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E TICA II: L A COMPOSIZIONE DELLE IDEE E DEI CORP

S PINOZA : L A DETERMINAZIONE UNIVERSALE

2. E TICA II: L A COMPOSIZIONE DELLE IDEE E DEI CORP

Il De mente s’impegna a declinare le acquisizioni del De Deo in merito alle “cose” rispetto alle menti e ai corpi, ossia a quelle stesse cose considerate sotto il profilo del pensiero e dell’estensione. Tra le nozioni preliminari, due sono per noi particolarmente interessanti. Anzitutto la definizione di durata: «La durata è la continuazione indefinita dell’esistere»83. Spiegazione: «Dico indefinita perché non

può in alcun modo essere determinata mediante la natura stessa della cosa esistente e neppure dalla causa efficiente, poiché questa pone necessariamente l’esistenza della cosa, ma non la toglie»84. Se il

De Deo si apre con una nozione “ambigua” di finito, il cui effettivo significato emerge gradualmente

nel testo (il finito è un modo dell’infinito), il De mente pone invece immediatamente fuori gioco l’equazione “durata = finito” contrapposta a “eternità = infinito”85.

Particolarmente interessante è poi la definizione di cose singole, che specifica una nozione già apparsa nel De Deo: «Per cose singole intendo le cose che sono finite e hanno un’esistenza determinata. Ché, se più

individui (plura individua) concorrono in una sola azione in modo tale da essere tutti insieme (omnia simul) causa di un solo effetto, li considero tutti, sotto questo riguardo, come una sola cosa singola»86. La proposizione 28 del De

Deo ha già posto in crisi la nostra normale concezione di “cosa”, mostrando che ogni cosa si

definisce nel rapporto con la totalità dell’universo. La definizione 7 complica ulteriormente il quadro: le cose singole non sono cose singole, cioè non sono sostanze. Esse sono in realtà un composto di cose che fanno la stessa cosa. O meglio, esse sembrano più cose se considerate inadeguatamente, ma in realtà sono la stessa cosa perché la produzione di un effetto è ciò che determina l’esistenza e ad uno stesso effetto corrisponde una (molteplice) unità causale87. Gli individui non sono dunque alcunché di semplice e ciò si traduce nel rifiuto spinoziano di ogni atomismo fisico e mentale (precondizione dell’immortalità personale).

Tra le cose che non sono sostanze c’è naturalmente anche l’uomo. Spinoza si premura di mettere bene in chiaro la “spiacevole” conseguenza: «La sostanza non costituisce la forma dell’uomo»88. La

creatura fatta a immagine e somiglianza di Dio diventa cosa tra le cose89. La precisazione è metodologica: quando nell’Etica si fa specifico riferimento all’uomo, ciò non va inteso come indice

83 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 836 (De mente, def. 5). 84 Ibid. (De mente, def. 5, expl.).

85 «La durée conquiert une positivité nouvelle, car elle cesse d’être le signe de la finitude» (C.JAQUET, La perfection de la

durée, in «Les études philosophiques», n. 2, 1997, pp. 147-156, p. 149).

86 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 836 (De mente, def. 7).

87 Sulla natura molteplice degli individui cfr. É. BALIBAR, Spinoza: from Individuality to Transindividuality, «Mededelingen

vanwege het Spinozahuis», n. 71, 1997 [trad. it. Dall’individualità alla transindividualità, in ID., Spinoza: il transindividuale, cit.].

88 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 844 (De mente, prop. 10). 89 Cfr. Gn 1, 26-27.

di un privilegio ontologico, ma di un interesse di ricerca. In particolare, il pensiero non è una prerogativa esclusivamente umana più di quanto non lo sia l’estensione90.

L A D E T E R M I N A Z I O N E M E N T A L E E CO R PO R E A

Come detto, tanto i pensieri quanto i corpi sono cose singole considerate a partire da attributi differenti. Essi partecipano dunque della determinazione universale:

L’idea di una cosa singola esistente in atto ha come causa Dio non in quanto è infinito, ma in quanto è considerato affetto da un’altra idea di una cosa singola esistente in atto, della quale Dio è ugualmente causa, in quanto è affetto da una terza idea e così all’infinito91.

