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2 «I palazzi sembrano quinte di un palcoscenico abbandonato»: Alba de Céspedes e la città di Roma

«NON HO MAI SMESSO DI SCRIVERE A MODO MIO» Per un profilo di Alba de Céspedes

II. 2 «I palazzi sembrano quinte di un palcoscenico abbandonato»: Alba de Céspedes e la città di Roma

Nonostante l’origine cubana, Alba vivrà per diverso tempo a Roma, una città che farà da sfondo ad alcune sue opere e testi giornalistici, come Forza Roma apparso il 15 settembre del 1952 su «Epoca».9 In esso, la giornalista descrive la capitale nel periodo estivo, quando «certi vecchi romani trascorrono gran parte della giornata in casa, in una fresca penombra»,10 e «attraverso le tacche delle persiane, spiano i coinquilini che partono per la villeggiatura, quasi godendo di vederli

9 ALBA DE CÉSPEDES, Forza Roma, in «Epoca», 15 settembre 1952, in AA.VV., I grandi scrittori di Epoca,

supplemento a «Epoca», n. 2004, 5 marzo 1989, pp. 35-39.

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cadere in trappola».11 Risultano esserci due tipologie di abitanti che si contrappongono nella metropoli: da un lato gli «scapoli, per lo più nati e vissuti a Roma, e che all’amore per la loro città hanno dedicato l’intera vita» –12 «Esperti di Roma essi sanno che il momento migliore per goderla è l’estate» –13 e dall’altro gli «inurbati, quelli che l’abitano al solo scopo di sfruttarla»14 e «l’abbandonano» –15 «Per essi i romani provano sprezzante compassione».16

Coloro che scelgono di non allontanarsi dalla capitale nel corso dei mesi estivi vengono indicati come i «romani»: appare così evidente la volontà autoriale di riprodurre le convinzioni della collettività e di quanti – con il progressivo svuotarsi della città – riacquistano «una solenne dignità»17 e «si sentono personaggi immortali»18 nel vagare tra le «piazze deserte, ove i palazzi sembrano quinte di un palcoscenico abbandonato».19 Lo sfondo romano dinanzi al loro sguardo acquista una evidente regalità:

Siedono a una trattoria in piazza della rotonda, in piazza Navona, come in una loro sontuosa abitazione privata e hanno la fontana dei Fiumi per centro di tavola. A mensa ritrovano i gesti larghi e generosi degli anfitrioni, trattano gli osti scamiciati a guisa di valletti in livrea.20

I nuovi abitanti di Roma si sono macchiati della colpa di aver svalutato la città – un tempo «patrizia» –21 relegandola al ruolo di «attiva lavoratrice»22 e non dedicandole mai alcun «atto di omaggio».23 La regalità a cui Alba fa riferimento – almeno per i suoi risvolti tematici – ricorda quella descritta da Paola Masino circa vent’anni prima nella silloge Decadenza della morte, là dove rievoca un centro urbano dai contorni antropomorfi.

11 Ibid. 12 Ibid. 13 Ibid. 14 Ibid. 15 Ibid. 16 Ibid. 17 Ibid. 18 Ibid. 19 Ibid. 20 Ibid. 21 Ivi, p. 36. 22 Ibid. 23 Ibid.

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Nel caso della Roma decespediana, ogni singolo barlume di sontuosità sembra essersi affievolito con lo scorrere del tempo: «Negli anni in cui, per motivi politici, le visite degli stranieri s’erano fatte rare, i romani erano malinconici, depressi, come belle donne prive di ammiratori».24 Solo i turisti sembrano ancora distinguere gli ultimi sprazzi del passato splendore: «Da secoli, infatti, gli stranieri coi loro costumi e idiomi diversi, fanno parte della ricchezza, dal fasto di Roma».25

