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1.Una breve panoramica sulle linee guida nel nostro ordinamento

2. le linee guida in campo sanitario

Il diritto alla salute risulta condizionato dalla presenza massiccia di linee guida, rispetto a cui è prioritario chiedersi se e come l’aumento sempre progressivo di norme non primarie, incida sulla tutela e sui diritti dei pazienti. Infatti, accade sempre più di frequente che lo spazio in cui si può intervenire con norme primarie, venga occupato da prescrizioni secondarie atipiche tecniche. In linea generale infatti, quando i dati di carattere scientifico e tecnologico si incrociano con gli interessi e i valori costituzionali, come appunto la salute, la normazione primaria cede il passo al dato tecnico scientifico che si cristallizza nelle fonti secondarie come appunto regole deontologiche739, standards qualitativi740, metodologie, protocolli741, linee guida742, che realizzano di

fatto una “sostituzione necessaria”743 della normazione primaria. Quest’ultima viene messa da parte

quando la regola tecnica prevale essendo dotata dei caratteri di oggettivitità a livello contenutistico, oltre ad essere avalutativa e neutrale in senso politico. Ciò si verifica anche quando la normativa tecnica riguarda aspetti legati a diritti fondamentali, come appunto il diritto alla salute.

Nel tempo quindi si sono sempre più imposte tecniche normative non tradizionali, poiché, secondo alcuni interpreti, risulta difficile legiferare con atti di normazione primaria, sia per la complessità dei procedimenti di adozione di tali atti, sia per la loro piena vincolatività e piuttosto che non normare, si è scelto di ricorrere ad atti di soft law come le linee guida.

739 Vale a dire “regole in cui varie categorie professionali si dotato per disciplinare, anche da un punto di vista etico, l’esercizio dell’attività

svolta e non hanno natura cautelare né rilievo esterno rispetto alle categorie interessate”.

740 Si tratta di “valori soglia (minimi e massimi) di un determinato indicatore, o a frequenze di offerta di un certo servizio o, ancora, a

performance per un determinato intervento”.

741 La differenza tra linee guida e protocolli non è ben definita. Secondo Giunta, le linee guida vanno distinte dai

protocolli sotto il profilo della specificità dei contenuti, perché a differenza di questi ultimi, le linee guida definiscono direttive generali relative al compimento di una determinata operazione o per la conduzione di una specifica di atto diagnostico o terapeutico. Inoltre i protocolli costituiscono uno schema predefinito di comportamento diagnostico- terapeutico ad esempio all’interno di un programma di ricerca clinica. Ancora, a differenza delle linee guida, i protocolli sono rigidi schemi di comportamento diagnostico e terapeutico, tipici di un programma di ricerca clinica sperimentale elaborato per assicurarne la riproducibilità e quindi l’attendibilità scientifica. GIUNTA F., Medico (responsabilità penale del medico), in Diritto penale, (a cura di) GIUNTA F., Dizionari Sistematici, Milano, Giuffrè, 2008, 876 ed anche MARINUCCI

G.,DOLCINI E., Manuale di diritto penale. Parte generale, Milano, Giuffrè, 2012, 320 ed infine DI LANDRO R., Dalle linee

guida e dai protocolli all’individuazione della colpa penale nel settore sanitario, Torino, Giappichelli, 2012, 8. È interessante

richiamare ancora Giunta che ha precisato come “il protocollo è l’applicazione di un razionale scientifico o esperenziale rispetto a

uno specifico fattore di rischio; si può dire pertanto che esso rilascia autentiche regole cautelari, ossia prescrive comportamenti con funzione preventiva; le linee guida invece solitamente prescindono dalla verifica del razionale scientifico; per questa ragione esse presentano un profilo prevalentemente metodologico non vincolante, fungendo da raccomandazioni… le linee guida dunque non costituiscono autentiche regole cautelari, ma possono delimitare l’ambito del rischio consentito nei limiti in cui non smentiscono i protocolli”. GIUNTA F., Il reato colposo

nel sistema delle fonti, Giust. Pen., 2012, II, 577.

742 Pur essendo nate come discipline private, elaborate all’interno della professione medica, si è progressivamente

assistito alla proliferazione, delle linee guida, da parte di soggetti anche istituzionali (in primo luogo le stesse strutture sanitarie), nell’ottica di individuare il “percorso ideale” non solo sul piano terapeutico, ma anche in termini di efficienza e di economicità.

