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Alle radici della crisi: il «sapere teso al dominio».

1.3. Il predominio moderno della razionalità strumentale.

Come abbiamo appena visto, la filosofia di Gadamer prende decisamente le mosse da una critica non tanto del metodo scientifico in sé – il quale, all’interno di un certo ambito d’indagine, risulta invece importante ed anzi assolutamente indispensabile e insostituibile –, quanto piuttosto della sua elevazione ad unica garanzia di attendibilità e validità del sapere141. Ossia, da una critica di quella «ingenua fede assoluta nella forza

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Come è stato giustamente notato, infatti, «non è che l’ermeneutica non ammetta il metodo [o] lo respinga»; piuttosto, «quel che non ammette è che, grazie al fascino esercitato sulla base degli enormi risultati ottenuti, il metodo venga imposto meccanicamente ovunque. Il metodo presuppone [infatti] che l’oggetto sia definibile e che il soggetto possa definirlo obiettivamente con la dimostrazione scientifica;

del metodo» (GW 1, 306 / VM, 623) che Gadamer talvolta paragona esplicitamente ad «una nuova dogmatica (eine neue Dogmatik)» (LT, /158 ET, 116) e all’«autentico elemento di fede» (GW 10, 313 / ERM, 615) di «un’epoca che crede nella scienza in un modo quasi superstizioso (ein bis zum Aberglauben wissenschaftsgläubiges Zeitalter)» (GW 2, 450 / VM 2, 4)!

Ora, ciò che maggiormente interessa a Gadamer è il fatto che, nel corso del lento ma inesorabile processo di unilaterale affermazione della razionalità tecnico-scientifica, si sia alla fine verificata una profonda trasformazione del rapporto dell’uomo con la realtà ed al contempo una sorta di un “restringimento” del concetto stesso di razionalità. Se infatti – come avremo modo di vedere meglio nel prossimo capitolo – la “fede” nell’oggettivabilità e misurabilità del reale e la “fede” nella certezza assicurata dal primato del metodo e dell’autocoscienza costituiscono i tratti fondamentali della moderna impostazione tecnico-scientifica, allora ciò che ne consegue è l’affermarsi di un modo complessivo di relazionarsi alla realtà fondato sulla misurazione e il calcolo, sull’inquadramento metodico e la pianificazione razionale, infine sulla producibilità e la modificabilità mediante l’intervento tecnico dell’uomo. Insomma, una reductio di ogni aspetto della realtà e di ogni esperienza a semplice messa a disposizione di un oggetto per un soggetto. In questo senso, dunque, Gadamer ricollega esplicitamente l’affermarsi dello «scientismo» ad una «falsa riduzione della ragione alla [mera] razionalità tecnica (Szientismus als falsche Verkürzung der Vernunft auf technische Rationalität)» (GW 4, 61): ossia ad una graduale ma decisiva affermazione della «moderna ragione strumentale (moderne instrumentelle Vernunft)» ed infine a un vero e proprio «abuso [della] razionalità strumentale (Mißbrauch [der] Zweckrationalität)».

In alcune occasioni, Gadamer illustra in maniera un po’ più dettagliata questo importante processo verificatosi in età moderna, spiegando appunto che «l’istituzione […] di nuove possibilità razionali per la matematica al servizio della conoscenza empirica» – ossia, «la fondazione di una nuova “scienza” nell’ambito di ciò che è “contingente”, osservabile e razionalizzabile attraverso la determinazione quantitativa (eine neue Wissenschaft […] im Bereich des “Kontingenten”, des Beobachtbaren und

des durch quantitative Bestimmung Rationalisierbaren)» –, avrebbe comportato una

muove dunque da una concezione strumentale del conoscere dove il soggetto si assicura di poter disporre dell’oggetto. Se è […] un procedimento conoscitivo valido e legittimo […] nei settori scientifici, non può però esserlo in tutti gli altri, dove comporta una riduzione o una distorsione dell’esperienza della verità» (D. Di Cesare, Gadamer, cit., pp. 56-57).

progressiva «ridefinizione della razionalità (eine neue Bestimmung von Rationalität)» (GW 4, 27). Ques’ultima, infatti, sarebbe stata via via identificata «in misura sempre maggiore [con] il metodo, […] la nuova parola magica (das neue Zauberwort) [del] pensiero dell’età moderna» (GW 4, 27). In questo modo – spiega Gadamer nel saggio

Rationalität im Wandel der Zeiten – «l’epoca della nascente scienza della natura

divenne al contempo l’epoca [della] acritica estrapolazione della nuova razionalità metodica (unkritische Extrapolation der neuen Rationalität der Methode)» e del «restringimento (Verengung) della funzione della razionalità», ridotta ormai alla semplice «razionalità dei mezzi posti al servizio di scopi già dati come ovvi o scontati (Rationalität der Mittel, die gegebenen selbstverständlichen Zwecken dienen)» (GW 4, 28-30). Con la conseguenza inevitabile che, alla fine, si sarebbe giunti ad un’«affermazione onnicomprensiva e totale [della] razionalizzazione», ad una «razionalizzazione totale della vita (Durchrationalisierung des Lebens)» e all’istituzione di «un sistema di amministrazione razionale del mondo [e] costruzione tecnica del mondo (ein System rationaler Weltverwaltung [und] technischer

Weltgestaltung)» che relega «tutto ciò che non può essere raggiunto dalla

razionalizzazione scientifica [al] mero ambito residuale dell’irrazionalità (blosser

Restbereich der Irrationalität)» (GW 4, 30)142.

