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Knowledge management e multilinguismo

3.3 Ricerche sulla gestione multilingue della conoscenza

3.3.1.4 DYLAN – Language dynamics and management of diversity

Il progetto DYLAN (Language Dynamics and Management of Diversity) ha esaminato le relazioni esistenti tra le rappresentazioni date ai concetti di lingua e multilinguismo e le politiche adottate da organizzazioni di tipo diverso (aziende private, istituzioni dell’Unione europea, università) per affrontare il multilinguismo, tenendo conto del contesto e delle pratiche concretamente messe in atto. Tre tematiche trasversali accompagnano l’analisi, ossia: efficienza e fairness24 nelle scelte linguistiche, le nuove varietà di comunicazione e la dimensione storica del multilinguismo. Il progetto di ricerca quinquennale (2006-2011) è stato finanziato dalla Commissione europea (Berthoud et al. 2013: II).

In un contesto europeo ampiamente multilingue, sia per motivi storici e geografici sia in seguito ai flussi migratori da tutto il mondo, in cui molti sostengono la necessità di

24 Come già accennato in precedenza (cfr. 3.2), il concetto di fairness comprende l’inclusione, cioè un modo per integrare persone in un gruppo, e l’uguaglianza, ad esempio, utilizzando una lingua straniera per la comunicazione in modo che nessuno sia avvantaggiato dal fatto di poter utilizzare la propria madrelingua (Millar et al. 2013: 113).

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introdurre un numero limitato di lingue di lavoro o di ricorrere maggiormente all’inglese come lingua franca per gestire la diversità linguistica, il progetto si prefiggeva lo scopo di analizzare le dinamiche linguistiche esistenti per individuare strategie efficaci di gestione delle diversità e di esplorare le condizioni per cui la diversità linguistica europea potesse significare una ricchezza anziché un ostacolo. Tra gli aspetti principali affrontati dal progetto si trovano anche le strategie di gestione della diversità linguistica da parte delle imprese (Berthoud et al. 2013: IX-X).

Gli obiettivi concreti del progetto, affrontati con un approccio multimetodo (cfr. Berthoud

et al. 2013: XIV), comprendono la volontà di capire come viene realizzato il

multilinguismo in situazioni diverse, tra cui l’ambiente di lavoro, di identificare le condizioni necessarie per lo sviluppo e l’impiego di repertori multilingui affinché contribuiscano a creare opportunità di sviluppo strategico e, infine, di sviluppare proposte concrete per una gestione ottimale della diversità linguistica quale risorsa preziosa. Le ricadute del progetto riguardano tutti i livelli (Berthoud et al. 2011: 6-7, 2013: XI):

1. l’economia, al fine di migliorare la performance economica grazie alla gestione delle diversità linguistiche;

2. la politica, per garantire eguale trattamento a tutte le lingue e ai loro parlanti;

3. la formazione, per contribuire alla creazione e al trasferimento di conoscenza;

4. la ricerca, allo scopo di sviluppare un approccio scientifico alla gestione della diversità linguistica e culturale.

La parte di studi sul multilinguismo in azienda (in particolare in Francia, Svizzera, Danimarca e nel Regno Unito) condotta nel quadro del progetto DYLAN analizza l’impiego del multilinguismo quale risorsa per le imprese, osserva le interazioni multilingui sul posto di lavoro nonché la scelta delle lingue di comunicazione diretta e tramite web, indaga come e quando i lavoratori ricorrano al proprio repertorio di conoscenze linguistiche, raccoglie le diverse rappresentazioni mentali del multilinguismo in azienda e le politiche linguistiche relative alle lingue minoritarie (Berthoud et al. 2013: XVII-XVIII).

I risultati indicano che, per le aziende, la soluzione più semplice per affrontare la diversità linguistica sembrerebbe l’adozione di un’unica lingua per le comunicazioni interne, che in

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passato spesso coincideva con la lingua ufficiale locale o nazionale ma che oggi è sovente la lingua inglese. Tale strategia comunicativa è denominata OLON (one language only, cfr. 3.2). Tuttavia, ciò non esclude affatto il ricorso ad altre lingue per comunicare, anche quando la lingua di comunicazione interna è sancita a livello ufficiale. La legislazione locale o nazionale, la situazione demografica, le pressioni esercitate dalla forza lavoro locale e la ricerca dell’efficienza e della fairness in realtà rafforzano il ruolo delle lingue locali, che restano utilizzate per la comunicazione tra i membri dello staff aziendale. Soprattutto l’efficienza a livello comunicativo e l’inclusione di tutti i membri dello staff (fairness) sono argomentazioni valide a favore del ricorso a diverse lingue di comunicazione. Non mancano perciò le organizzazioni, anche nell’ambito privatistico, che perseguono una politica volutamente multilingue al fine di migliorare la qualità del lavoro e rafforzare il coinvolgimento emotivo dello staff nelle questioni aziendali (Berthoud et al. 2011: 11-12, Lüdi et al. 2013: 62-63).