743 Sulle problematiche legate all’integrazione e non alla sostituzione delle linee guida con la normativa primaria (a

differenza di quanto avviene con le regole tecniche), si richiama il pensiero di Moscarini che precisa appunto come “le

regole tecniche integrano e sostituiscono la normativa primaria, mentre le linee guida possono integrare ma non sostituire il precetto giuridico”.

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Queste ultime costituiscono indicazioni ed atti di indirizzo rivolti a medici e a pazienti e destinate a operare quando vanno decise le scelte assistenziali più appropriate nel caso concreto o meglio, secondo l’Institute of medicine, si tratta di “raccomandazioni di comportamento clinico, prodotte attraverso un processo sistematico, allo scopo di assistere medici e pazienti nel decidere le modalità di assistenza più appropriate in determinati casi”.

Le linee guida, indicano la strada delle evidenze scientifiche finalizzata alla cura del paziente e per questo alcuni le ritengono più vicine alle regole tecniche che alle norme giuridiche vere e proprie ove per regola tecnica si intenda quella regola che “prescrive una condotta in quanto mezzo per il conseguimento d’un fine dell’agente”744. Se il fine fosse la guarigione del paziente, la regola tecnica

dovrebbe necessariamente derivare da quella scientifica, ma ciò non basta per ritenere che la regola assuma una vera rilevanza giuridica laddove dovrebbe essere l’ordinamento giuridico a elaborare le norme di condotta, ma ciò ormai avviene sempre più di rado745.

Correlativamente, le linee guida, almeno apparentemente, si allontanano dal concetto di norma in senso classico, poiché risultano prive di un reale strumento coercitivo nei confronti del medico ed è proprio per questo che, secondo quanto osservato fino ad ora, appartengono alla famiglia della soft law746 se si guarda a quest’ultima come espressione di norme non del tutto vincolati747, come

sono appunto le linee guida.

Secondo la dottrina le linee guida in campo sanitario, costituiscono fonti di produzione di norme od anche “fonti normative proprie della società del rischio”, ma anche, per altri, fonti di cognizione delle leges artis748.

Per comprendere a pieno il fenomeno delle linee guida per la pratica clinica, dobbiamo fare riferimento all’attuale visione epistemologica della medicina all’interno della quale esse si sono sviluppate.

Infatti, intorno al 1900 nasce la evidence-based medicine (EBM)749, ossia una procedura di selezione

delle informazioni che intende ovviare a una serie di difficoltà intrinseche al mondo scientifico

744 GOMETZ G., Le regole tecniche. Una guida refutabile, Pisa, 2008 44. Sulla differenza tra regola tecnica e norma tecnica,

SALMONI, op.cit., 26-28 e si veda anche MAZZIOTTI DI CELSO, voce norma giuridica, op.cit., 3.

745 ANDREIS M., Attuazione del diritto alla salute e modelli di sindacato, in La tutela della salute tra tecnica e potere amministrativo,

Milano, Giuffrè, 2006, 2.

746 Vi sarebbe una differenza, non trascurabile, tra linee guida e soft law, laddove i documenti scientifici, come le linee

guida, sono privi dello scopo di attribuire diritti, nel senso che le linee guida non risolvono un conflitto tra interessi giuridicamente rilevanti, ma indicano solo la condotta suggerita dalle evidenze scientifiche.

747 MOSTACCI,op.cit., 3-5, 15-16.

748 BONANNO A.M., Protocolli, linee guida e colpa specifica in Indice penale, 2006 441 e CAMPANA T., La correlazione tra

inosservanza e/o applicazione delle linee guida e responsabilità penale del medico in Cass. Pen., 2012 547 in cui viene evidenziato

che “se le linee guida rispondono ai requisiti di efficacia e validità scientifica, se hanno raggiunto un valore consolidato nel tempo e se il

progresso scientifico nel periodo successivo alla loro emanazione non le ha rese palesemente inadeguate, possono essere utilizzate dal giudice in sede di valutazione della responsabilità”

749 BIGNAMINI A., Evidence-based medicine e linee guida di pratica clinica: soluzione o parte del problema? In Medicina e morale,

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ovvero quella medicina basata sulle prove di efficacia: centri ospedalieri e di ricerca, cominciano ad applicare i trial clinici randomizzati e si diffondono tecniche di interpretazione come la meta- analisi750 fino ad arrivare alla diffusione delle linee guida.

