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Le diverse declinazioni del criterio della gerarchia e il criterio della competenza

I criteri ordinatori delle fonti, in primis quello gerarchico, non sono stati immuni alla crisi delle fonti del diritto. Infatti proprio a causa della sempre più evidente frammentazione, moltiplicazione, destrutturazione e delocalizzazione, i criteri diventano inadeguati a rispondere alle esigenze connesse alle nuove e diverse fonti normative148.

La pluralità delle fonti normative impone quindi di analizzare i loro reciproci rapporti, o meglio le regole sulle relazioni tra le diverse fonti149 per comprendere, in ipotesi di contrasto (c.d. antinomie),

144 È interessante richiamare una posizione per certi versi estrema, secondo cui “la Costituzione, non è più legata alla

concezione gerarchica-verticale del sistema delle fonti di produzione del diritto, una Costituzione “parziale” nella misura in cui si presta a “farsi fecondare dalle altre Carte” laddove queste si dimostrino idonee ad una tutela più intensa dei diritti fondamentali in gioco”.

TRABUCCO, op.cit., 14 e RUGGERI A., CEDU, diritto “eurounitario” e diritto interno: alla ricerca del “sistema dei sistemi”, www.diritticomparati.it, 19 aprile 2013, 1 e ss.

145 BESSON S.,TASIOULAS J. 2010. Introduction, in IDD. (eds.), The Philosophy of International Law, Oxford University Press,

2010, 1 ss. e SORRENTINO F.,Le fonti del diritto amministrativo, Padova, Cedam, 2004.

146 GALGANO F., Lex mercatoria, Bologna, il Mulino, 2001. 147 SORRENTINO, op.cit. 10.

148 Sul punto vedi SORRENTINO, op.cit., 5.

149 MODUGNO, op.cit., 10 il quale si sofferma sulle regole sulle relazioni tra le diverse fonti, precisando intese come dei

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quale debba prevalere150. Per antinomie infatti, si intende la contrapposizione o la contraddizione

tra norme, ovvero la loro incompatibilità che non può essere tollerata dall’ordinamento, ma va risolta affinchè l’ordinamento sia un vero e proprio “sistema regolatore coerente ed unitario e non coacervo informe di norme tra loro contrastanti”151.

La crisi del sistema delle fonti pone in discussione i principi ordinatori delle fonti, l’antico criterio cronologico e, in particolare, il principio di gerarchia che orientava l’impostazione classica delle fonti152 e il criterio della competenza.

Questi ultimi non risultavano più idonei a risolvere singole antinomie, poiché, essendo criteri incompleti e privi della determinazione precisa dell’ambito di operatività, entravano sovente in concorso, sovrapponendo la loro incidenza e il concreto conflitto che si veniva a realizzare153.

La tradizione storica ha tramandato e consolidato due criteri, quello cronologico e quello della specialità; successivamente, nell’attuale assetto si sono aggiunti il criterio gerarchico e quello della competenza.

Il criterio cronologico, ovvero della prevalenza della lex posterior (lex posterior derogat priori), esprime la temporaneità di ogni ordinamento giuridico e consiste, secondo la dottrina154, in “un principio o

postulato di teoria generale, ancor prima che, eventualmente, un principio o una norma di carattere positivo”. Tale criterio presenta alcuni limiti nelle ipotesi in cui le norme non possono che essere poste secondo un ordine diverso, ovvero quando prevale l’esigenza di relazionarle secondo gerarchia o competenza. In altre parole, quando ci sono più tipi di fonti tra loro parallele e a ciascuna di esse, insegna la dottrina155, va “riservata una determinata materia” ed inoltre manca la possibilità di un valido

concorso su medesimi oggetti delle norme propri dell’una e dell’altra fonte. In tale ipotesi non può essere tenuto in considerazione il criterio cronologico, poichè, ogni antinomia, va risolta guardando alla norma competente o gerarchicamente superiore qualora le fonti appartengano invece a più tipi diversi per il grado con cui innovano il diritto.

