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3.3 «Quartiere Pannosa è stato costruito per gli impiegati dello Stato»: fisionomia del romanzo Periferia

CAPITOLO PRIMO

I. 3.3 «Quartiere Pannosa è stato costruito per gli impiegati dello Stato»: fisionomia del romanzo Periferia

Da una lettera manoscritta rimasta inedita, inviata da Anna Maria Ortese all’amica Paola Masino il 25 giugno 1937, l’autrice napoletana confesserà tutto il proprio apprezzamento per «un libro unico […] un’opera […] singolare»,196 e articolerà il proprio giudizio, sottolineando che «Ciò che ne forma la singolarità è, […] più che la trama e l’ambiente, la semplificazione lucida, disperata, potente che la Sua penna fa della troppo falsata psicologia infantile. Semplificazione che […] a volte tocca il cielo di una poesia nuda, bella, senza pari».197 L’opera in questione è Periferia, ritratto dissacrante del rapporto coniugale e genitoriale: dopo il caso di Monte Ignoso, anche questa nuova opera contesterà l’istituzione della famiglia così concepita secondo il modello fascista. Quell’anno Ortese aveva conosciuto Masino in occasione della Fiera del Libro a Roma, dove la prima era giunta per promuovere la propria silloge d’esordio intitolata Angelici dolori: in quell’occasione Paola Masino le aveva fatto dono di una copia di Periferia.

Il romanzo aveva sollevato una certa curiosità sia in Italia che all’estero: Henry Furst, in una recensione apparsa il 5 novembre 1933 sul «The New York Times Book Review», aveva collocato l’opera tra le lettere italiane contemporanee.

Il volume – scritto tra il giugno del 1931 e l’aprile del 1933, una volta fatto ritorno a Roma – assume tutti i tratti di una critica antidogmatica, tramite la descrizione di contesti familiari lontani dall’immaginario comune. È un libro attraversato da una profonda complessità tematica, a proposito della quale Paola si confronta con l’amato padre – sebbene all’epoca i rapporti saranno ancora tesi a causa della relazione con Massimo Bontempelli.198

196 L’impiego del corsivo è originale. PAOLA MASINO, Periferia, cit., p. 10. 197 Ibid.

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Inizialmente la stesura di Periferia non si rivelerà semplice: dopo aver fatto ritorno a Roma, dovrà dedicare tempo anche alle collaborazioni giornalistiche per soddisfare le esigenze economiche.199

Uno dei quaderni di appunti registrerà nel 1931 le linee programmatiche di questo secondo romanzo, indicate con il titolo Bambini:

Molte cose si sono dette intorno ai bambini, vere e belle. In genere la nostra attitudine verso l’infanzia è quella di una candida ammirazione e di un allegro stupore […]. Perché oramai [...] è una tradizione. […] Spessissimo si accompagnano le parole con una carezza, senza pensare ai moti opposti del bambino in questione. […] sa che quel complimento è rivolto ai parenti e che inoltre è una spudorata menzogna.200

É un lavoro preparatorio quello custodito negli appunti privati, che rivela un attento studio della sfera infantile, arricchito dall’esperienza del luglio del 1931, quando ella assiste il cugino Claudio ammalato, confessando poi al compagno: «non ti chiederò più di avere figli perché vederli malati è cosa troppo angosciosa».201

In quell’anno Masino vivrà con Massimo a Frascati, abbandonando per un po’ la prospettiva di poter abitare nella capitale romana, per non ledere con questa unione la serenità della famiglia e non creare disagio alla sorella maggiore Valeria, in procinto di unirsi in matrimonio con il conte Giorgio Memmo il 10 maggio del 1933 nella Chiesa di Santa Teresa, in Corso d’Italia.202 Una situazione sentimentale, quella instauratasi tra Masino e Bontempelli, considerata problematica oltre che «irregolare»,203 a livello tale da indurre Monsignor Montini – futuro Papa – a recarsi personalmente fino a Frascati, per dissuadere Massimo dal proseguire in questa sua relazione.