Queste ultime vengono riscontrate già a partire dalla metà del 1900 e la prima linea guida americana è il Redbook of infectious diseases dell’American Academy of pediatrics del 1938. Tuttavia, il loro potenziale, viene rivalutato più attentamente solo negli anni ’70 e ’80, con l’affermarsi di nuove tendenze di policy dei sistemi sanitari ed esse vengono reputate quali possibili strumenti di contenimento dei costi delle prestazioni mediche, tanto che, alla fine degli anni ’80 viene creata un’apposita agenzia governativa dedicata allo sviluppo e alla valutazione delle linee guida per la pratica clinica.751

Esse vengono individuate con una nomenclatura variegata quali “practice, parameters, practice patterns, written policies, protocols, standards, clinical practice guidelines”752, ma si preferisce utilizzare la definizione

dell’Istitute of Medicine (2011), ovvero quali “documenti che contengono raccomandazioni finalizzate a migliorare l’assistenza ai pazienti, basate su una revisione sistematica delle evidenze e sulla valutazione dei benefici e rischi di opzioni alternative”.

La creazione delle linee guida risponde all’esigenza di ridurre, sempre più, l’incertezza e la variabilità delle opzioni diagnostiche che possono dipendere, tanto da un deficit di conoscenza, tanto dalla soggettività dei criteri di scelta delle diverse strategie assistenziali.

Tale esigenza è sempre più avvertita, negli ultimi anni, come impellente, tanto che lo stesso Legislatore ne auspica un’implementazione per favorire, all’interno di ciascuna struttura sanitaria “lo sviluppo di modalità sistematiche di revisione e di valutazione della pratica clinica ed assistenziale e di assicurare l’applicazione di livelli essenziali di assistenza”753.

In via generale, la validità delle linee guida sanitarie quali vere e proprie fonti del diritto sanitario, viene inficiata da due diversi fattori.

Il primo riguarda la fase di elaborazione e stesura delle linee guida754 a cui partecipano numerosi

soggetti: se ciò da un lato è un vantaggio perché la pluralità dei soggetti costituisce una garanzia di

riferimento e che comprendono, oltre alle informazioni originate dalla evidence-based medicine le esperienze personali, le conoscenze di fisiopatologia, il parere di esperti, i vincoli economici, le scelte morali, etiche e deontologiche”.

750 DI LANDRO A., Dalle linee guida e dai protocolli all’individuazione della colpa penale nel settore sanitario. Misura oggettiva e

soggettiva della malpractice, Milano, Giuffrè, 2012, nota 20.

751 Tale agenzia era ricompresa all’interno del Department of health and human services, composta da 13 strutture

organizzative tra cui un Office for the forum of quality and effectiveness in health care dedicato alle linee guida.

752 HALL M.A., The defensive Effect of medical practice policies in malpractice litigation, 54 law & contemp. Probs., 1991, 119,

127-128, 39, TRAIL W.R.,ALLEN B.A., Government created medical practice guidelines: the opening of Pandora’s box 10, J.L. & Health, 1995, 231, 233

753 Sul punto D.lgs n. 229 del 1999.

754 Il procedimento delle linee guida si articola in numerosi passaggi: Si richama quello proposto dal Board di Guidelines

International network in cui l’ente interessato alla stesura di linee guida dovrà scegliere i soggetti che vi partecipano e in genere verrà istituito un panel di esperti comprendente medici, clinici, patologi, ricercatori, farmacologi, statistici ed anche economisti della medicina che analizzeranno la letteratura medica e formuleranno le linee guida. Il panel deve

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neutralità, ove tra più interessi confliggenti prevale necessariamente una logica selettiva e scientifica che conferisce a tali atti una certa stabilità, dall’altra i diversi soggetti potranno far prevalere, seppur indirettamente, il loro interesse, rischiando di creare conflitti.

Il secondo riguarda la molteplicità delle linee guida in campo sanitario e la loro intrinseca variabilità per aggiornamento, approfondimento ect. Ciò può produrre antinomie e conflitti, tanto che, secondo alcuni un pubblico accreditamento delle linee guida potrebbe costituire una soluzione poiché scongiurerebbe “la soggettività delle scelte senza perdere di vista la centralità dell’autorevolezza della fonte”755.