150 Per una completa disamina delle diverse antinomie che si possono creare tra le norme si richiama la complessa

trattazione di ZANOBINI, op. cit., 368 e ss. ed anche la trattazione di CELOTTO A., Fonti del diritto e antinomie, Torino, Giappichelli, 2011.

151 CRISAFULLI V., Lezioni di diritto costituzionale, II, 1, Vi ed. aggiornata da F. Crisafulli, Padova, Cedam, 206.

152 Tarello afferma che si inizio a riferire di gerarchia già nell’età dell’assolutismo al fine di potre in essere

un’organizzazione del materiale normativo vigente così da realizzare o assecondare la concentrazione del potere politico e giuridico. Infatti, le prime teorizzazioni in tema di gerarchia furono dei grandi filosofi dell’assolutismo moderno come Hobbes, Pufendorf, Thomasius, quando si presentavano alla loro attenzione dei conflitti fra le norme ritenendo che in tali conflitti dovesse prevalere “la legge prodotta dalla fonte più vicina al sovrano” che quindi significa la fonte di grado più elevato. Tale inquadramento però non poteva sopravvivere all’ancien regime, nel senso che attraverso le rivoluzioni ed in particolare quella francese, la concentrazione delle fonti passo dal sovrano alla legge. Per una più approfondita disamina, TARELLO G., L’interpretazione della legge, Milano, Giuffrè, 1980, 311 ss.

153CELOTTO, op.cit., 24

154 MODUGNO, op.cit., 381. Lo stesso Modugno aveva teorizzato che il principio di gerarchia non indica solo un

principio ordinatore delle fonti “ma contiene in sé l’idea stessa dell’ordinazione delle fonti: è di quest’ultima, in qualche modo sinonimo, se non altro nel senso che non si dà o non si darebbe ordinazione senza gerarchia”. MODUGNO F.,

Voce fonti del diritto (Gerarchia delle), in Enciclopedia del diritto, Milano, Giuffrè, 1997, 562.

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Il criterio di gerarchia (lex superior derogat inferiori), ricondotto, con una metafora, alla piramide156 o

alla scala157, costituisce la c.d. regola generale in cui, all’interno della c.d. scala gerarchica si pongono

le diverse fonti, ovvero i diversi tipi di fonte, le quali vanno viste dall’alto in basso (partendo dalle norme più importanti che occupano le posizioni apicali nella gerarchia per arrivare alle norme che occupano gli ultimi gradini) o dal basso verso l’alto e l’applicazione di tale criterio è il giudizio di validità o invalidità di una norma ovvero la determinazione della valida o invalida appartenenza al sistema.

In altre parole, tra due norme poste da fonti tra le quali l’ordinamento ha stabilito un rapporto di sopra e sotto-ordinazione, è da ritenere applicabile la norma posta dalla fonte superiore, con la conseguenza che la norma posta dalla fonte inferiore viene considerata invalida e quindi espunta dall’ordinamento.

La teoria che ha inquadrato il criterio gerarchico158, secondo la dottrina159, può essere desunta da

diverse regole appartenenti agli ordinamenti positivi, ovvero regole fondate sul principio della corrispondenza tra i diversi procedimenti di produzione normativa e i tipi di atti normativi. Tale principio si fonda contestualmente sulla gerarchia dei soggetti titolari di poteri normativi che si trasmette ai procedimenti e agli atti che ne sono espressione, tipizzandoli160 e raggiunge l’unità

mediante la stratificazione delle fonti sui diversi piani dal basso verso l’alto161 secondo una vera e

propria piramide162.

156 Sul punto si richiama la trattazione di Pastore che precisa come la verticalità gerarchica sia rappresentata dalla

piramide, ormai non più attuale dato che la piramide, da un lato, presenta scalini affollati e sconnessi, dall’altro “le

trasformazioni delle organizzazioni giuridiche travolgono la piramide, simbolo architettonico di un ordine che colloca i rapporti tra gli atti normativi lungo linee ascendenti e discendenti”. Pastore, op.cit., 20.

