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La condizione spirituale della nostra epoca: «nell’ombra del nichilismo».

3.1. Storicismo, relativismo e nichilismo.

Ora, il punto dal quale credo si debbano prendere le mosse per analizzare la questione del nichilismo in Gadamer è rappresentato da quello che egli chiama «il problema della coscienza storica (das Problem des historischen Bewußtseins)» e che, com’è noto, consiste fondamentalmente nel problema epistemologico posto dalle

Geisteswissenschaften nel loro controverso ed intricato rapporto con la rigorosa

impostazione metodica delle Naturwissenschaften. Tuttavia, la questione dell’«apparizione di una presa di coscienza storica» viene preso in considerazione da Gadamer anche nel senso più generale relativo alla diffusione, nel mondo moderno e contemporaneo, di una «piena consapevolezza» riguardo alla «storicità di ogni presente e [alla] relatività di tutte le opinioni»: un fenomeno che egli non esita a qualificare come «la più importante fra le rivoluzioni da noi subite dopo l’avvento dell’epoca moderna» e nel quale egli scorge non soltanto «un privilegio» ma anche (se non soprattutto) «un fardello […] dell’uomo moderno» (PCH, 7 / PCS, 19).

Ora, che cosa intende dire precisamente Gadamer con questo? Semplicemente, egli cerca di mettere in luce come «la sfida dello storicismo (die Herausforderung des

Historismus)» – racchiusa nella domanda: «come può essere pensata in generale

qualcosa come una verità filosofica permanente all’interno del mutamento fluente di ciò che è storico (innerhalb des strömenden Wandels des Geschichtlichen)?» (GW 10, 34 / ERM, 65) – non riguardi in realtà solamente la riflessione accademica sulla filosofia e le scienze umane, bensì interessi la coscienza generale della nostra epoca, che risulta per l’appunto caratterizzata da una serie di «immensi sconvolgimenti spirituali» collegati alla «questione della storia» (PCH, 7 / PCS, 19). Secondo Gadamer, infatti, una tale «presa di coscienza storica», nel momento in cui non va più va ad interessare solamente la «conoscenza scientifica» ma l’intera «coscienza di vita [della] umanità» (GW 2, 29 /

Ferraris, L’ermeneutica, Laterza, Roma-Bari 1998, pp. 22-29): ciò che (forse) corrisponde alle posizioni di autori come Vattimo e Rorty, ma sicuramente non a quelle di Gadamer.

VM 2, 37), nel momento cioè in cui non viene più «soltanto pensata accademicamente» ma sperimentata esistenzialmente e «praticata politicamente», diviene «di una serietà immediata e spaventosa [e] pone in tensione l’esistenza storica dell’umanità fino a lacerarla» (GW 10, 175 / ERM, 343). Chiaramente, ciò che Gadamer ha in mente è lo stretto legame vigente tra «la verità del relativismo storico, [del] sapersi storici», ed il diffondersi di fenomeni concomitanti quali «lo spettro del relativismo (das Gespenst des

Relativismus)» ed «il pericolo mortale dello scetticismo (die tödliche Gefahr der Skepsis)». Infatti, una volta che si sia divenuti «coscienti della condizionatezza istorica

propria di ogni tentativo di pensiero», sembra davvero impossibile «in generale […] porre delle pretese di verità» (GW 10, 247 / ERM, 485), ed anzi «si dissolve il senso [stesso] della verità quando vengono alla coscienza tutte le mutevoli prospettive in cui esso ci appare (die wechselnden Perspektiven, in denen sie erscheint)» (GW 2, 27 / VM 2, 35).

In altre parole, dunque, quello che Gadamer vuol suggerire è che il passo dallo storicismo al relativismo e al nichilismo è certamente breve (se non addirittura automatico), e che dietro alla «pacata rinuncia diltheyana “di essere coscientemente un essere condizionato” (mit Bewußsein ein Bedingtes zu sein) [si] manifesta in realtà un’intima tensione dotata di violenza demoniaca (innere Spannung von dämonischer

Gewalt) [e] si rende visibile l’ombra di Nietzsche (der Schatten Nietzsches)»65. In questo senso, pertanto, è stato giustamente notato che Gadamer scorge «nello storicismo [il] precisarsi [del] requisito tipicamente tardomoderno e novecentesco del senso storico […] come condizione critica, come una ragione di crisi del pensiero»66. Il che non toglie, peraltro, che in seguito l’accusa di storicismo e relativismo sia stata rivolta contro lo stesso Gadamer, per esempio da Leo Strauss che nel corso di una breve ma intensa corrispondenza gli ha appunto rimproverato di «dare per scontata “la relatività di tutti i valori” e di tutte le visioni del mondo» e di non riuscire pertanto a “superare” il relativismo storicistico diltheyano67.

