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Alle radici della crisi: il «sapere teso al dominio».

1.1. L’inizio della modernità e la nascita della scienza.

La prima cosa da notare a questo proposito è il fatto che Gadamer, in maniera molto chiara e netta, in svariate occasioni identifichi addirittura lo stesso passaggio epocale all’età moderna con la nascita della scienza moderna. «Quando e con che cosa ebbe inizio l’epoca moderna?», si domanda infatti il filosofo di Marburgo, rispondendo subito dopo: «quale che sia il suo inizio, in verità fu la nuova scienza [che] condusse alla nuova epoca» (LT, 93 / ET, 72). Secondo Gadamer, cioè, «il vero inizio dell’età moderna» non è segnato da «una data precisa», quanto piuttosto dalla «vera esplosione» rappresentata dall’avvento dell’«ideale metodico della scienza moderna» (E, 44 / EE, 32). Infatti, quando «nel XVII secolo […] un nuovo concetto di scienza» cominciò «a farsi breccia», ciò rappresentò «uno strappo peculiare» (GW 10, 216 / ERM, 425), e da allora si è assistito in misura crescente all’«imporsi della scienza (Durchdringen der

Wissenschaft)» quale vero e proprio «carattere dell’età moderna» (VZW, 118 / RES,

119). In definitiva dunque per Gadamer, «nonostante tutte le controverse derivazioni e datazioni storiche, […] l’età moderna è determinata univocamente dal sorgere di un nuovo concetto di scienza e di metodo (ein neuer Begriff von Wissenschaft und

Methode)» (VZW, 13 / RES, 32). «La realtà della scienza (das Faktum der Wissenschaft)» – scrive Gadamer – «è diventata la base stessa dell’intera civiltà

civiltà planetaria» (E, 96 / EE, 74): «la nuova scienza […] determina l’età della modernità fino alle sue ultime fibre» (GW 10, 309 / ERM, 607). E se adesso «ci domandiamo quale [sia] l’essenza di questa cultura dominata dalla scienza» – prosegue il filosofo di Verità e metodo – allora scopriamo che la risposta risiede nella semplice parola «metodicità (das Methodische)»: «metodicità nella scienza e nel suo uso,

metodicità nell’applicazione della scienza nella tecnica e nell’industria, metodicità

nell’ordinamento della nostra vita sociale, metodicità nella distruzione. Progettare, fare, dominare (Planen, Machen, Beherrschen) sembra essere il vero comportamento di base dell’umanità educata dalla scienza occidentale» (KS 1, 22-23 / EMU, 25).

Emerge così la fondamentale attitudine metodico-progettuale e “dominante” propria dell’impostazione scientifica moderna, nonché lo stretto ed anzi inscindibile nesso che, secondo Gadamer, vige tra la scienza moderna, le sue applicazioni tecniche ed il progresso economico-industriale (che egli indica perlopiù col nome generico di «rivoluzione industriale»). In primo luogo, egli sottolinea infatti l’inseparabilità di scienza e tecnica, affermando che la «tecnica non è soltanto una conseguenza secondaria nella nuova conoscenza della natura» (LT, 94 / ET, 73) bensì «fa parte della sua essenza» (GW 4, 272 / DNS, 47). Dunque, «la scienza moderna è piuttosto essa stessa già tecnica» (HE, 198 / RP, 219), essendo animata e guidata non tanto dal «sapere quanto [dal] saper fare», ossia da «un sapere indirizzato verso la capacità di attuazione (ein auf Machenkönnen gerichtetes Wissen) [e] verso un controllo consapevole della natura» (GW 4, 247 / DNS, 10). In secondo luogo, egli nota quindi come «la scienza» si sia trasformata nel «primo fattore produttivo dell’economia umana» (GW 4, 247 / DNS, 11). È proprio il «paradigma “produttivo” [delle] scienze», infatti, che attraverso «un processo lento» ma costante ha condotto alla «poderosa espansione delle scienze verso l’applicazione tecnica generalizzata (gewaltige Aufschwung der Wissenschaften zu so

umfassenden technischen Anwendungen) ed alla rivoluzione industriale tuttora in piena

e inarrestabile avanzata» (E, 20 / EE, 13).