Un corpo mosso oppure in quiete ha dovuto essere determinato al movimento o alla quiete da un altro corpo, che a sua volta è stato determinato da un altro, e questo a sua volta da un altro, e così all’infinito92.

Entrambe le dimostrazioni rimandano, com’è intuibile, alla proposizione 28 del De Deo93. La proposizione 9 esplicita, inoltre, che la causa delle singole cose è sempre Dio in quanto modificato o affetto; considerazione che la proposizione 28 presenta solo nella dimostrazione (apparendo a prima vista deterministicamente “ingenua”) e che il lemma 3 lascia implicita. Ma la causa della determinazione di un corpo è sempre Dio in quanto modificato, ovvero un altro corpo in quanto modo del movimento universale; la causa dell’idea è invece un’altra idea in quanto modo del pensiero universale94.

A partire dalla determinazione universale, all’interno della quale ogni cosa singola appare come causa determinante ed effetto determinato, non è difficile evitare molte delle complicazioni legate a ciò che è infelicemente noto come parallelismo95. Sono gli stessi effetti di una medesima causa che

appaiono sia nell’ordine delle idee sia nell’ordine dei corpi, intesi come “sottoinsiemi impropri” (cioè coestensivi) dell’ordine delle cose96. Nient’altro che questo afferma la famosa proposizione 7: «L’ordine e la connessione delle idee sono identici (idem est) all’ordine e alla connessione delle cose (rerum)»97. La

90 Alcune considerazioni introduttive su queste tematiche possono essere trovate in Y.Y.MELAMED, Spinoza’s Anti-

Humanism: An Outline, in C.FRAENKEL, D.PERINETTI, J.E.H.SMITH (a cura di), The Rationalists: Between Tradition and

Innovation, Springer, New York 2011.

91 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 843 (De mente, prop. 9). 92 Ivi, p. 851 (De mente, prop. 13, lem. 3).

93 Cfr. ivi, pp. 843-844 (De mente, prop. 9, dem.) e p. 851 (De mente, prop. 13, lem. 3, dem.).

94 Più precisamente il corpo partecipa dell’attributo estensione, del modo infinito immediato del movimento e di quello

infinito mediato della facies totius universi. Le cose singole, in quanto corpi, sono dunque estese, mobili e in relazione con l’universo. Analogamente si procede per il pensiero, ma è più difficile trovare vocaboli (immagini) per descriverne le modalità. Potremmo dire che le cose singole, in quanto idee, sono pensanti, inferenti e in relazione all’universo ideale.

95 Alcuni studi recenti hanno sottolineato come tale dottrina sia in realtà profondamente estranea alla filosofia di

Spinoza: cfr. in proposito C.JAQUET, L’unité du corps et de l’esprit: affects, actions et passions chez Spinoza, cit. e M.ROVERE, La

tentation du parallélisme: un fantasme géométrique dans l’histoire du spinozisme in C.JAQUET,P.SEVERAC,A.SUHAMY (a cura di),

La théorie spinoziste des rapports corps-esprit et ses usages actuels, Hermann, Paris 2009.

96 Cfr. in proposito É.BALIBAR, Individualité, causalité, substance: réflexions sur l’ontologie de Spinoza, in E.CURLEY, P.F.

MOREAU (a cura di), Spinoza: Issues and Directions, cit. [trad. it. Individualità, causalità, sostanza, in ID., Spinoza: il

transindividuale, cit.].

dimostrazione rimanda al già ricordato assioma 4 del De Deo, che sancisce per l’appunto il nesso causazione-conoscenza, ovvero causa-idea, cui corrisponde quello causa-corpo98.