Sul piano editoriale, avranno inizio anche i contrasti con l’editore Bompiani, il quale nel febbraio del 1933 le scriverà: «Periferia non arriva. À rinunciato alla Fiera del Libro? Dovrei pensare di sì. Ma fa molto male. Lavori, Sant’Iddio!».204 Periferia si rivelerà un’opera controversa,

199 Ivi, p. 14. 200 Ivi, p. 14. 201 Ivi, p. 18. 202 Ivi, p. 19. 203 Ibid. 204 Ivi, p. 27.

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in quanto incontrerà il gusto di Bompiani ̶ «Credo che nessun altro in Italia sia oggi capace di scrivere un libro così, e cioè con tanta originalità e tanta potenza», scriverà il 7 marzo del 1933 ̶ 205 ma al contempo susciterà in lui il desiderio di apportare delle modifiche, per far sì che «la maggior parte dei lettori ˂non˃ scaravent˂i˃ il libro dalla finestra alla quarta pagina»,206 dal momento che «Si ripete quel che è accaduto per Monte Ignoso»:207 bisognerà, quindi, estirpare o modificare alcune frasi.

Tre giorni dopo al primo giudizio, Bompiani ribadirà il concetto già espresso in precedenza, dopo aver nuovamente letto le bozze dell’opera: insisterà nel voler mutare alcuni aspetti di

Periferia, perché si tratta di un volume «bellissimo»,208 che Paola, a suo dire «vuol massacrare»,209 perché

Lei si ritrova tra le mani un ingegno troppo ricco, senza – perché è donna – tradizioni di lavoro. E strafà. […] Ci sono cose che Bontempelli potrebbe scrivere e lei no. Proprio perché le potrebbe firmare lui. […] È inutile che io tenti di lanciare un libro, se nel primo lettore Lei suscita già un nemico, o, peggio, una nemica.210

Parole che non smuoveranno Masino dall’intento di conservare lo scritto nella sua forma originale – una decisione non priva di conseguenze e causa di nuove tensioni con l’editore, il quale contatterà Bontempelli, affinché appoggi la sua causa.211 Mutare le coordinate stilistiche e l’organizzazione sintattica di determinati passi di Periferia, per l’autrice equivaleva a stravolgerne il senso generale, mentre il pubblico necessitava di acquisire una maggiore consapevolezza in merito al reale stato delle cose.

Bompiani alla fine dovrà assecondare alcune sue richieste, confessando una evidente insoddisfazione e un marcato disappunto per quanto avvenuto in una lettera a lei indirizzata il 25 aprile del 1933: «che lei sia afflitta, e che io sia insoddisfatto, è la peggior situazione. Tanto vale

205 Ivi, p. 28. 206 Ibid. 207 Ibid. 208 Ivi, p. 29. 209 Ibid. 210 Ivi, p. 30. 211 Ivi, p. 31.

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che io lo sia un poco di più, che lei, lo sia molto di meno, o niente del tutto».212 Per poi aggiungere successivamente in un post scriptum: «Propongo questa fascetta: Pubblico per dovere contrattuale questo libro bellissimo e insopportabile».213 Una proposta che non deve aver trovato un riscontro positivo nella scrittrice, a giudicare dal contenuto di una nuova missiva dell’editore inviata tre giorni dopo:

Massimo mi scrive: “la fascetta che proponi è uno scherzo”. Questa volta cado dalle nuvole. Mi pare che sia l’unica possibile fascetta per il suo libro, quanto il libro spregiudicata e eccezionale. L’ho letta a poche persone ma scelte, con un successo immediato, diretto, sicuro. […] Quella fascetta, che a nessuno può apparire irrispettosa, afferma una verità, non solo nei riguardi dei nostri rapporti, ma anche del libro stesso, che lei medesima potrebbe definire con i due aggettivi: bellissimo e insopportabile. Qualsiasi opera fuor del comune è per un certo pubblico insopportabile. Se c’è un rischio è mio, quello di mettermi tra quel certo pubblico. Ma io che non sono né letterato né critico posso sopportarlo.

