8. Criticità: difesa dello Stato o difesa della Costituzione? I presupposti proto-costituzional
8.2 La dottrina della Costituzione e i suoi corollari: il patriottismo costituzionale
tale motivo la protezione dello Stato viene identificata esclusivamente con e attraverso lo strumento costituzionale: per i c.d. “pensatori [a partire] dalla Costituzione” (Verfassungsdenker) non esisterebbero due vie di tutela e nemmeno due oggetti differenti da utilizzare a seconda dell’interesse concreto che viene in essere, ma sarebbe sempre necessario (e sufficiente) partire dai presupposti costituzionali289. Anche se tradizionalmente il precursore di questa linea di pensiero è considerato Rudolf Smend, un importante contributo alla sua teorizzazione viene anche dallo stesso Carl Schmitt. Sebbene all’atto di applicazione pratica del suo pensiero, Schmitt abbia sposato posizioni apertamente favorevoli a privilegiare gli interessi meta- costituzionali dello Stato, nella sua opera “la dottrina della Costituzione” egli riassume magistralmente i fondamenti di questa impostazione teorica. Schmitt parte dal concetto di costituzione – in senso assoluto - di un determinato Stato come forma effettiva dell’unità politica di un popolo290, ma anche un sistema normativo unitario e chiuso dalle norme più alte ed ultime cioè il concetto di costituzione come norma sulle norme. Afferma testualmente l’A.: «Qui la Costituzione non è una condizione conforme a se stessa, e neppure un divenire dinamico, ma qualcosa di normativo, un semplice “dovere”. Non si tratta però di singole leggi o norme, anche se forse molto importanti e poste in rilievo con contrassegni esteriori, ma in genere della normazione globale della vita statale, della legge fondamentale nel senso di una unità conclusa, di “legge delle leggi”. Tutte le altre leggi e norme devono poter essere ricondotte
capacità della volontà costituente di concepire un ordinamento razionale ed astratto; al contrario, esso deve sempre essere allineato con i presupposti morali della società. Così sembra affermare E-W. Böckenförde,
La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, cit., 31-32.
288 E-W. Böckenförde, La formazione dello Stato come processo di secolarizzazione, cit., 70.
289 Pensare “attraverso la Costituzione” anziché “attraverso lo Stato” è la lezione che si evince, ad esempio
dal pensiero di K. Hesse, Grundzüge des Verfassungsrechts der Bundesrepublik Deutschland, Heidelberg, C.F. Müller, 1999.
290 La Costituzione come «il concreto modo di esistere che è dato spontaneamente con ogni unità politica
esistente” (25). In tale accezione la costituzione può indicare rispettivamente la concreta condizione generale dell’unità politica e dell’ordinamento sociale di un determinato Stato, la forma particolare del potere che esiste in ogni Stato cioè la forma di Stato e anche il “principio del divenire dinamico dell’unità politica, del processo di nascita e di formazione sempre nuova di questa unità (...). Qui lo Stato è concepito non come qualcosa di esistente, di quietamente statico, ma come qualcosa che diviene, che nasce sempre di nuovo». C. Schmitt, La dottrina della costituzione, cit., 16.
83 a questa unica norma. Con questa accezione del termine lo Stato diventa un ordinamento giuridico che poggia sulla costituzione in quanto norma fondamentale, cioè una unità di norme giuridiche. Qui la parola “Costituzione” indica una unità ed una generalità. È perciò pure possibile identificare Stato e Costituzione. Non però come nel precedente significato della parola, dove è Stato = Costituzione, ma viceversa: la Costituzione è lo Stato, poiché lo Stato è considerato come qualcosa che deve essere conforme ad una norma e si vede in essa soltanto un sistema di norme, un ordinamento “del diritto”, che esiste non conformemente all’essere, ma vige conformemente al dovere, che però ciononostante istituisce un concetto assoluto di costituzione – poiché qui è posta una unità sistematica, conclusa di norme ed è equiparata allo Stato»291.