157 KELSEN, op.cit., 266 («pyramide ou hierarchie de normes»; si noti che questa espressione non è presente nella

traduzione italiana Dottrina pura del diritto); BOBBIO N.,Teoria dell’ordinamento giuridico, Torino, Giappichelli, 1960, 184

(«costruzione a piramide dell’ordinamento giuridico»); SANDULLI, op.cit., 525, 527 (la «scala gerarchica delle norme»);

PIZZORUSSO, op.cit., Articoli 1-9, 40- 42; il «modello della scala o della piramide», in relazione al criterio gerarchico di soluzione delle antinomie, è evocato ad es. da LUCIANI M., Fonti del diritto, p. 472; di «scala delle fonti» e «scala delle norme» riferisce FERRAJOLI L., Principia iuris, vol. 1, 905-908; GUASTINI, op.cit., 62.

158 Tale impostazione affonda le proprie radici nella costruzione gradualistica dell’ordinamento proposta da Kelsen e

dalla Scuola di Vienna, secondo cui le norme che formano l’ordinamento sono collocate su più piani, in modo che ciascuna norma derivi la propria validità dalla conformità ad una norma superiore e, in via mediata, alla c.d. “norma

fondamentale”. Oggi, rispetto all’impostazione Kelseniana, che riteneva tale principio gerarchico immanente

all’ordinamento stesso, il criterio gerarchico non può essere ritenuto un criterio logico, bensì positivo, ovvero operante solo se previsto nel singolo ordinamento. Sul punto si richiama il pensiero di CRISAFULLI, op.cit., 94 e MODUGNO, op.cit., 708.

159 In tema di gerarchia si richiamano, ma a mero titolo esemplificativo, PALADIN,op.cit., 82 e ss, MODUGNO op.cit.,

CRISAFULLI op.cit. e soprattutto RUGGERI,op.cit.

160 MODUGNO, op.cit. 11.

161 Merkl, nell’opera Prolegomeni ad una teoria della costruzione a gradi del diritto, 1931, nel ragionare sul sistema delle fonti

precisa che “tra le immagini proposte per il paragone, una catena, un albero genealogico, un corso d’acqua, un processo tecnico produttivo,

quella di una gerarchia (Stufenfolge), di una costruzione a gradi (Stufenbau) è certo la più disadorna, ma anche la più espressiva”.

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Pur non essendo quello di gerarchia il criterio più risalente163, esso si impone con l’avvento del

codice civile del 1942, in cui, nelle Preleggi (le disposizioni sulla legge in generale art. 12,15), viene introdotto per la prima volta la c.d. gerarchia delle fonti164 contenuta nell’art. 1 c.c. e che recepisce

tutta l’elaborazione Kelseniana e della Scuola di Vienna, sviluppando in senso gerarchico il rapporto tra legge e regolamento e tra i due e la consuetudine. In tal modo tale costruzione coinvolge le relazioni tra le fonti legali diverse, ma guardate nel loro complesso.

La teoria della gerarchia, nella sua formulazione più tradizionale165, vede al centro la legge come

“fonte primaria del diritto”, che stabilisce il gradualismo delle stesse fonti ed ha la capacità di resistere al sopravvento di fonti successive “che non abbiano gli stessi requisiti formali o la medesima efficacia”166.

Tale teoria trova la propria ratio nell’originaria idea della sovranità puramente parlamentare, ovvero della supremazia del Parlamento secondo cui la legge prevale sugli atti normativi del Governo (quindi sui regolamenti) e su ogni altro fatto giuridico o atto o fatto normativo, guardando alla forza formale della legge ovvero alla sola forma dell’atto stesso167.

Tale teorizzazione subisce un primo scossone con l’avvento della Costituzione nel 1948, laddove diventa necessario far spazio anche ad un’altra fonte che viene collocata all’interno del sistema e quindi in tal modo, anche la Costituzione beneficia di tale criterio ordinatore che la pone, secondo il modello Kelseniano, al vertice168, implicando una serie di questioni problematiche legate al

principio di legalità 169.