[…] La sua opera mi impedisce di trovare un pubblico vasto e normale con i mezzi soliti. Mi lasci adoperare i mezzi insoliti; dei quali assumo la responsabilità.214

L’apprezzamento di Bompiani per un libro estraneo ai normali standard editoriali è innegabile. Al contempo, però, nutre il timore per un’eventuale assenza di pubblico. Se la proposta di apporre delle correzioni era stata in precedenza rigettata dalla stessa letterata, non era rimasta altra soluzione che tentare di catturare l’attenzione attraverso l’applicazione di una fascetta dai contenuti provocatori: l’episodio sarà soltanto uno degli argomenti trattati in occasione dei numerosi dibattiti tra la letterata e l’editore.215

Ancora una volta Masino aveva valicato i confini imposti dalla censura, poiché aveva proposto ancora una volta scenari domestici distanti da quelli propagandati. Tra i gerarchi fascisti, Farinacci arriverà a ipotizzare e successivamente proporre il confino per un simile affronto, ma poi verrà deciso di procedere in altra maniera: Masino dovrà essere screditata e considerata alla stregua di una semplice «scribacchina»,216 giunta alla ribalta per meriti non propriamente letterari. A nulla varranno simili espedienti di fronte al temperamento di una giovane donna determinata nel voler

212 Ivi, p. 32. 213 Ivi, pp. 32-33. 214 Ivi, pp. 33-34. 215 Ivi, p. 34. 216 Ivi, p. 35.

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descrivere la società del tempo in tutte le sue sfumature, e per nulla intimorita di fronte ai tentativi della critica di screditarne l’opera. Tanta forza interiore sarà testimoniata dalle annotazioni del secondo quaderno di appunti privati: «“Quando ci dicono: – Fate un libro fascista – anche questo non significa nulla. Te lo immagini che a Dante avessero detto di scrivere un libro ghibellino?”».217

Nonostante gli sforzi del regime finalizzati a demolire l’immagine privata e professionale dell’autrice, Periferia si guadagnerà una considerevole attenzione di pubblico, sia in Italia che all’estero.218 Merito, senz’altro, della vittoria del prestigioso premio Viareggio e della pubblicazione del volume in tedesco due anni più tardi: Periferia diverrà così il romanzo masiniano più recensito.219 Particolarmente aspre si riveleranno le parole espresse da critici asserviti al regime. È il caso di Leandro Gellona che sulle pagine della «Provincia di Vercelli», il 29 agosto del 1933 propone un articolo intitolato Da un romanzo sballato e premiato ai vari angoli morti letterari:

A che vale del resto scendere a maggiori particolari se la Masino ha deformato nel modo più strambo le donne, le madri, i bambini dei nostri giorni, proprio quando il regime ha dedicato tutto se stesso alla protezione della Madre e del Bambino?

Se il romanzo della Masino verrà letto dagli stranieri – cosa che non auguriamo a lei e tanto meno a noi – quale errata e falsa e bugiarda e goffa concezione potranno essi farsi dell’Italia fascista?

Quando, premio Viareggio o no, si decideranno i nostri letterati, a camminare al passo con noi, con tutti gli Italiani di Mussolini?220

Non di minor durezza si riveleranno le parole di Giuseppe Raspelli, il quale in Palloni letterari,

parliamo di Paola Masino – apparso sulla «Signorina» il 21 novembre del 1933 – inviterà i

«giovani letterati […], che ancora ne sono in tempo, ˂a scrivere˃ libri freschi, vivaci ma soprattutto degni della nostra epoca riformatrice»,221 o quelle di A.J. Lugano che nei Premiati di Viareggio sul «Corriere del Ticino» del 26 settembre 1933 giudicherà il romanzo

Un libro falso e brutto e malsano […] in cui bambini dai 6 ai 12 anni […] hanno odi e amori astratti e artificiosi come personaggi di Bontempelli, e non conoscono e non desiderano altro che il male, per farlo o per subirlo in un perverso godimento sadico. Roba che era di moda qualche anno fa nella letteratura tedesca e che ora pare stia passando nell’italiana. Dovrebbe essere ciò che Marinetti

