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4.6 «Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo»: Discorso sulle donne di Natalia Ginzburg

«NON HO MAI SMESSO DI SCRIVERE A MODO MIO» Per un profilo di Alba de Céspedes

II. 4.6 «Le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo»: Discorso sulle donne di Natalia Ginzburg

Nelle fitte trame epistolari decespediane rientra anche un’altra grande firma del Novecento: Natalia Ginzburg. Quest’ultima aveva assunto una certa rilevanza sulle pagine di «Mercurio» nel 1948 per il celebre scritto intitolato Discorso sulle donne:129 in esso ella giudicava un articolo apparso subito dopo la Liberazione, dai tratti, a suo dire, esageratamente pomposi, ricamati attorno ad una evidente ovvietà tematica. Nello specifico Ginzburg osserva come il pezzo – riguardante il tema della condizione della donna – ripercorresse profili femminili privi di quella necessaria verosimiglianza richiesta dalla trattazione della questione:

avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con grandi cappelli e bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante.130

L’articolo prosegue descrivendo in maniera più approfondita il significato da lei attribuito alla metafora del pozzo utilizzata nel passo precedente:

m’è successo di scoprire nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che m’induceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai. Due donne infatti si capiscono molto bene quando si mettono a parlare del pozzo oscuro in cui cadono e possono scambiarsi molte impressioni sui pozzi e sull’assoluta incapacità di comunicare con gli altri e di combinare qualcosa di serio che si sente allora e sugli annaspamenti per tornare a galla.131

In tale contesto l’immagine del pozzo diviene metafora del sentimento di profonda desolazione connaturato nell’animo femminile. A riprova di ciò, la stessa Ginzburg dichiara di provare tale spaesamento, accompagnato ad una marcata desolazione, un tratto riscontrabile in tutte le donne e per questo materia di confronto tra le stesse: tale passo suggerirebbe una spiegazione ulteriore alla

129 NATALIA GINZBURG, Discorso sulle donne, in «Tuttestorie», nn. 6-7, dicembre 1992, pp. 58-61. 130 Ivi, p. 58.

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scelta operata dalla narratrici di soffermarsi – seppure con modalità differenti – a tratteggiare la questione femminile.

Il pezzo prosegue restituendo una panoramica di profili di madri, mogli e lavoratrici attraversate da tale stato psicologico, citati da Natalia a riprova di quanto affermato in apertura all’articolo. Le immagini si susseguono incalzate dal ricorrere anaforico dell’espressione «Ho conosciuto», a cui in un secondo tempo seguono i verbi «Ho incontrato», «Ho cercato»: tale espediente contribuisce a rendere partecipe il lettore di un processo di autoconoscenza e riflessione interiore, del quale la romanziera riporta i risultati nel testo. Tutte le donne «nel pozzo ci cascano»,132 provando una sofferenza «che gli uomini non conoscono forse perché […] più in gamba a dimenticare se stessi»133 e non pare esservi alcun rimedio a tale stato di natura, dato che fin dall’adolescenza «Le donne pensano molto a se stesse e ci pensano in un modo doloroso e febbrile che è sconosciuto a un uomo».134 La maternità aggrava questo stato emotivo, facendo sorgere nuovi timori nell’animo femminile. Nonostante questo però, secondo Ginzburg, l’assenza di figli «è la peggiore disgrazia che possa avere una donna perché a un certo punto diventa deserto e noia e sazietà di tutte le cose che si facevano prima con ardimento».135 Il ritratto delineato dalle parole di Natalia pare anticipare la vicenda di Paola Masino, condannata, dopo l’uscita del suo ultimo capolavoro del 1945, a non ritrovare alcuna passione artistica. Non è possibile confermare se l’autrice dell’articolo si sia effettivamente ispirata alla sua figura; ciò che è assodato è una significativa aderenza di riferimenti presenti nella conclusione del Discorso: «a un certo punto ˂le donne senza figli˃ ricascano con paura e vergogna e disgusto di sé e non riescono più a scrivere libri e neppure a leggerne, non riescono più a interessarsi a niente che non sia il loro personale guaio che tante volte non sanno spiegarsi bene e gli danno dei nomi diversi».136

