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L’etica del limite nella dimensione sostanziale della democrazia costituzionale: limit

L’affermarsi dell’idea di libertà, infatti, porta con sé (fin dall’inizio della riflessione filosofica ancor prima che giuridica), insieme al problema del suo godimento, l’idea che talvolta questa debba essere contenuta350. L’indagine sui presupposti dell’esercizio dei diritti si fa quindi prima di tutto un’indagine sui limiti o meglio, si spiegherà a breve, sulle limitazioni o restrizioni di questi stessi diritti351.

Si potrebbe certamente obiettare che un’analisi che concerne i confini operativi delle libertà fondamentali, quale appunto quella di associazione religiosa, non dovrebbe necessariamente avere a che fare con il tema della protezione preventiva dello Stato costituzionale (della democrazia protetta). Un certo contenimento dell’ambito di operatività dei diritti e delle libertà, come pacificamente riconosciuto anche dalla nostra Corte costituzionale352, è infatti implicito nello stesso concetto di diritto o di libertà: vi sono infatti dei limiti “naturali” o “immanenti”

350 Il concetto di limite assume diverse forme espressive a seconda dei diversi contesti tematici nei quali

viene utilizzato. Non si lascia inquadrare, né esaurire dal discorso filosofico (e, all’interno di questo, nelle diverse prospettive dell’ontologia, della gnoseologia, della morale). Non si lascia inquadrare né esaurire dal discorso esistenziale, ma nemmeno da quello giuridico. Nella civiltà greca il concetto di limite (peras) ha una forte valenza che oltrepassa la dimensione ontologico-metafisica per coinvolgere ogni aspetto della vita umana, dall’etica alla politica. L’importanza del limite, come struttura profonda della realtà e stella polare del comportamento etico, si comprende meglio considerando un altro tema che pervade profondamente la cultura greca: quello della polarità. Già in Anassimandro tutta la realtà si forma attraverso l’incontro-scontro dei contrari che anziché escludersi si confermano vicendevolmente: «la notte non esisterebbe senza il giorno» (Anassimandro, Frammenti). Ma è con i due motti del «conosci te stesso» (γνῶθι σεαυτόν) e del «nulla di eccessivo» (µηδὲν άγαν) che l’oracolo di Apollo a Delfi rivolgeva all’uomo, da un lato, l’invito a indagare dentro di sé per scoprire la propria essenza, la propria identità, dall’altro, l’invito a realizzarsi «con misura» (κατά µετρον), cioè a non oltrepassare il limite.

351 La natura ambigua e complessa del nostro concetto di limite risiede già nella sua duplice origine, nella sua

radice etimologica da cui vengono fatti derivare due differenti sostantivi latini: limes e finis. Il primo esprime il solco lineare che traccia la fine di un fondo, e cioè ha il significato di termine, di confine, di linea di demarcazione, ma anche di soglia; il secondo di frontiera, barriera. Come acutamente rileva N. Wokart,

Differenzierung im Begriff “Grenze”, in R. Faber, B. Naumann (a cura di), Literatur der Grenze, Theorie der Grenze,

Würtzburg, Könighauser & Neumann Verl., 1995, 275-290 già nel mondo classico il confine (finis) si sostanziava in una linea netta e tendenzialmente statica, atta ad operare una separazione di spazi tra realtà contigue. La frontiera (limes), invece, rappresentava la soglia di demarcazione che separava il noto dall’ignoto, l’ordine dal disordine, la civiltà dalla barbarie.

352 Che le varie sfere giuridiche debbano sottostare ad una reciproca limitazione al fine di un’armonica ed

ordinata esistenza civile è stato riconosciuto dalla stessa Corte fin dalla sua prima pronuncia: «Il concetto di limite è insito nel concetto di diritto» (C. Cost. 1/1956). Sulla dottrina dei “limiti naturali” dei diritti costituzionali, cfr. P. Barile, Corso di diritto costituzionale, Padova, CEDAM, 1964.

