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IL KNOW-HOW E IL SEGRETO DI IMPRESA

4.1. COSÈ ILKNOW-HOW

La nozione di “know-how” è nata nella prassi commerciale e non è stata ancora pienamente recepita dai diversi ordinamenti giuridici.

Dal punto di vista letterale, il termine “know-how” è l’abbreviazione dell’espressione anglo-americana “The know-how to do it”: “il sapere come farlo”.

Si tratta, come si vede, di una nozione generica, che nell’attività di impresa viene comunemente riferita a qualsiasi conoscenza suscettibile di applicazione economica e, in particolare, alle conoscenze relative alla fabbricazione di un prodotto, all’applicazione di un procedimento produttivo, alla prestazione di un servizio, alla commercializzazione di prodotti, e così via.

Dal punto di vista giuridico, una nozione così ampia è subito parsa poco soddisfacente perché può riferirsi, indistintamente, a conoscenze che presentano forti difformità di tutela giuridica.

Si è quindi proposto di distinguere, nell’ambito delle conoscenze di impresa, quelle brevettate, che come si è visto sostituiscono l’oggetto di un diritto di esclusiva legale, da quelle non brevettate che, come vedremo, sono tutelate in modo più attenuato. L’uso del termine “know-how” è stato così riservato alle sole conoscenze non brevettate.

Si è poi discusso, ma per la verità con riflessi piuttosto marginali sotto il profilo normativo, se il know-how dovesse riferirsi alle sole conoscenze tecniche o anche a quelle commerciali, e alle sole conoscenze trasmissibili per iscritto (technical documentation) o anche a quelle trasmissibili verbalmente (technical assistance), o mediante attività dimostrativa (show-how). In realtà, a ben vedere, non c’è ragione di escludere l’uno o l’altro tipo di conoscenza, dato che esse non differiscono sensibilmente per il tipo di trattamento giuridico.

Si potrebbe quindi affermare che con il termine know-how si intendono le conoscenze non brevettate, tecniche o commerciali, trasmissibili per iscritto o in altra forma.

Tuttavia, anche questa nozione è sembrata piuttosto generica.

Si è quindi proposto da più parti di distinguere ulteriormente le conoscenze non brevettate in due distinte categorie, che presentano importanti differenze di tutela legale: le conoscenze segrete e le conoscenze non segrete.

Secondo l’opinione oggi prevalente, con il termine know-how si dovrebbero intendere le sole conoscenze segrete.

Il know-how, in conclusione, potrebbe quindi essere definito come l’insieme delle conoscenze segrete, non brevettate, tecniche o commerciali, trasmissibili per iscritto o in altra forma.

Così posta, la nozione di know-how viene a coincidere con quella di segreto di impresa.

Naturalmente, ci si potrebbe domandare, e non a torto, se sia utile questa duplicazione di termini: “know-how” e “segreto”, utilizzati entrambi per designare un’identica fattispecie giuridica; e, soprattutto, se non sia troppo restrittivo limitare la nozione di know-how alle sole conoscenze segrete, visto che le imprese tendono ad utilizzarla nei loro rapporti contrattuali anche in riferimento alle conoscenze non segrete.

Comunque, nonostante queste perplessità, condivise da chi scrive, non si può non prendere atto di questa interpretazione prevalente, evitando in linea di massima di usare il termine know-how nel caso di accordi di comunicazione di conoscenze non segrete per evitare eventuali dubbi interpretativi in merito all’effettivo oggetto del contratto. In questo caso, si potrà talvolta utilizzare l’espressione “assistenza tecnica”, specialmente quando si preveda la prestazione di servizi di addestramento e di training.

La discussione sul know-how, come si è visto, ci ha condotto a trattare il tema del segreto di impresa.

Ci domandiamo quindi: come si distinguono le conoscenze segrete da quelle non segrete? Di quale tutela godono le conoscenze segrete? Come differisce questa tutela da quella brevettuale? Come è possibile proteggere il segreto?

4.2. IL SEGRETO DI IMPRESA E LA SUA TUTELA

In Italia, le disposizioni a tutela del segreto di impresa sono previste in varie norme, tra le quali ricordiamo le seguenti: l’articolo 2598 Cod. civ. (concorrenza sleale), gli articoli 98 e 99 del Codice della proprietà industriale che riprendono l’articolo 6-bis dell’abrogata legge invenzioni italiana di adeguamento della normativa nazionale all’accordo internazionale GATT-TRIPS; l’articolo 2105 Cod. civ. (obbligo di segretezza del dipendente); gli articoli 621 Cod. pen.

(documenti segreti), 622 Cod. pen. (segreto professionale) e 623 Cod. pen.

(segreto industriale).

Le norme di diritto industriale che più direttamente tutelano il segreto sono previste agli articoli 98 e 99 del Codice della proprietà industriale. Esaminiamo dunque il contenuto di queste norme, anche perché, data la loro derivazione da un accordo internazionale, possono fornire un’idea, sia pure di larga massima, viste le differenze normative ancora esistenti, su quale possa essere la tutela del segreto anche in altri paesi che abbiano ratificato il medesimo accordo.