A questo punto, credo che la diagnosi gadameriana poc’anzi ricordata – in base alla quale «il tragico destino della civiltà moderna (das tragische Shicksal unserer

modernen Zivilisation)» deriverebbe interamente dallo «sviluppo e [dalla]

specializzazione della capacità tecnico-scientifica», col suo «sapere teso al dominio (Herrschaftswissen) su vasta scala » (ÜVG, 130-131 / DNS, 111-112) – possa senza

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Sulla base di tutto questo discorso, credo si possa dire che anche Gadamer, al pari di numerosi altri pensatori contemporanei, ritenga che la «scienza e la tecnica» siano dotate di una propria «ragione intrinseca, […] di una razionalità interna […] intesa come dominio» e come «razionalità strumentale […] che considera come rilevanti solo gli aspetti tecnici» e che perciò «in realtà […] si rovescia in irrazionalità» (M. Nacci, Pensare la tecnica, cit., pp. 190-197). Al tempo stesso, però, mi sembra importante sottolineare come Gadamer abbia evitato, per così dire, di spingere questo discorso sino in fondo: ossia, abbia evitato di identificare nella tecnoscienza una «fonte certa di anti-progresso, […] capace di muovere la realtà in una direzione precisa» secondo un «percorso […] perfettamente rettilineo [e] una ferrea logica interna di sviluppo, alla quale niente è in grado di opporsi». Inoltre, è importante sottolineare come manchi in Gadamer una vera e propria “politicizzazione” del discorso critico intorno alla scienza ed alla Zweckrationalität, ben visibile invece in tutti quei pensatori che, nel corso del Novecento, hanno interpretato quest’ultima come «la forma di razionalità specifica […] dell’intera società industriale e [del] sistema capitalista […] nel suo complesso» (Ivi, pp. 163-173, corsivi miei).

dubbio apparire più comprensibile e meno vaga. Se infatti nel caso di alcuni problemi attuali – quali ad esempio la produzione e diffusione di armi sempre più potenti e distruttive, l’inquinamento e la distruzione dell’ambiente, ed infine le possibilità di intervento tecnologico sul nostro patrimonio genetico – il legame con tecnoscienza e la sua irradiazione planetaria appariva piuttosto evidente, in altri casi invece – quali ad esempio l’incapacità di relazionarsi in maniera adeguata all’arte, la svalutazione degli ordinamenti morali e sociali vigenti, ed infine l’adozione di stili di vita improntati ad un individualismo deresponsabilizzante – una tale correlazione poteva risultare decisamente meno convincente. Adesso, invece, mi sembra emerga chiaramente come Gadamer, anche quando si esprime in maniera per certi versi un po’ “estrema” su questo tipo di fenomeni – per esempio, quando scrive che «con il nuovo inizio del XVII secolo si è innescato un processo che porta alla fine al nichilismo in senso nietzscheano» (HE, 139 / RP, 153), o che «è certo una conseguenza della tecnica [se] con il crescente potere sulla natura (steigende Naturbeherrschung) anche il potere esercitato dall’uomo sui propri simili (Herrschaft von Menschen über Menschen) non solo non si estingua, ma anzi si accresca sempre più» (VZW, 9 / RES, 29) – abbia in mente un processo planetario decisamente molto complesso ed invasivo di razionalizzazione tecnico- scientifica della nostra intera realtà. Un processo che, seppure originariamente scaturito dallo studio della sola realtà naturale, non ha però tardato a diffondersi e trovare applicazione anche nel mondo propriamente “umano” (ossia, nella realtà sociale, culturale e spirituale), sino a permeare pressoché interamente la nostra stessa mentalità.

«Piatta progettazione, freddo calcolo, osservazione oggettiva: […] lo spirito del nostro tempo» – scrive Gadamer nel saggio I 75 anni di Martin Heidegger – «è determinato da regolamentazioni razionali in politica e in economia, nella vita in comune degli uomini [e] dei popoli», e tutto ciò deriva essenzialmente da una «fede incondizionata nella scienza (ein unbedingter Glaube an die Wissenschaft)» (GW 3, 186 / SH, 13-14). «Oggi, nell’epoca di una fede rinnovata e sempre più radicale nella scienza (im Zeitalter eines neuen, radikalisierten Wissenschaftsglaubens), […] la coscienza pubblica rivolge con rinnovata intensità le proprie aspettative alla scienza» e quest’ultima, da parte sua, mira ad «assoggettare al proprio potere ogni sfera della vita», giungendo «infine a bandire dalla società tutto ciò che non può essere fatto oggetto di calcolo (alle Unberechenbarkeiten)» (VZW, 119-120 / RES, 121). Per Gadamer, si tratta dunque di una tendenza fondamentale della nostra epoca che, sebbene appaia a prima vista incontrastabile ed inarrestabile, bisogna comunque tentare in qualche modo

di arginare o “correggere”, riconoscendo apertamente la «particolarità [della] scienza e [del] metodo […] nel complesso dell’esistenza umana e della sua ragionevolezza (im

Ganzen der menschlichen Existenz und ihrer Vernünftigkeit)» (GW 2, 496 / VM 2, 481)

e ponendosi alla ricerca di una nuova «legge di equilibrio [tra] la cultura scientifica e la sua applicazione tecnico-organizzativa» e tutte «le altre forme di sapere [e] di esattezza» (LB, 104-109).

2.