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dei diritti fondamentali che ne depotenziano l’assolutezza353. Sappiamo però che esistono interessi o principi (espressi o, talvolta, anche impliciti e ricavabili per interpretazione dello spirito complessivo della Costituzione) che innervano l’ordinamento costituzionale e che sono volti a preservare l’esistenza dello Stato democratico-costituzionale in quanto tale. Tali interessi possono operare tanto su un piano fisiologico (perché valgono in condizioni ordinarie) quanto su quello dell’eccezionalità (e allora sono dettati dalla necessità dello stato di emergenza) e comportano la possibilità di limitare i diritti fondamentali. Tra questi interessi primari si possono ad esempio ricomprendere il rispetto del principio dell’ordine costituzionale (che nell’esperienza tedesca, prende le forme dell’ordine liberal-democratico), dell’ordine pubblico, della sicurezza nazionale, dell’integrità territoriale, del buoncostume, della morale pubblica, della laicità, del pluralismo, della tolleranza. Dunque, a operare come limitazione ai diritti fondamentali sono sia i limiti immanenti (o impliciti o interni) ai diritti sia i principi fondamentali dell’ordinamento. Le due forme assumono una rilevanza diversa per il modo in cui si configurano: per descrivere la differenza qualitativa tra queste limitazioni delle libertà politiche fondamentali, la terminologia giuridica elaborata dalla filosofia – prima ancora che dalla dottrina – tedesca rappresenta un primo supporto concettuale. Mi riferisco alla sottile distinzione concettuale tra due tipi di limite: il Grenze e lo Schranke, nata dal percorso del criticismo kantiano354 e sviluppata successivamente dal pensiero hegeliano355. Se nella speculazione kantiana e hegeliana il riferimento al limite è direttamente ed esclusivamente legato alla filosofia della conoscenza e al problema dell’ambito di operatività della ragione,

mutatis mutandis nel ragionamento costituzionale esso è chiamato a definire l’ambito di

operatività del potere statuale in relazione ai diritti fondamentali. È quindi possibile così compiere una distinzione anche all’interno del ragionamento costituzionale tra limitazioni 353 Si tratta di un assioma che ricava fin dalle prime positivizzazioni delle dottrine illuministiche: cfr. art. 4

della Dichiarazione di diritti dell’Uomo e del Cittadino (1789) “La libertà consiste nel fare tutto ciò che non nuoce agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali uomo non ha come limite che quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di quegli stessi diritti”.

354 Il criticismo kantiano, che si oppone al dogmatismo, consiste nel sottoporre a esame i fondamenti della

conoscenza o, altrimenti detto, nel domandarsi a quali condizioni ed entro quali limiti il conoscere sia legittimo. Kant, nei Prolegomeni, introduce la differenza tra limite come Grenze e limite come Schranke, che i curatori delle edizioni italiane traducono come confine. Il Grenze è quel limite che si pone tra due ambiti che sono tra loro disomogenei: è il punto in cui un determinato ambito smette d’essere sé stesso e diventa altro da sé. Altrimenti detto Grenze è ciò che separa due entità assolutamente eterogenee l’una rispetto all’altra; Lo

Schranke è invece il limite all’interno di un ambito omogeneo. Il passaggio dal limite al confine implica

l’apertura ad una dimensione altra, sconosciuta e, forse, per Kant, inconoscibile. Cfr. I. Kant, Prolegomeni a

ogni futura metafisica, trad. it a cura di P. Carabellese, Laterza, Bari, 2012, § 57.