217 Ivi, p. 84. 218 Ivi, p. 101. 219 Ivi, p. 102. 220 Ivi, pp. 103-104. 221 Ivi, p. 104.

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considera la nuova letteratura femminile. Eh, già: roba così falsa e artificiosa non l’hanno mai scritta né la Deledda né Ada Negri e neppure la dannunziana Sibilla Aleramo.222

Si tratta di considerazioni che cozzano con il giudizio di Lector, il quale – in Libri e letture. Tre

piazzati di Viareggio uscito sul «Messaggero» il 12 agosto del 1933 – se da un lato riteneva

«improprio»223 attribuire il titolo di ‘romanzo’ al volume, dall’altro lo stimava un «tentativo originalissimo sia per forma sia per contenuto […] ˂, che˃ conquista con l’efficacia della sua penetrazione psicologica e la rappresentazione viva e ingegnosa della mentalità infantile»,224 grazie ad uno «stile semplice, cristallino, aderente all’ingenuità di quelle piccole anime˂, che˃ attesta ˂la˃ maturità dei mezzi espressivi ormai conseguita da questa scrittrice».225

Nonostante le dure note interpretative di segno nagativo espresse da taluni, ci fu anche chi raccomanderà la lettura del volume, un «ottimo libro»226 e «un’affermazione in più che in Italia esiste anche della buona e concreta letteratura femminile». A nulla, quindi, varranno le parole spese da Leonida Repaci sulla «Gazzetta del Popolo» del 7 agosto del 1933, dove aveva definito Periferia un romanzo dal «tono sforzato e disumano […] in un clima di incubo»227 e caratterizzato da una «certa esaltazione malata che arriva al tragico per esplosione».228 In seguito anche la giuria del premio Viareggio giustificherà l’esclusione dello scritto dal primo posto avanzando le medesime considerazioni. Periferia risulterà il secondo testo classificato nell’ambito di una competizione che assegnerà il principale riconoscimento a Cantilena all’angolo della strada di Achille Campanile.229 Una vittoria mancata che non impedirà a Marinetti di considerare l’autrice «una delle maggiori esponenti della letteratura italiana»,230 anche se sarà molta l’amarezza di Paola e dello stesso

222 Ivi, pp. 104-105. 223 Ivi, p. 105. 224 Ivi, p. 106. 225 Ibid.

226 Ivi, p. 107. Risulta ignota l’identità di chi scrisse tale affermazione sulla «Rassegna Nazionale» nell’agosto del 1933. 227 Ivi, p. 35.

228 Ibid. 229 Ivi, p. 36. 230 Ibid.

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Bompiani – che in una cartolina del 15 agosto del 1933 le prometterà: «Faremo dare al libro, egualmente, la strada che merita di fare. Vedrà».231

Nel frattempo, la censura fascista continuava ad accusare l’autrice, rea di aver omesso qualsiasi riferimento all’istruzione dei bambini protagonisti – privi di qualsiasi caratteristica riconducibile all’immagine dei Balilla – e di essersi soffermata in maniera eccessiva sul personaggio di Armando, bocciato e costretto dalla madre ad abbandonare lo studio per andare a lavorare in un grande albergo.232

Il volume – licenziato nel 1933 con in copertina un’illustrazione in bianco e nero realizzata dal pittore Mario Vellani Marchi –233 vedrà una seconda edizione curata da Marinella Mascia Galateria soltanto nel 2016, nonostante già negli anni ottanta la casa editrice veneziana Marsilio – diretta da Cesare de Michelis e Antonio Debenedetti – avesse avanzato un progetto di ristampa, sfortunatamente mai portato a termine.234 Solo in Germania nel 1991, l’ottavo capitolo dell’opera confluirà nell’antologia Imaginare Reisen (Viaggi immaginari), curata da J.P. Strelka.235

