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1 «Scrivere è una fatica tremenda»: l’avventura novecentesca di Alba de Céspedes

«NON HO MAI SMESSO DI SCRIVERE A MODO MIO» Per un profilo di Alba de Céspedes

II. 1 «Scrivere è una fatica tremenda»: l’avventura novecentesca di Alba de Céspedes

Un’altra firma conferirà un notevole prestigio al Novecento letterario italiano: si tratta di Alba de Céspedes. Autrice poliedrica, attiva nella Resistenza durante il periodo bellico, talentuosa fondatrice e direttrice del periodico politico-culturale «Mercurio» dal 1944 al 1948, Alba sarà considerata un profilo intellettuale di spicco nel panorama narrativo dell’epoca. Se nel caso di Paola Masino – autrice per lungo tempo abbandonata in un profondo oblìo e solo da qualche anno protagonista di un riscoperto interesse critico – pare necessaria e doverosa un’esplorazione biobibliografica in grado di porre in luce le numerose attività svolte nel corso della propria carriera e, di conseguenza, i contenuti sui quali la scrittrice e giornalista si è soffermata, nondimeno dovrà essere fatto anche con la stessa de Céspedes. Non trarre in inganno la maggiore notorietà goduta dalla narratrice di origine cubana rispetto a Masino, una celebrità non a livello tale – tuttavia e purtroppo – da dare il giusto significato alla portata del suo intervento nella storia non solo

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narrativa, ma anche giornalistica. A riprova di quanto sostenuto è la scarsa rilevanza dedicata al ricorrere del ventennale della sua morte, avvenuta il 14 novembre del 1997, a differenza di quanto avviene – al contrario e di norma – per autori più noti e certamente ricordati con maggiore frequenza. Seppure il ripercorrere di eventi e vicissitudini riconducibili al vissuto personale e professionale dell’autrice possa sembrare per certi versi ridondante, è anche vero che appare il percorso più idoneo per rivalutare la centralità del suo profilo all’interno del circuito intellettuale del tempo e, al contempo, per far emergere comunanze e dicotomie con un’altra letterata al centro di questa disamina: Paola Masino. Quest’ultima non rappresenta l’unica figura di donna-narratrice con la quale Alba dimostra di essere a contatto, ma l’interesse verso il loro sodalizio amicale sorge dalla constatata e comprovata amicizia durata per quasi un’esistenza intera e sfociata nella collaborazione al periodico decespediano «Mercurio», sede di versi masiniani – una tipologia di scrittura poco praticata da Paola, per una probabile scarsa attinenza con la propria indole comunicativa. Pertanto, risulta curiosa la scelta di destinare propria alla testata della compagna di una vita alcune liriche e un articolo di matrice civile, un racconto caro all’animo masiniano, perché scrigno del prezioso ricordo degli amati genitori: Anniversario.

Se all’apparenza sono circostanze e coincidenze che necessitano di essere documentate, tale verifica deve per forza passare attraverso un confronto tra le due biografie, dalle quali emergeranno diversi punti in comune, sostenuti dall’analisi di un carteggio conservato presso il Fondo Masino dell’Università La Sapienza di Roma, iniziato nel 1941 e conclusosi nel 1989,1 a ridosso della scomparsa di Masino, con ulteriori strascichi nel Fondo Alba de Céspedes della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di Milano. Pur non essendo presente nelle svariate missive alcun

1 Il carteggio si compone di un totale di centoquarantanove documenti tra lettere, biglietti, cartoline e telegrammi inviati

da de Céspedes a Masino nel periodo compreso tra il 1941 e il 1989. Di questi sono da segnalare diciotto epistole, cinque cartoline e quattro biglietti contraddistinti da una datazione incompleta, a fronte di altri centoventidue materiali nei quali sono ravvisabili tutti i riferimenti necessari alla ricostruzione delle peculiarità del sodalizio amicale tra le due letterate, ad eccezione di tre biglietti – un biglietto pasquale del 1950, uno natalizio del 1966 e un altro del 29 giugno del 1966 – e di una missiva del 4 luglio del 1966, prive del luogo di invio (in FPM, serie Corrispondenza, sottoserie Corrispondenza inviata a Paola Masino).