132 Ivi, p. 59. 133 Ibid. 134 Ivi, p. 60. 135 Ibid. 136 Ivi, p. 61.

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La conclusione tenterà di fornire una spiegazione al destino inevitabile e desolante della dimensione del femminile:

Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiavitù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi con le unghie e coi denti dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perché un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di sé stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch’io per la prima volta perché se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finché sarà così popolato d’una schiera di esseri non liberi.137

Occuparsi di se stessi, secondo Ginzburg, equivale a intraprendere la ricerca di una maggiore libertà personale. Le donne, al contrario, si sono sempre ritrovate in una condizione di «schiavitù» e tale stato di assoggettamento perdura da parecchi secoli. L’autrice dell’articolo, pertanto, sottolinea in maniera marcata la necessità per la dimensione femminile di concentrarsi nel contrastare l’abitudine di «cascare nel pozzo», dinamiche che non riguarda mai un essere libero.

Se il pezzo giornalistico di Ginzburg appare incentrato sulle tematiche dello smarrimento e della desolazione connaturato nell’animo della donna, Alba de Céspedes non abbraccerà le medesime teorie nella sua Lettera a Natalia Ginzburg,138 apparsa sullo stesso numero di «Mercurio»:

voglio scriverti due parole appena finito di leggere il tuo articolo.

È così bello e sincero che ogni donna, specchiandosi in esso, sente i brividi gelati nella schiena. Tuttavia, per un momento, avevo pensato di non pubblicarlo, temendo di commettere un’indiscrezione verso le donne nel rivelare questo loro segreto. Inoltre pensavo che gli uomini lo avrebbero letto distrattamente, o con la loro vena di ironia, senza intuire l’accorata disperazione e il disperato vigore che è nelle tue parole, e avrebbero avuto una ragione di più per non capire le donne e spingerle nel pozzo.139

L’esordio della missiva annuncia le tematiche destinate a trovare un approfondimento nel corso dell’articolo: la ‘caduta nel pozzo’ – metafora di uno stato di prostrazione interiore – è una condizione condivisa da tutta la sfera femminile – Alba compresa – causata dall’uomo. Tuttavia, al

137 Ibid.

138 ALBA DE CÉSPEDES, Lettera a Natalia Ginzburg, in «Tuttestorie», nn. 6-7, dicembre 1992, pp. 61-63. 139 Ivi, p. 61.

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contrario di Natalia, l’autrice dell’epistola considera tale stato emotivo, il simbolo della superiorità morale delle donne rispetto all’universo maschile:

Ti dirò che nel pubblicare il tuo «discorso» ho dovuto vincere un senso istintivo di pudore: lo stesso, certo, che tu avrai dovuto vincere nello scriverlo. Poiché anch’io, come te e come tutte le donne, ho grande e antica pratica di pozzi: mi accade spesso di cadervi e vi cado proprio di schianto, appunto perché tutti credono che io sia una donna forte e io stessa, quando sono fuori del pozzo, lo credo. Figurati, dunque, se non ho apprezzato ogni parola del tuo scritto.

Ma – al contrario di te – io credo che questi pozzi siano la nostra forza. Poiché ogni volta che cadiamo nel pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano, e nel raffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono di comprendere tutto quello che gli uomini – i quali non cadono mai nel pozzo – non comprenderanno mai. È questo il difetto degli uomini, a parer mio: quello di non abbandonarsi mai totalmente, mai lasciarsi cadere nel pozzo.140

Diversamente da quanto si potrebbe ritenere, secondo la giornalista l’uomo vivrebbe in uno stato di difetto rispetto alla donna, poiché non risulta soggetto ad alcun tipo di fragilità emotiva. Proprio questa desolazione interiore, infatti, consentirebbe all’universo femminile di vivere esperienze di un certo spessore, utili a comprendere davvero le «radici del nostro essere umano». La tesi decespediana, quindi, seppure in un primo momento trova delle convergenze con il pensiero di Ginzburg, successivamente proporrà delle argomentazioni differenti. A sostegno di quanto dichiarato, Alba aggiungerà:

E noi siamo spesso infelici in amore appunto perché vorremmo trovare un uomo che anche lui cadesse qualche volta nel pozzo e, tornando su, sapesse quello che noi sappiamo. Questo è impossibile, vero, cara Natalia? e perciò è impossibile per noi veramente essere felici in amore. Ma quando si cade nel pozzo si sa anche che essere felici non è poi molto importante: è importante sapere tutto quello che si sa quando si viene su dal pozzo.