La comunicazione esterna è spesso caratterizzata da un maggiore multilinguismo rispetto a quella interna, sia per motivi legati a specifiche normative sia per la volontà di rivolgersi al cliente nella sua lingua. Non di rado il multilinguismo in questo caso si esprime attraverso una comunicazione parallela con destinatari diversi nelle rispettive lingue, attraverso cioè la traduzione o localizzazione degli stessi contenuti (es. attraverso un sito web multilingue). Questa strategia comunicativa è conosciuta con l’acronimo OLAT (one language at a time, cfr. 3.2) ed molto frequente tra le PMI. La visione del multilinguismo che sta alla base della scelta dell’OLAT è di tipo additivo anziché integrativo. Ogni lingua si aggiunge alle altre restando tuttavia separata, senza che vi siano fenomeni di commistione o passaggio da una lingua all’altra. Le competenze linguistiche necessarie possono essere subappaltate e acquistate sul mercato, soprattutto per le lingue più “esotiche” (Lüdi et al. 2013: 63-64, Berthoud et al. 2011: 12).

I ricercatori del progetto DYLAN, analizzando da vicino la comunicazione aziendale, hanno innanzitutto dovuto constatare che le conoscenze dell’inglese non sono affatto così diffuse come si presume e che in contesti di comunicazione concreta le persone adottano un’ampia gamma di strategie in maniera altamente flessibile e dinamica. Accanto alle strategie OLON e OLAT emergono strategie multilingui denominate ALAST (all the

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il principio cardine non è additivo bensì integrativo di tutte le lingue presenti all’interno del repertorio linguistico di chi comunica. Le risorse linguistiche a cui i parlanti fanno appello possono variare molto in base al livello di competenza e all’abitudine di utilizzare una lingua franca, alla maggiore o minore volontà di aderire a una lingua standard, al ricorso a diverse lingue ben note nelle comunità multilingui o a una mescolanza di risorse linguistiche di tutti i tipi e livelli. Un’altra possibile soluzione è lo sfruttamento delle competenze passive per cui ognuno parla la propria lingua e ci si aspetta che comprenda le lingue parlate dagli altri. Questa strategia comunicativa è nota anche come “lingua

receptiva” o come modello “svizzero” o “scandinavo”. Soprattutto in situazioni in cui è

chiaro che le competenze linguistiche dei partecipanti sono fortemente asimmetriche si verificano negoziazioni e adattamenti flessibili, ibridi, nati al momento e in costante divenire (Lüdi et al. 2013: 70, Berthoud et al. 2011: 12-13).

Le strategie ALAST e ALAAT influiscono sulla partecipazione delle persone alla comunicazione, consentendone l’inclusione e l’esclusione, contribuendo alla formazione di consenso e alla costruzione della leadership. Un continuum di possibili modi di comunicare e comportarsi favorisce l’emergere di idee e opinioni nuove, influenzando la trasmissione di informazioni, la creazione di conoscenza, le strategie di negoziazione, supervisione,

decision-making e risoluzione dei problemi. Per comunicare in maniera efficace ricorrendo

alle strategie multilingui appena descritte ci si basa su due principi: la volontà di avanzare rapidamente accettando un certo grado di opacità (progressivity principle), assicurandosi però che tutti si comprendano e seguano la conversazione apportando gli opportuni aggiustamenti alla comunicazione (repair sequences) e ricorrendo anche alla traduzione e a un certo grado di ridondanza (intersubjectivity principle) (Berthoud et al. 2011: 14). L’approccio alla conoscenza attraverso lingue diverse offre la possibilità di analizzare i concetti da angolazioni diverse, accedendovi attraverso una molteplicità di chiavi che permettono una maggiore, diversa, originale e/o innovativa visione (Berthoud et al. 2011: 14-15). In questo senso, secondo i manager intervistati dai ricercatori del progetto DYLAN, la costituzione di gruppi di lavoro multilingui permette di accedere a risorse, conoscenze ed esperienze maggiori, rendendo questi gruppi più efficienti, dinamici, innovati e creativi, posto che naturalmente sfruttino i vantaggi legati alla diversità linguistica e culturale e ci

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sia una gestione adeguata della comunicazione all’interno del gruppo (Berthoud et al. 2011: 16).

Per sfruttare al meglio i vantaggi del multilinguismo è innanzitutto necessario rilevare e analizzare le competenze del personale, favorendo la creazione di gruppi misti. Sono inoltre necessarie politiche efficaci per lo sviluppo delle abilità linguistiche e della volontà di comunicare in più di una lingua per giungere a un equilibrio tra il ricorso a una lingua franca e il multilinguismo. Infine, va considerata la relazione particolare che può sussistere tra lingua franca e il multilinguismo ed è necessario giungere a una concezione coerente del concetto di multilinguismo (Berthoud et al. 2011: 18). Le prassi di comunicazione multilingue sono più frequenti in aziende che si sono dotate di una strategia esplicita di gestione del multilinguismo. Inoltre, le politiche aziendali volte a consentire l’uso di più lingue sono più facilmente interiorizzate dal personale rispetto a quelle tendenti al monolinguismo (Berthoud et al. 2011: 19).