355 Nell’interpretazione data del pensiero kantiano, Hegel dimostra che il limite (Grenze) di cui parla Kant è

da intendersi in realtà come Schranke (limitazione): «sono determinati come limitazione, come difetto, soltanto quegli ambiti che si confrontano con l’idea presente dell’universale, di un intero e compiuto». Cfr. Hegel G.W.F., La Scienza della Logica, cit., 60ma Anmerkung. Per Hegel, Grenze conterrebbe implicitamente un’immagine di rimando ad un’ulteriorità (e dunque ad una soglia da superare), mentre nello Schranke solo il senso della limitazione, di una mancanza. Cfr. A. Moretto, Sul ruolo delle categorie logiche della limitazione

nell’interpretazione hegeliana della Romanitas, in L. Illetterati, A Moretto (a cura di) Hegel, Heidegger e la questione della Romanitas, Atti del Convegno Verona 16-17 maggio 2003, Roma, Ed. Storia e letteratura, 2004, 139-

101 legate all’operare di limiti immanenti ai diritti, che chiamerei limiti in senso stretto (i Grenzen, appunto), e i limiti esterni, cioè imposti da norme volte a preservare interessi o principi di ordine generale, che chiamerei restrizioni (gli Schranken) 356.

Il limite è diretto a proteggere e a circostanziare un valore di libertà individuale, cioè è rivolto a connotare un’esigenza di mera convivenza fra le libertà tra singoli individui; la restrizione, invece, è diretto a rappresentare un valore riferibile alla collettività in generale nel senso che denota le condizioni essenziali che, in relazione ai contenuti morali in un determinato momento storico, sono indispensabili per assicurare una convivenza sociale conforme ai principi costituzionali inviolabili della tutela della dignità umana e del rispetto reciproco tra le persone357. Il limite definisce realtà contigue e omogenee358, cioè il rapporto tra diritti (anche diversi) o tra interessi, mentre la restrizione viene in essere quando si prospetta un contrasto tra interessi generali e diritti. In altre parole, il limite rappresenta le caratteristiche concettuali

356 Nella stessa dottrina tedesca Grenzen e Schranken non sono sempre distinti con chiarezza, meno ancora

vengono logicamente coordinati. Di qui il mio tentativo, che può forse apparire insistito, ma che vuole avere la presunzione di superare la genericità e l’ambiguità del discorso sulla natura delle limitazioni ai diritti fondamentali. Anche se buona parte della dottrina tedesca, nonostante la grande importanza attribuita generalmente all’analisi dogmatico-metodologica, non usa i suoi concetti come sinonimi, in molti autori si avverte il tentativo di una precisazione. Fin dalla stesura della costituzione provvisoria, infatti, fu chiaro che i diritti avrebbero dovuto avere Grenzen e Schranken. Emblematico è appunto il caso dell’esercizio della libertà di religione: esso non trova alcun limite esterno che blocchi anche solo astrattamente il suo godimento (restrizione), ma ben trovare dei limiti materiali immanenti nel suo esercizio (limite): cfr. Parlamentarischer Rat, Schriftlicher Bericht zum Entwurf des Grundgesetzes für die Bundesrepublik Deutschland -1948/1949, vol. 9, 505. Per la dottrina, di «grundrechtsimmanenten Mißbrauchgrenzen» parla K. Groh, Selbstschutz der Verfassung gegen

Religionsgemeinschaften. Vom Religionsprivileg des Vereingesetzes zum Vereinigungsverbot, Berlin, Duncker & Humblot,

2004, 198, dimostrando un’attenzione alla differenziazione dei due valori. Anche per S. Muckel,

Religionsfreiheit für Muslime in Deutschland, in. J. Isensee, W. Rees, W. Rüfner (a cura di), Festschrift für Joseph Listl, zum 70. Geburstag, Duncker & Humblot, Berlin, 1999, 239-257, tra i «verfassungsimmanente Grenzen der Religionsfreiheit» vanno ricompresi il divieto di costrizione, il diritto alla vita e alla intangibilità fisica, il rispetto

della proprietà e della dignità umana (245). Sempre S. Muckel, Religiöse Freiheit und staatliche Letzentscheidung, Berlin, Duncker & Humblot, 1997, non manca di ricordare come anche nella Costituzione di Weimar, la presenza di una disposizione specifica volta a disciplinare l'esercizio della libertà di religione (l’art. 135 WRV) che prevedeva «unabhängige und ungeschriebene Grenze» a quest’ultima, permetteva anche alla legge ordinaria di individuare i confini al suo esercizio (in particolare 196 ss.). Non va però dimenticato che il successivo art. 137 WRV al comma terzo prevedeva la possibilità di restrizioni legislative (Schranken des für alle geltenden