Pertanto, seguendo il principio della gerarchia, la c.d. piramide, vede alla propria sommità la Costituzione e le leggi di revisione costituzionale oltre alle altre leggi costituzionali, le leggi statali e regionali, gli atti aventi forza di legge, i regolamenti governativi, i regolamenti di altri enti, e le

163 Infatti, in origine il sistema era costruito sulle norme positive delle c.d. Preleggi che precedono il codice civile e

disciplinano, sia le modalità di interpretazione della legge (art.12) sia i criteri di risoluzione delle antinomie (art. 15) e quindi in principio prevaleva il criterio cronologico consolidato già nei codici preunitari ad es. il codice estense e parmense, lo statuto albertino.

164 Come già chiarito (nota 82), la gerarchia delle fonti viene elaborata dalla dottrina attraverso l’interpretazione della

costruzione gradualistica di Kelsen e della Scuola di Vienna. Infatti, la dottrina pura del diritto fornisce un’articolazione a gradi, modello formale di gerarchizzazione delle norme giuridiche caratterizzate da coerenza (la piramide contiene solo ciò che sta tra base e vertice), completezza (la piramide delimita quanto si pone tra base e vertice) e unità (tutti gli elementi si pongono in modo ordinato sotto il vertice). Per tutti vedi KELSEN H.,Grundriss einer allg. Theorie des Staates, Vienna, 1926. Sul punto si richiama in particolare il pensiero di MODUGNO F.,“Fonti del diritto (gerarchia delle)” in Encicl. Dir. Agg., I, 561, 563 e ss.

165 DI MAJO A.,Norme costituzionali e gerarchia delle fonti del diritto in Studi in onore di E. Eula, I, Milano, Giuffrè, 1957,

371 e ss.

166 Secondo Modugno il criterio gerarchico avrebbe l’idoneità a ordinare le fonti secondo la loro forza definibile come

l’efficacia che è propria di ciascun tipo di fonte “forma tipica e forza formale” intesa come resistenza al sopravvento di fonti successive che non abbiano i medesimi requisiti formali o la medesima efficacia. MODUGNO, op.cit., 212.

167 Tale gerarchia pertanto, in origine, trova la propria ratio nell’esigenza di sistemare la relazione tra legge e

regolamento e tra questi ultimi e la consuetudine.

168 Sul punto si richiama la ricostruzione di ZANOBINI G.,“Gerarchia e parità tra le fonti” in Scritti vari di diritto pubblico,

Milano, Giuffrè, 1955, 299 e ss.

169 CARLASSARE, op.cit., 550, la quale sottolinea l’importanza che nella nuova gerarchia delle fonti (in cui è ormai

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consuetudini. All’interno di tale costruzione ogni atto deriverebbe la propria forza170 dalle fonti di

grado più alto.

La dottrina ha distinto diverse declinazioni del criterio gerarchico171, che si definiscono gerarchie

c.d. strutturali.

La prima di esse è la c.d. gerarchia tra norme, secondo cui ogni potere normativo è istituito da una norma sulla produzione giuridica ovvero da una norma attributiva di potere. Pertanto la gerarchia strutturale è la relazione che intercorre tra i due poteri normativi che traggono legittimazione uno dall’altro. Si richiama la gerarchia strutturale tra il potere legislativo (delle camere) e il potere legislativo delegato (del Governo) in cui essa, come gerarchia tra i poteri, si riflette in una gerarchia tra le fonti.

