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CAPITOLO PRIMO

I. 4 «Io le debbo molto»: il legame con Anna Maria Ortese

3.8.36. XIV Signor Direttore,

mi scusi se busso alla porta dell’Italia. Vuole leggere questa novella e, se le piace, pubblicarla? Io credo che vi si riscontri scarsissima conoscenza della lingua (improprietà, errori, punteggiatura pazzesca) e, forse, chissà, anche povertà di fantasia. Ma io non ho mai studiato, né letto molto, né vissuto fra persone che sapessero parlare bene. E intanto, avendo 22 anni, e trovandomi a scrivere da sei, e in condizioni pressoché malinconiche, comincio a provare un certo desiderio di conseguire qualche scopo, farmi avanti anche io. È possibile? glielo domando umilmente, perché so Lei come potrebbe, s’io non valgo, ridere.

Io non mi diressi mai ad altri giornali, appunto temendo che, oltre alla … bocciatura aggiungessero la beffa. Ma questa vecchia Italia non credo ne sia capace, anche perché c’è Lei, ch’è un Accademico, e non si mette certo a ridere per questi sbagli “da scolaro”.

Grazie dunque della lettura. Comprerò il Giornale tutte le settimane, per vedere se Lei ha o no accettato.

Con ossequi

Franca Nicosi (fare indirizzare, nel caso di una risposta, alle mie sole iniziali; cioè: F.N. presso: Signor Francesco Ortese Via Piliero 29 – Napoli –)348

Ortese svilupperà nel tempo un rapporto di confidenza epistolare anche con Masino e le sarà vicina in seguito alla scomparsa di Bontempelli:

Milano, 16 agosto 60 Carissima Paola.

ho saputo di Massimo, e non sono riuscita finora a scriverLe niente: mi perdoni.

Non riesco ad accettare l’idea di questo allontanamento di Lui dalla Sua vita e dalla vita di tutti noi, che bene o male, a seconda delle nostre forze, lo abbiamo amato. Del resto, non credo che Egli si sia veramente allontanato, se non dal meccanismo piuttosto limitato dei nostri sensi.

È ancora presente, ma nascosto. Questo io credo. E non è più infelice, come non può esserlo, uscito dalle leggi naturali che ci governano, il Suo vero essere, sempre risplendente, sempre giovane e pieno di gioia.

Ora io rivolgo a Lui, presente e nascosto, il mio saluto familiare, il grazie felice per tutta la vita, gli insegnamenti, l’intelligenza e la felicità che ha dato anche a me, così splendidamente. E gli ripeto che

347 Ivi, p. 163. 348 Ivi, p. 166.

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gli voglio bene, (e gliene volevo, anche se stavo lontano), e gli prometto che cercherò, per quanto è possibile, di essere degna della Sua amicizia, del Suo aiuto. E che sono sicura ci rivedremo. Bacio il suo caro meraviglioso viso, e abbraccio anche Lei, coraggiosa e bella Paola, tanto, tanto affettuosamente.

Sua Anna349

Si noti quanto sia grande il rispetto nutrito da Ortese per l’antico maestro, rispetto e gratitudine che emergono dall’utilizzo della lettera maiuscola per riferirsi a Bontempelli, ma anche dal ricordo degli insegnamenti da lui stesso ricevuti. Questa missiva di condoglianze a Masino è il segno di una profonda vicinanza rimasta intatta per tutta la vita tra la narratrice napoletana e il celebre intellettuale. Le parole espresse dalla letterata in questo frangente confermano una tendenza più generale mantenuta negli epistolari, secondo la quale «la lettera si pone come spazio dotato di una sua memoria immaginativa capace di rievocare una stessa apparizione mantenendola integra nonostante il mutare oggettivo della situazione».350

Anche tra le stesse Ortese e Masino aveva avuto inizio una corrispondenza, caratterizzata da una palpabile schiettezza, da una sincerità evidente da una missiva ortesiana indirizzata a Paola il 15 giugno del 1937:

Cara Signora,

scrivo a Lei prima che a ogni altro, e Le scrivo subito, dopo appena tre ore di sonno, così che questa lettera possa giungerle stasera. Sono ancora un po’ stanca ma ho la mente ancora piena di visi e di voci care, fra le quali primissime la sua e quella del Signor Bontempelli. Prima io non avevo tanta simpatia per Lei, Lei m’incuteva soggezione, mi sembrava una persona elegante e scettica, anzi per questo – si ricorda? – mi ostinai tanto ad assicurarle, in quel sabato, che ero cattiva e tante altre cose le assicurai. Ma, poi, ieri l’ho vista ad un tratto così buona e semplice, ho sentito che Lei mi vuole bene e Le voglio anche io un bene grandissimo. Quando io dico così Lei può essere sicura che è vero. Se lei vuole io sono ora per lei come una più piccola sorella. Lei è contenta? Credo di sì.