La rievocazione nostalgica dei gloriosi secoli precedenti prosegue facendo cenno ai numerosi stranieri che ne hanno celebrato le gesta – Keats, Apollinaire, Liszt, Bernini, Cristina di Svezia, Stendhal, Goethe, Taine, Chateaubriand.26 Si tratta di aspetti, tuttavia, rimasti incompresi dalla nuova popolazione di lavoratori, i quali non verranno mai accettati appieno dagli antichi residenti: «Chi è a Roma, insomma, deve accontentarsi del privilegio di essere a Roma e basta; pretendere anche di arricchirsi è troppo».27 Solo i visitatori meritano rispetto, dal momento che hanno percorso svariati chilometri per rendere omaggio ad un centro urbano che in estate «si vale di tutti i suoi incanti»28 e assaporare il privilegio di ritrovarsi «la storia per guanciale».29 L’intento di Alba, pertanto, è quello di elogiare una città prestigiosa, destinata ad essere sempre «materia di racconto da tramandare ai figli e ai nipoti».30 Emerge, pertanto, la propensione decespediana a costruire i propri scritti all’incrocio di più voci, un espediente che ricorrerà in tutta la produzione romanzesca.

Sfortunatamente, «Quando i turisti sono scomparsi la città torna ad essere tutta dei romani come una casa che, finita la festa, gli ospiti abbiano abbandonato»:31 «Chi abita nella città vecchia

24 Ibid. 25 Ibid. 26 Ibid. 27 Ibid. 28 Ibid. 29 Ivi, p. 37. 30 Ibid. 31 Ivi, p. 39.

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va a casa a piedi»32 e «Quando i vecchi romani solitari chiudono dietro di loro il portone con un tonfo, il cielo è già chiaro. Le ultime voci sono coperte dai primi giri assonnati delle circolari».33

La scrittura per la pagina di giornale sarà un’attività che Alba alternerà alla stesura di liriche, novelle e romanzi. Ella – dopo aver prestato la propria collaborazione a diverse testate come «Il Giornale d’Italia», dove aveva pubblicato il racconto d’esordio intitolato Il dubbio, «Il Messaggero», «Il Tempo», «Il Piccolo», «Il Mattino» e «Il Secolo XIX» –34 nel 1944 realizzerà il proprio progetto di fondazione di una rivista: si tratterà di «Mercurio», un periodico che godette di un notevole prestigio per la presenza delle firme più accreditate.

L’avventura direzionale di «Mercurio» giungerà al termine nel 1948, dopo di che l’attività pubblicistica decespediana proseguirà con rubriche di successo come Dalla parte di lei su «Epoca» – il titolo era stato ripreso dall’omonimo romanzo della narratrice – destinato a riscuotere un successo significativo.35 All’interno di Dalla parte di lei, Alba dispenserà consigli relativi agli ambiti più svariati a lettori appartenenti ad un pubblico indifferenziato, senza porre distinzioni, in quanto ella stessa dichiarerà: «questo mi sono sempre rifiutata di farlo. […] Non condivido questa separazione tra uomini e donne, i libri si scrivono per uomo e donna».36 Nonostante il clamore di pubblico suscitato da pagine destinate ad attrarre un numero crescente di lettori, la situazione muterà con l’arrivo ad «Epoca» di Enzo Biagi, deciso a mutarne i connotati. Nel 1958 Biagi giudicherà sorpassata la forma dialogica dell’epistola, nonostante fosse proprio questa la formula vincente dello spazio decespediano, preferendole lo stile monodico di un racconto dove primeggiasse soltanto l’opinione della giornalista: così facendo Dalla parte di lei si tramuterà in

32 Ibid. 33 Ibid.

34 LAURA FORTINI, «Possiamo dire di avere speso molto di noi»: Alba de Céspedes, Natalia Ginzburg e Anna Maria

Ortese tra letteratura, giornalismo e impegno politico, in ADRIANA CHEMELLO, VANNA ZACCARO (a cura di),

Scrittrici/giornaliste, giornaliste/scrittrici. Atti del Convegno “Scritture di donne fra letteratura e giornalismo”. Bari, 29 novembre-1 dicembre 2007, Bari, Università Degli Studi di Bari “Aldo Moro”, 2011, p. 102.