L’A T T I T U D I N E A F A R E E A CO N O S CE R E

Il corollario della proposizione 7 recita: «La potenza di pensare di Dio è uguale alla sua attuale potenza di agire»99. L’abbiamo già incontrato in altro contesto – occupandoci dell’“onniscienza” divina100 –, ma possiamo ora coglierne un aspetto ulteriore. Sappiamo infatti, dalle ultime battute del

De Deo, che le cose agiscono per la potenza di Dio. Dalla combinazione di questi due fattori nasce

una delle grandi rivoluzioni concettuali dello spinozismo:

Quanto un certo corpo è più atto degli altri a fare oppure a patire simultaneamente una pluralità di cose (ad plura simul agendum vel patiendum), tanto la sua mente è più atta delle altre a percepire simultaneamente una pluralità di cose (ad plura simul percipiendum); e quanto più le azioni di un solo corpo dipendono soltanto da esso stesso e quanto meno gli altri corpi concorrono con esso nell’agire, tanto più la sua mente è atta a capire distintamente (ad distincte intelligendum)101.

Il conoscere della mente e il fare dei corpi sono la stessa cosa, ossia espressione dell’essenza causale della cosa singola: conoscere un triangolo e poterlo disegnare sono la stessa cosa. Un bambino che vede un triangolo, ma non è capace di disegnarne uno da sé, ha una conoscenza inadeguata del triangolo ed è esposto al concorso delle cause esterne, ad esempio della madre che conosce il triangolo, lo può disegnare, ma che potrebbe essere occupata in altre faccende102. L’esempio è naturalmente astratto, perché isola l’attività del disegno dal complesso delle infinite cose che bisogna essere in grado di fare e di pensare per poter disegnare e correlativamente conoscere un triangolo: noi non sappiamo infatti cosa può il corpo, spiegherà Spinoza più avanti.

Restando però allo scolio della proposizione 13, è opportuno approfondirne ulteriormente il lessico. Spinoza traccia infatti una distinzione tra azione e attitudine, riferendo a quest’ultima tanto l’agire quanto il patire. In che senso anche quest’ultimo è una capacità? Non sarebbe stato sufficiente opporre agire e patire? Se pensiamo che l’affezione in Spinoza indica una causalità determinata, comprendiamo perché anche le “passioni” siano, in un certo senso, “atti”. Esse esprimono infatti una causalità inadeguata, ma pur sempre una causalità: non sono passività assoluta. Essere in grado di patire molte cose può, quindi, essere l’indice di un grado di causalità maggiore rispetto a quello di

98 Ivi, p. 841 (De mente, prop. 7, dem.).

99 Ibid. (De mente, prop. 7, cor.). La causa (sostanza) “precede” il pensiero (attributo): «Pour le dire plus simplement, Dieu

ne fait pas ce qu’il pense, […], mais il pense ce qu’il fait» (P.MACHEREY, Introduction à l’“Éthique” de Spinoza. La première

partie: la nature des choses, cit., p. 188).

100 Cfr. supra, II, 2 (“Tutto è vero”).

101 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 849 (De mente, prop. 13, schol.).

102 Deleuze propone l’esempio dello “stare a galla” e del “saper nuotare”, sottolineando che la conoscenza è un atto

pratico e non teorico: «Saper nuotare non è una conoscenza matematica o fisica, una conoscenza scientifica del movimento dell’onda. È un saper fare» (G.DELEUZE, Che cosa può un corpo? Lezioni su Spinoza, a cura di A. Pardi, Ombre corte, Verona 2007, p. 165).

un altro modo che agisce (causa adeguatamente) quel che può, ma può molto meno103. Una conseguenza importante di questa considerazione è che bisogna togliere al concetto di adeguazione un po’ della sua “aurea”.

CHE C O S’È L’U O M O?

