• Non ci sono risultati.

L’economia altoatesina

2.1 Excursus storico-economico

Prima della formale annessione al Regno d’Italia nel 1920, il Tirolo meridionale – l’odierno Alto Adige/Südtirol – faceva parte dell’Impero austro-ungarico ed era un territorio prevalentemente agricolo (Leonardi 2009: 8). A differenza di altre zone, ad esempio il vicino Trentino, il mondo rurale altoatesino si mantenne capace di dare sostentamento ai contadini grazie all’istituto del maso chiuso, per cui le proprietà agricole si tramandavano indivise al primogenito maschio11. Gli altri fratelli non potevano avanzare alcuna pretesa di fronte al diritto di maggiorasco (Romeo 2005: 20). Restavano loro poche scelte: il servizio in qualità di servi agricoli presso il fratello maggiore, la Chiesa, l’esercito oppure l’emigrazione.

Il carattere rurale dell’Alto Adige si mantenne a lungo, anche perché le infrastrutture ferroviarie necessarie all’industria e al commercio furono costruite in ritardo. La tratta ferroviaria Bolzano-Innsbruck venne inaugurata nel 1867 e rese in seguito possibile realizzare anche le direttive laterali. L’avvento dell’automobile portò alla costruzione di strade nuove, ad esempio, la strada delle Dolomiti tra Bolzano e Cortina/Dobbiaco, completata nel 1909 (Romeo 2005: 22). Lo sviluppo turistico iniziò con la fortuna di Merano, che si trasformò in breve tempo in una prestigiosa e mondana località termale (Romeo 2005: 24). Altre zone divennero le mete preferite dagli amanti del nascente sport alpinistico, in particolar modo le Dolomiti (Romeo 2005: 26). Grazie al turismo si

11 L’istituto del maso chiuso ha subito molte modifiche nel corso degli anni, tra cui l’equiparazione delle eredi donne (Romeo 2005: 21) e la liquidazione dei coeredi calcolata sul reddito medio del maso nei 20 anni precedenti (Leonardi 2009: 43). Il sistema del maso chiuso è tuttora in vigore e regolato in provincia di Bolzano dalla LP 17/2001. Attualmente poco più di 13 000 aziende agricole sono iscritte al libro fondiario in qualità di maso chiuso (Ripartizione Agricoltura 2014: 21/02/2014).

24

prospettavano dunque grandi e innovative potenzialità di crescita economica per il territorio. Il tessuto economico locale stentava però ad abbandonare il proprio carattere prettamente rurale. Non fu facile nemmeno avviare il settore industriale (Leonardi 2009: 12). Le prime vere attività industriali furono realizzate nel settore alimentare, del legno, dell’abbigliamento e dei materiali per l’edilizia (es. il marmo), mentre stava rapidamente declinando il più antico settore minerario (Romeo 2005: 22).

La Prima guerra mondiale portò a una brusca frenata dello sviluppo economico, al razionamento delle derrate alimentari, a gravi epidemie (Leonardi 2009: 14-15, Romeo 2005: 40). Dopo la sconfitta degli Imperi centrali, il trattato di Saint-Germain, firmato nel settembre 1919, ridusse il territorio austriaco a un ottavo e sancì il passaggio di tutte le zone a sud del Passo del Brennero all’Italia, assieme a Trieste e all’Istria (Leonardi 2009: 13, Romeo 2005: 42). Sebbene sotto l’influenza del Presidente statunitense Woodrow Wilson il principio guida della Conferenza di pace fosse quello dell’autodeterminazione e del rispetto dei confini etnico-linguistici, la frontiera non fu tracciata all’altezza della Stretta di Salorno, che ancora oggi segna il confine tra il Trentino a maggioranza italiana e l’Alto Adige a maggioranza tedesca, bensì al Passo del Brennero, lungo un confine naturale decisamente più difendibile (Alcock 2001: 2-3). Circa 200 000 altoatesini di lingua tedesca e ladina, questi ultimi una minoranza di lingua romanza residenti in prevalenza nelle impervie valli dolomitiche attorno a Passo Sella, divennero così cittadini italiani (Leidlmair 1958, cit. in Romeo 2005: 63).

