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Distruzione della natura e responsabilità verso le generazioni future.

In cammino verso l’autodistruzione dell’umanità?

4.2. Distruzione della natura e responsabilità verso le generazioni future.

Un altro grande aspetto dell’attuale crisi mondiale che Gadamer, nel corso degli anni, mostra di prendere sempre più seriamente in considerazione, è poi quello rappresentato dalla «sciagura che incombe su di noi» sotto forma di «catastrofe ecologica», i cui numerosi segnali premonitori – «lo sviluppo demografico, il riscaldamento dell’atmosfera, l’aumento dei veleni chimici nell’acqua, l’erosione del terreno, l’assottigliarsi dello strato di ozono, la diminuzione delle risorse alimentari, la riduzione della varietà delle specie: tutti questi fenomeni non possono che creare una situazione nella quale si verificheranno delle catastrofi ecologiche» – lasciano presagire che essa potrebbe verificarsi «in un futuro non più lontano»109. Anche in questo caso – come già nel caso appena affrontato relativo alla possibilità di un Olocausto atomico – si tratta evidentemente non soltanto di un’eventualità assolutamente possibile (per non dire, purtroppo, abbastanza probabile), ma anche di un pericolo le cui caratteristiche 107 Ivi, pp. 218-221. 108 Ivi, p. 219. 109

salienti sono rappresentate dall’enorme difficoltà «di concepire e creare istituzioni o principi di diritto internazionale» che costringano «tutti i principali paesi industriali […] a fare qualcosa in proposito»110 e, soprattutto, dalla portata assolutamente globale delle conseguenze che una catastrofe ecologica avrebbe per tutti gli abitanti del pianeta (umani e non).

Ora, se già il tema della diffusione di armi atomiche e di distruzione di massa ci ha mostrato il lato più pessimista e, per così dire, “apocalittico” del pensiero di Gadamer, credo che adesso tale aspetto diventi persino più visibile ed evidente. Affrontando il tema ecologico, infatti, egli non esita a scrivere che «il nostro mondo è alla fine se continua ad “andare avanti” così come sta facendo» (LT, 99 / ET, 76), che ci troviamo «in uno sciagurato vicolo cieco (in eine unheilvolle Sackgasse)» e che «continuando così […] la vita su questo pianeta diventerà impossibile» e si giungerà «all’autodistruzione dell’umanità» (GW 2, 199 / VM 2, 167)111. Infatti, prosegue Gadamer, l’«eccesso di intelletto […] dell’animale umano […] potrebbe condurci ad un suicidio collettivo, finendo forse per permettere ad una nuova specie, quella dei delfini o di qualsiasi altra forma animale degli oceani (o magari quella dei ratti!), di inaugurare un nuovo periodo di vita su questo pianeta» (GW 8, 352 / L, 62). E tutto questo – conclude il pensatore tedesco, facendo anche mostra di un certo nero sarcasmo – è «qualcosa di reale, e non [il] semplice veder nero di un filosofo che viene dalle nuvole» (GW 2, 202 / VM 2, 170)112!

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P. Singer, One World. L’etica della globalizzazione, Einaudi, Torino 2003, p. 56.

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«Non sappiamo ancora se [la] crisi ecologica […] potrà essere padroneggiata dall’umanità», dichiara Gadamer nel saggio Europa und die Oikoumene: «nel colloquio con un significativo ricercatore in ambito naturale» – prosegue il filosofo tedesco – «ho detto una volta che ora saremmo a cinque minuti dalla mezzanotte. Egli mi guardò serio e rispose: “No, è mezzanotte e mezza”»! (GW 10, 269 / ERM, 529).

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In effetti, è ormai praticamente un dato di fatto che una «universalizzazione del tenore di vita occidentale non è attuabile senza il totale collasso ecologico della Terra. [Infatti], se tutti gli abitanti di questo pianeta sprecassero tanta energia, producessero tanti rifiuti, liberassero nell’atmosfera tante sostanze nocive come fa la popolazione del Primo Mondo, le catastrofi verso le quali ci dirigiamo si sarebbero verificate già da molto tempo». Pertanto, si può dire che «oggi [sia] ormai incontrovertibile il fatto che le società industriali dell’Occidente non possono più mantenere le loro attuali tendenze di sviluppo senza che noi precipitiamo in un abisso. […] Il processo attualmente in corso non può continuare ulteriormente, […] sono necessarie nuove direttrici» se l’umanità intende interrompere una tale «imperterrita, folle corsa suicida verso l’abisso» e scongiurare così la «possibilità dell’apocalisse» (V. Hösle, Filosofia della crisi ecologica, cit., pp. 7-19).

Se già a proposito delle tematiche precedenti sono emersi degli interessanti punti di contatto con le posizioni di altri pensatori – come ad esempio Max Weber, i Francofortesi, Hannah Arendt o Günther Anders –, anche su questo tema emergono indubbiamente alcune assonanze con altri protagonisti del dibattito filosofico e culturale contemporaneo: in particolare, con un filosofo tedesco della stessa generazione di Gadamer, accomunato a lui peraltro anche dall’essere stato allievo di Heidegger, ed universalmente noto soprattutto per la sua proposta di «un’etica per la civiltà tecnologica»: cioè Hans Jonas. Com’è noto, infatti, in Das Prinzip Verantwortung questi ha cercato di delineare i fondamenti di un’etica normativa adeguata alle «smisurate dimensioni della civiltà tecnico-scientifico-industriale», la quale prenda le mosse dall’«assunzione che viviamo in una situazione apocalittica»: ossia dal fatto che, «se lasciamo che le cose seguano il loro corso attuale», ci troveremo presto «nell’imminenza di una catastrofe universale» provocata dal «dominio sulla natura ad opera della tecnica scientifica»113. Tali preoccupazioni, evidentemente, sono le stesse che abbiamo appena ravvisato anche nel discorso di Gadamer, sebbene sia doveroso sottolineare che nel suo caso, a differenza che in Jonas, non si perviene mai ad un progetto etico-politico compiuto ma si rimane solamente al livello della denuncia e dell’ammonimento critico.