Nello scolio, infatti, Spinoza sta anche ritornando sul tema della differenza antropologica104. È vero che l’uomo non gode di alcun privilegio, però in qualche modo bisogna dar conto della sua “particolarità”: ammettiamo pure che tutto pensi nella natura, però le pietre non risolvono equazioni di secondo grado. La conoscenza adeguata finirebbe, dunque, per svolgere quel ruolo di differenziazione che nel corso della tradizione filosofica ha svolto l’anima razionale, nelle sue molteplici varianti tendenti ora verso l’anima immortale, ora verso la ragione «eguale in tutti gli uomini»105. Solo gli uomini (e Dio) hanno accesso all’intelligenza distinta; gli animali (e le altre cose, visto il “panpsichismo” spinoziano) al più “percepiscono”. Tale differenza si baserebbe sulla differente complessità dei corpi: l’intuizione di Spinoza sarebbe quindi l’aver compreso che l’eccellenza della mente umana è correlativa all’eccellenza del suo corpo. Questa interpretazione dello scolio è però insufficiente.

Spinoza, come detto, definisce attitudine ed azione separatamente e non è affatto detto che un certo grado di attitudine implichi una causazione adeguata o inadeguata. Anche un’attitudine limitata può esprimersi, nel proprio ambito, adeguatamente: un ragno può tessere in modo sufficientemente adeguato la sua tela ed “intelligere” questo suo tessere, anche se la sua conoscenza è inadeguata a riparare la tela di fronte alla concorrenza di cause esterne (ad esempio l’etologo che conduce un esperimento)106. La stessa attitudine si esprime con differenti gradi di adeguazione o – il che è lo stesso, perché i concetti sono relativi e non assoluti (“quanto più… quanto meno…”) – inadeguazione, a seconda delle circostanze determinate.

La non esclusività dell’appartenenza della conoscenza adeguata all’uomo si dimostra anche per via negativa. L’idea di “uomo” è per Spinoza un ente di ragione, ossia generico e astratto, cui non corrisponde nessuna essenza reale, perché per Spinoza le essenze sono individuali (esprimono un determinato gradiente della potenza divina). Ammettendo per assurdo, però, che “uomo” sia ciò a cui compete essenzialmente la conoscenza adeguata, bisognerebbe comunque dire che il genere “uomo” non comprende una buona fetta del “genere umano”.

Ciò appare chiaro dalla risposta all’obiezione dell’“asina [sic] di Buridano”, secondo la quale un uomo privo di libera volontà morirebbe ove si trovasse in una situazione di equilibrio, ad esempio

103 Cfr. su questo tema P.SÉVÉRAC, De la multiplicité simultanée à l’autonomie singulière: l’activité du corps et de l’esprit in C.

JAQUET,P.SÉVÉRAC,A.SUHAMY (a cura di), La théorie spinoziste des rapports corps-esprit et ses usages actuels, cit.

104 Cfr. U.RENZ, Die Definition des menschlichen Geistes und die numerische Differenz von Subjekten (2p11-2p13s), cit., pp. 116-121. 105 R.DESCARTES, Discorso sul metodo, a cura di M. Renzoni, Mondadori, Milano 1993.

106 Per un’esposizione e un commento filosofico di questo esperimento di Irenäus Eibl-Eibesfeldt cfr. C.SINI, L'origine

tra fame e sete, e sembrerebbe perciò più simile ad un asino che ad un uomo107. Spinoza non va per il sottile: «Concedo senz’altro che l’uomo, posto in un tale equilibrio […], perirà di fame e di sete. Se mi domando: un tale uomo non è da considerare piuttosto un asino che un uomo? rispondo di non saperlo, come non so (nescio) in qual modo sia da considerare chi si impicca e come siano da considerare i bambini, gli stolti, i pazzi ecc.»108. L’“et cetera” non va preso alla leggera: esso potrebbe

infatti estendersi facilmente anche a donne e servi, troppo esposti alla causazione esterna di mariti e padroni109.

L’essere “uomo” rimarrebbe perciò in ogni caso una questione individuale, dipendente dalla capacità dei singoli di esprimere quella causalità adeguata supposta per assurdo come caratteristica specifica. Gli uomini si caratterizzano dunque, in un certo senso e come tutte le altre cose, per il grado di complessità del loro corpo e delle loro menti, ma ciò non significa affatto che si possa da ciò derivare una differenza specifica, men che meno una basata sulla possibilità della conoscenza adeguata.