Del resto […] sono sempre gli uomini a spingerci nel pozzo; magari senza volerlo. […] Le donne possono farci cadere nell’ira, nella cattiveria, nell’invidia, ma non potranno mai farci cadere nel pozzo.141

La ‘caduta nel pozzo’ è generata da un’evidente incompatibilità linguistica tra le dimensioni del maschile e del femminile. L’uomo, seppure è spesso responsabile del crollo emotivo vissuto dalla donna, non sarebbe consapevole della propria colpevolezza. Tuttavia, l’esperienza del pozzo non

140 Ivi, p. 62. 141 Ibid.

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dovrebbe assumere una connotazione negativa. L’articolo approfondisce il tema nei termini seguenti:

Sì, devi ammetterlo, sono proprio gli uomini a spingerci nel pozzo. I figli pure sono uomini, e i fratelli, i padri; ed essi tutti con le loro parole, e più ancora con i loro silenzi, ci incoraggiano a cadere nel pozzo smemorante ove loro non possono raggiungerci e noi possiamo esser sole con noi stesse. […] E gli uomini non solo ignorano l’esistenza di questi pozzi, e tutto ciò che s’impara quando si cade in essi, ma ignorano anche d’esser proprio loro a spingervi le donne con tanta spietata innocenza. Anche i magistrati ignorano tutto ciò, perché i magistrati – appunto – sono uomini. E non è giusto che le donne siano giudicate soltanto da chi non conosce come esse sono veramente, e perché agiscono in un modo piuttosto che in un altro, mentre gli uomini sono sempre giudicati da coloro che, per essere della loro stessa natura, sono i più adatti ad intenderli.142

Non è la caduta nel pozzo a collocare la donna in una posizione di svantaggio, al contrario tale crisi si tramuta in un’opportunità di proficua autoanalisi. È l’incompatibilità tra la capacità introspettiva femminile e maschile a generare delle complicazioni. Secondo Alba, infatti, le complessità nascerebbero nel momento in cui ruoli determinanti – quali le posizioni nella magistratura – rimangono una prerogativa dell’uomo, contraddistinto da una sensibilità differente. Una soluzione plausibile sarebbe quella di favorire l’accesso alle professioni a entrambi i sessi. Per questo il primo passo da compiere per la donna – a detta di de Céspedes – sarebbe l’acquisizione di un’analisi corretta relativa alla propria condizione:

Tu dici che le donne non sono esseri liberi: e io credo invece che debbano soltanto acquisire la consapevolezza delle virtù di quel pozzo e diffondere la luce delle esperienze fatte al fondo di esso, le quali costituiscono il fondamento di quella solidarietà, oggi segreta e istintiva, domani consapevole e palese, che si forma fra donne anche sconosciute l’una dall’altra. Del resto essere liberi dal dolore, dalla miseria umana, è veramente un privilegio? La superiorità della donna è proprio nella possibilità di finire su una panchina, come tu dici, in un giardino pubblico, anche se è ricca, anche se scrive o dipinge, anche se ha occhi belli, gambe belle, bocca bellissima. Anche se ha vent’anni. Perché neppure la gioventù dà alla donna la sicurezza che tanto spesso possiedono gli uomini, e che è solo ignoranza della reale condizione umana.143

Se da un lato Ginzburg riconosceva nell’immagine del pozzo il simbolo dell’assenza di libertà per la donna, dall’altro de Céspedes non gli attribuirà il medesimo significato: al contrario, sarà esso stesso l’emblema della «superiorità della donna». Tuttavia, per poter abbracciare tale visione

