreaty.un.org/ilc/publications/yearbooks/Ybkvolumes%28e%29/ILC_1979_v2_p2_e.pdf (consultato, da ultimo, il 24 febbraio 2017). Vale la pena rilevare che, sebbene la suddetta definizione è emersa nel corso della discussione sulla nozione di estremo pericolo quale causa di esclusione della responsabilità internazionale degli Stati come disciplinata nel relativo Progetto di articoli, essa è spesso utilizzata per fare riferimento alla situazione di pericolo in mare: in tal senso BARNES, Refugee Law cit., p. 60.

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A questo proposito, il caso senza dubbio più significativo è quello noto come “Left to die”, riportato l’8 maggio 2011 dal quotidiano britannico The Guardian96. Esso ha a oggetto la vicenda di settantadue persone, tra cui richiedenti asilo, donne e bambini, la cui imbarcazione si è spiaggiata il 26 marzo 2011 con solo nove superstiti a bordo sulle coste libiche, dalle quali era partita sedici giorni prima. Dalla ricostruzione dei fatti riportata dal quotidiano e completata da un’indagine commissionata dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa97, risulta che i migranti avessero chiamato, grazie a un telefono satellitare, un sacerdote eritreo che risiedeva a Roma. Quest’ultimo avrebbe allertato il centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo italiano, il quale avrebbe a sua volta diramato la richiesta di soccorso al centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo maltese e alle nave presenti nell’area. In quel periodo lungo le coste libiche era in corso l’operazione NATO Unified Protector e la zona, comprendente la zona di ricerca e salvataggio libica, era stata dichiarata sotto controllo militare della NATO. I sopravvissuti hanno dichiarato di esser stati avvistati da quello che al momento era sembrato una porta-aerei e da un peschereccio, che avrebbe fornito loro generi di prima necessità senza, però, trarli in salvo98.

96 Per ulteriori approfondimenti si rinvia al sito www.theguardian.com/world/2012/mar/29/migrant-boat-disaster-spain-nato (consultato, da ultimo, il 27 febbraio 2017).

97 Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Lives Lost in the Mediterranean Sea: Who is

Responsible?, Risoluzione 1872, 29 marzo 2012, disponibile al sito http://assembly.coe.int/ASP/Doc/XrefViewPDF.asp?FileID=18234 (consultato, da ultimo, il 27 febbraio 2017).

98 Per ulteriori approfondimenti sulla vicenda si rimanda a TREVISANUT, Le operazioni di ricerca e

salvataggio in mare: chi è competente e chi è responsabile?, in SIDIBlog, pubblicato il 2 maggio

2013, disponibile al sito www.sidi-isil.org/sidiblog/?p=303; PAPASTAVRIDIS, Rescuing ‘Boat

People’ in the Mediterranean Sea: The Responsibility of States under the Law of the Sea, in EJIL:Talk!, pubblicato il 31 maggio 2011, disponibile al sito

www.ejiltalk.org/rescuing-boat-people-in-the-mediterranean-sea-the-responsibility-of-states-under-the-law-of-the-sea/ (tutti consultati, da ultimo, il 27 febbraio 2017).

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Il caso evidenzia come, sebbene due centri nazionali di coordinamento del soccorso marittimo fossero stati informati della situazione di pericolo nella quale versava l’imbarcazione, nessuna nave ha effettuato un’operazione di ricerca e salvataggio. Malta e Italia, in particolare, hanno cercato di giustificare la propria inazione asserendo che, fintantoche la barca è in movimento, essa non versa in una situazione di “distress” tale da giustificare l’intervento: stando a quanto riferito dai centri nazionali di coordinamento del soccorso marittimo, infatti, l’imbarcazione non sarebbe stata alla deriva, ma avrebbe proseguito la sua rotta, essendo i motori ancora in funzione99.

Si ritiene che tale interpretazione – aspramente criticata dal Relatore speciale dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa100 – non sia confrome con il dato normativo previsto dalla Convenzione SAR. È, infatti, agevole comprendere come un’imbarcazione possa trovarsi in una situazione di grave e imminente pericolo anche nel caso in cui i motori siano ancora in funzione. Inoltre, il suesposto orientamento non ha incontrato il parere unanime degli Stati: l’esame della prassi, inclusa la più recente prassi italiana, rivela, infatti, che essi tendono a considerare le imbarcazioni dedite al trasporto di migranti irregolari in una situazione oggettiva di pericolo per il solo fatto di essere sovraccariche o prive di un equipaggio professionista a bordo101.

99 Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, Lives Lost in the Mediterranean Sea cit., parr. 70-71.

100 Ibidem, par. 72: “while virtually all migrant boats may, according to SAR standards, be considered to be in distress, this in no way means that a higher threshold should apply to such

vessels”. Il documento è disponibile al sito

http://assembly.coe.int/committeedocs/2012/20120329_mig_rpt.en.pdf (consultato, da ultimo, il 27 febbraio 2017).

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3.2 La frammentaria conclusione degli accordi di delimitazione di

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