La presenza di una certa policromìa nel testo ha origine dalla constatazione di quanto il colore fosse in grado di restituire la realtà nelle sue innumerevoli visioni. Fin da bambina, sotto la guida di Enrico Alfredo, l’autrice si era avvicinata alla pittura, ammirando i diversi quadri degli artisti appartenenti alla generazione del 1875 – in particolare Armando Spadini e Felice Carena, coetanei e amici del padre – appesi alle pareti di casa.236 La sorella Valeria, inoltre, aveva studiato pittura proprio nello studio di Carena e seguito dei corsi tenuti da Attilio Selva e Orazio Amato presso la Scuola d’Arte di piazza Sallustio a Roma.237 Paola entrerà in contatto con altri autori del calibro di Giuseppe Capogrossi ed Emanuele Cavalli: questi ultimi avevano realizzato delle nature morte presenti nell’abitazione masiniana di viale Liegi; quanto a loro figura Marino Marini, che creerà un

231 Ibid. 232 Ivi, p. 50. 233 Ivi, p. 37. 234 Ivi, pp. 38-39. 235 Ivi, p. 39. 236 Ivi, p. 53.

237MARINELLA MASCIA GALATERIA,PATRIZIA MASINI (a cura di), Pittori del Novecento e carte da gioco. La collezione di Paola Masino, Modena, Diano Libri, 2016, p. 16.

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Profilo di Paola Masino – un inchiostro su carta – e una Testa di cera di Paola Masino negli anni

trenta.238

A testimonianza di una predilezione dell’autrice per l’arte, è doveroso citare anche la sua collezione di carte da gioco – oggetto di una mostra tenutasi presso il Museo di Roma tra il 2016 e il 2017; rinvenute nella dimora di viale Liegi all’interno di alcune scatoline di sigarette Muratti,239 esse furono il risultato di una richiesta avanzata da Paola agli amici maestri dell’arte contemporanea – Accardi, Burri, Consagra, Conti, Carrà, Campigli, Capogrossi, Cagli, Fautrier, Cocteau, Levi, Guttuso, Prampolini e Fausto Pirandello.240 Si tratta di un patrimonio comprendente circa duecento opere tra carte tipiche dei mazzi francesi e napoletani, tarocchi o altri esemplari fuori misura,241 di varie fogge e colori, ricevute in regalo da numerosi pittori in segno di profonda stima e amicizia e come omaggio al suo «prestigio».242

La vicinanza con il mondo dell’arte era già manifesta negli anni trenta con i ritratti masiniani realizzati da diversi autori novecenteschi – de Chirico, de Pisis, Bucci, Achille Funi, Marino Marini, Alberto Salietti, Sironi, Cagli – e da importanti fotografi – Anton Giulio Bragaglia, Gitta Carell, Luxardo e Sommariva.243 Nella sua dimora privata, inoltre, erano visibili opere di de Chirico, di Cagli e de Pisis, oltre ad un disegno – l’ultimo ritratto raffigurante l’autrice – realizzato da Alexander Calder, noto pittore e scultore americano.244

La creazione artistica, del resto, da sempre rientrava tra le sue attività predilette, se si considera l’impegno dimostrato nel realizzare personalmente la copertina di Monte Ignoso.245 Le pagine dei quaderni privati, inoltre, conservano svariati schizzi raffiguranti capi di abbigliamento.246 L’autorappresentazione, inoltre, diviene anche materia letteraria di un’opera postuma – Album di

238 PAOLA MASINO, Periferia, cit., pp. 53-54.

239 MARINELLA MASCIA GALATERIA,PATRIZIA MASINI (a cura di), Pittori del Novecento e carte da gioco, cit., p. 7. 240 Ibid. 241 Ibid. 242 Ivi, p. 8. 243 Ibid. 244 Ivi, pp. 8-9. 245 Ibid. 246 Ivi, pp. 10-12.