La sua casa m’ha lasciato un ricordo dolce, come fosse stata la mia casa vera. Il Signor Bontempelli (io dico così perché Lui non vuole essere chiamato Eccellenza) che scherza sempre e pare uno spirito(so), e è così buono; Lei così seria e gentile (che però mi dava così spesso torto!), hanno insieme lasciata un’eco di gioia nel mio spirito. Io auguro a tutti e due, commossa e ammirata, le cose più care e belle che la vita a certe anime sa dare. E Lei deve scrivere, e anche il Signor Bontempelli deve scrivere, e tutti e due debbono insieme salire sempre più verso quelle regioni di luce, dove anche il mio infinito, come un povero uccello, vuole arrivare […].

Sua Anna Maria Ortese351

349 Ivi, p. 174.

350 SILVIA ZANCANELLA, La parola in bilico. La scrittura intima nel Novecento e la produzione epistolare di Carlo

Emilio Gadda, Venezia, il Cardo, 1995, p. 21.

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La diffidenza e il timore nutrito nella prima fase della conoscenza nei confronti di Masino viene in seguito sostituito nell’animo di Ortese da un senso di vicinanza tale da indurla a confessare di sentirsi a lei legata da un certo sentimento di sorellanza. Una vicinanza che si tradurrà in condivisione letteraria, se il 21 dicembre del 1940 – da una Napoli bombardata – l’autrice napoletana invierà a Paola una missiva contenente una sua lirica inedita:

Cara Paola, faccio una sciocchezza, le trascrivo qui sotto una mia poesia. A lei le poesie in genere non piacciono, ma può darsi che questa vorrà leggerla. Non occorre che me ne scriva.

Il mattino, quando è ancora nero, confusi sono i pensieri

dell’anima, ma più beati come al bambino accade. Grigiore è la sovrumana incertezza; muro bianco l’affascinante promessa del terribile mondo. Grazia, irrealtà, i doni di quell’ora nera e bianca. Eterna fosse! Che il giorno non più tornasse, non mai lo straziante e soave rivedessi giorno d’estate. Stare sveglia nel nero mattino, quando il gallo ancora non canta, quando si sente perfino

de le stelle morenti il sospiro.352

Le due donne si erano conosciute nel 1937 – in occasione del Salone dei Libri a Roma – e da lì aveva preso avvio una fitta corrispondenza epistolare, nella quale Ortese opera un resoconto delle tappe salienti della propria vicenda professionale, menzionando le difficoltà incontrate e rivolgendo invocazioni di aiuto a Paola – una «scrittrice pienamente inserita nell’ambiente intellettuale italiano» –353 al fine di ottenere un’occupazione stabile. Sarà proprio Masino la destinataria a cui narrare ogni obiettivo raggiunto o impedimento incontrato nella tentata ricostruzione di un avvenire letterario. A lei invierà i testi redatti, per riceverne un parere critico o una collocazione editoriale. Se la narratrice napoletana avvertiva una certa lontananza in fatto di stile e poetica rispetto alla

352 Ivi, p. 184.

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prosa masiniana, ciò non le aveva impedito di leggerne tutti gli scritti per poi esprimere liberamente il proprio parere a riguardo.

Negli anni intercorsi tra l’uscita del tanto discusso Periferia (1933) e della silloge Racconto

grosso e altri (1941), Anna Maria manifesterà una sincera preoccupazione per il silenzio letterario

dell’amica, destinato a riproporsi verso la fine degli anni quaranta: sia Masino che Bontempelli, – scriverà Ortese il 15 giugno del 1937 in una missiva alla letterata – non dovranno rinunciare alla composizione di nuove opere, poiché «tutti e due debbono insieme salire sempre più verso quelle ragioni di luce, dove anche il ˂suo˃ spirito, come un povero uccello, vuole arrivare».354 L’intellettuale napoletana non troverà spiegazione all’immobilismo creativo di Paola e, per questo, vorrà spendersi per lei, tentando di incoraggiarla. Ella il 17 dicembre del 1938 le confesserà:

Vorrei domandarle se, come il mio, anche il suo spirito si è arenato. Questo è male. Non vorrei sapere cosa scrive, ma se scrive sempre, e più che se scrive, se vede qualche cosa. I giorni sono preziosi, ed è un dolore vederli passare senza significato, o meglio vederli passare senza entrarci e prendere parte a un’azione qualsiasi.355