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riferimento al loro primo incontro, tutto fa supporre che questo sia avvenuto all’interno del grande circolo culturale dove ricorrono con una certa frequenza nomi di profili del calibro di Maria Bellonci, Anna Banti, Gianna Manzini, Sibilla Aleramo, Marise Ferro, Anna Maria Ortese, Ada Negri – solo per citarne alcuni – e si sia protratto così a lungo per una comunanza di poetiche e concezioni pur espresse in maniera differente. Se da un lato Paola predilige uno stile oscuro, enigmatico, votato alla contaminazione tra generi letterari – specie la scrittura narrativa con la resa teatrale – Alba ne condividerà la visione della donna, vittima e al contempo responsabile di una condizione pratica e psicologica di svantaggio, immortalata da scelte espressive focalizzate in misura minore sulle sfumature cromatiche delle descrizioni e più sugli interni, con un incedere incentrato sulle immagini. Pur presentando una maggiore linearità stilistica, i testi decespediani riescono a ricostruire, come nel caso di Paola, una galleria al femminile di profili umani alla ricerca di una realizzazione lontana dalla spinta misogina maschile, metafora di una società maldisposta verso ogni forma di emancipazione sociale ed etica della donna. Ecco quindi sfilare personaggi maschili negativi, insensibili o incuranti delle esigenze delle proprie compagne e figlie o posti in secondo piano rispetto alle protagoniste.

Tra le pagine di Alba, emerge la spiccata abilità introspettiva di uno sguardo volto a soffermarsi sulle pieghe interiori dell’animo umano, cogliendo ogni tratto psicologico dei personaggi delle vicende. La penna lascia spazio a svariati fotogrammi e primi piani dei sentimenti delle donne, di una verosimiglianza tale da rendere visibilmente chiara la fisionomia caratteriale dei diversi modelli proposti – siano essi negativi o positivi. Anche in relazione a Masino si è spesso parlato di ‘commistione’ di generi letterari, espressione della volontà di sperimentare svariate modalità comunicative in grado di far approdare ad un prodotto finale teso a sconfessare il messaggio veicolato dal sistema sociale dell’epoca. Dinamiche che confermano la visione di Silvia Zancanella, la quale osserva come «il Novecento letterario ˂abbia˃ segnato la rottura di confini

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troppo netti all’interno dei generi e nei generi fra loro, attraverso mescolanze, contaminazioni, aperture alle più diverse sperimentazioni».2

Ciò è solo un esempio delle consonanze che si palesano tramite un confronto capillare tra le vicende biobibliografiche di due donne anticonvenzionali sia sul piano privato, sia su quello professionale. Tale disamina solleva, inoltre, alcuni quesiti sulle scelte operate dalle autrici in termini di poetica, uno tra tutti relativo alla decisione di argomentare nei propri testi a proposito della condizione femminile. È questo un tema in grado di far sorgere alcuni fraintendimenti, attribuendo alle narratrici l’etichetta di letterate ‘femministe’, quando, al contrario esse hanno da sempre professato la propria estraneità ad una categoria specifica, concentrandosi solamente nel descrivere ciò che il loro sguardo osservava, anche se ciò significava inimicarsi il regime. Se Paola arriverà ad un passo dalla deportazione e i critici semineranno il dubbio sul valore delle sue opere e della condotta morale, ad Alba non toccherà una sorte molto diversa, come ella stessa avrà modo di ricordare nel 1984:

Ho avuto molti guai nel periodo fascista. Tutto di me fu proibito. Come del resto toccò anche ad altri scrittori. Moravia per esempio. Non potrei dire la stessa cosa di tutti, di tutti quelli che oggi vantano un presunto antifascismo. Venivo convocata continuamente al Ministero della cultura popolare. L’ultima volta il ministro Mezzasoma, che era però una persona perbene, mi chiamò e mi disse: «Lei è come morta. Non può più scrivere su nessun giornale» (ero collaboratrice fissa al Messaggero allora). Non seppi trattenermi e risposi: «Non importa. Sto scrivendo un romanzo. Io impiego molto tempo a scrivere i miei libri: tre, anche cinque anni. Finirà molto prima il fascismo». E lui sorprendentemente mi rispose, con occhi talmente tristi che non dimenticherò mai: «Lo credo anch’io». Era il 17 luglio del ’43. Il 25 luglio il fascismo cadde.3

Opere dai fulcri tematici e dalle scelte stilistiche anticonvenzionali deriveranno dalla volontà di descrivere una società diversa da quella propagandata e ciò sarà la causa di un rapporto contrastato con il regime, quest’ultimo deciso a porre gli scritti delle narratrici sotto la lente implacabile della censura: le letterate si macchieranno della ‘colpa’ di aver proposto ritratti di donne segnate da un profondo stato di prostrazione psicologica, mai riscontrato nell’impeccabile angelo del focolare. Se

2 SILVIA ZANCANELLA, La parola in bilico. La scrittura intima nel Novecento e la produzione epistolare di Carlo

Emilio Gadda, Venezia, il Cardo, 1995, p. 39.

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Masino verrà raggiunta dalla minaccia di una deportazione, Alba vivrà l’oscura atmosfera della detenzione, seppur breve, con l’accusa di antifascismo, fino ad arrivare all’esperienza emotivamente più forte della Resistenza. Paola deciderà di condurre la propria ‘battaglia’ attraverso la pagina scritta, de Céspedes, invece, provenendo da una famiglia politicizzata, per la quale la prassi era consuetudine, entrerà a far parte dei gruppi partigiani. Tutto avverrà per il rifiuto di aderire ad una visione comune menzognera e senza alcuna parvenza di verosimiglianza, anche grazie all’influenza esercitata da un ambiente domestico dove la riflessione culturale riceve continui stimoli – in particolare dalla parte paterna; ciò rappresenterà un aspetto fondamentale nell’elaborazione di una poetica avversa a quella ufficiale.

Se da una lato Enrico Alfredo Masino spronerà la figlia a proporre le proprie pagine all’attenzione di Pirandello, nondimeno farà Carlos Manuel de Céspedes, deciso a ripetere le proprie raccomandazioni anche sul letto di morte: «Escribir! Escribir! Non devi pensare ad altro che a scrivere; tu diventerai una grande scrittrice».4

Il percorso professionale delle intellettuali prese in esame non sarà lineare, ma avversato da una generale tendenza alla misoginìa – nonostante venisse dichiarata una parvenza differente – o perlomeno decisa a reprimere ogni spinta emancipazionista della donna. Ad acclarare tale tesi contribuisce la pubblicistica del tempo, all’interno della quale spicca – per l’animosità di toni e il livello delle argomentazioni – l’articolo di Silvanus intitolato Scrittrici?, apparso sul «Polesine fascista», l’11 maggio del 1941:

Non piacciono le donne che scrivono. E in linea di massima non piacciono per una ragione sola: vogliono scrivere anche quando non sanno.

Vi sono troppe donne che scrivono, troppe che si credono elette. Invece è sempre buono in questo caso il pensiero di Gesù: Molti i chiamati, pochi gli eletti.