Nell’ipotesi di accreditamento pubblico gli atti di recepimento delle linee guida sarebbero atti formalmente amministrativi e dunque soggetti al regime di validità dei medesimi, ma sostanzialmente resterebbero atti di fonte privata, collocandosi nella gerarchia delle fonti “a mezza via tra regole etiche, direttive deontologiche e prescrizioni giuridiche”. In tal senso, pur avendo una provenienza dai privati, esse avrebbero una funzione integrativa della fonte primaria, sebbene la derivazione dai privati, implicherebbe la necessaria garanzia di accertare la provenienza privata e quindi andrebbe vagliata la loro normatività e verificata l’autorevolezza della fonte così come la loro correttezza metodologica.

Rispetto al rapporto tra linee guida e diritto alla salute, va sottolineato come in settori in cui domina la scienza, intervengano in modo sempre più frequente, fonti di rango secondario che trovano fondamento in disposizioni legislative, pur ponendosi spesso in contrasto, anche parziale, con queste ultime. Si richiamano i casi delle linee guida ministeriali in materia di procreazione medicalmente assistita (art. 7 legge n. 40 del 2004), delle linee guida adottate dalla Regione

poi redigere delle regole condivise. Successivamente, il panel deve indicare l’oggetto della linea guida, tenendo conto delle variabili di tipo concreto e teorico nel senso che andrà definita la patologia che il documento vuole affrontare, dei pazienti per i quali va utilizzato, analizzando gli studi presenti in letteratura. A questo punto vengono racconti, letti e selezionati i documenti della letteratura scientifica. Nella prima fase di produzione della linea guida vengono selezionati i trials clinici o altri studi scientifici e poi si da il via alla stesura delle linee guida che deve riflettere la variabilità del caso concreto e presentare un linguaggio che non le faccia percepire come obbligatorie, tanto che vanno formulate secondo il c.d. dover essere condizionale che sfuma nel suggerimento o nella proposta di un’ipotesi di condotta a seconda delle evidenze scientifiche sottostanti come di diverse variabili quali “l’entità dei benefici, dei rischi, la consistenza, la rilevanza clinica, la generalizzabilità e applicabilità”. Rispetto al linguaggio, è interessante richiamare uno studio che ha provato a classificare le espressioni utilizzabili all’interno delle linee guida in base alla percezione della vincolatività. LOMOTAN E.A.,MICHEL G.,LIN Z.,SHIFFMAN R.N., How shuld we write guideline recommendations?

Interpretation of deontic terminology in clinical practice guidelines: survey of the health services community. Qual Saf Health Care. 2010,

19(6), 509, 13. Infine, la bozza di linea guida viene presentata ad una peer review che controllano contenuto e metodologia.

755 MOSCARINI, op.cit., 112. Inoltre, come afferma De Maria: “Sebbene linee-guida e buone pratiche generalmente accreditate

siano strumenti importanti di orientamento e per la circolazione delle informazioni scientifiche, vincolarvi troppo rigidamente l’azione del medico può diminuire l'appropriatezza, scoraggiando l'adozione di scelte diagnostiche o terapeutiche diverse ma più adeguate al trattamento del singolo individuo, e può essere contrario alla tendenza attuale all'individualizzazione della medicina e alla definizione di protocolli personalizzati che tengano conto delle caratteristiche specifiche del paziente. Inoltre, la determinazione di linee-guida e buone pratiche è un processo lento, che richiede la diffusione e affermazione di una tecnica prima che essa venga riconosciuta. Tale processo rischia di venire ulteriormente rallentato; il vincolo alle pratiche correnti impedisce il cambiamento, scoraggiando gli operatori a distaccarsi da quanto già definito, e le nuove pratiche, ancorché migliori, stenteranno ad affermarsi”. DE MARIA R., Sostenibilità e riforma del Sistema Sanitario

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Lombardia in tema di interruzione volontaria di gravidanza e le linee guida di buona pratica clinica nella sperimentazione dei farmaci.

La materia della procreazione medicalmente assistita è sempre stata disciplinata da norme di rango secondario, quali circolari ministeriali756, norme contenute nel codice deontologico medico757 che,

in assenza di una disciplina di rango primario, incidevano direttamente sulla concreta applicazione delle tecniche assistite. Quindi, prima della legge n. 40 del 2004, la materia è stata interamente regolata da fonti secondarie che contenevano vere e proprie prescrizioni circa obblighi e limiti all’applicazione delle tecniche di procreazione assistita.

Nonostante l’avvento della legge 40, la normazione secondaria in tema di procreazione assistita, ha continuato ad occupare un notevole ruolo, in quanto, sono stati emanati numerosi decreti ministeriali758 contenenti linee guida in funzione attuativa della disciplina contenuta nella legge 40.