Come l’affezionata Elsa De Giorgi si era rattristata per la condizione professionale di Masino – rallegrandosi poi negli anni cinquanta di fronte all’illusione di una possibile ripresa – in un modo affine aveva reagito Ortese nel decennio precedente. In una missiva del 9 novembre del 1940 le scriverà: «“Sono contenta che lei abbia finalmente rinunziato alla gloria e all’orribile peso di padrona di casa e che si sia decisa a lavorare”»,356 manifestando successivamente una certa soddisfazione e ammirazione nel leggere la silloge Racconto grosso e altri, oltre a dimostrare tutta la propria ammirazione per lei. Nella epistola del 28 dicembre del 1941 ammetterà: «“giuro che non c’è altra donna ch’io conosca, fra le italiane, capace di scrivere quelle stupende pagine, piene di febbre, così alte e lucide”».357

354 Ivi, p. 43.

355 L’impiego del sottolineato è originale. Ibid. 356 Ibid.

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Se ad una prima lettura pare di assistere ad una conoscenza destinata a tramutarsi in un sincero sodalizio amicale, in realtà ciò non avverrà – sebbene Anna Maria si dimostrerà sempre «“grata per tutto ciò che lei ˂le˃ ha insegnato”».358 Mai verrà abbandonato il formalismo in questo dialogo epistolare, tramite l’utilizzo del pronome ‘lei’ al posto del colloquiale ‘tu’: segno, questo, di quella naturale soggezione provata da Ortese nei confronti della nota narratrice. Sarà un rapporto complesso che a tratti verrà attraversato da profondi litigi – provocati da un’evidente disparità caratteriale – destinati a sfociare in significativi silenzi epistolari – frutto di incomprensioni e fonte di dispiacere per l’autrice napoletana.359 Dopo un’interruzione del dialogo tra le due donne, esso riprenderà solo nel 1970, per poi esaurirsi completamente nel 1975 – anno del trasferimento in Liguria di Ortese.360 Nel corso del 1970 Anna Maria offrirà più volte il proprio supporto pratico ed emotivo ad una Masino ora afflitta da uno stato di salute precario – in modo da poter ricambiare l’aiuto ricevuto agli esordi della propria carriera.361

Non solo Ortese poteva riconoscere a Bontempelli il merito di averla supportata sul piano professionale: anche Alberto Moravia, che aveva dimostrato un certo interesse per gli ambienti culturali in seno alla rivista «900» – fondata a Roma nel 1926 dallo stesso Massimo e da Curzio Malaparte, edita prima in francese, poi in italiano fino alla sua chiusura del giugno del 1929 –362 aveva ricevuto l’opportunità di esordire nel 1927 sulle pagine del periodico con il racconto

358 Ortese rivolge a Masino parole gravide di riconoscenza in una missiva a lei indirizzata, che reca la data del 14 marzo

1941. Ibid.

359 Le epistole ortesiane – in particolare negli anni cinquanta – saranno caratterizzate dalla presenza di formule del tipo

«“Non voglio imporle un’amicizia simile, che le darebbe sempre maggiori dispiaceri, però non smetterò subito di volerle bene”», oppure «a modo mio, le ho voluto bene, e l’ho stimata molto più di quanto lei sappia. Mi dispiace che il mio modo di essere la disgusti tanto, […] ma calcolo poco, nel mio agire». Ibid.

360 Ivi, p. 56. 361 Ibid.

362 ALBERTO MORAVIA, Se è questa la giovinezza vorrei che passasse presto. Lettere [1926_1940] con un racconto

inedito, a cura di Alessandra Grandelis, Milano, Bompiani, 2015, p. 10. I rapporti giornalistici tra Malaparte e

Bontempelli saranno destinati ad incrinarsi: all’interno dell’ambiente della rivista si creerà una scissione tra due opposte fazioni – gli Strapaesani, ancorati ad una strenua difesa del tradizionalismo italiano, e gli Stracittadini, determinati a conferire un carattere più internazionale alla letteratura italiana. Malaparte, fedele alla tradizione, abbandonerà il proprio ruolo di codirettore con Bontempelli, a partire dal numero 4 dell’estate del 1927. La rivista, inizialmente pubblicata solo in francese, verrà poi redatta in italiano dall’autunno del 1927, periodo dopo il quale le pubblicazioni si interromperanno momentaneamente, per poi riprendere dal luglio 1928 (ivi, p. 43).