La ripresa economica del primo dopoguerra fu lenta. In particolare, il settore manifatturiero subì le conseguenze della guerra e l’interruzione dei tradizionali canali di sbocco (Leonardi 2009: 21). Nel successivo periodo fascista si realizzarono molte nuove centrali per sfruttare l’energia idroelettrica dei fiumi altoatesini (Leonardi 2009: 22-23). Furono costruite diverse grandi opere pubbliche, venne rilanciata l’agricoltura e sviluppato il turismo (cfr. Romeo 2005: 60-61). Negli anni Trenta fu creata la zona industriale di Bolzano, slegata dal contesto economico e sociale locale (Benedikter 2001: 35-36), in cui trovarono posto stabilimenti meccanici, metallurgici, chimici, alimentari e imprese edili. Così si accelerò la modernizzazione del territorio e al contempo la sua italianizzazione, dovuta all’arrivo a Bolzano di numerosi operai dalle altre regioni della penisola, prevalentemente dal Veneto (Leonardi 2009: 24-25, Romeo 2005: 62). L’iniziativa imprenditoriale privata in questo

25

periodo fu molto modesta (Leonardi 2009: 25). Solo nel settore turistico, dopo la completa interruzione delle attività nel periodo bellico e immediatamente postbellico, si riattivarono e riqualificarono le strutture e i servizi, che si dovettero però riconvertire a un turismo meno elitario e più “di massa” (Leonardi 2009: 25-27).

A livello sociale e culturale il regime fascista avviò una massiccia opera di italianizzazione forzata dei toponimi, della scuola e di tutta la vita pubblica. Furono sciolti partiti, sindacati e associazioni di tutti i tipi di lingua tedesca. I nomi propri tedeschi vennero vietati e italianizzati. La stampa tedesca fu quasi interamente soppressa (cfr. Romeo 2005: 52, Alcock 2001: 3). Con l’ascesa di Hitler al potere in Germania nel 1933 e l’annessione dell’Austria al Terzo Reich nel 1938 si riaccesero le speranze di molti altoatesini di lingua tedesca di ritornare a fare parte di una grande nazione germanofona. Tuttavia, Hitler considerava la loro sorte secondaria all’alleanza con Mussolini (Romeo 2005: 70). Nel 1939 i due dittatori giunsero a un accordo che prevedeva la soluzione della questione tirolese: le Opzioni. Basandosi sul concetto di omogeneità etnico-nazionale, i due regimi diedero alla minoranza di lingua tedesca in territorio italiano due scelte: emigrare nel Reich oppure essere assimilati dalla nazione italiana. L’accordo siglato a guerra appena iniziata prevedeva per gli altoatesini di lingua tedesca, considerati allogeni, cioè di stirpe diversa da quella italiana, la possibilità di mantenere la cittadinanza del Regno d’Italia oppure di acquisire quella germanica e trasferirsi nel Reich entro il 1942, dopo aver liquidato i propri beni (Romeo 2005: 74, Alcock 2001: 4). I ladini, considerati italiani, vennero esclusi dalle Opzioni (Alcock 2001: 4). Oltre l’80% dei capifamiglia di lingua tedesca scelse l’emigrazione verso la Germania, ma solo i giovani in età di leva e le famiglie prive di immobili partirono in tempi relativamente brevi. Le partenze rallentarono e poi cessarono del tutto nel pieno della guerra, nel 1942, cosicché solo un terzo degli “allogeni” altoatesini lasciò la propria patria in quegli anni (Leonardi 2009: 36-36, Romeo 2005: 76, Alcock 2001: 4). Le Opzioni ebbero però pesanti ripercussioni di carattere economico, oltre che sociale (Leonardi 2009: 9).

Qualche anno dopo, a seguito dell’Armistizio tra l’Italia e gli Alleati nel settembre 1943, il territorio altoatesino passò sotto diretto controllo tedesco quale parte della zona di operazioni militari denominata Alpenvorland. L’occupazione tedesca portò al ripristino della toponomastica cancellata dal regime fascista e al ritorno alla lingua e cultura tedesca,

26

ma anche a gravi bombardamenti alleati e alla deportazione degli ebrei rimasti (Romeo 2005: 85).

Al termine della Seconda guerra mondiale, nell’ambito della Conferenza di pace, il 5 settembre 1946 i Ministri degli esteri della Repubblica italiana e austriaca, Alcide Degasperi e Karl Gruber, siglarono a Parigi l’accordo di tutela per l’Alto Adige, noto come Accordo Degasperi-Gruber o Accordo di Parigi (Leonardi 2009: 38, Alcock 2001: 6). L’accordo fu allegato al Trattato di pace con l’Italia del 1947 e ottenne così un riconoscimento internazionale (Alcock 2001: 7). Esso pose le basi per l’autonomia dell’Alto Adige (art. 2), riconoscendo eguaglianza di diritti ai cittadini di lingua italiana e tedesca (art. 1) e assicurando “l’uso, su di una base di parità, della lingua tedesca e della lingua italiana nelle pubbliche amministrazioni, nei documenti ufficiali, come pure nella nomenclatura topografica bilingue” (Accordo di Parigi art. 1, lett. b). Nessun cenno fu fatto alla minoranza di lingua ladina.