65

H. G. Gadamer, Wahrheit und Methode. Der Anfang der Urfassung (ca. 1956), in «Dilthey-Jahrbuch», 8, 1992-93, p. 140.

66

F. D’Agostini, Breve storia della filosofia del Novecento, Einaudi, Torino 1999, p. 93.

67

Cfr. H. G. Gadamer – L. Strauss, Correspondence Concerning «Wahrheit und Methode», in «The Independent Journal of Philosophy», 2, 1978, pp. 5-12. In seguito, però, Gadamer ha replicato a tali critiche, affermando che «la tesi di Strauss è troppo semplificativa [e] insostenibile» in quanto l’ermeneutica filosofica non cade affatto nell’«arbitrarietà [del] relativismo storico» (H. G. Gadamer,

Ora, come si può facilmente vedere, ci troviamo di fronte a temi che sono stati ampiamente discussi nel corso di tutto il XX secolo, sia cioè nella prima ondata dello storicismo e del relativismo tardo-ottocenteschi e primo-novecenteschi – ai quali fa principalmente riferimento Gadamer, anche in virtù dell’indubbia influenza che, come abbiamo visto, essi hanno esercitato negli anni della sua formazione –, sia nella seconda ondata rappresentata dal «nichilismo ermeneutico» emerso in seno ad una certa «ermeneutica negativa» (decostruzionismo, testualismo, pensiero debole)68 e dalle

221). Quindi, egli ha contrattaccato l’autore di Gerusalemme e Atene affermando che questi, nel tentativo di evitare «l’irrazionalismo storico [e] il dogmatismo universale […] di uno storicismo “ingenuo”», alla fine «sottovaluta le difficoltà del comprendere, […] salta completamente il problema ermeneutico» e ricade egli stesso nel «punto di vista di un illuminismo storico completo (Standpunkt der vollendeten

historischen Aufklärung)» (GW 2, 416-417 / VM 2, 402-403). Su questo argomento, si veda anche il

saggio di Gadamer intitolato Philosophizing in Opposition: Strauss and Voegelin on Communication and

Science, in P. Emberley – B. Cooper (a cura di), Faith and Political Philosophy. The Correspondence Between Leo Strauss and Eric Voegelin, 1934-1964, The Pennsylvania State University Press, University

Park 1993, pp. 249-259.

68

Mutuo queste categorie interpretative da G. Mura, Ermeneutica e verità. Storia e problemi della

filosofia dell’interpretazione, Città Nuova, Roma 1997, secondo il quale «con il “nichilismo ermeneutico”