Gesetzes) all'associazionismo di matrice religiosa, non specificando il loro contenuto. Di «limiti immanenti»

parla anche W. Bock, Die Religionsfreiheit zwischen Skylla und Charybdis, in Archiv des öffentlichen Rechts 122 (1997), 444-475 con riferimento alla sola Grundrechtskollision. Così anche S. Held, Art. 140 GG i.V.m. Art. 136 I WRV

als Gesetzesvorbehalt der Religionsfreiheit. Eine Analyse unter besonderer Berücksichtigung der Entstehungsgeschichte,

Hamburg, Kovač, 2017, che riconduce gli Schranken a un’imposizione e i Grenzen ad una caratteristica propria dei diritti. Più ambiguo è invece W. Schmitt Glaeser, Mißbrauch und Verwirkung von Grundrechten im politischen

Meinungskampf, Bad Homburg, Gehlen Verl., 1968 che sembra riferirsi agli «immanenter Schranke jeder Grundrechtausübung» come elementi connaturati al diritto stesso, cioè di fatto come «Grenzen des Grundrechts»

(129).

357 Cfr. ad esempio quanto espresso in C. Cost., sentenza n. 368/1992 sul significato e valore del principio

del buon costume.

358 Il riferimento va sempre a N. Wokart, Differenzierung im Begriff “Grenze”, cit., che definiva il confine del

mondo classico (finis) come una linea che operava una separazione di spazi tra realtà contigue e non già, come invece il limes, tra noto e ignoto.

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negative di ogni libertà (cioè il “limite del diritto degli altri”) e dunque è immanente al diritto stesso e ad esso direttamente collegato, mentre la restrizione è esterna al suo contenuto e si pone quando un principio o un valore ne richiedono l’applicazione. Saranno le restrizioni a formare l’oggetto del presente lavoro, i principi e i concetti giuridici indeterminati che sono base dell’ordinamento costituzionale e che guidano, in maniera diversa, le scelte del legislatore e del giudice in materia di bilanciamento degli interessi: il valore “superprimario” della sicurezza359, l’ordine pubblico, la laicità, oppure, in Germania, il ben più definito concetto di ordine liberal-democratico.

Alla base di limiti e di restrizioni c’è il medesimo principio di legalità, che però si esplica in ciascuno in modo diverso: in quanto limite esso si esprime direttamente attraverso le previsioni di rango costituzionale che contemplano la tutela dei diritti fondamentali; in quanto restrizione esso si esprime attraverso misure normative, amministrative o giurisdizionali che a loro volta sono fondate su riserve costituzionali a salvaguardia di principi più alti o comunque più generali. Queste previsioni costituzionali sono cioè concetti generali ed astratti volti in ultimo grado a tutelare i singoli diritti individuali, ma che però superano la semplice somma dei singoli diritti ed interessi individuali. Questa riflessione è essenziale perché serve a costruire l’intero discorso della difesa dello Stato democratico-costituzionale come un sistema che non può prescindere nei suoi fini dal presidio dei diritti fondamentali, ma che rappresenta anche “qualcosa di più” dei semplici diritti fondamentali. Serve cioè a ripercorrere l’origine, i presupposti, le caratteristiche e il concreto funzionamento della “reazione” statuale ad un esercizio “illecito” o “abusivo” dei diritti incompatibili con l’ordine fondamentale vale a dire con i principi e gli interessi che costituiscono il nucleo intangibile, l’identità costituzionale dell’intero sistema360.

4. Il parametro dell’identità costituzionale e la libera espressione delle minoranze nello