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E TICA III: L A DETERMINAZIONE DEL CONATUS

S PINOZA : L A DETERMINAZIONE UNIVERSALE

3. E TICA III: L A DETERMINAZIONE DEL CONATUS

Le prime due parti dell’Etica elaborano i fondamenti per una filosofia della determinazione, dapprima relativamente alle cause e poi rispetto a quelle stesse cause considerate come menti e come corpi. Le tre parti rimanenti applicano tale strumentazione ai comportamenti umani, nell’ambito dei quali la determinazione è compresa come affettività. La prefazione del De affectibus, riprendendo alcune considerazioni precedenti, sgombera anzitutto il campo da due errori d’approccio:

La maggior parte di coloro che hanno scritto sugli affetti e sul modo di vivere (vivendi ratione) degli uomini sembrano trattare non di cose naturali che seguono le comuni leggi della natura, ma di cose che sono al di fuori della natura. Anzi, sembrano concepire l’uomo nella natura come un impero in un impero. Credono infatti che l’uomo, più che seguirlo, turbi l’ordine della natura, che abbia un potere assoluto sulle proprie azioni e che non sia determinato da altro che da sé stesso. Attribuiscono, inoltre, la causa dell’impotenza e dell’incostanza umane non alla comune potenza della natura, ma a non so quale vizio della natura umana169.

L’inutile ipotesi del libero arbitrio porta dunque ad una duplice insensatezza: da un lato si esaltano nell’uomo virtù immaginarie; dall’altro si lamentano in esso altrettanto immaginari vizi, una volta che si sia constatato che le decantate virtù sono restie ad esprimersi nella pratica. In tal modo, dunque, non si comprende né che la determinazione è un tratto essenziale dell’esistenza, né che essa non ne rappresenta un difetto.

L A P U L S I O N E CA U S A L E

Tra le nozioni preliminari del De affectibus è interessante anzitutto la prima definizione, che esplicita la relazione tra causazione e conoscenza: «Chiamo causa adeguata quella il cui effetto può essere

percepito chiaramente e distintamente per mezzo di essa. Inadeguata, invece, o parziale, chiamo quella causa il cui effetto non può essere inteso per mezzo di essa soltanto»170. La conoscenza non è una passiva contemplazione di un’oggettività: causare e conoscere sono la stessa cosa. Conoscere qualcuno, ad esempio, equivale a saper suscitare nell’altro determinati affetti, ossia saper cosa fare per rallegralo o portargli conforto. Si noti, inoltre, che anche in questo caso Spinoza associa l’inadeguazione a un non intelligere e non a un non percipere.

In secondo luogo, portiamo l’attenzione sulla terza definizione: «Per affetto intendo le affezioni del

corpo, dalle quali la potenza di agire dello stesso corpo è aumentata o diminuita, favorita o inibita (coercetur) e, simultaneamente, le idee di queste affezioni»171. L’affetto è dunque una determinazione della cosa singola

169 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 895 (De affectibus, praef.). 170 Ivi, pp. 896-897 (De affectibus, def. 1).

cui corrispondono un’affezione corporea e la relativa idea; esso esprime un gradiente causale172. Ciò significa che non vi sono affetti assoluti, ma solo relativi, come sottolinea il lessico della transizione che abbiamo già incontrato in riferimento all’adeguazione: la libidine equina non è quella umana; né il gaudio del filosofo è quello dell’ubriaco, dirà Spinoza in seguito173. Il verbo coercere sembra inoltre riecheggiare la definizione di “cosa coatta” esposta nel De Deo, facendo pensare ai diversi gradi di determinazione che esprimono la necessità naturale174.

