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I diversi tipi di contratto di trasferimento delle tecnologie

I CONTRATTI DI SFRUTTAMENTO DELLE TECNOLOGIE

6.1.2. I diversi tipi di contratto di trasferimento delle tecnologie

I contratti di trasferimento di tecnologia possono essere suddivisi in tre tipi principali:

– contratti aventi per oggetto un brevetto,

– contratti aventi per oggetto un know-how (segreto), – contratti di insegnamento tecnico.

Queste tre tipologie di accordi si presentano a volte allo stato puro e a volte sottoforma di contratti “misti”, e cioè di contratti che mostrano la più varia combinazione di brevetti, know-how e insegnamenti tecnici.

A. I contratti di cessione e di licenza di brevetto

Nell’ambito dei contratti di trasferimento delle tecnologie brevettate si possono distinguere i contratti di cessione di brevetto dai contratti di licenza di brevetto.

Con il contratto di cessione di brevetto (nel senso di “cessione-vendita”), non diversamente da quanto avviene per i contratti di vendita di beni materiali, il cedente si priva della titolarità del brevetto a favore del cessionario, dietro pagamento di un prezzo. L’alienazione della titolarità del brevetto, naturalmente, può avvenire anche a titolo gratuito, sottoforma di donazione, o mediante altre tipologie di atti dispositivi. Trattandosi di donazione, in Italia, è necessario prestare attenzione ai più intensi requisiti formali previsti per questo tipo contrattuale (art. 782 cod. civ.).

Con il contratto di licenza di brevetto, invece, non diversamente da quanto avviene per la locazione di beni materiali, il licenziante si limita a concedere al licenziatario il solo diritto di godimento temporaneo del brevetto, conservandone la titolarità. In realtà, anche nell’ambito dei contratti c.d. di “licenza” è possibile distinguere diverse tipologie di accordi. Può accadere, ad esempio, che il licenziante non intenda, in positivo, concedere il diritto di godimento del brevetto, quanto piuttosto, in negativo, impegnarsi a non fare valere il brevetto nei confronti del licenziatario, escludendo le garanzie altrimenti connesse alla concessione in godimento del bene immateriale.

In genere, si ricorre alla stipulazione di contratti di cessione, piuttosto che a quelli di licenza, quando non si ha interesse ad essere presenti nel settore a cui si riferisce il prodotto o il procedimento brevettato.

B. I contratti di know-how (segreto)

Se si segue l’opinione prevalente, che come si è visto circoscrive la nozione di know-how alle sole informazioni che costituiscono un segreto di impresa, il contratto di know-how potrebbe essere definito come l’accordo mediante il quale una parte comunica all’altra una o più informazioni segrete, in genere dietro pagamento di un prezzo.

C) I contratti di insegnamento tecnico (o di know-how in senso lato)

Il contratto di insegnamento tecnico potrebbe essere definito come l’accordo mediante il quale una parte (“concedente” o “licenziante”) insegna ad un’altra parte (“ricevente” o “licenziataria”) come fabbricare un prodotto o come applicare un procedimento produttivo, indipendentemente dal suo carattere brevettato o segreto.

Lo scopo perseguito dal licenziatario, in questo caso, è semplicemente quello di

“imparare” come si applica una certa tecnologia, che egli non conosce del tutto o che non conosce nella stessa misura del licenziante.

Da un punto di vista oggettivo, le conoscenze tecniche che vengono impartite al licenziatario possono costituire segreti di impresa o meno, ma, in questo caso, anche quando esse siano oggettivamente segrete nel senso previsto dai già citati artt. 98 e 99 del Codice della proprietà industriale, il carattere segreto delle informazioni non è voluto dalle parti come prestazione contrattuale. Nell’eventualità contraria,

ovviamente, si rientrerebbe nell’ipotesi già esaminata del contratto di know-how (segreto).

Le conseguenze sulla disciplina legale del contratto non sono irrilevanti.

Infatti, nel caso di un vero e proprio contratto di know-how, dove il segreto è voluto come prestazione contrattuale dalle parti, il difetto di segretezza originaria del know-how potrebbe essere motivo di nullità del contratto per mancanza dell’oggetto, con la conseguenza che il licenziante non avrebbe diritto di ricevere i pagamenti pattuiti.