Un anno e mezzo più tardi venne promulgata la principale fonte attuativa dell’accordo intergovernativo di Parigi, nota come il Primo statuto di autonomia (L. cost. 5/1948). Lo statuto fu promulgato come legge costituzionale e sottolineava espressamente il primato della lingua italiana, garantendo tuttavia l’uso della lingua tedesca nella vita pubblica sul territorio altoatesino (L. cost. 5/1948, art. 84). Si concedeva ai cittadini di lingua tedesca la possibilità di usare la propria lingua “nei rapporti con gli organi ed uffici della pubblica amministrazione situati nella Provincia o aventi competenza regionale” (L. cost. 5/1948, art. 85). La legge costituzionale esprimeva però una generica possibilità di utilizzo della lingua minoritaria, senza configurare un vero e proprio diritto all’uso della madrelingua da parte dei parlanti di lingua tedesca.

L’ambito di applicazione dell’autonomia fu esteso non alla sola Provincia di Bolzano e ai vicini comuni bilingui trentini, come previsto dall’Accordo di Parigi, bensì a tutta la Regione Trentino-Alto Adige, ente a cui furono attribuite ampie competenze. Tuttavia, essendo il Trentino prevalentemente abitato da cittadini di lingua italiana, la proporzione tra i diversi gruppi linguistici a livello regionale vide di conseguenza una salda maggioranza di parlanti italofoni (cfr. Romeo 2005: 98, Alcock 2001: 8-9). Le disposizioni sulla tutela linguistica della minoranza tedesca furono in tal modo in parte attenuate o svuotate di

27

significato (cfr. Marko et al. 2001: 26). La popolazione di lingua ladina venne invece sostanzialmente ignorata dal Primo statuto (Romeo 2005: 136).

Seguì un periodo di insoddisfazione dei cittadini di lingua tedesca in Alto Adige, che si espresse in aspre lotte diplomatiche e politiche. Nel 1957, in occasione di un grandissimo raduno organizzato a Castelfirmiano dal partito etnico di maggioranza locale Südtiroler

Volkspartei (SVP), si chiese il “Los von Trient”12, cioè un’autonomia indipendente dal

territorio trentino (Romeo 2005: 99, Leonardi 2009: 37). Principalmente durante gli anni Sessanta ebbe anche luogo una serie di violenti attentati terroristici (Romeo 2005: 102, Alcock 2001: 10).

Dal punto vista economico gli anni Sessanta furono un periodo di boom in tutta Italia. Lo sviluppo industriale, favorito dalla stabilità monetaria, dal basso costo della manodopera e dalle politiche statali, coinvolse anche la provincia di Bolzano, sostenuto qui dalla grande disponibilità di risorse energetiche idroelettriche. La crescita della piccola e media impresa fu stimolata a partire dal 1957 dall’esenzione decennale dalle imposte dirette per le nuove imprese site in zone depresse o montane. Nacquero così diverse piccole zone industriali periferiche, con una notevole quota di aziende fondate grazie a capitale germanico (Romeo 2005: 108). Mentre sino ad allora la popolazione di lingua tedesca era prevalentemente occupata in agricoltura, essa ebbe finalmente accesso anche a posti di lavoro nell’industria e nell’artigianato (Romeo 2005: 110). Il commercio venne stimolato dall’“Accordino”, una convenzione per l’esenzione di determinate quantità di merci transitanti tra Trentino-Alto Adige, Tirolo del Nord e Vorarlberg dal pagamento dei dazi doganali tra Italia e Austria (Romeo 2005: 108). In agricoltura si rinsaldò la rete di cooperative, tra cui le cooperative di produttori di frutta, come le mele, e di viticoltori. Di pari passo si sviluppò anche l’industria alimentare e conserviera locale (Romeo 2005: 110). La razionalizzazione della proprietà fondiaria, il miglioramento della gestione delle aziende agricole e una maggiore tendenza alla specializzazione favorirono progressivamente lo sviluppo di tre principali settori agricoli, la frutticoltura, la vitivinicoltura e la zootecnia, con annesso settore lattiero- caseario (Leonardi 2009: 43-44).