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Lassitude de courtisane363 e di veder svilupparsi uno dei suoi scritti più celebri – il romanzo Gli

indifferenti.364 In merito a «900», Gian Gaspare Napolitano ricorderà questo particolare:

Nacque insomma il giorno di un accordo alla buona, nell’estate del ’27, fra tutti gli scrittori di “900”, di portare al termine, nel giro di quattro anni, cinque romanzi. […] A questi primi scritti (per la cronaca, se non per la storia, Bontempelli, Alvaro, Solari, Aniante, Gallian e Napolitano), si aggiunsero di lì a poco altri sei e cioè Spaini, Bizzarri, Artieri, Cipriani, Moravia e Da Silva. […] Era tutta gente stanca delle enunciazioni polemiche, e delle esperienze teoriche e dottrinarie. Disgustata dal frammentismo, dal psicologismo, e da tutti i vari relitti neoclassici e neoromantici tendeva, senza forse averne, i più, certa coscienza, ad una interferenza d’umanità in cui risolvere con soddisfazione di tutti il travaglio di quattro o cinque generazioni, e non solo letterario. Soluzione di un problema, si badi bene, non tanto estetico quanto etico.365

Nonostante Bontempelli fosse ritenuto una figura autorevole nel panorama letterario italiano, Moravia non ne apprezzerà mai lo stile – a giudicare da quanto dichiarerà in un’intervista rilasciata a Nello Ajello nel 1978:

Aveva il carisma del professore di liceo. Era piccolo, con la faccia, con la faccia tirata di chi ha avuto una vita dura. Umanamente era simpatico. Come scrittore, non lo apprezzavo molto. Pubblicava i moderni, i surrealisti, ma lui non era surrealista neanche un po’! Come formazione era un neoclassico, un carducciano. Si sentiva in lui […] l’uomo di studi severi.366

La conoscenza tra Alberto Moravia e Massimo Bontempelli era avvenuta nel gennaio del 1927 – come testimonia una lettera inviata da Pincherle al giornalista Umberto Morra di Lavriano:

A Roma com’era da aspettarselo il mio romanzo non ha fatto un passo avanti: però ho rifatto molte scene perfezionandole – inoltre, non so se te l’ho già detto ho conosciuto molte persone: Bontempelli, F.M. Martini, C. Alvaro – da queste conoscenze è venuta fuori la pubblicazione (al III numero) d’una mia novella nel “900” – la novella s’intitola “Cortigiana stanca” e non vale un gran che – A questo proposito per farti notare la diversità di, come dire? Di opinioni tra me e questi letterati romani appena lessi a Corrado Alvaro la novella (cenno psicologico. C. Alvaro è spinoso come un cardo: vado da lui e si parla del “900” – allora lui, con forza come se avesse scoperto un mio supposto machiavellismo mi fa: allora Lei vuole servirsi di me per entrare nel “900” – il che non era che per metà vero – altri però, anche pensandolo avrebbero taciuto) dunque quando gli lessi la novella “Ah quella cucina” incominciò a dire, […] egli pensava a tutto quello che poteva trarre dalla descrizione cubista o espressionista della cucina, pensava alla sua maledetta letteratura e non ai tipi umani che io avevo voluto mettere in quello scenario […].

Bontempelli benché molto freddo e silenzioso dev’essere più umano o per lo meno più divertente.367

363 Ibid. 364 Ivi, p. LI. 365 Ivi, pp. LI-LII. 366 Ivi, p. 13.

367 Ivi, pp. 16-17. Le iniziali ‘F.M.’ seguite dal cognome ‘Martini’ fanno riferimento al poeta e drammaturgo Fausto

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L’ambiente di «900» e la conoscenza con Bontempelli si riveleranno stimolanti per Moravia: l’uscita del romanzo di successo Gli indifferenti, infatti, sarà agevolata dalla redazione – come ricorda lo scrittore stesso nel 1971:

Partecipai un giorno a una riunione redazionale di ‘900’. C’erano, oltre a Bontempelli, la Masino, Marcello Gallian, Aldo Bizzarri, Pietro Solari, non ricordo altro: venne deciso che ciascuno di noi doveva produrre, entro un certo termine, un romanzo per motivi di linea culturale e di gruppo. L’unico che lo scrissi fui io.368