o “ermeneutica negativa” ci troviamo agli antipodi dell’ermeneutica positiva, umanistica e veritativa [di] Gadamer» (Ivi, p. 387). Si noti di sfuggita, a questo proposito, come lo stesso Gadamer in alcune occasioni abbia impiegato l’espressione «nichilismo ermeneutico (hermeneutischer Nihilismus)», al fine però di qualificare la concezione estetica, a suo giudizio «insostenibile (unhaltbar)», secondo la quale «un modo di interpretare un’opera [d’arte] non è meno legittimo di un altro» in quanto «non c’è alcun criterio di adeguatezza (es gibt keinen Maßstab der Angemessenheit)» cui attenersi nell’interpretazione (GW 1, 100 / VM, 213). Rispetto a tale questione, va anche detto che Gadamer, pur avendo più volte criticato la violenza interpretativa compiuta ai danni dei testi storici, letterari e filosofici, comunque non si è mai adoperato a fissare un «vero e proprio criterio […] per sapere se un’interpretazione è giusta o sbagliata», giudicando «fuorviante […] questo modo di pensare» (HE, 174 / RP, 193). Anzi, in alcune occasioni egli ha esplicitamente affermato che «non vi può essere alcuna interpretazione che possieda un carattere definitivo (Endgültigkeit)» (GW 9, 443 / CICT, 99), che «ogni opera d’arte rimane aperta alle interpretazioni più diverse ed egualmente legittime e [che] la sua esegesi è infinita» (GW 8, 58 / AB, 195). In questo modo, però, egli ha a sua volta attirato su di sé l’accusa di «non cura[rsi] delle regole concrete in opera nella lettura di un testo e nell’accertamento del suo significato», di non «giustificare la validità e obiettività di un’interpretazione», e quindi di portare avanti «una prospettiva fondamentalmente nichilista» (M. Ferraris, Storia dell’ermeneutica, Bompiani, Milano 1997, pp. 361-362). Bisogna anche dire, però, che Gadamer non ha mai ritenuto di aver così ceduto al «nichilismo ermeneutico» ed anzi ha sempre sostenuto che «l’impresa ermeneutica [possiede] un solido terreno su cui poggiare», rappresentato dal fatto che se effettivamente «le opinioni sono una molteplicità plastica di possibilità, [comunque] entro questa molteplicità dell’opinabile (Vielfalt des Meinbaren) […] non tutto è possibile»: di conseguenza,

tendenze scettiche caratterizzanti l’anarchismo epistemologico e certe forme di neopragmatismo. Sotto questo punto di vista, è forse possibile affermare che, nella storia della filosofia e della cultura occidentale, il Novecento ha rappresentato «l’epoca di più aperta negazione della verità», con la diffusione «nella pratica filosofica contemporanea» di una vera e propria «koiné scettica»69 ed un lento ma progressivo e inesorabile lavoro di indebolimento e smantellamento di ogni tipo di certezza. Ad ogni modo, non è questa chiaramente la sede adatta per soffermarsi in maniera dettagliata sulle dinamiche e sulle modalità di svolgimento di un dibattito così ampio, complesso ed articolato; piuttosto, quello che conta ai fini del nostro discorso è il fatto che, come ho già accennato poc’anzi, agli occhi di Gadamer tale condizione critica non sia affatto rimasta confinata sui libri o nelle aule universitarie, ma al contrario si sia andata inesorabilmente diffondendo in tutti gli ambiti della nostra vita e della nostra società.

Infatti, il vero punto nodale per Gadamer non è rappresentato tanto dall’esplicarsi di tale condizione critica sul piano strettamente logico-filosofico – dando ad esempio luogo agli infiniti dibattiti sulla reale portata del relativismo, sulla sua (vera o presunta) natura intimamente contraddittoria ed autoconfutatoria, sulla necessità di un suo superamento mediante una qualche forma di “rifondazione” del sapere filosofico70 ecc.

«una coscienza ermeneuticamente educata (ein hermeneutisch geschultes Bewußtsein) […] presterà orecchio, nel modo più conseguente e ostinato possibile, all’opinione del testo» (GW 2, 60 / VM 2, 60).

69

F. D’Agostini, Disavventure della verità, Einaudi, Torino 2002, pp. XXXV.

70

Gadamer si sofferma su questo tipo di problematiche nel paragrafo di Verità e metodo dedicato ai

Limiti della filosofia della riflessione, dove però viene decisamente rifiutato il tentativo di risolvere la

questione su un piano puramente logico, giacché a suo giudizio «per quanto chiaramente si dimostri l’intima contraddittorietà di ogni relativismo (die innere Widersprüchlichkeit eines jeden Relativismus), […] tutte queste argomentazioni vittoriose […] si lasciano sfuggire la vera sostanza della questione (die

eigentliche Sache)» (GW 1, 350 / VM, 711). Infatti, «che la tesi dello scetticismo o del relativismo

pretenda a sua volta di essere vera e quindi neghi se stessa», rappresenta secondo Gadamer «un argomento incontrovertibile, [ma] il formalismo di tali argomentazioni riflessive ha una legittimità filosofica soltanto apparente, [e] il fatto che una tesi sia formalmente confutabile (die formale