142 Ivi, p. 63. 143 Ibid.

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l’emisfero femminile dovrà acquisire «la consapevolezza delle virtù di quel pozzo». È interessante notare, pertanto, il dibattito sollevato da una tematica sottoposta all’attenzione di diverse autrici, le quali dimostrano opinioni differenti in merito, argomentandole in maniera diversa: Natalia opterà per la forma dell’articolo di periodico, enumerando i casi a sostegno della propria tesi, Alba, invece, prediligerà la colloquialità della lettera privata, procedendo secondo una via più teorica. La pagina di giornale – e nel caso specifico di «Mercurio» – diverrà il terreno ideale per simili scambi d’opinione. La missiva si conclude ribadendoil concetto espresso nei passi precedenti:

volevo dirti che, a parer mio, le donne sono esseri liberi. E, tra l’altro, volontariamente accettano di essere spinte nel pozzo; delle sofferenze che esse patiscono nel pozzo vorrei parlarti a lungo, perché tutte le sofferenze sono nella vita delle donne; ma allora, per essere perfettamente onesta, dovrei anche parlarti di tutte le gioie che esse trovano in loro.

E di queste non posso parlarti oggi perché mi trovo – come spesso – nel pozzo.144

Il finale ad effetto è preceduto dal concetto esposto nell’epistola decespediana: lo stato di libertà riguarda anche la donna e il pozzo, oltre ad essere fonte di sofferenze, è una sorgente di felicità. L’autrice dichiara di condividere ella stessa un simile stato di afflizione, ma al contempo è evidente come ella sia consapevole dell’impossibilità di fornire una spiegazione a tale condizione.

Lo scambio di opinioni tra Natalia e Alba esemplifica la commistione di generi tipica del Novecento: le pagine di «Mercurio» ospitano la forma della lettera, avviando un dialogo tra forme di scrittura differenti.

Nel caso specifico, risulta significativa la missiva, priva di datazione, inviata dalla stessa Ginzburg a de Céspedes. In essa, Natalia scrive:

Quale sia il difetto principale del marito italiano, non so. Mi è difficile generalizzare. E del resto non credo che vi siano, tra le varie popolazioni, differenze sostanziali: credo si possano osservare tra le une e le altre, solo particolarità irrilevanti.

So qual è il difetto del mio proprio marito: il credere che tutti gli altri siano fatti come lui.

Non riesce a rendersi conto che hanno, gli altri, uno spirito congegnato diversamente dal suo. Non riesce a rendersi conto che lui si muove con agilità e leggerezza là dove altri penano e faticano. Lui può amare con piena intensità molte cose diverse, e non sa e non immagina che altri possano amare ed inseguire una sola ed unica cosa. Perciò gli altri gli sembrano pigri e distratti.

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Io non so nemmeno bene se questo sia il suo difetto principale. So che è, tra i suoi difetti, quello che mi fa arrabbiare di più. So che lui mi vede fatta a sua immagine e somiglianza. E così si stupisce e si sdegna perché io uso comportarmi, nella vita, in modo molto differente dal suo. Io leggo sempre gli stessi libri; vedo sempre le stesse persone; faccio sempre le stesse cose. Ho un temperamento opposto al suo, e cioè sono abitudinaria, senza estro nelle mie giornate, senza nessuna fantasia nei gusti. Sono di umore piuttosto uniforme, e incline alla malinconia. Lui è invece di umore capriccioso.

La nostra vita quotidiana si svolge dunque in questo contrasto: io difendo le mie monotone abitudini, lui cerca di travolgermi nelle sue ore vertiginose. È di umore capriccioso, e le sue sensazioni sono sempre imprevedibili. Quando lo credo sul punto di scoppiare in collera, lo vedo svicolare in uno scherzo; quando mi aspetto uno scherzo, esplodono le folgori dell’ira. La sua volontà muta non nello spazio d’un giorno, ma di un’ora; il suo pensiero è nobile e agile quanto il mio è statico; il suo pensiero è pronto a inseguire, nella stessa giornata, mille cose e persone diverse. E mi crede fatta a sua immagine e somiglianza; e lo meraviglia la mia totale e assoluta incapacità di agire nella sua stessa maniera.