35 Ivi, p. 106. 36 Ibid.

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Diario di una scrittrice, condotto da Alba dal 1958 fino al 1960, anche se la narratrice non

condividerà appieno detta scelta editoriale.37

Del resto, de Cèspedes fin dalla giovane età aveva dimostrato un’indole indipendente e schietta, rivelandosi in grado di assumere in autonomia ogni decisione sul piano personale e professionale – a dispetto dei giudizi altrui: se nel 1931 aveva posto fine al proprio legame coniugale, nel 1938 era stata arrestata con l’accusa di antifascismo a causa del temi dei suoi scritti.38 La tenacia e una spiccata forza interiore avevano contraddistinto l’autrice nel periodo in cui aveva partecipato alla Resistenza, un’esperienza che l’aveva condotta tra i territori della Puglia, fino agli ambienti partenopei. Proprio a Napoli la narratrice romana avrà modo di incontrare il giornalista Gino de Sanctis, assieme al quale inizierà a tracciare le linee programmatiche di «Mercurio».39

II.3. «Non sa dove né come, ma sente che l’agguato è nascosto»: immagini

bibliche per il periodico «Il Regno»

Gli anni dell’oppressione bellica non avevano allontanato de Céspedes dalla scrittura. Nel 1943 il «Regno» aveva ospitato un suo scritto, dedicato agli ultimi istanti di vita di Gesù – ripercorsi attraverso lo sguardo mariano.40 In esso Alba dimostrerà una spiccata abilità nel tracciare la psicologia dei personaggi e un’accentuata sensibilità introspettiva, resa eloquente dal ricorrere di interrogative pronunciate dalla Vergine, utili ad esplicitare l’idea della precarietà emotiva della protagonista:

37 ALBA ANDREINI, La scrittura giornalistica, in MARINA ZANCAN (a cura di), Alba de Céspedes, Milano, il Saggiatore,

2005, p. 341.

38 LIVIA TURCO, Alba de Céspedes regista di una voce libera: «Mercurio», in «Il Ponte», n. 2, 2003, p. 135. 39 Ivi, 136.

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Nessuno degli Evangelisti racconta dov’era Maria mentre Gesù entrava trionfante in Gerusalemme […]. Accanto a Maria cento altre donne lo acclamano, ed Ella tace chiusa in una segreta ansia: non sa dove né come, ma sente che l’agguato è nascosto, scruta forse negli occhi di ognuno per scoprire quello che lo prepara.

[…] E forse Maria avrebbe voluto farsi largo tra la folla, raggiungere il Figlio, fermarlo pel braccio, salvarlo da questo pericolo che lo attendeva, come quando da fanciullo lo richiamava in casa avanti che le prime ombre della notte scendessero e lo minacciassero con le loro insidie. Ma certo non osa: così lontano, alto sulla folla, Gesù non è più quel bambino vestito di bianco che andava attorno muovendo la sua mite grazia per la casa, già Egli non le appartiene più, appartiene a tutta questa gente che acclama e grida, alla quale si leggono in volto desideri e appetiti. Ella sente che la stessa volontà divina che aveva spinto l’Angelo alla soglia della sua casa ad annunziarle che il Figlio sarebbe venuto, oggi glielo toglieva, altrettanto misteriosamente.