L O S CA M B I O I N T E R CO R P O R E O

A partire dalla comunanza di attitudine causale del corpo e della mente illustrata dallo scolio, dovrebbe inoltre apparire chiaro come mai dopo la proposizione 13 («L’oggetto dell’idea che costituisce la

mente umana è il corpo»)110 si apra un “compendio di fisica” all’interno di un testo dedicato alla mente:

fisica (o biologia, o fisiologia) e gnoseologia (o psicologia) sono infatti, filosoficamente – ossia secondo la causa –, la stessa cosa, considerata secondo attributi differenti111.

Abbiamo già incontrato il lemma che esprime la determinazione universale riguardo ai corpi. L’assioma che segue può aiutare a capire un aspetto di essa più difficile da cogliere dal punto di vista delle cause e delle idee, più parchi di supporti immaginativi concreti. Esso recita:

Tutti i modi con i quali un certo corpo è affetto da un altro corpo seguono dalla natura del corpo affetto e, insieme (simul), dalla natura del corpo afficiente; così un solo e medesimo corpo è mosso in modi diversi in relazione alla diversa natura dei corpi che muovono e, al contrario, corpi diversi sono mossi in modo diverso da un solo e medesimo corpo112.

Parlando di corpi, che rimandano ad immagini spaziali, è più semplice arrivare alla comprensione della simultaneità di causa ed effetto, che dal punto di vista delle cause è ostacolata dall’associazione con immagini temporali e transitive. Un corpo produce effetti diversi su tutti gli altri corpi a lui simultanei a seconda della loro natura e ne riceve gli effetti secondo la propria natura;

107 Cfr. B.SPINOZA, Opere, cit., p. 890 (De mente, prop. 49, schol.). 108 Ivi, p. 893.

109 Cfr. in proposito A.MATHERON, Femmes et serviteurs dans la démocratie spinoziste, in «Revue philosophique», n. 2, 1977,

pp. 181-200 [trad. it. di A. Pardi, Donne e servitori nella democrazia spinozista, in Scritti su Spinoza, cit.].

110 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 848 (De mente, prop. 13).

111 Su questo passaggio cfr. A.SUHAMY, Le corps avant l’âme: Éthique II, proposition 13 et scolie, in C.JAQUET,P.SÉVÉRAC,A.

SUHAMY (a cura di), La théorie spinoziste des rapports corps-esprit et ses usages actuels, cit.

allo stesso modo una causa singola determina ed è determinata simultaneamente da tutte le altre cause. L’“et sic in infinitum” è, in altri termini, un “simul”. Vedremo, inoltre, come la compresenza di “interno” ed “esterno” nell’affezione apra anche interessanti prospettive di confronto con Nietzsche.

Il compendio di fisica contiene una sola definizione, che esprime per i corpi la natura plurale degli individui già introdotta per le cause; essi appaiono quindi come “unioni di corpi”113. Spinoza può quindi derivare le leggi del commercio dei corpi con l’esterno: l’individuo si conserva se lo scambio, l’acquisizione o la cessione di parti non ne muta la forma114. Dalla combinazione della definizione e delle leggi segue un altro importante chiarimento: «Se procediamo così all’infinito, concepiremo facilmente che tutta la natura è un solo individuo, le cui parti, cioè tutti i corpi, variano in infiniti modi senza alcun mutamento dell’individuo totale»115. I confini dell’individuazione sfumano dunque nell’infinitamente piccolo (gli astratti corpi semplici) e nell’infinitamente grande: la

facies totius universi. Quest’ultima esprime immutabilmente (eternamente) l’infinita causalità

dell’esistenza nelle sue leggi generali, ma senza “irrigidire” in una sorta di fotografia o mappa il continuo circolo delle cause in cui ha luogo la costituzione dinamica delle singole cose esistenti116.