Avendo io un temperamento opposto al suo, lui ha delle necessità diverse. A lui queste necessità diverse dalle sue sembrano errori, testardaggini, difetti della volontà. Gli spiego che io non sono fatta come lui. Mi risponde che lo sa bene. Ma io ho la certezza che nelle più riposte pieghe del suo spirito, è persuaso che io son fatta come lui, e che mi comporto diversamente da lui per errore.

Natalia Ginzburg145

L’epistola esemplifica il dialogo esistente tra la pagina privata e quella pubblica del periodico: svariati tratti teorici esposti nel Discorso sulle donne, infatti, sono riconoscibili nella missiva, come lo è uno stile basato sull’impiego dell’anafora – ricorre ad esempio l’uso del verbo ‘so’ e dell’avverbio ‘non’ – per rimarcare determinate considerazioni. La lettera è costruita sulla contrapposizione tra Natalia e il marito: la letterata diverge dal coniuge per indole e temperamento. Se nel testo pubblicato su «Mercurio» Ginzburg riconosceva nell’uomo il difetto di non essere in grado di comprendere la donna, tale riflessione trova piena aderenza nell’immagine di Leone. Egli, infatti, ritenendo la moglie «fatta a sua immagine e somiglianza», giudica la diversità della donna un comportamento avvenuto «per errore».

Lo studio delle fonti d’archivio, pertanto, diviene uno strumento indispensabile per ricostruire quel dialogo che lega la scrittura privata alla produzione creativa. Risulta condivisibile, quindi, la teoria espressa da Silvia Zancanella, secondo cui «Le raccolte epistolari […] costituiscono spesso lo spazio di confluenza per riflessioni, temi, divagazioni, giochi linguistici intrecciati saldamente fra

145 La lettera è stata redatta su carta velina con penna a inchiostro blu e risulta priva di busta (in FDC, serie

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loro e non sempre comprensibili se separati dalla loro interdiscorsività».146 Gli epistolari, perciò, racchiudono una ricchezza letteraria di inestimabile pregio, in quanto consentono di penetrare – in maniera efficace e passando attraverso il lato emotivo e personale di chi le redige – la dimensione della scrittura, cogliendo una serie di aspetti necessari a gettare luce sulle numerose zone d’ombra che inevitabilmente avvolgono ogni profilo intellettuale. Lo studio di quali siano stati i destinatari contattati con maggiore frequenza, inoltre, consente la ricostruzione di quella vasta ragnatela di rapporti stabilitasi tra scrittori, poeti, critici e giornalisti.

In questo caso, è evidente la centralità della figura di de Céspedes nel circuito culturale coevo. Un ventaglio di relazioni così ampio consente di comprendere l’attitudine della narratrice a intessere numerosi legami con profili di un certo spessore, con cui avveniva uno scambio costante di opinioni in termini di poetica e di politica sociale. Tali personalità divengono addirittura protagoniste di scritti di carattere privato. Un esempio è il testo umoristico dal titolo Per Paola

Masino (La Massaia) –147 con un evidente riferimento al volume masiniano più celebre – redatto in occasione di alcune recite messe in scena in casa di Alba e avvenute, secondo una ricostruzione del personale del Fondo Alba de Céspedes, tra 1945 e il 1948:

MARCELLA

Che bella primavera sui verdi Pratolini sui rami già fioriti cantano gli Usellini,148 splende il sole sul cielo, l’aria è senza foschia questa lieta novella darò alla figlia mia. Un’animuccia tenera sempre serena e gaia che resta sempre in casa per fare la massaia.149

Paola,150 buon dì, c’è il sole non vedi che giornata?

Lascia stare il rammendo e fa una passeggiata! PAOLA

No, non andrò, stanotte dormii settecent’anni e mi sono destata carica di malanni.

146 In FDC, serie Corispondenza, sottoserie Scrittori, busta 30-fascicolo 20.

147 Si tratta di un testo composto da undici pagine dattiloscritte e privo di data (in FDC, serie Testi di recite, busta 103-

fascicolo 1). Sono stati evidenziati in grassetto gli elementi riconducibili a profili intellettuali oppure a opere celebri, mentre i termini che recano la lettera maiuscola sono originali.

148 L’autrice propone un chiaro riferimento all’immagine del pittore italiano Gianfilippo Usellini.

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