Vi sono poi le gerarchie c.d. formali, ovvero le relazioni tra fonti create dalle fonti stesse e si estende alle norme che dalle diverse fonti sono espresse e quindi le norme provenienti dalla fonte inferiore sono invalide qualora contrastino con norme provenienti dalla fonte superiore. Ancora si richiamano le gerarchie logiche ovvero le relazioni tra norme (e non tra fonti) non istituite dal diritto, ma che dipendono esclusivamente dalla struttura del linguaggio delle fonti. In altre parole vi sono determinate norme che sono sovraordinate ad altre poiché vertono su di esse. Infine vi sono le gerarchie c.d. assiologiche ovvero la relazione tra norme (e non tra fonti), che non è istituita positivamente dal diritto ma dagli interpreti che istituiscono tali gerarchie quando trattano una norma come fondamento di un’altra, anche se essa ha pari grado nella gerarchia formale172.

Prima di analizzare i limiti del criterio gerarchico, che sono stati posti in luce da numerosi esponenti della dottrina, è opportuno richiamare brevemente la posizione di chi173, seppur in modo isolato,

ha ritenuto che la gerarchia possa costituire, anche di fronte alla crisi del sistema, uno strumento ancora sensato ed adeguato al livello ricostruttivo, sia delle fonti sia dell’ordinamento.

170 Per forza si intende la resistenza propria delle disposizioni prodotte dagli atti sopraordinati rispetto alle disposizioni

prodotte da altri atti subordinati ovvero nella capacità dei primi a produrre disposizioni in grado di privare di efficacia le disposizioni prodotte dai secondi o anche dai primi (laddove anteriori) nella successione temporale.

171 Si fa riferimento alle quattro categorie di gerarchie strutturali in GUASTINI, op.cit. 37 e ss., ma anche PIZZORUSSO,

op.cit. 7 il quale invece indaga sul rapporto tra gerarchie tra norme in cui vi è la corrispondenza tra la forza politica degli organi costituzionali e la forza normativa degli atti da esse emanati, e le gerarchie c.d. strumentali, ovvero quelle in cui le norme disciplinano l’attività di produzione normativa aventi una forza normativa tale da essere rispettate da chi esercita le funzioni corrispondenti, domandandosi se tali gerarchie dovessero allinearsi o addirittura diventare una sola gerarchia “ assegnando alle norme sul procedimento di formazione delle fonti il rango proprio delle fonti costituzionalmente superiori”. Tale problema, precisa ancora Pizzorusso, si è posto quando il legislatore ha introdotto in alcune leggi una clausola destinata a renderle abrogabili o modificabili solo in modo espresso; e TARELLO G.,

Gerarchie normative e interpretazione dei documenti normativi in Politica e diritto, 1977, 499 e ss, il quale invece distingue tre

tipi di gerarchie normative: gerarchie di fonti, gerarchie strutturali o strumentali, (ovvero tra norme dello stesso livello) e gerarchie di competenza.

172 Per una completa disamina del concetto di gerarchia normativa, ovvero dei diversi significati di gerarchia assiologica

si rimanda alla trattazione di PINO G., Norme e gerarchie normative, in Analisi e diritto, 2008, 263 ss.

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Infatti, prendendo le mosse dal concetto di gerarchia normativa già richiamato e dal contenuto delle diverse declinazioni di gerarchia normativa ovvero le gerarchie strutturali, le gerarchie materiali e le gerarchie assiologiche e così individuando nella gerarchia solo uno strumento che designa il rapporto tra norme, può dimostrare che qualunque relazione tra norme può essere spiegata grazie al richiamo della sola gerarchia, ponendo l’attenzione anche a tale criterio in relazione ai rapporti tra fonti ed interpretazione, ove quest’ultima comunque definisce il contenuto delle fonti ed ancor prima qualifica i documenti quali fonti. In particolare se è vero che ogni fonte si inserisce in un complesso di fonti, è interpretativo l’intervento che inerisce l’organizzazione dei rapporti tra le fonti e quindi l’accertamento della sussistenza o meno di una gerarchia normativa. Tuttavia, come osservato da una dottrina autorevole174, il criterio gerarchico non offre una

rappresentazione delle fonti corrispondente alla situazione esistente all’interno dell’ordinamento giuridico italiano. Infatti, intanto le Preleggi riproducono le norme del Codice del 1865 (ovvero gli artt. 12 e 15 delle Preleggi corrispondono esattamente agli artt. 3 e 5 del Codice del 1865)175 senza

in alcun modo dare atto dei cambiamenti ed evoluzioni avvenute nel frattempo. Inoltre, con l’irrompere delle fonti europee, esse si configurano quali norme di rango para-costituzionale176