Al contrario, nel caso di un contratto di insegnamento tecnico, dove il segreto non è voluto come prestazione contrattuale dalle parti, il contratto sarebbe valido e il licenziante avrebbe diritto di ricevere i pagamenti pattuiti, anche se le informazioni avessero perduto l’originario carattere di segretezza. Analogamente, nell’ipotesi che stiamo qui considerando, nel caso in cui si verifichi non una carenza originaria, bensì una carenza sopravvenuta di segretezza, si dovrebbe escludere la facoltà di risoluzione del contratto ad opera del licenziatario.

Per distinguere se si sia in presenza dell’uno o dell’altro tipo di contratto, dato che le imprese tendono ad utilizzare per entrambi i casi la dizione generica di “contratti di know-how”, il giudice o l’arbitro chiamato a decidere l’eventuale controversia dovrà indagare quale sia l’effettiva volontà delle parti riflessa nelle loro determinazioni contrattuali.

Prima di concludere, è necessario ancora sgombrare il campo da una possibile obiezione.

Come abbiamo detto, un contratto di insegnamento tecnico potrebbe avere per oggetto sia delle conoscenze oggettivamente segrete sia delle conoscenze non segrete, e cioè delle informazioni che non posseggono i requisiti previsti dagli artt.

98 e 99 del Codice della proprietà industriale.

Mentre non dovrebbero esservi dubbi circa la validità di un contratto di insegnamento tecnico che abbia per oggetto delle conoscenze segrete, perché la nostra corte di cassazione ha già ammesso esplicitamente la validità dei contratti aventi per oggetto segreti di impresa (cass. 20.1. 1992, n. 659, P.Z.I. spa/Cividini Prefabbricati spa), potrebbe invece sorgere il dubbio circa la validità di tale

contratto qualora avesse per oggetto delle conoscenze non segrete. Si potrebbe infatti sostenere che una conoscenza tecnica sia suscettibile di possedere un valore patrimoniale solo a condizione che sia segreta e che, pertanto, in difetto di segretezza, il contratto sia da ritenersi comunque nullo per mancanza di causa o dell’oggetto.

Questa opinione non ci pare condivisibile e siamo invece del parere che una conoscenza tecnica non segreta possa avere un valore patrimoniale e costituire un valido oggetto contrattuale.

Per rendersene conto, basterà riflettere sul fatto che tale situazione è del tutto equivalente a quella di un tipico contratto di insegnamento: nessuno dubita, infatti, che quando un docente insegna una materia tecnica il suo insegnamento possa avere un valore e che la sua prestazione possa essere ritenuta valida e dare legittimamente diritto ad un compenso, anche se le nozioni che egli impartisce non hanno un carattere segreto, potendosi eventualmente ritrovare su libri di testo correntemente in commercio e facilmente accessibili a tutti.

Naturalmente, le conoscenze non segrete sono sottoposte ad un trattamento giuridico diverso e più sfavorevole, rispetto a quelle segrete. In primo luogo, esse non godono della tutela prevista dagli artt. 98 e 99 del Codice della proprietà industriale (vedi capitolo IV) e, in secondo luogo, il contratto che ne prevede la comunicazione non usufruirà dell’esenzione automatica per categoria prevista dal regolamento CE n° 772/2004 del 7 aprile 2004 sull’applicazione dell’art. 81 (3) del Trattato a categorie di accordi di trasferimento di tecnologia (vedi il capitolo 5.2.).

In conclusione, si può affermare che nei contratti aventi per oggetto tecnologie non brevettate occorre distinguere due diverse finalità: quella di insegnare, mediante la quale si trasmettono al licenziatario le cognizioni necessarie per fabbricare un prodotto o applicare un procedimento, e quella di rivelare dei segreti industriali, mediante la quale si intende attribuire al licenziatario anche una certa esclusiva, sia pure di fatto, derivante dalla non generale notorietà e accessibilità della conoscenze ai tecnici del settore.

Nel primo caso siamo in presenza di un “contratto di insegnamento” tecnico, mentre nel secondo caso siamo in presenza di un contratto di comunicazione di segreti. Sovente, accade poi che il contratto sia il risultato di una combinazione di questi due tipi di prestazioni.

6.2. LE NORMATIVE SUI CONTRATTI DI TRASFERIMENTO DI TECNOLOGIA

Nella negoziazione e nella redazione del contratto di trasferimento di tecnologia si deve tenere presente che le parti non sono completamente libere di prevedere ogni sorta di pattuizione. Determinate clausole, infatti, potrebbero non essere valide secondo la normativa applicabile al contratto.