A prescindere da ciò, comunque, l’esistenza di alcune affinità tra i due pensatori mi sembra innegabile, per esempio quando Gadamer scrive che «il compito che ci si pone è di controllare lo sviluppo tecnologico in modo tale che la natura non venga devastata e distrutta» e cessi di essere concepita «come puro oggetto di sfruttamento (als bloßer Gegenstand der Ausbeutung)» (E, 28 / EE, 19-20); oppure, quando spiega che l’accresciuta «portata delle applicazioni tecnico-scientifiche» comporta anche un aumento della «nostra responsabilità» ed una sua estensione «verso il futuro e verso la vita delle prossime generazioni» (E, 134 / EE, 108). Del resto, lo stesso Gadamer si è occasionalmente soffermato sul lavoro di Jonas, riconoscendogli apertamente «il merito di renderci consapevoli dell’inaudito mutamento di proporzioni subito dalla responsabilità umana (ungeheuere Maßstabveränderung […] die über die

Verantwortlichkeit des Menschen gekommen ist)» in connessione al «poter-fare umano

che si è smisuratamente accresciuto (unermesslich gesteigertes Handelnkönnen) e che è divenuto un fare e un decidere in grado di influire anche sul destino delle generazioni future» (GW 3, 369). Anche in un’altra occasione, Gadamer ha ribadito di essere

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sostanzialmente «d’accordo con Jonas» sul fatto che «il pensiero della responsabilità oggi ci unisce e ci impegna tutti» e che «nella situazione culturale estremamente tesa in cui oggi ci troviamo (unsere heutige zugespitzte Kultursituation) […] deve aver peso sulle nostre decisioni […] la responsabilità per le prossime generazioni, e non soltanto quello che ora troviamo vantaggioso» (HE, 6 / RP, 11).

Accanto a tali affinità, però, lo stesso Gadamer ha anche sottolineato alcuni motivi di divergenza: per esempio, quando egli contesta una delle tesi fondamentali del discorso di Jonas, quella relativa alla «mutata natura dell’agire umano»: ossia, la tesi secondo cui «determinati sviluppi del nostro potere» abbiano drasticamente trasformato «la natura dell’agire umano», rendendo così necessario «anche un mutamento nell’etica», nel senso che «la novità qualitativa di talune nostre azioni ha dischiuso una dimensione del tutto nuova di rilevanza etica che non era prevista in base ai punti di vista e ai canoni dell’etica tradizionale»114. Secondo Gadamer, infatti, il «mutamento di proporzioni» subito dalla nostra responsabilità «non ha il significato fondamentale (grundsätzliche Bedeutung) che Jonas gli assegna», giacché «non c’è alcun imperativo che possa risultare più incondizionato di quello categorico [kantiano]» (GW 3, 369)115. Inoltre, mi sembra anche opportuno notare come egli, pur condividendo con Jonas la preoccupazione per il «procedere della rivoluzione tecnica verso il progressivo esaurimento della natura» e per «la possibilità dell’estinzione [che] è al giorno d’oggi la nostra sfida più grande», e pur convenendo sul fatto che «riuscire ad evitarla dipende naturalmente dalla nostra capacità di creare i fondamenti etici», abbia però affermato

114

H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., p. 3.

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In altre parole, secondo Gadamer «quello che è cambiato» non è la natura del nostro agire ma «soltanto la portata dell’ambito della responsabilità (die Reichweite der Verantwortung)» e quindi «Jonas si sbaglia quando vuole distinguere la sua posizione […] da Kant» (HE, 6 / RP, 10). Il riferimento, chiaramente, è ai primi paragrafi del Prinzip Verantwortung, in cui Jonas si premura proprio di distinguere il suo «nuovo imperativo» – un imperativo «adeguato al nuovo tipo di agire umano e orientato al nuovo tipo di soggetto agente» ed il quale recita, nelle sue diverse formulazioni: «agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra; […] agisci in modo che le conseguenze della tua azione non distruggano la possibilità futura di tale vita; […] non mettere in pericolo le condizioni della sopravvivenza indefinita dell’umanità sulla terra; […] includi nella tua scelta attuale l’integrità futura dell’uomo come oggetto della tua volontà» – dal “classico” «imperativo categorico kantiano [che] era diretto all’individuo e il [cui] criterio era nel presente», senza tenere conto dell’«idea che l’umanità cessi di esistere [o] che la felicità delle generazioni presenti e di quelle immediatamente seguenti sia ottenuta al prezzo della sventura o addirittura della non esistenza delle generazioni future» (H. Jonas, Il principio responsabilità, cit., pp. 15-17).

che «un tale imperativo etico potrebbe essere fondato in senso antropocentrico sulla difesa della nostra specie»116, laddove invece, com’è noto, la proposta etica di Jonas mira precisamente a non «cadere in una visione riduttiva antropocentrica»117.