Widerlegbarkeit einer These) non esclude necessariamente la sua verità» (GW 1, 350 / VM, 711). In

questo modo, però, la posizione di Gadamer – che peraltro riprende in buona parte quella svolta da Heidegger nel § 44 di Sein und Zeit contro l’«ingenuità degli attacchi dialettico-formali contro lo scetticismo» (M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano 1976, § 44c, p. 281) – viene in qualche modo a scontrarsi con (o, quantomeno, a discostarsi da) l’ampio uso che nel Novecento è stato fatto «delle procedure elenctiche [o] di confutazione per autoriferimento […] nel quadro di una critica al relativismo, nichilismo, contestualismo, fallibilismo contemporanei. Se ogni tesi è contestuale, allora anche la tesi dell’universale con testualità di ogni tesi è contestuale; […] se tutto è relativo, anche la tesi

–, quanto piuttosto dal suo produrre e diffondere una serie di effetti e riflessi negativi sul complesso della nostra vita culturale e spirituale. Ossia, ciò che maggiormente colpisce Gadamer è il passaggio diretto e, per certi versi, forse inevitabile dal relativismo teorico-conoscitivo a quello etico-politico; dalla radicale messa in discussione di ogni aspirazione ad una conoscenza vera e ben fondata, alla risoluta negazione della possibilità di fissare un metro per valutare valori, decisioni ed azioni; insomma, dalla negazione della distinzione tra vero e falso a quella della distinzione tra bene e male, con la paralisi decisionale e l’indifferentismo etico che inevitabilmente subentrano. «Il soggettivismo moderno» – scrive infatti Gadamer nel saggio Kant und

die Gottesfrage – «è radicale [e] nichilistico anche da un punto di vista morale (auch moralisch nihilistisch)», in quanto dissolve ogni residuo vincolo di natura etica e

consegna all’uomo «una libertà priva di limiti» da esercitare a piacimento, in maniera puramente arbitraria, seguendo il mero criterio del «pluralismo della volontà di potenza (Pluralismus des Willens zur Macht)» (GW 4, 357-359).

Sotto questo punto di vista – constata quindi Gadamer negli anni Novanta, volgendo lo sguardo indietro al secolo che egli ha vissuto per intero – si può dire che «nel corso del Novecento lo slogan nietzscheano della “morte di Dio” [abbia] trovato ripetute conferme»71. Ed in questo senso è anche interessante notare come in alcune occasioni Gadamer sviluppi questo tema in un’accezione per così dire “politica”, mettendo cioè in relazione la questione della «crisi della ragione» e del «nichilismo risoluto (entschlossener Nihilismus)» con i grandi drammi del XX secolo, come «la tragedia della […] presa “legale” del potere da parte di Hitler» (GW 10, 50 / ERM, 97). La «dissoluzione dell’idealismo borghese e delle forme di vita concrete della tradizione» – afferma ad esempio Gadamer nella conferenza Die Bedeutung der

Philosophie für die neue Erziehung tenuta il 22 settembre 1945, dunque appena

all’indomani della caduta del regime nazista – «ha condotto a un indebolimento del valore (Schwächung des Wertes), ad uno svuotamento della tavola dei valori (Aushölung der Werttafel), [e] questo svuotamento dell’idealismo ha trovato poi la sua punta estrema [nel] nichilismo che noi abbiamo sperimentato come realtà di un recente passato» (KS 1, 16 / EMU, 15). Come si legge anche nel discorso celebrativo Per il

“tutto è relativo” è relativa, e possono esistere tesi assolute» (F. D’Agostini, Logica del nichilismo, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 51).

71

H. G. Gadamer, Reply to Robert R. Sullivan, in L. E. Hahn (a cura di), The Philosophy of Hans-Georg

300° anniversario di Gottfried Wilhelm Leibniz tenuto all’Università di Lipsia il 1°

luglio 1946: gli «effetti [del] relativismo istorico» e di un certo «irrazionalismo romantico […] si propagano fino alle sciagure dei nostri giorni», in quanto «forme preliminari e precorritrici (Vorformen und Wegbereiter) di quella crisi del nichilismo e di quella disperazione nei confronti della ragione delle cui forme siamo dolorosamente coscienti» (GW 10, 305 / ERM, 599).