(poiché il diritto dell’Unione europea entrando nel nostro ordinamento diventa direttamente applicabile e prevale sulle fonti interne confliggenti derogandole, salvo il contrasto con principi supremi e diritti inviolabili), e quindi esse creano un’ulteriore e profonda alterazione della struttura gerarchica delle fonti.

La crisi della gerarchia delle fonti diventa inevitabile quando viene messa in discussione l’unitarietà del sistema, ovvero il parallelismo tra la gerarchia delle fonti, i procedimenti di produzione normativa e gli organi dotati dei poteri normativi, poiché andando in crisi tutti queste diverse declinazioni della gerarchia, va in crisi l’idea della sovranità indivisa dello Stato177. Infatti è proprio

la Costituzione che incrina la concezione c.d. piramidale dell’ordinamento giuridico, nel senso che l’introduzione di quella che Kelsen ha definito una “forma legale costituzionale”178, distinta e superiore

alla forma legale ordinaria179 fino ad allora predominante su tutto, perturba il sistema gerarchico180.

174 Tale teorizzazione è di ESPOSITO, op.cit., 320.

175 Anzi nei lavori preparatori del codice civile del 1942, si era anche dubitato se mantenere in vita le Preleggi: infatti

erano ritenute incomplete ed imprecise e quindi prive, in via di fatto, di qualsiasi forma di precettività. Relazione della Commissione Reale, in PANDOLFI G.,SCARPELLO G.,STELLA RICHTER M.,DALLARI G.,Codice civile (illustrato con i

lavori preparatori), I, Milano, Giuffrè, 1939, 24 ss.

176 CARTABIA M., Principi inviolabili e integrazione europea, Milano, Giuffrè, 1995, 95 ss, 135 ss. 177 Sul punto BIN, op.cit., 6.

178 Secondo Modugno, la “forma legale costituzionale”, assistita dalla rigidità costituzionale e dal controllo sulle leggi,

rappresenta “un primo, ma decisivo elemento di perturbazione dello schema gerarchico”. Modugno, op.cit., 212.

179 Nel senso che il fatto che la legge si ritrovi in posizione subordinata rispetto alla Costituzione indebolisce la stessa

certezza della legge, intesa come validità e quindi come affermato in una pronuncia della stessa Corte Costituzionale, “la certezza della legge viene indebolita dalla certezza (ed effettività) della Costituzione”. Corte Cost., sent. n. 225/1987. La legge perde così la propria forza e viene detronizzata venendo meno il sistema che si poggiava su di essa come base.

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La gerarchia si arricchisce di un nuovo grado di fonti “parallele” sul medesimo grado ( es. le leggi costituzionali e di revisione costituzionale)181 ed inoltre si frantuma l’unitarietà della legge che non

è più, come era nell’800, la fonte normativa per eccellenza, espressione della più pura sovranità. Ciò avviene con l’introduzione, accanto alla funzione legislativa prevista in capo alle Camere (art. 70 Cost.), delle deroghe ad essa, costituite, segnatamente, dal referendum abrogativo (art. 75 Cost.), dal decreto delegato (art. 76 Cost.) e dal decreto legge (art. 77 Cost.). Infatti, il fatto che tali atti presentino forza di legge, implica che siano posti sullo stesso piano gerarchico della legge formale, salvo essere controllati dalla riserva di legge volta a limitare il potere regolamentare del Governo, riservando la disciplina totale o di principio (rispetto alle fonti primarie), ed escludendo che il Governo possa sostituirsi alle Camere provvedendo con atti aventi forza di legge ad atti riservati al Parlamento.

Altro aspetto che mette in crisi il criterio della gerarchia è la c.d. specializzazione delle leggi e degli