A fronte di una visione più tradizionalmente additiva dell’apprendimento e uso delle lingue per cui la conoscenza di diverse lingue standard deve raggiungere il livello più avanzato possibile, i risultati di DYLAN sottolineano la necessità e l’utilità di adottare una visione funzionale del multilinguismo, definita come capacità di interagire quotidianamente in diverse lingue, anche in maniera imperfetta. In questa visione integrativa del multilinguismo il set di competenze in lingue diverse possedute a livelli di competenza variabili dall’ottimo al molto basilare viene considerato come un insieme integrato che offre un valore aggiunto rispetto alla mera somma delle parti costituenti. La capacità di ricorrere a tutto il repertorio linguistico superando le barriere linguistiche, persino attraverso la creazione di parole ibride, è riassunta nel termine multilanguaging skills25. Questa capacità naturalmente non può permettere una comunicazione adeguata in tutti i contesti in cui i parlanti non posseggono una lingua comune, poiché implica il rischio di malintesi, e dunque non è volta a sostituire i servizi di interpretazione e traduzione

25 Già negli anni ‘90 del secolo scorso risultava dai primi studi sulle lingue nelle PMI europee che la conoscenza di una sola lingua straniera non fosse sufficiente (Hagen 1993: 12) e che alcune capacità linguistiche, volte ad assolvere determinate funzioni (in particolare la comunicazione orale), fossero da considerarsi più importanti di altre (Hagen 1993: 15).

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professionali, ma rappresenta tuttavia un fattore di successo per le aziende (Lüdi et al. 2013: 73, Berthoud et al. 2011: 20-22).

Le scelte linguistiche operate dalle aziende possono essere analizzate attraverso lo strumento della policy analysis, che di norma viene utilizzato per l’analisi delle politiche pubbliche. Questo approccio permette di stabilire quale, tra le diverse politiche al vaglio, porterà con maggiore probabilità ed efficacia al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Le scelte relative alla politica linguistica da adottare vanno operate comparando diverse soluzioni possibili e vagliando vantaggi e svantaggi di ognuna di esse per determinare la soluzione migliore secondo un set di criteri prestabiliti. I due criteri di base da applicare all’analisi delle politiche linguistiche sono l’efficienza e la fairness. Si può così scoprire, ad esempio, che l’adozione di una lingua franca in un’azienda ha portato a un risparmio nei costi di traduzione e interpretazione, creando tuttavia degli incrementi legati a ritardi, incomprensioni, corsi di lingua, ecc. Ciò che sembra un risparmio è in realtà uno spostamento di costi da una voce all’altra (Berthoud et al. 2011: 25-26). Per sostenere le organizzazioni pubbliche e private nella scelta della propria politica linguistica, il progetto DYLAN propone un sistema di 200 indicatori linguistici (cfr. 3.2) da utilizzare per la valutazione (Berthoud et al. 2011: 28).

Lo studio conclude illustrando sei punti fondamentali da considerare per giungere a un equilibrio bilanciato tra monolinguismo e multilinguismo (Berthoud et al. 2013: 430):

1. superare la concezione che si debba scegliere solo una lingua in qualsiasi situazione comunicativa, poiché – se i principi fondamentali sono l’efficacia e la fairness della comunicazione – vi sono molte situazioni in cui può risultare vantaggioso permettere una compresenza e mescolanza di lingue, riconoscendo così una prassi che viene spesso già applicata in maniera informale;

2. riconoscere il fatto che l’uso dominante di una lingua possa in realtà nasconderne altre;

3. considerare le diverse strategie comunicative come un ventaglio di opzioni a cui ricorrere in contesti di diversità linguistica anziché vederle come alternative che si escludono a vicenda;

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4. pensare in chiave multidimensionale considerando due continuum distinti: il primo continuum va dalle situazioni che richiedono strategie prevalentemente monolingui a quelle che richiedono strategie prevalentemente multilingui; il secondo continuum comprende tutte le tipologie di contesti interazionali, da quelli in cui le lingue sono viste e utilizzate in alternativa l’una all’altra a quelli in cui si mescolano liberamente;

5. rimanere coscienti della distinzione tra plurilinguismo individuale da un lato e multilinguismo collettivo e istituzionale dall’altro e tenerne conto quando si vagliano le possibili strategie da applicare per la comunicazione multilingue;

6. riconsiderare il concetto di lingua franca vedendolo non come un codice linguistico rigido bensì quale codice comunicativo dinamico e pronto ad accogliere elementi di tutti i repertori linguistici dei partecipanti alla comunicazione.

3.3.1.5 PIMLICO – Promoting, implementing, mapping language and intercultural