Se l’affetto accade simultaneamente nel corpo e nella mente, quest’ultima non ha alcun potere d’“impero” particolare: «Il corpo non può determinare la mente a pensare né la mente può determinare il corpo al

movimento o alla quiete o a qualche altra cosa (se si dà)»175. Ciò non significa però che la mente e il corpo siano due cose parallele: lo scolio afferma inequivocabilmente che «la mente e il corpo sono una sola e medesima cosa»176. La voluntas non è un potere assoluto della mente sul corpo, bensì una comprensione inadeguata dell’essenza dell’uomo considerata astrattamente come riferita soltanto alla mente177. Considerandola invece come riferita simultaneamente alla mente e al corpo, essa appare

come cupiditas178. Tale affetto, che per Spinoza è quello fondamentale, è così definito: «La cupidità è

la stessa essenza dell’uomo, in quanto è concepita come determinata ad agire da una sua qualunque affezione data»179. La cupidità (o desiderio, per usare un termine più corrente)180 non è poi altro dal conatus, ossia dall’essenza causale di tutte le cose: «La pulsione dalla quale ciascuna cosa è spinta a perseverare nel suo essere

non è altro che l’essenza attuale della cosa stessa»181. Dimostrazione:

Dall’essenza di ciascun cosa seguono necessariamente certi effetti (1P36) e le cose non possono altro se non ciò che segue necessariamente dalla loro natura determinata (1P29); perciò la potenza o pulsione (potentia sive conatus) di ciascuna cosa, per la quale la cosa stessa, o da sola o insieme ad altre, agisce o è spinta a fare alcunché, cioè (3P6) la potenza o pulsione dalla quale la cosa è spinta a perseverare nel suo essere, non è altro che l’essenza data o attuale della cosa stessa. C.D.D.182

Il lessico spinoziano richiede, anche in questo caso, un certo impegno immaginativo. Pensare la relazione affettiva come relazione causale già non è immediato183; dobbiamo ora pensare,

172 Achim Engstler illustra la nozione in modo particolarmente chiaro: «Ein Affekt ist eine Veränderung der Handlungsmacht

und das heißt, der Existenzkraft eines Dinges, durch die dessen Handlungsstreben bestimmt wird» (A.ENGSTLER, Spinozas Begriff des

Affekts, cit., p. 127).

173 Cfr. B.SPINOZA, Opere, cit., p. 952 (De affectibus, prop. 57, schol.). Ricordiamo che le essenze sono individuali e non

specifiche, perciò nemmeno il gaudio di un ubriaco è uguale a quello di un altro ubriaco.

174 Alcune osservazioni sulla familiarità semantica tra coercere, coagere e coarctare (e i loro derivati nelle lingue neolatine)

possono essere rinvenute nello Zibaldone di Leopardi (1144-1148; cfr. G.LEOPARDI, Pensieri di varia filosofia e di bella

letteratura II, Le Monnier, Firenze 1921, pp. 439-441).

175 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 899 (De affectibus, prop. 2). 176 Ibid. (De affectibus, prop. 2, schol.).

177 Cfr. ivi, p. 907 (De affectibus, prop. 9, schol.). 178 Cfr. Ibid.

179 Ivi, p. 955 (De affectibus, aff. def. 1).

180 Alan D. Schrift indica nelle filosofie di Spinoza, Nietzsche e Deleuze il tentativo di comprendere il desiderio come

produttività, in opposizione alla connotazione tradizionale di esso come mancanza (cfr. A.D.SCHRIFT, Spinoza, Nietzsche,

Deleuze: An Other Discourse of Desire, in H.J.SILVERMAN (a cura di), Philosophy and Desire, Routledge, New York 2000).

181 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 905 (De affectibus, prop. 7). 182 Ivi, pp. 905-906 (De affectibus, prop. 7, dem.).

183 «Pour Spinoza être affecté c’est effectivement se mettre à faire quelque chose d’une certaine manière» (L.BOVE,

correlativamente, il conatus (pulsione, impulso, sforzo, appetito, cupidità, desiderio, forza) come potenza184. Ciò significa, ad esempio, che la fame, l’impulso di cibarsi e l’atto di mangiare una mela

sono la stessa cosa: essi appaiono come distinti perché ne siamo causa parziale, avendo bisogno del “concorso” della mela. Ma se supponessimo, per assurdo, di essere causa adeguata della mela, la capacità umana di mangiare, che si esprime nell’essere in grado di avere fame e di desiderare il cibo, si estrinsecherebbe necessariamente nella produzione della mela e nel suo consumo. Come ribadisce il rimando alla proposizione 36 del De Deo, non v’è nulla che si frapponga tra una cosa e i suoi effetti.