Ciò in quanto l’art. 7 di quest’ultima assegna al Ministero della Salute il compito di adottare linee guida da aggiornare periodicamente in relazione al progresso scientifico.

Tuttavia, sia le prime linee guida, del 2004, sembrano porsi in contrasto con le previsioni della legge759, sia quelle emanate successivamente, nel 2015760, che si discostano dalle indicazioni

contenute nella pronuncia della Corte Costituzionale n. 162 del 2014, avente ad oggetto l’incostituzionalità di diverse disposizioni della legge n. 40.

A seguito di tale pronuncia però, vi sono state alcune questioni circa il ricorso, da parte delle Regioni, alle norme in materia di procreazione assistita.

Infatti, alcune Regioni, pur essendo stato chiaro quanto asserito dalla Corte in merito alla possibilità di ricorrere a tale tecnica, hanno assunto proprie iniziative (condivise anche in sede di Conferenza delle Regioni e delle Province autonome), ponendo un problema di riparto di competenze tra Stato e Regioni in una materia tecnico-scientifica come la procreazione medicalmente assistita.

756 Si richiamano ad es. la c.d. circolare Degan del 1985 che recava limiti e condizioni di legittimità dei servizi per

l’inseminazione artificiale nell’ambito del Servizio sanitario nazionale; la circolare Donat- Cattin del 1987 che invece riguardava le misure di prevenzione della trasmissione dell’HIV e di altri agenti patogeni attraverso il seme umano usato per la fecondazione ed ancora la Circolare c.d. De Lorenzo del 1992 che riguardava i protocolli relativi alla selezione dei donatori nei centri che applicano la fecondazione eterologa.

757 L’art. 42 del codice deontologico medico del 1998 stabiliva che il medico nell’interesse del nascituro non potesse

applicare tecniche di maternità surrogata, di fecondazione al di fuori di coppie eterosessuali stabili, di fecondazione di donne in età avanzata o in caso di morte del componente maschile della coppia.

758 In merito alla natura di tali decreti e del loro rapporto con i regolamenti, si richiama VERONESI P., Le linee guida in

materia di procreazione assistita. Nuovi dubbi di legittimità all’orizzonte, in Studium Iuris, 2004, 11, il quale afferma si tratti di

“decreti ministeriali non regolamentari, inquadrabili tra gli atti amministrativi generali composti da norme aventi una portata regolamentare, pur essendo stati adottati senza le forme prescritte per tali atti, tenuto anche conto che danno attuazione ad una normativa significativa che incide sui diritti degli individui.

759 Le linee guida in materia di procreazione medicalmente assistita, Decreto ministeriale 21 luglio 2004, avevano

mostrato numerosi profili di incertezza e contraddizione con la legge n. 40, tanto che il Tar Lazio con sentenza n. 398 del 2008 ne aveva dichiarato l’illegittimità nella parte in cui “contrariamente alle disposizioni della legge n. 40, limitavano ogni indagine sullo stato di salute degli embrioni al solo tipo osservazionale.

760 Linee guida contenenti le indicazioni delle procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita,

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In particolare, la Regione Toscana adottava proprie linee guida volte a consentire ai centri, sia pubblici, sia privati, di effettuare la fecondazione assistita eterologa, mentre la Regione Lombardia prevedeva la fruibilità delle tecniche eterologhe solo “ponendole a carico dell’interessato”761. In tal modo,

sulla base dell’adozione di linee guida regionali, il diritto all’eterologa veniva realmente garantito in una sola regione, ove quest’ultima disponeva in ordine ad un diritto fondamentale come la salute in presenza di un vuoto normativo primario e si realizzava una doppia disciriminazione tra individui, interna alla Regione medesima e rispetto alle altre Regioni.

Sempre con questioni regionali si sono dovute misurare le linee guida per l’attuazione della legge 194. Precisamente, la Regione Lombardia aveva deciso di prendere atto delle linee guida per l’attuazione della legge n. 194 del 1978, che specificavano la legge statale, in particolare sul termine ultimo oltre cui non si sarebbe potuto accedere al trattamento di interruzione della gravidanza, introducendo quindi un limite temporale basato sulla presunzione che il feto avesse vita autonoma arrivato ad un certo numero di settimane ed impedendo in maniera assoluta, l’aborto, quando invece la legge lasciava al medico la libertà di valutare la situazione. Inoltre, le linee guida integravano la legge, introducendo delle disposizioni che aggravavano le procedure per ricorrere