Dov’era Maria durante le ore del giovedì? Dov’era quando Gesù accoglieva, insieme, Giovanni e Giuda nell’ultima cena? Ancora a Gerusalemme, certo, poiché la ritroviamo salendo l’aspra costa del Golgota.41

È degna di nota l’alternanza dei pronomi “Ella” ed “Egli”, con l’iniziale maiuscola in segno di rispetto per i profili a cui si riferiscono. Le emozioni vissute da Maria vengono rappresentate con particolare minuzia e precisione:

Per ritrovare Maria e sentire la sua pena in noi come una nostra pena viva e la sua speranza come un nostro intimo palpito, bisogna raccogliersi e lasciarsi andare quasi sul filo di un sogno. […] Colpi cadevano sul volto del Figlio e ne ardevano dolorose le guance della Madre; a ogni insulto che veniva lanciato contro Gesù, Ella impallidiva e si tappava gli orecchi per non udire. Attonita volgeva gli occhi alla casa e si domandava se veramente quelli che adesso lapidavano Gesù di odiose parole e di disprezzo, erano gli stessi che pochi giorni prima sorridevano a Lui e lo benedicevano perché veniva nel nome del Signore. […] E tanta crudeltà la sbigottiva, Lei che era avvezza a vivere tutta chiusa nel segreto giardino del suo mondo e della sua anima; forse adesso comprendeva quel che Gesù intendeva dire quando accennava al sacrificio che doveva compiere per salvare il genere umano dalla palude delle sue miserie. […] Lei sola lo seguiva senza tremare, e avrebbe voluto farglisi vicino, confortarlo con la propria presenza.42

Gli ultimi istanti di vita di Gesù vengono scanditi dagli elementi rilevati dallo sguardo di Maria e, successivamente, accostati ai ricordi di una quotidianità ormai trascorsa. La descrizione prosegue, fornendo immagini altamente verosimili:

Ma nell’incontrarsi il Figlio e la Madre si guardarono e furono, per un momento, soli. Attimi, forse, perché già i soldati incitavano il Nazareno a proseguire. Maria e Gesù non dissero parole: la Madre fissava i suoi piangenti occhi nei gravi occhi del Figlio e ambedue portavano in quell’incontro tutta la loro vita passata e se l’offrivano e la riconoscevano. Era l’addio che Essi sapevano dover avvenire, un giorno, tanto vivo quel momento era sempre stato tra di loro. Il Figlio sapeva che Maria era la sola persona che lo seguisse senza incertezze, seppure il dolore la piegasse in due come l’albero che ha

41 Ivi, p. 99. 42 Ivi, pp. 99-100.

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troppo sofferto per l’urto del vento. E Lei in quel momento non poteva aiutarlo, neppure portare la croce con Lui poteva: poteva soltanto guardarlo con i suoi puri occhi che erano sempre stati specchio alla volontà del Signore.43

L’autrice ritrae con estrema minuzia, – soffermandosi sui particolari emblematici – la condizione interiore della Vergine – il fulcro della vicenda:

Disteso era Gesù sulla croce: forse guardava il cielo per scoprirvi un segno del Padre e sembrava che non guardasse nessuno; non volgeva gli occhi a Maria perché non voleva che troppo s’impietosisse di Lui. Maria stava discosta, la gente passava, la urtava, e Lei, chissà, forse s’era seduta in terra dove anche quella mattina l’erba era dolce e tenera, bagnata di rugiada. Altra cosa non vedeva, la Madre, che quegli enormi chiodi, non udiva che quel cupo, sordo battere del martello contro il ferro. E tutta l’anima sua addolorata era eco a quel sinistro urto, qualcosa dentro di Lei simile a un doloroso lamento, seguiva un colpo e l’altro come una scìa. Tante volte – quasi a scandire ore e momenti della sua giornata – aveva udito risuonare nella loro casa i colpi del martello. E al rumore di essi sempre si rassicurava: Gesù era lì che lavorava oltre la parete, le bastava affacciarsi a una porta per vederlo attento al suo mestiere, le bastava chiamarlo per udirlo rispondere. Erano stati finora, quei colpi di martello, il suono della vita e presenza di Lui. E adesso tutto era come allora, l’aria era piena di invitanti promesse, i cespugli avevano fiori, gli alberi frutti e foglie, le nubi andavano adagio pel cielo, soltanto il martello non pigiava più il chiodo nell’odoroso legno dell’abete, ma nelle mani di Gesù che erano state tenere mani di bimbo e avevano moltiplicato i pani e guarito i lebbrosi.44