28

La realtà economica altoatesina, in particolare il mondo rurale, fu profondamente trasformata dallo sviluppo del turismo di massa. Mentre i turisti italiani rimasero affezionati a centri rinomati come la Val Gardena e la Val Pusteria, i turisti provenienti in numero molto maggiore dalla Germania contribuirono allo sviluppo di tutte le zone dell’Alto Adige, anche delle piccole valli periferiche. La loro scelta della destinazione si basava naturalmente anche sul fattore linguistico, oltre che sulla convenienza economica, sul paesaggio incontaminato e sull’accoglienza familiare (Romeo 2005: 110-111).

Dopo molti anni di conflitto politico e sociale, nel 1972 si giunse alla conclusione del processo di revisione del Primo statuto di autonomia del 1948 e all’emanazione del Nuovo statuto di autonomia, lo Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige (DPR 670/1972). In base alle disposizioni statutarie molte competenze vennero trasferite alle due Province autonome, cosicché la proporzione dei gruppi linguistici a livello regionale perse sostanzialmente di importanza, a favore della proporzione a livello provinciale (Romeo 2005: 118, Alcock 2001: 14). In questo modo la minoranza di lingua tedesca in provincia di Bolzano ottenne possibilità di gestione e decisione molto più ampie, essendo il gruppo etnico numericamente più consistente sul territorio provinciale (cfr. 2.4). Il Nuovo statuto riservò molte garanzie di tutela anche ai ladini (Romeo 2005: 136).

Nel corso degli anni e fino ad oggi, in seguito al decentramento delle funzioni statali, la Provincia autonoma ottenne notevoli poteri legislativi in quasi tutti gli ambiti: amministrazione pubblica, economia, industria, turismo, commercio, agricoltura, istruzione, cultura, sanità, tutela ambientale e del patrimonio storico-culturale, ecc. (Romeo 2005: 118). La gestione delle nuove competenze da parte della Provincia a partire dagli anni Settanta ha contribuito a favorire un rapido sviluppo economico e sociale, portando l’Alto Adige ai vertici di molte classifiche italiane e internazionali relative, ad esempio, al prodotto interno lordo, al reddito pro capite, al tasso di occupazione, ai servizi sanitari, all’istruzione e alla qualità della vita in generale. Il modello di economia sociale di mercato adottato dal governo locale ha sicuramente permesso di mediare tra le esigenze del libero mercato e i bisogni sociali della popolazione (Romeo 2005: 130).

Le risorse dell’autonomia, sommate con le capacità operative emergenti dalle aggregazioni di carattere sociale espresse dalle diverse forme di mutualismo, con la disponibilità di una forza- lavoro che ha saputo far convivere agricoltura e industria e con un’imprenditorialità capace di

29

cogliere le opportunità che le si sono presentate, si sono rese protagoniste di un cambiamento di enorme rilevanza.

(Leonardi 2009: 10) L’intervento provinciale in quasi tutti gli ambiti economici, sociali e culturali, pur consentendo di guidare l’economia altoatesina con strumenti molto attenti alle esigenze del territorio, ne ha però in parte limitato l’indipendenza e condizionato le capacità competitive (Romeo 2005: 130). L’agricoltura d’alta quota, ad esempio, sopravvive grazie alle diverse sovvenzioni, sebbene sia indispensabile per contrastare lo spopolamento e contribuisca a difendere il paesaggio alpino (Romeo 2005: 132).

Il paesaggio è anche un elemento importante dell’offerta turistica. Nel corso degli anni il settore turistico ha subito profondi mutamenti, passando dalle strutture di tipo familiare del secondo dopoguerra a un’industria professionale di altissima qualità e con ampie capacità ricettive (Romeo 2005: 132). Sin dal secondo dopoguerra si è abbracciata la logica della doppia stagione, invernale ed estiva, e si sono moltiplicati gli sforzi per creare nuovi impianti di risalita e per l’innevamento artificiale, ottenendo un successo senza precedenti (Leonardi 2009: 49-50).

La piccola e media industria e l’artigianato sviluppatisi a partire dagli anni Settanta subiscono oggi la scarsità e l’alto costo delle aree di insediamento, dovendo così puntare sull’innovazione e la formazione di personale altamente qualificato. Non meno difficile è nel settore del commercio la mediazione tra la sopravvivenza dei piccoli esercizi locali a fronte della tendenza globale all’insediamento della grande distribuzione (Romeo 2005: 134).