Per conatus s’intende dunque la pulsione in sé considerata, ossia quella “propensione causale” che coincide con l’esistenza stessa, come chiarito dalla proposizione precedente: «Ciascuna cosa, per

quanto è ad essa possibile (quantum in se est), è spinta a perseverare nel suo essere»185. Dimostrazione:

Le cose singole sono modi con i quali gli attributi di Dio sono espressi in maniera certa e determinata (1P25C), sono cioè (1P34) cose che esprimono in modo certo e determinato la potenza di Dio, mediante la quale Dio è e agisce; e nessuna cosa ha in sé alcunché da cui possa essere distrutta o che tolga la sua esistenza (3P4); al contrario (per la proposizione precedente), si oppone a tutto ciò che può togliere la sua esistenza e, perciò, per quanto può ed è in essa, è spinta a perseverare nel suo essere. C.D.D.186

Il conatus è la potenza stessa di Dio che si esprime nell’esser causa delle cose singole, come chiariscono i rimandi alle proposizioni finali del De Deo, dedicate per l’appunto alla relazione immanente tra la causa infinita e le infinite cause.

NI E T Z S CHE, SP I N O Z A E L’E Z I O L O G I A D E L L A M O R T E

Alla luce della relazione causalità-conatus, non è difficile cogliere i limiti della critica di Nietzsche secondo la quale l’autoconservazione dovrebbe portare ad un “arresto” dei viventi187. Ciò che si conserva, per Spinoza, è infatti l’infinita azione causale nelle sue modificazioni e non queste stesse intese come fini188. È curioso osservare come Nietzsche arrivi, tramite un percorso inverso,

allo stesso risultato di Hegel. Se per quest’ultimo i modi non riescono ad avere sufficiente realtà e scompaiono nella rigidità della sostanza, per Nietzsche essi assumono natura autonoma, fissandosi al di fuori della determinazione universale. Per Spinoza la sostanza è le cose e le cose non sono sostanze: Hegel nega la prima proposizione e si ritrova con una sostanza vuota; Nietzsche nega la

184 Sul significato del termine cfr. P.MACHEREY, Introduction à l’“Éthique” de Spinoza. La troisième partie: la vie affective, cit.,

pp. 80-81; cfr. anche R.BITTNER,Spinoza über den Willen, in A. ENGSTLER,R.SCHNEPF (a cura di),Affekte und Ethik: Spinozas Lehre im Kontext, cit.

185 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 905 (De affectibus, prop. 6). 186 Ibid. (De affectibus, prop. 6, dem.).

187 Cfr. F.NIETZSCHE, Frammenti postumi 1888-1889, cit., §14[121] e supra, I, 9.

188 Particolarmente interessante è la ridefinizione del concetto di conatus riscontrata da Chantal Jaquet tra le varie opere di

Spinoza. Se nel Trattato teologico-politico esso appare ancora come perseveranza nel proprio stato (formula che deriva dai principi d’inerzia e di conservazione del movimento cartesiani), nell’Etica esso diventa una perseveranza nel proprio essere, che per Spinoza è essenzialmente azione e produzione. Il passaggio al Trattato politico sembra conformare la tendenza generale di sviluppo del pensiero spinoziano, ossia la trasformazione del “meccanicismo geometrico” in un “dinamismo della potenza” (cfr. C.JAQUET, L’unité du corps et de l’ésprit: affects, actions et passions chez Spinoza, cit., pp. 63-65).

seconda e si ritrova con un universo di sostanze isolate e quindi statiche. L’errore comune a entrambi sembra essere quello di introdurre nella filosofia di Spinoza la possibilità che l’esistenza possa non produrre effetti, il che è escluso dalla nozione di causa sui.