Recepita anche da una corrente importante di costituzionalisti italiani292, nel Dopoguerra questa linea di pensiero è stata portata avanti in Europa soprattutto dalla c.d. “scuola di Friburgo”, continuatrice del pensiero di Smend che vale la pena di ripercorrere brevemente. Rifiutando la visione riduzionista giuspositivista, il pensiero smendiano – le cui analogie con Schmitt, sotto questo profilo, sono, come abbiamo detto, notevoli – invita a «pensare per principi»293 partendo dalla Costituzione. Lo Stato democratico (che lui identifica con il
291 C. Schmitt La dottrina della costituzione, cit., 21. Da quanto esposto è già possibile in realtà ricavare i
presupposti della “deviazione” di Schmitt verso la ragione della ragion di Stato. Ci si riferisce in particolare al fatto che secondo Schmitt la Costituzione vige come norma fondamentale fintanto è in grado di garantire un sistema chiuso di principi giusti in forza di determinate qualità logiche, morali o di altro genere che attengono al loro contenuto. In altre parole, per Schmitt non esiste nessun sistema costituzionale interamente chiuso in se stesso, puramente normativo: nessuna norma può porre se stessa. In aperta polemica con Kelsen, Schmitt richiama in ultima analisi i fondamenti extra-costituzionali dei principi costituzionali: «L’unità del Reich tedesco poggia non sui 181 articoli e sulla loro vigenza, ma sull’esistenza politica del popolo tedesco. (…) La costituzione di Weimar vige perché il popolo tedesco «si è data questa Costituzione» (23-24).
292 Si v. A. Baldassarre, Costituzione e teoria dei valori, in Politica del diritto, n. 4, 1991, 639-658; da ultimo, e in un
senso molto più critico, v. ID., Filosofie dei valori ed ermeneutica dei valori (a proposito del «pensare per valori»), in AA. VV., Studi in onore di Franco Modugno, vol. I, Editoriale Scientifica, Napoli, 2011, 145 ss., spec. 160-162; F. Modugno, Principi generali dell’ordinamento, in Enciclopedia giuridica Treccani, vol. XXIV, 1991, 1-24; L. Paladin,
Le fonti del diritto italiano, Bologna, Il Mulino, 1996; pur non appartenendo a tale scuola di pensiero, una
rassegna di pregio sulla prassi della nostra Corte è quella di M. Luciani, Corte costituzionale e unità nel nome di
valori, in R. Romboli (a cura di), La giustizia costituzionale a una svolta, Atti del seminario di Pisa del 5 maggio
1990, Giappichelli, Torino, 1991, 170-178; G. Zagrebelsky, Diritto per: valori, principi o regole?, in Quaderni
fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, vol. 31, 2002, 865-897, 881 dove egli afferma: «anche norme
costituzionali formulate come regole sono spesso intese, nelle giurisprudenze delle Corti costituzionali, come principi». A posizioni neocostituzionalistiche (e quindi basate su un’interpretazione radicale della dottrina della Costituzione) secondo A. Schiavello, Neocostituzionalismo o neocostituzionalismi?, in Dir. quest. pubbl., n. 3, 2003, 37-49, sarebbero riconducibili le teorie neo-post-giustpositiviste di Luigi Ferrajoli, in una sorta di eterogenesi dei fini.
293 Cfr. R.C. van Ooyen, Dalla Staatsrechtslehre alla società aperta del diritto costituzionale comparato ed europeo -
intervista a Peter Häberle, in Nomos – Le attualità del diritto, n. 2/2016, online su http://www.nomos-
leattualitaneldiritto.it/wp-content/uploads/2016/09/Haeberle_Nomos22016.pdf, dove Häberle ricorda le premesse della teoria della Verfassungslehre inaugurata come pensata dalla scuola di Friburgo: «Il pensare per principi e la tolleranza di uno sguardo aperto alla molteplicità ne era un tratto distintivo. Per il resto si rimane fermi sulla Legge Fondamentale – conformemente al postulato della forza normativa del hic et nunc normativo».