Tra i diversi tipi di normative che possono produrre effetti sui contratti di trasferimento di tecnologia, si possono citare: le norme antitrust, le legislazioni sulle importazioni tecnologiche, le norme sulle obbligazioni e i contratti, le norme di diritto internazionale privato e processuale (legge applicabile, foro competente, arbitrato), le leggi e i codici in materia di diritti di proprietà industriale e intellettuale, le normative valutarie e fiscali, le leggi e i codici sugli investimenti.

Tuttavia, le legislazioni che incidono più a fondo sui contratti di trasferimento di tecnologia sono le normative antitrust dei paesi industrializzati e le leggi sulle importazioni di tecnologia dei paesi in via di sviluppo. Le prime sono generalmente volte a mantenere un livello di concorrenza accettabile nel mercato (c.d. workable competition), le seconde sono invece dirette a proteggere l’impresa locale nei confronti dell’impresa straniera. Entrambe le normative devono essere tenute in particolare considerazione poiché possono comportare gravi effetti negativi, quali la nullità o l’inefficacia di determinate clausole contrattuali o dell’intero contratto.

Le leggi sull’importazione di tecnologia hanno avuto un ruolo importante soprattutto nel ventennio 1970-1990, alla fine del quale raggiungevano la loro massima espansione, diffondendosi in paesi quali: Messico, Patto Andino (Bolivia, Colombia, Ecuador, Perù e Venezuela), Brasile, Argentina, Cina, India, Nigeria, Jugoslavia, Polonia, ed altri.

Queste leggi stabilivano che il contratto di trasferimento di tecnologia dovesse essere sottoposto alla preventiva autorizzazione di un organo nazionale competente, prima di potervi dare esecuzione.

L’autorizzazione poteva essere negata in caso di pagamenti non congrui, di clausole di divieto di esportazione, di limiti ai quantitativi di produzione, e così via. La mancata autorizzazione poteva dar luogo, a seconda dei casi, alla nullità o all’inefficacia del contratto, all’esclusione del diritto di ricevere i pagamenti, o a conseguenze di natura fiscale (indeducibilità dei pagamenti, esclusione di eventuali agevolazioni fiscali).

Oggi, queste normative rivestono un ruolo molto meno importante, a causa del processo di generale liberalizzazione economica che ha interessato le due aree principali nelle quali esse avevano trovato una particolare diffusione: i paesi latino-americani e i paesi dell’est europeo.

Al contrario, mentre le legislazioni protezioniste hanno perso importanza, in molti paesi sono andate sempre più affermandosi le normative antitrust, che costituiscono ormai la principale fonte di regolazione dei contratti di trasferimento di tecnologia.

Tra le legislazioni antitrust, quelle che rivestono la maggiore importanza per le nostre imprese sono la normativa antitrust dell’Unione Europea e, a partire dal 1990, anche quella italiana.

6.3. LA NORMATIVA ANTITRUST DELL’UNIONE EUROPEA E ITALIANA. ILREG. CE

N° 772 DEL2004

Nell’Unione Europea, i contratti di trasferimento di tecnologia sono disciplinati dalle norme del Trattato ed, in particolare, dall’art. 101 (già art. 81 e, in precedenza, art. 85).

6.3.1. L’art. 101 del trattato dell’UE

Come è noto, l’art. 101, par. 1 del Trattato stabilisce che sono vietate le intese, e dunque anche gli accordi relativi ai contratti di trasferimento di tecnologia, che rechino pregiudizio al commercio tra gli Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare la concorrenza nel mercato comune. Le intese vietate sono nulle, secondo quanto previsto dal par. 2 dello stesso articolo.

Le intese vietate possono tuttavia usufruire di un’esenzione qualora ricorrano certe condizioni positive (miglioramento della produzione, distribuzione, progresso tecnico ed economico, riservando comunque congrua parte dell’utile agli utilizzatori), e quando non sussistano certe condizioni negative (le restrizioni non devono portare ad eliminare la concorrenza per una parte sostanziale dei prodotti di cui si tratta, e devono essere indispensabili per il conseguimento delle condizioni positive sopra specificate).

Prima dell’entrata in vigore della riforma del diritto antitrust comunitario il 1°

maggio 2004 con Regolamento CE n° 1/2003 del 16.12.2002 (in GUCE L1 del 4.1.2003), l’esenzione era di due tipi: “individuale” o “per categoria”.

Ora l’esenzione individuale non è più richiesta. Pertanto, spetta alle parti interessate valutare (self assessment), sulla base dei regolamenti di esenzione per categoria o di altri fonti normative o giurisprudenziali applicabili al caso di specie, se la loro intesa sia o meno conforme all’art. 81§§ 1 e 3 del Trattato.