Il segreto aziendale tutela le informazioni soggette al legittimo controllo del loro detentore, a condizione che dette informazioni siano segrete, abbiano valore economico in quanto segrete e siano sottoposte a misure ragionevoli a mantenerle segrete (art. 98 Codice PI).

Con il termine “segreto” si intendono le informazioni aziendali che, singolarmente o nel loro insieme o combinazione, non siano generalmente note o facilmente accessibili agli esperti del settore. Come si può notare, si tratta di criteri diversi e più attenuati rispetto ai requisiti di “novità” ed “attività inventiva” previsti dalla normativa sui brevetti di invenzione.

Così chiarita la nozione di segreto, la normativa in esame impone ai terzi il divieto di rivelare, acquisire od usare tali informazioni “segrete” in modo abusivo, salvo il caso in cui esse siano state conseguite in modo indipendente dal terzo.

Occorre osservare che la tutela del segreto si colloca su un piano differente rispetto alla tutela brevettuale: diverso a nostro avviso è il bene giuridico tutelato, diversi sono i requisiti della protezione e diverso, infine, è il tipo di tutela giuridica apprestata dall’Ordinamento. In quanto al bene giuridico, il brevetto tutela l’invenzione mentre il segreto tutela il diritto alla riservatezza, ossia la relazione di

confidenzialità che si instaura tra il soggetto e le informazioni; in quanto ai requisiti della tutela, il brevetto richiede la sussistenza dei già citati requisiti di novità e attività inventiva (oltre all’industrialità), mentre il segreto richiede che le informazioni non risultino generalmente note o facilmente accessibili; infine, la tutela brevettale ha un carattere assoluto e può essere fatta valere contro chiunque utilizzi l’invenzione brevettata, mentre la tutela del segreto non può essere azionata contro chiunque, ma solo nei confronti di chi si appropri in modo abusivo delle informazioni detenute dal terzo, violando così le misure poste a protezione del segreto, o di chi le acquisisca e le usi in modo abusivo. Questa distinzione di tutela giuridica comporta che i diritti sul segreto aziendale, diversamente da quelli brevettuali, non possano essere fatti valere nei confronti del terzo che giunga in modo indipendente ad ottenere le medesime informazioni da altri già utilizzate in regime di segreto, o nei confronti di chi acquisisca ed usi un’informazione segreta in buona fede, senza “abuso” del diritto di segreto altrui.

4.3. LA DIFESA DEI SEGRETI IN AZIENDA E NEI RAPPORTI CON I TERZI

L’art. 98 del Codice della proprietà industriale non sembra prevedere una tutela, per così dire, automatica del segreto.

La norma stabilisce, infatti, che i soggetti interessati alla difesa delle proprie informazioni hanno l’onere di adottare “misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”.

Se queste misure non vengono adottate, non si avrebbe dunque tutela del segreto, se non, forse, avvalendosi dell’eventuale applicazione di altre norme (art. 2598 in materia di concorrenza sleale).

L’adozione di idonee misure dovrà attuarsi sia all’interno dell’azienda sia nei rapporti con i terzi.

In particolare, è consigliabile identificare quali siano le informazioni che si intendono sfruttare in regime di segreto (documenti tecnici, documenti commerciali, e così via). Quindi sarà opportuno contrassegnare questa documentazione con la dicitura “segreto” o altra equivalente e conservarla in luoghi non facilmente accessibili ai non addetti ai lavori. Analogamente sarà opportuno adottare misure di riservatezza nel trattamento dei dati elettronici.

Si dovrà valutare inoltre, a seconda dell’importanza dei segreti di cui si tratta, se non sia anche il caso di prevedere appositi accordi di segretezza con i propri dipendenti. Questi accordi possono essere utili per rafforzare l’obbligo di segretezza del dipendente già specificamente previsto per legge (si confronti, in particolare, l’art. 2105 cod. civ.) e, soprattutto, per prolungarlo oltre la cessazione del rapporto. Si è ritenuto, infatti, che l’obbligo di segretezza contemplato dall’art.

2105 cod. civ. sussista solo in pendenza del rapporto di lavoro; anche se la nuova disciplina prevista dagli artt. 98 e 99 del Codice della proprietà industriale potrebbe ora essere ritenuta applicabile a questa fattispecie.

Per quanto riguarda invece i rapporti con i terzi, di norma, occorrerà evitare di fornire informazioni non strettamente necessarie all’esecuzione del contratto.

Inoltre, sarà in ogni caso opportuno sia concludere accordi di riservatezza che regolino la comunicazione di informazioni nella fase delle trattative precontrattuali, sia pattuire apposite clausole di segretezza nell’ambito del testo contrattuale.

LE AZIONI LEGALI A DIFESA