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parlamentarismo) vive ed esiste «solo in [un] processo di costante rinnovamento» in cui la sua esistenza viene continuamente rivissuta e riaffermata attraverso i suoi valori fondativi, quelli costituzionali, che ne costituiscono il presupposto294. La Costituzione crea dunque lo Stato e senza di essa quest’ultimo non potrebbe legittimare la propria esistenza (simul stabunt simul
cadent). La riflessione di Livio Paladin è al riguardo ulteriormente chiarificatrice: la Costituzione,
egli dice, non è considerata come il documento che disciplina una ben delimitata “materia costituzionale”, separata dal resto dell’ordinamento giuridico, ma piuttosto «come un progetto di società giusta, che come tale è destinato a dispiegare effetti su tutta la società»295. Per questa ragione non può dirsi esistere una reale dicotomia tra Costituzione e ordinamento giuridico.
Il tentativo di raggiungere un’integrazione politica attraverso i valori costituzionali e la loro capacità di creare unità è prima di tutto il tentativo di pensare il sistema in maniera dinamica, come dinamico è il pluralismo sociale che lo Stato (i.e. la Costituzione) è chiamato a ricomporre296. Con l’integrazione materiale della Costituzione si affaccia anche il bisogno di riconoscimento dell’unità spirituale nazionale in simboli e valori. Così, quale naturale corollario di questa dottrina, nasce il concetto di Verfassugspatriotismus elaborato in prima battuta dal politologo Dolf Sternberger297, ma definitivamente sdoganato attraverso le opere del filosofo tedesco J. Habermas e della scuola francofortese298. L’idea di un patriottismo costituzionale 294 Così R. Smend, Verfassung- und Verfassungsrecht (1928), in Staatsrechtliche Abhandlungen, Duncker &
Humblot, Berlin 1968, trad. it. in Costituzione e diritto costituzionale, a cura di G. Zagrebelsky, Milano, Giuffré, 1988, 76. Partire dalla costituzione non significa fermarsi ad essa (come i sostenitori del patriottismo costituzionale affermano). Per Smend - il cui pensiero sarà ripreso da numerosi costituzionalisti suoi discepoli diretti o indiretti, tra i quali Konrad Hesse, Horst Ehmke, Günter Dürig, Werner von Simson e Peter Häberle - «lo Stato esiste soltanto perché e nella misura in cui continua ad integrarsi, si costruisce nei, e a partire dai, singoli individui: questo processo continuo costituisce la sua essenza come realtà sociale spirituale» (ivi, 101) Tre le modalità integrative per Smend: l’«integrazione personale», che si attua con il riconoscimento della leadership politica da parte dei cittadini; quella «funzionale», che ha luogo mediante i processi di formazione della volontà politica; e quella «materiale», che si verifica in riferimento a valori: l’essenza ultima dello Stato deve essere intesa come realizzazione di valore. In questo ultimo senso, la costituzione rappresenta solo la normazione legale di singole parti del processo integrativo, che tuttavia non può prescindere da una sua “processualità” e da un rinnovamento permanente. Sulla concezione della società come dottrina dello spirito, v. il pensiero del filosofo tedesco W. Dilthey, Der Aufbau der geschichtlichen Welt in
den Geisteswissenschaften (1910), Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1981. Per una collocazione della dottrina di Smend
nel panorama costituzionalista internazionale, v. U. Pomarici, La teoria dell’integrazione di Rudolf Smend, in
Democrazia e diritto, n. 2, 1982, 109-135.
295 Per L. Paladin, Le fonti del diritto italiano, cit., 30 ss., la costituzione è considerata come un insieme di
principi capaci di penetrare in tutti i settori del diritto e di rimodellare le categorie giuridiche proprie dei vari settori del diritto infra-costituzionale. È in questo senso che si può dire che la Costituzione è veramente il «fondamento» di tutto l’ordinamento giuridico. Così anche F. Modugno, Principi generali dell’ordinamento, cit., 2.