L’obiezione di Nietzsche potrebbe anche essere riformulata a partire dal rimando alla proposizione 4, che recita: «Nessuna cosa può essere distrutta se non da una causa esterna»189. Nietzsche

sembra invece sostenere un principio contrario: «Tutte le cose grandi periscono a opera di sé stesse, per un atto di autosoppressione (Selbstaufhebung): così vuole la legge della vita, la legge del necessario “autosuperamento” (“Selbstüberwindung”) nell'essenza della vita»190. La contraddizione sussiste, tuttavia, solo se si isolano le proposizioni dal contesto delle rispettive filosofie. La dimostrazione della proposizione 4 chiarisce, infatti, che essa è valida se si considera la cosa stessa e non le cause esterne191. Ma tale considerazione è astratta, perché le cose si danno sempre in una codeterminazione192. Come abbiamo già visto, non esistono un “interno” e un “esterno” assoluti: ciò implicherebbe, infatti, una sostanzializzazione dei modi individuali. L’esterno, per così dire, funziona come interno finché dura l’individuo, ossia finché quell’esterno stesso non lo distrugge: la cupidità di una singola parte dell’individuo, infatti, «non tiene conto del tutto»193.

Su tale presupposto si basa la famosa spiegazione spinoziana del suicidio: «Nessuno […] si

uccide per necessità della propria natura, ma perché costretto da cause esterne (a causis externis

coactus)»194. Sappiamo che il termine “coazione”, nel determinismo spinoziano, non implica una

(impossibile) causazione transitiva, bensì il “riflettersi” della causazione universale nella cosa singola. Il fenomeno del suicidio è quindi descritto in questi termini: «Qualcuno si uccide […] perché delle cause esterne latenti dispongono la sua immaginazione e modificano il suo corpo in modo che egli assuma un’altra natura contraria alla prima»195.

189 B. SPINOZA, Opere, cit., p. 904 (De affectibus, prop. 4). La proposizione appare chiara se si tengono presenti le

osservazioni già svolte sulla durata.

190 F.NIETZSCHE, Genealogia della morale, cit., Che cosa significano gli ideali ascetici?, §27. Il principio ha valenza generale e

opera nell’ambito della morale così come in quello della biologia. Nella sua elaborazione svolge un ruolo anche il confronto critico con W.H. ROLPH, Biologische Probleme: Zugleich als Versuch zur Entwicklung einer rationellen Ethik, Engelmann, Leipzig 1884, BN. Su questo tema cfr. B.STIEGLER, Nietzsche e la biologia, cit., pp. 90-99 (“La volontà di potenza e la necessità della morte”).

191 Cfr. B.SPINOZA, Opere, cit., p. 904 (De affectibus, prop. 4, dem.).

192 «L’idea stessa di conatus […] non andrebbe artificialmente isolata, pena una sua nuova sostanzializzazione. Il conatus

tiene assolutamente a sé non perché riposi assolutamente in sé, ma perché si sostiene costantemente d’altro e d’altri» (L. VINCIGUERRA, La semiotica di Spinoza, cit., p. 160). Considerando la critica di Nietzsche, Kelly Linch nota giustamente: «Strictly speaking, no finite thing is in itself absolutely; for all things are, in one way or another, dependent on other things. Hence its being in itself is a matter of degree» (K. LYNCH, “Die Inkonsequenz Spinozas”: Notes on Nietzsche and

Spinoza. Short Commentary On “Beyond Good And Evil”, Chapter 1, #13, cit., p. 48).

193 B. SPINOZA, Opere, cit., p. 1027 (De servitute, prop. 60, dem.). Deleuze ha ben colto quest’aspetto: «La morte non è

inevitabile perché interiore al modo esistente; al contrario, è inevitabile perché il modo esistente è necessariamente spalancato sull’esteriorità» (G.DELEUZE, Spinoza: philosophie pratique, Les Éditions de Minuit, Paris 1981 [trad. it. di M. Senaldi, Spinoza: filosofia pratica, Guerini e associati, Milano 1991, p. 124]).