Vi sono delle donne brave, dotate d’intelletto equilibrato e alato, e di fresca genialità. Basterebbe citare qualche nome: Negri, Deledda, De Céspedes, Videntin, Rompato; basterebbe guardare i pochi buoni nomi delle scrittrici del passato per non negare alla donna possibilità e attitudini poetiche e letterarie non comuni. Vi sono donne che spesso superano taluni uomini, forse troppi uomini che vanno gracidando su libri e giornali, ma generalmente la donna non è nata per scrivere, è nata per

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amare ed essere amata, per fare la donna di casa, l’educatrice, la maestra, l’infermiera, la sorella di carità, col soggolo o senza soggolo, la portatrice di lampada sempre.5

Nonostante il giornalista riconosca l’abilità letteraria di Alba, è evidente quanto la sua teoria sia influenzata da una visione pregiudiziale del problema: la donna non deve scrivere perché non possiede le qualità appropriate per farlo, mentre la sua natura la rende adatta per un’altra tipologia di mansioni. L’autoconsapevolezza di tale condizione, a detta di Silvanus, è la via più proficua da intraprendere:

Ma credere che per reggere il lume della vita sia necessaria la penna e sfoggiare attitudini mancate, questo no; questo è tradire se stesse, gli altri, l’arte, l’Idea.

Scrivere non è per tutti. Ci vuole un divino afflato lirico che non nasce, no, dalla nostra volontà ma che sorge spontaneo come un dono, odoroso e fresco come un fiore a primavera, limpido e scintillante come un ruscello sul clivo della collina.

Voler scrivere come fanno troppe donne per ambizione, per civetteria, per rendersi interessanti, per porsi all’avanguardia di un movimento di emancipazione ci pare di cattivo gusto, ci pare segno di una mentalità molto limitata, ci pare un chiudere a la donna un campo nel quale potrebbe trovare possibilità di vita e ala per ardite affermazioni.6

Per un profilo femminile redigere un testo equivale ad una «civetteria», una pretesa di «cattivo gusto», come recita il passo citato, segno di «una mentalità molto limitata»: in realtà, tali toni esternano la profonda volontà di placare qualsiasi volontà di rinnovamento nella donna, preservando, in tal modo, una posizione di supremazia da sempre occupata dall’uomo. Non deve essere dimenticato quanto il regime insistesse sulla necessità di un’italianità contraddistinta da famiglie prolifiche, frutto di un concetto di maternità strumentalizzato ai soli fini demografici e politici. L’articolo prosegue entrando nello specifico dell’immagine della letteratura a firma femminile:

Ne conosciamo di donne che scrivono. Troppe di esse hanno poco da dire e lo dicono male: non commuovono, non persuadono, non trascinano. Quando si legge si sorride di compatimento o si è presi

5 L’articolo risulta conservato presso il Fondo Alba de Céspedes della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori di

Milano, d’ora in avanti indicato con la sigla FDC (serie Ritagli stampa, sottoserie Scritti e attività, busta 11-fascicolo 1). Risulta doveroso rivolgere un sentito ringraziamento alla Soprintendenza archivistica della Lombardia per avermi concesso l’autorizzazione necessaria alla consultazione dei documenti, al dott. Tiziano Chiesa per il qualificato supporto dimostrato e al personale di sala per la cortese accoglienza.

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dalla stizza, o si è vinti dalla noia: grandi titoli sonanti, stile nervosetto ma fiacco, talvolta malato: Periodi ricchi di frasi fatte, giri di parole per rincorrere un’idea peregrina, tutti domandine, esclamazioni, richiami come per dire: Mi ascoltate sì o no? Non sentite come sono originale, carina, interessante? Stringi, stringi, cerca il succo, non trovi nulla. Un periodare faticoso, asmatico, tutto mossette che vorrebbero essere graziose e sono sgraziate fino alla stanchezza, e idee melense e rifritte fino alla nausea.