296 F. Modugno, Interpretazione costituzionale e interpretazione per valori, in www.cosituzionalismo.it. Il dibattito è
stato arricchito anche da A. Longo, Valori, principi e Costituzione: qualche spunto sui meccanismi di positivizzazione
delle istanze assiologiche di base, in Diritto e Società, 2002, 75-149; più estesamente, ID., I valori costituzionali come categoria dogmatica: problemi e ipotesi, Napoli, Jovene, 2007.
297 D. Sternberger, Verfassungspatriotismus, Frankfurt a.M., Insel, 1990.
298 Sul punto v. le note riflessioni di J. Habermas sui processi di inclusione dell’altro, che non devono essere
intesi né come assimilazione dell’altro nel senso dell’appiattimento di tutti i valori, né come chiusura verso il diverso: significa piuttosto che i confini della comunità sono aperti a tutti, senza che essi debbano, per
85 risponde, sotto l’aspetto normativo e politico-sociologico, alla esigenza di stabilizzare l’ordine liberal-democratico promuovendo tra cittadini una comunione non etnica o religiosa, ma ideale, fondata sul riconoscimento di procedure e principi democratici formali ed inclusivi299. Il minimo comune denominatore per l’unificazione delle varie istanze sociali e valoriali presenti nel Paese è, appunto, la Costituzione. L’unità non è data dagli elementi oggettivi del proprio
ethos identitario (la lingua, la religione, la tradizione, il sangue…), ma da come questa comunità
si vede e si vive e da come concepisce quelli che John Rawls definiva i «constitutional essentials», cioè le sue caratteristiche essenziali che appunto uniscono i vari ethos che la compongono300. Presupposto concettuale di questa formula è che lo Stato non dovrebbe trovare la propria legittimazione solo nella perpetuazione di un pluralismo sociale (si potrebbe dire, sulla falsariga di un multiculturalismo à l’anglais), ma da una concezione universale, indipendente ed eticamente superiore ad ognuna di queste, eppure allo stesso tempo di tutte inclusiva. Le diverse forme di vita che coesistono contemporaneamente in una comunità politica sono tenute in piedi a livello politico mediante un accordo sui principi (ecco che ritorna il richiamo all’etica compiuto all’inizio del Capitolo)301. Nelle intenzioni originarie di Steinberger, il concetto non doveva rappresentare un sostituto, ma solo un completamento del concetto di sentimento nazionale e tuttavia, nel tempo, il pensare i propri valori solo attraverso la Carta
poter entrare nella comunità, rinunciare alle loro credenze e ai loro valori. Cfr. J. Habermas, Staatsbürgerschaft
und nationale Identität, in ID., Faktizität und Geltung, Frankfurt a.M, Suhrkamp, 1992, in particolare 67 ss.