194 B. SPINOZA, Opere, cit., p. 992 (De servitute, prop. 20, schol.). La dimostrazione della proposizione rimanda alla

proposizione 4 del De affectibus (cfr. ivi, p. 991 – De servitute, prop. 20, dem.).

Nel contesto della filosofia di Nietzsche tale “altra natura” appare come una controvolontà che è in grado di riorganizzare quell’eccesso di potenza “interna” che ha portato alla dissoluzione della volontà originaria196. Ciò che avvicina Nietzsche e Spinoza, pur nella diversità dei linguaggi e dei riferimenti, è l’idea che ciò che “appartiene” all’individuo (e gli è, in questo senso, interno, ad esempio le immaginazioni o il corpo proprio), non è però asservito all’individuo (e gli è, in questo senso, esterno) e può decretarne la fine197. Le intuizioni “goethiane” del giovane Nietzsche sulla natura non teleologica degli individui sono in questo senso più vicine allo spinozismo di quanto non lo sia l’interpretazione critica dell’autoconservazione propria del Nietzsche maturo198.

Osservando più da vicino la spiegazione spinoziana del suicidio, si mostra che ciò che è asservito è in realtà proprio l’individuo. Tale spiegazione non ha, infatti, nulla di particolare: è possibile applicarla alla morte in generale, che è per l’appunto un cambiamento di natura. Comprendiamo allora il primo esempio di suicidio, piuttosto curioso, dato da Spinoza: «Qualcuno si uccide perché costretto da un altro che gli torce la destra con la quale aveva per caso afferrato una spada e lo costringe a dirigerla contro il suo stesso cuore»199. Una tale morte accidentale è per Spinoza un suicidio o, piuttosto, il suicidio è un caso di morte accidentale, dove per “caso” bisogna intendere la necessità universale.

La “specificità” del suicidio appare ancor più ridotta se consideriamo che la morte, in quanto mutamento di forma, ha per Spinoza un significato piuttosto esteso200. Un uomo che perda

completamente la memoria è, in un certo senso, “morto”, come chiarisce l’esempio del “poeta spagnolo”201. “Morti” sono, in un certo senso, i bambini202. Conosciamo però la temibile reazione a catena che nell’Etica segue ai casi-limite: a bambini e malati si aggiungono, per la stessa logica, ubriachi, stolti, pazzi, servitori e donne, che abbiamo già incontrato, non a caso, in associazione a coloro che si impiccano.

Giova però, a questo punto, invertire la prospettiva: la morte e il suicidio non sono infatti altro che casi determinati di quella che per Spinoza è la normale condizione umana: la schiavitù203. Essa esprime, sul piano antropologico, ciò che sul piano metafisico-ontologico appare come determinazione universale: in quanto parte della natura – afferma il Breve trattato – siamo “schiavi di Dio”204. Prima di passare alla trattazione di questo tema nella quarta parte dell’Etica, è però utile aggiungere alcune considerazioni sulle dinamiche dell’affettività.

196 Cfr. ad esempio F.NIETZSCHE, Frammenti postumi 1885-1887, cit., §5[64].

197 Quest’aspetto non sembra colto correttamente in R.LOOCK, Spinoza menschliche Knechtschaft – Nietzsches Ressentiment, in

A.ENGSTLER,R.SCHNEPF (a cura di),Affekte und Ethik: Spinozas Lehre im Kontext, cit., pp. 290-291.

198 Cfr. supra I, 2 (“Goethe tra Nietzsche e Spinoza”). 199 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 992 (De servitute, prop. 20, schol.).

200 «Intendo morto quel corpo le cui parti sono disposte in modo da ottenere tra loro un’altra proporzione di moto e

quiete» (ivi, p. 1010 – De servitute, prop. 39, schol.).

201 Cfr. Ibid. 202 Cfr. Ibid.

203 Cfr. P.MACHEREY, Introduction à l’“Éthique” de Spinoza. La quatrième partie: la condition humaine, PUF, Paris 1997, p. 9. 204 Cfr. B.SPINOZA, Opere, cit., p. 168 (Breve trattato, II, 18).