Alle immagini del presente si sovrappongono quelle del passato, nel momento in cui Maria si trova a dover assistere alla crocifissione del figlio. Le varie sequenze sceniche si susseguono senza sosta nella narrazione e vengono scandite da quei colpi di martello, un tempo simbolo della quotidianità, mentre ora cariche di tragico valore semantico. Risultano secchi i colpi dati ai chiodi e il lettore pare avvertirne la sonorità. La dimensione dell’udito diviene lo strumento ideale per rievocare i ricordi del passato:

Sola in mezzo ai suoi simili Maria sapeva che Egli ben altro aveva fatto, scendendo miracolosamente in terra senza macchiare la purezza di Lei, ben altro aveva compiuto, e perciò facile gli sarebbe stato trarsi dallo strumento del suo martirio. Incredulo il popolo schiamazzava, inveiva, martirizzava, feriva: e invece di dolersi di tanta crudeltà, Maria, quanto più attraverso i tormenti inflitti al Figlio suo si convinceva della miseria ed abiezione degli esseri umani, tanto più comprendeva quanto fosse necessario il sacrificio di Lui per salvarli.45

43 Ivi, p. 100. 44 Ivi, p. 101. 45 Ivi, p. 101-102.

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Quello ricostruito da de Céspedes è un percorso di dolore dal quale neppure la Vergine potrà sottrarsi: animata da un’iniziale incredulità per ciò che l’attornia, poco dopo comprenderà quanto il sacrificio di Gesù fosse necessario. I passi utilizzati per narrare la morte di Cristo spiccano per la loro potenza descrittiva:

Adesso era silenzio sul Monte Golgota: paghi del sanguinoso spettacolo e intimoriti dagli avvenimenti superumani che avevano accompagnato il trapasso del Re dei Giudei, i soldati ridiscendevano il sentiero dove la polvere e l’erba serbavano ancora fresche le impronte del faticoso cammino di Gesù. E c’era un gran silenzio, attorno; non più urla s’udivano: si vedevano i Farisei allontanarsi e Maria li fissava con infinita pietà come se fossero tutti ciechi o sordi, poiché non sapevano che nell’attimo in cui il doloroso grido di Gesù aveva accompagnato la sua morte, essi erano stati redenti.46

Ecco, quindi, che il tonfo sordo dei colpi del martello viene sostituito da un silenzio doloroso nello scandire la successione dei fatti:

Una gran pace s’effondeva nell’animo di Maria, adesso; dal suo dolore nasceva una sorta di miracolosa beatitudine: tutto s’era compiuto quel che era stato scritto e perciò Lei sapeva che Gesù non era morto per sempre. Era come quando da bambino dopo una faticosa giornata di lavoro dolcemente s’addormentava vicino a Lei per risvegliarsi al primo raggio del sole. Perciò agli altri era dato di piangere e lamentarsi, non a Lei che aspettava Gesù nella sua gloria. Qualcuno aveva tentato di chiudergli gli occhi, ma Egli rialzava le palpebre leggermente, come destandosi, e fissava col suo vitreo sguardo la Madre. […] Ma Maria non credeva soltanto nella morte di Gesù, sibbene anche nella resurrezione di Lui. Non piangeva più, né parlava, stava chiusa nel mondo dei suoi pensieri. E forse quanti erano presenti pensavano che Ella fosse smarrita e annientata come David dopo la morte del figlio: perciò impietositi si facevano verso di Lei tentando di confortarla. Ma Lei scoteva la testa, serena: e per la prima volta ubbidiva, con la sua fidente certezza, a quanto Gesù aveva lasciato detto. «Rimanete nell’amor mio».47

46 Ivi, p. 102. 47 Ivi, p. 102.

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