299 Il concetto, sviluppato da J. Habermas, trae origine dall'aspirazione di trovare un’unità nella diversità
attraverso una «convinta adesione ai principi universalistici del Grundgesetz» (Cfr. J. Habermas,
Staatsbürgerschaft und nationale Identität, cit., 45). Le riflessioni di Habermas sui processi di inclusione dell’altro
devono essere intese come la rifondazione dell’identità nazionale tedesca basata cioè su elementi elettivi (stato di diritto, istituzioni di rappresentanza, alternanza di governo, partecipazione civica, indipendenza del potere giudiziario, ecc.) e non più meramente ascrittivi (cultura, lingua, storia, ecc.). Sulla base di questo fondamento teorico si è fatto strada un nuovo paradigma che, ad esempio in Germania, ha sostituito il vecchio concetto di Volkskultur (la totalitaria cultura del Popolo): la cd. Leitkultur, ovvero la cultura-guida. Il concetto di Leitkultur, che è stato proposto per la prima volta dal politologo tedesco di origine siriana B. Tibi, Multikultureller Werte-Relativismus und Werte-Verlust. Demokratie zwischen Werte-Beliebigkeit und pluralistischem
Werte-Konsens, in Aus Politik und Zeitgeschichte, vol. 52-53, 1996, 27-36, ed ulteriormente sviluppato in ID, Europa ohne Identität? Leitkultur oder Wertebeliebigkeit, Berlin, Siedler, 2000, risponde, sotto l’aspetto politico-
sociologico, alla funzione di integrazione ed unificazione delle varie istanze sociali e valoriali presenti nel Paese. Se il patriottismo costituzionale funge da principio normativo ispiratore, la cultura-guida funge da minimo comune denominatore intorno al quale ogni immigrato sarebbe tenuto a costruire il proprio processo di integrazione, perseguendo così un incontro tra le esigenze di unità sociale e quelle di preservazione e difesa dei diritti delle culture di minoranza. Tra i massimi pensatori del patriottismo costituzionale c’è lo studioso americano di origine tedesca J.W. Müller, A General Theory of Constitutional
Patriotism, in ICON-S Journal, 6 (2008), 72-95.
300 J. Rawls, Political Liberalism, cit., 217.
301 Cfr. J. Habermas, Faktizität und Geltung. Beiträge zur Diskurstheorie des Rechts und des demokratischen Rechtsstaates
(1992), trad. it. (a cura di L. Ceppa), Fatti e norme. Contributi a una teoria discorsiva del diritto e della democrazia, Guerini, Milano 1996, 73, secondo cui «Rawls propone (secondo il modello contrattualistico) un procedimento che è interpretabile come l’esplicitazione di un’imparziale prospettiva di giudizio su questioni di giustizia politica moralmente sostantive. Nella posizione originaria le parti interessate al processo giustificativo di assoggettano precisamente a quella condizioni (di eguaglianza, di indipendenza, ingoranza della propria posizione nella società futura, ecc.) in grado di garantire che tutti gli accordi (…) siano nello stesso tempo conformi agli interessi di tutti».
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costituzionale ha costituito, per molti autori, sempre più un processo necessitato. La difesa intransigente dei valori etici (morali, politici, giuridici) formulati però come principi costituzionali e la pervasiva presenza di questi ultimi (attraverso il processo di irradiazione dei diritti fondamentali nella vita quotidiana - Ausstrahlungswirkung) in ogni ambito dell’ordinamento giuridico, ha portato a processi di «costituzionalizzazione del diritto»302. Un tale ragionamento non è esente da criticità tanto di ordine pratico quanto teorico: oltre al rischio dello scollamento tra ethos e telos sottolineato da Joseph Weiler303, vi è anche quello di una “lettura morale della Costituzione”304, in particolare laddove si differenziano le regole (da interpretarsi alla stregua dei canoni tradizionali) dai principi (da intendersi, appunto, anzitutto nel loro ethos), con tutto ciò che comporta in tema di adesione interiore da parte dell’interprete, cioè in primo luogo del giudice. Non è quindi recessivo il rischio implicito in questa visione di attribuire alla Costituzione un potere magico, trasformandola quasi in un oggetto materiale di venerazione, cioè in un “feticcio” nel duplice senso di sostituto di ogni altra considerazione o norma etica e di pura dimensione telelogica, cioè di un “dover essere” staccato dalla realtà305.
Pur non potendo qui affrontare gli altri smisurati problemi aperti dalla discussione sul patriottismo costituzionale (in primo luogo sulla sua natura: forma di Stato? Cultura giuridica? Teoria del diritto? Filosofia del diritto? Atteggiamento ideologico?) si è voluto qui semplicemente sottolineare come siano l’oggetto di indagine e l’atteggiamento normativo propri della dottrina della Costituzione ad averne fondato i presupposti teorico-concettuali.
8.3 Una concretizzazione del dibattito teorico: la scelta del BVerfG per il carattere