A partire dalla messa in luce di questo nesso stretto, anzi intrinseco, tra «il grandioso dispiegarsi delle scienze naturali (großartige Entfaltung der Naturwissenschaften)» e lo «sviluppo della nostra tecnica ed economia (Entwicklung unserer Technik und Wirtschaft)» – sviluppo dato appunto dal fatto che «vengono

sfruttate fino in fondo, e in modo sempre più conseguente e razionale, le possibilità pratiche insite nelle scoperte scientifiche» (GW 4, 3-4 / EMU, 120) – Gadamer si sente quindi autorizzato a fornire la propria diagnosi sulla «crisi che sino ad oggi ci tiene col

fiato sospeso e continuamente si aggrava (uns bis heute in Atem haltende und sich

immer mehr zuspitzende Krise)», sulla «condizione [odierna], così carica di tensioni, e

critica per l’umanità», affermando appunto che la radice di tutto ciò va scorta proprio nel «sorgere della scienza moderna», nei «miracoli della tecnica» e nella «rivoluzione industriale […] che si accoda all’ascesa delle scienze» e che «da allora […] domina l’intera vita moderna» (HE 28-29 / RP, 34-35). Per cui, riepilogando: il progresso industriale ed il trionfo dell’ormai pressoché indiscusso paradigma della crescita economica; i problemi ambientali derivanti da un’industrializzazione inquinante ed irrispettosa della natura, che lasciano trasparire scenari catastrofici per un futuro ormai nemmeno troppo lontano; la creazione e la proliferazione di armi di distruzione di massa, tecnologicamente sempre più avanzate ed in grado di minacciare la stessa sopravvivenza della specie umana sulla Terra; la massificazione e burocratizzazione della società, con la conseguente anonimia delle relazioni interpersonali e la deresponsabilizzazione dei cittadini, sempre più propensi ad affidarsi agli “esperti” per ogni decisione di carattere etico e politico; gli imprevedibili ed inquietanti mutamenti che sono stati introdotti nella nostra vita (e che continueranno ad essere introdotti anche in futuro, probabilmente in misura persino maggiore) dalle scoperte in campo medico- scientifico, con la profonda incertezza che ne deriva; infine, lo stesso sgretolarsi di norme, valori e costumi consolidati, che lascia apparire l’ombra inquietante del relativismo e del nichilismo: tutti questi fenomeni, in qualche modo, vengono riconosciuti da Gadamer come null’altro che «conseguenze del moderno illuminismo scientifico (Folgen der modernen wissenschaftliche Aufklärung)» e del concomitante «progresso tecnico-economico» (E, 47 / EE, 34).

A questo proposito, infatti, il filosofo di Verità e metodo si esprime in maniera estremamente chiara, con parole che non mi sembrano lasciare spazio per dubbi o fraintendimenti. Ad esempio, egli dichiara che la «cultura scientifica creata in Europa […] minaccia con la sua irradiazione planetaria l’intera civiltà mondiale» (E, 13 / EE, 9), che «la scienza e la tecnica moderna hanno portato ad una trasformazione del pianeta in una grande officina (Umarbeitung des Planeten in eine große Werkstatt)» (HE, 138 / RP, 152) e che «il crescente dominio della natura dovuto alla scienza aumenta, anziché diminuire, il disagio della civiltà (das Unbehagen an der Kultur)» (GW 2, 37 / VM 2, 49). «La scienza domina per mezzo della comunità degli esperti. Essa sta dietro all’industrializzazione globale per mezzo dell’economia mondiale (globale

anche alla fine del contenimento […] di quel nichilismo di cui Nietzsche con lungimiranza aveva preannunciato l’insorgere» (LT, 92 / ET, 72). Da tutto ciò, pertanto, egli trae la drastica conclusione secondo cui ogni «aspetto particolare della minaccia mondiale che l’umanità rivolge contro se stessa […] è legato allo sviluppo della scienza» ed alla «totalizzazione della [nostra] civiltà tecnologica (Totalisierung der

technischen Zivilisation)» (GW 4, 248 / DNS, 11-12). Una società tecnologica che «nel

suo febbrile progredire sommerge tutta la Terra, ponendo l’umanità di fronte all’agghiacciante problema se autodistruggersi in guerra o in pace» (VZW, 110 / RES, 113)!