Il romanzo a cui fa riferimento è il successo degli Indifferenti, un’opera destinata inizialmente a comparire con un titolo diverso: in una missiva del 1927 a Umberto Morra di Lavriano, Pincherle alluderà al «titolo di “due giorni e cinque persone”»369 e di seguito aggiungerà che «sotto ci scriver˂à˃ “dramma”».370 Il motivo dell’impiego del sottotitolo è riconducibile alle parole proferite dall’autore nel 1971: «Avevo letto Joyce: Joyce aveva ridotto lo spazio narrativo a un giorno: questo mi aveva molto suggestionato. Mi dicevo che non c’era bisogno di far scorrere anni in un romanzo. Ora, quel che può avvenire in una giornata è un dramma».371

Nel gennaio del 1928 l’opera – egli lo definirà un «mattone»372 in una epistola del 1927 a Morra di Lavriano – comparirà sul quindicinale «I Lupi» con il titolo provvisorio Cinque persone e

due giorni e verrà poi riproposta qualche mese dopo anche sul quindicinale «L’Interplanetario»,

dove sarà preannunciata l’uscita del romanzo per l’anno successivo.

A giudicare dalle lettere inviate in quel periodo al giornalista Umberto Morra di Lavriano, il rapporto che intercorreva tra Moravia e Bontempelli non doveva essere stato dei più lineari. In uno scritto redatto a Roma tra la fine del 1927 e l’inizio del 1928, Pincherle si esprimerà nei termini seguenti:

Carissimo,

Un malanno mi venga se resterò molto tempo in questa Roma – prima di tutto piove, poi Bontempelli dice che sono abile ma teme che mi esaurirò prestissimo – la storia è questa – Bontempelli e io 368 Ivi, p. 18. 369 Ibid. 370 Ibid. 371 Ivi, pp. 18-19. 372 Ivi, p. 18.

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abbiamo una comune conoscenza femminile – a questa persona appunto egli ha esternato questo suo timore – cioè che è restato meravigliato della mia abilità ma che teme che io mi esaurisca – ed ha soggiunto che quando parlo faccio l’impressione di uno stupido e che poi questo viene smentito da quello che scrivo –

Ora a parte il fatto che Bontempelli comincia a farmene di tutti i colori (se tutto questo è vero) mi ha spaventato quel suo timore – e se fosse vero?

Esaurirmi significherebbe non sapere più scrivere altro dopo questo romanzo – è spaventoso – ma non ci credo… mi sembra di avere una specie di filo d’Arianna che mi condurrà un po’ più lontano che nell’anticamera del mio labirinto – e il fatto anche che il limite dei due giorni e dei cinque unici personaggi non mi ha permesso di svilupparmi completamente mi fa sperare che io possa scrivere almeno ancora un romanzo dove ci siano più persone e un lungo spazio di tempo – e poi questa mia prima opera è puramente negativa – io voglio fare qualche cosa che sia una costruzione e non una distruzione – nel prossimo romanzo io non guarderò più alle anime dei personaggi, essi saranno visti dal di fuori, attraverso le loro parole e i loro atti, saranno delle figure costruite come in Molière o Dostoevskij – e poi ancora nel prossimo romanzo io vorrei che ci fosse non la mancanza della tragedia, ma la tragedia, moderna, umana – e il diavolo mi porti se mi esaurisco – e inoltre se non basta il romanzo ci sarà il teatro, la poesia, che so io? e finalmente se la letteratura non va, non mi importa un fischio, la pianto, faccio della vita, non è meno interessante, anzi è più personale, più segreto, nessuno ti fa degli articoli, nessuno batte le mani, ma c’è qualcheduno tra divino e umano che ti guarda e ti segue, è la tua luce, dal fondo di questa oscurità –

Certo da tutto questo deduco che la mia divisa deve essere “sempre cambiare”; cambiare le persone, i luoghi, le abitudini – solamente, chissà se ne sarò capace? –

Intanto se ti piacciono i giuochetti di parole eccone qua uno sul creatore del “900” e cioè “Campanile di sera, Bontempelli si spera” come vedi non potrebbe essere più idiota – ma essi ne ridono –.373

Dalle parole di Moravia, traspare una certa preoccupazione per il timore confessatogli da Massimo – quasi si trattasse di una sorta di profezia. Sicuramente l’insicurezza di Pincherle e il tentativo di rassicurarsi, derivava dalla consapevolezza di doversi confrontare con il giudizio di una figura dall’esperienza maggiore. Sicuramente così facendo, Pincherle dimostrava di nutrire una certa considerazione per l’intellettuale.

Nelle righe iniziali della missiva si fa riferimento ad una «conoscenza femminile»374 comune, destinataria della confessata trepidazione di Bontempelli: sorge spontaneo ritenere che si tratti di Paola Masino. Dal passo citato, pertanto, è possibile rilevare quanta influenza esercitasse la coppia nel mondo delle lettere.

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