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vestiti – «dove la scrittura rimanda un insieme di immagini, che assomigliano a un girotondo di

illustrazioni»,247 seguendo un «andamento selettivo dei ricordi».248

Una naturale predilezione per la pittura emerge da ogni episodio biografico e dalla decisione di estrapolare alcuni elementi visivi dal Mobili nella Valle di de Chirico – destinati ad arricchire lo sfondo paesaggistico del celebre Nascita e morte della massaia – o da un acquerello di Savinio degli anni settanta – uno tra gli artisti che di più si avvicinavano allo stile di Masino, segnato da un «realismo trasfigurato di volta in volta da una magica surrealtà o dal grottesco della parodia».249 Le esperienze legate alla dimensione artistica non si esauriranno presto: durante l’esilio cautelativo fiorentino – iniziato nel 1927 e conseguente all’avvio del sodalizio amoroso con Bontempelli – Paola farà la conoscenza di Marino Marini, a tal punto ispirato dalla sua conoscenza, da proporle la realizzazione di una maschera – di tipo mortuario –250 ispirata al suo volto.251 Se la madre Luisa si dimostrerà preoccupata dinanzi ad una simile ‘offerta’, Massimo non celerà tutto lo sdegno provato e ben lo espliciterà nell’epilogo di una missiva indirizzata alla compagna: «Basta Firenze!».252 Marini realizzerà altre due opere con Paola come protagonista: un profilo nel 1931 e un busto di gesso sei anni dopo.253

Anche Giorgio de Chirico aveva espresso il proprio interesse per la fisionomia di Paola tramite la realizzazione di due disegni a china nel 1930 – intitolati rispettivamente Profilo di Paola

Masino e Ritratto di Paola Masino.254 L’autrice, pertanto, vestirà spesso i panni di musa ispiratrice per le opere di autori così impressionati dai suoi tratti fisionomici, da volerla artisticamente immortalare.255 Un anno dopo all’esperienza di de Chirico – nel 1931 – Bucci realizzerà un Ritratto

di Paola Masino a carboncino recante, secondo la valutazione della narratrice, numerose affinità

247 Ivi, p. 13. 248 Ivi, p. 14. 249 Ibid. 250 Ivi, p. 16. 251 Ibid. 252 Ibid. 253 Ibid. 254 Ivi, p. 17. 255 Ibid.

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con l’espressione paterna.256 Nello stesso anno ritratti masiniani usciranno ad opera di Mario Sironi, Alberto Salietti, Achille Funi e Alberto Magnelli, mentre si stabiliranno dei contatti anche con Emilio Sommariva –il più bravo fotografo del tempo a Milano.257

Altre amicizie nasceranno in quel decennio, a partire da quella instaurata con il pittore Mino Maccari – incontrato in villeggiatura presso la spiaggia di Cinquale, abitualmente frequentata dalla stessa famiglia Masino.258 Maccari era stato autore della copertina del primo e ultimo romanzo di Enrico Alfredo – Poco di buono –259 negli anni sessanta ritrarrà Paola a bordo dell’imbarcazione di

256 Ibid. 257 Ivi, p. 18. 258 Ibid.

259 Edito nel 1942 da Vallecchi con l’anagramma Enrico Sìnoma, l’opera vedrà una seconda edizione nel 1962 presso

Feltrinelli – stavolta recante il nome dell’autore per esteso, ovvero Enrico Alfredo Masino. Il volume sostanzialmente è la memoria di un figlio di una lavandaia e la narrazione acquisisce una linearità maggiore rispetto a quella adottata da Paola in tutta la sua produzione. Nonostante ciò, sono riconoscibili delle similitudini con Monte Ignoso: anche Poco di

buono è inscrivibile nel genere del ‘romanzo di famiglia’, mentre vengono delineati i tratti di una situazione domestica

complessa e fallimentare. Il personaggio, infatti, non ha mai conosciuto il padre e vive assieme alla sorella Matilde e alla madre, malvagia e dagli impulsi violenti nei confronti del figlio, il quale – una volta scoperta la relazione illecita tra la figura materna e lo stalliere Checco – deciderà di fuggire da quel contesto. Il destino gli consentirà di passare da una occupazione all’altra, viaggiando e visitando numerose città.

Pertanto, anche in questo caso, emergono i temi della solitudine infantile e dell’aggressività genitoriale: se egli non si troverà mai a dover rimpiangere la madre, lo stesso non accadrà con l’immagine paterna, della quale – nel caso fosse stata presente durante la sua infanzia – tenta di immaginarne i tratti e di ipotizzare un epilogo differente per la sua

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