No! la donna ha pure lei il diritto di scrivere, di dire quello che ha in cuore in un circolo più vasto che non sia solo la famiglia e la scuola ma ha il diritto e il dovere di scrivere solo quando è perfettamente sicura di sé; quando sente nel cuore qualche cosa di caldo, di generoso, di bello da donare con semplice gioia, con modestia, contenutezza e grazia. E lo stile della donna deve essere alto, dignitoso, elegante senza essere lezioso, persuasivo senza essere malato di prolissità o incrinato di forzature sentimentali.7

Secondo l’ottica di Silvanus, la maggioranza della produzione delle letterate sarebbe accostabile al genere rosa: non emergerebbero tematiche influenti o concetti altisonanti, lo stile sarebbe tutto melenso e pregno di frase fatte, mancherebbe quella portata di novità necessaria a rivalutarne il genere. Nel passo citato, in realtà, si evince soltanto la volontà di riportare una tipologia di scrittura potenzialmente avversa alle categorie tradizionali ad un ordine comune, già prestabilito. Ancora una volta, si tenta di etichettare le pagine dei testi delle narratrici in maniera errata, per poter imporre una tipologia di espressione ufficialmente codificata e, ancora una volta, disponibile al controllo del regime. Tale impressione trova riscontro verso la conclusione del pezzo:

Può scrivere la donna solo quando ha qualche cosa da insegnare… a l’altre donne o anche agli uomini, che spesso sono dimentichi delle piccole buone cose che costituiscono il sapore della vita.

Generalmente quando leggo di una donna diffido sempre se non la conosco, ma tanto più diffido se le cosiddette scrittrici sono donnine petulanti che hanno sempre qualche cosa da dire o da insegnare anche a chi nulla chiede, anche a chi non ha bisogno di nessuna lezione perché da tanti anni vive, conosce la vita, il mondo, gli uomini, i casi forse ancor più di quella che vuol fare la superdonna e ti urta come urtano le cose piccole e stupide. Bisogna guardarle negli occhi codeste donne, dir loro che la donna la quale non nasce artista o non ha cultura ha ben altri campi a sua disposizione dove può donarsi con certezza di far bene. Lascino agli uomini e alle poche scrittrici brave il cimentarsi con la penna. Quest’ultime se non lo facessero verrebbero meno a un dovere, e gli uomini se non ne riconoscessero il valore mancherebbero di giustizia e di onestà. Le altre, le ciarliere petulanti mandiamole a spasso.8

L’espressione creativa non è per tutti e tantomeno per le donne, per natura inclini ad altre attività: una noiosa petulanza contraddistingue la pratica narrativa femminile e per questo solo pochissime

7 In FDC serie Ritagli stampa, sottoserie Scritti e attività, busta 11-fascicolo 1. 8 In FDC serie Ritagli stampa, sottoserie Scritti e attività, busta 11-fascicolo 1.

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potrebbero dedicarsi a essa, mentre le altre dovranno rivolgere il proprio tempo e impegno a occupazioni alternative e più consone. Scrittrici?, quindi, dà breve conto del clima di marcata avversione verso tutto ciò che pare sfuggire al controllo propagandistico, mettendone in discussione i contorni. Su questo sfondo si stagliano le produzioni di Masino e de Céspedes, entrambe denigrate dalla censura del tempo.

Numerose appaiono le coordinate comuni a due autrici, unite da un profondo sentimento amicale – come sarà possibile osservare nel loro carteggio – ma anche dal medesimo destino di oblìo, destinato ad alimentare un rinnovato interesse critico. Le città di appartenenza – la capitale italiana e francese – segneranno delle tappe importanti nella vicenda personale e professionale di entrambe, divenendo lo sfondo delle narrazioni più celebri. Se Paola si soffermerà in misura maggiore nel tratteggiarne i contorni descrittivi di vicende dalla trama difficilmente distinguibile, per Alba rappresenteranno l’ambientazione ideale di episodi attraversati da un filo rosso volto a indagare ogni aspetto del legame coniugale e del rapporto genitoriale.

II.2. «I palazzi sembrano quinte di un palcoscenico abbandonato»: Alba de

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