Il compendio di fisica si chiude con alcuni postulati che fanno specifico riferimento al corpo umano, il primo dei quali ne afferma la natura composta e sarà recepito in modo particolare, come abbiamo visto, da Goethe e nell’ambito della teoria cellulare. Il postulato 4 declina invece la legge dello “scambio delle parti”: «Per conservarsi, il corpo umano ha bisogno di moltissimi altri corpi dai quali viene

continuamente quasi rigenerato»117. Notiamo subito come la conservazione sia pertanto un processo dinamico, che necessita di una relazione continua con l’altro da sé e non l’isolamento autarchico dell’individuo. Ciò non resta senza conseguenze nella dottrina del conatus e richiede anche, come vedremo, una riconsiderazione della lettura datane da Nietzsche. Ritornando inoltre brevemente sul tema dell’“attitudine”, è possibile notare come il corpo umano, proprio per la sua complessità, deve concorrere maggiormente con le cause esterne ed è perciò esposto a un rischio di inadeguazione più alto. Se consideriamo che Spinoza identifica in seguito una parte degli “altri corpi” con gli altri uomini, il corpo umano sembra contraddistinguersi in particolare per la sua attitudine alla schiavitù.

Per proseguire la nostra indagine è inoltre necessario considerare anche il postulato 5, che descrive una cosa apparentemente banale. Esso illustra la relazione tra corpi duri, fluidi e molli e afferma, in breve, che i primi s’“imprimono” sugli ultimi – grossomodo come il sigillo sulla cera –, mentre i corpi fluidi “trasmettono” l’impressione118. Da tale postulato si ricava la nozione di “traccia” (vestigium) che, come mostrato in particolare da Lorenzo Vinciguerra, ha conseguenze

113 Ibid. (De mente, prop. 13, def.).

114 Cfr. ivi, pp. 853-854 (De mente, prop. 13, lem. 4 e 5). 115 Ivi, p. 855 (De mente, prop. 13, lem. 7, schol.).

116 Sullo statuto dei corpi semplici e dell’individuo totale cfr. P.MACHEREY, Hegel ou Spinoza, cit., pp. 193-195. 117 B.SPINOZA, Opere, cit., p. 855 (De mente, prop. 13, post. 4).

fondamentali sulla teoria spinoziana della conoscenza, in particolare per quanto riguarda l’immaginazione119. Ancora una volta, inoltre, il piano dei corpi, nella sua concretezza, aiuta a

cogliere meglio una caratteristica della causazione. Essa non si esaurisce istantaneamente, ad esempio generando transitivamente un’entità separata, perché essa lascia tracce. L’effetto porta con sé indefinitivamente le vestigia della causa ed esse lo determinano nella sua esistenza: non c’è separazione tra “interno” ed “esterno” dell’affezione, notavamo in precedenza.

L’E S T E R I O R I T À D E L L A M E N T E

Esposti i lineamenti della dottrina dei corpi, Spinoza riprende la sua indagine della realtà mentale. Anche in essa regna la complessità: «L’idea che costituisce l’essere formale della mente umana non è

semplice ma composta da moltissime idee»120. Si tratta di una proposizione estremamente moderna, che comincia a mettere in questione l’idea che ciò a cui in genere ci riferiamo come “Sé” o “io” sia a noi massimamente noto. La nostra mente non è infatti semplice, anche nel senso che non è semplice da comprendere: per conoscere sé stessi bisogna sapere moltissime cose.

La proposizione successiva complica ulteriormente il quadro: «L’idea di qualsiasi modo in cui il

corpo umano è affetto dai corpi esterni deve implicare la natura del corpo umano e, simultaneamente, la natura del corpo esterno»121. La nozione di simultaneità interviene dunque a modificare anche la nostra concezione dell’universo mentale. Fino alla proposizione precedente potevamo ancora pensare che la mente, ancorché composta, non fosse altro che il contenitore delle idee, un contenitore che avrebbe anche potuto essere “senza finestre”. Con la proposizione 16 invece l’esteriorità prorompe nella mente: le idee non stanno nella mente; piuttosto la mente non è altro che un’idea determinata dalla relazione con le idee “esterne”.

In tal modo potrebbe però sembrare che l’idea abbia un accesso diretto alle cose stesse, che sia capace di oggettività immediata. In realtà le idee di “interno” ed “esterno” faticano ad esprimere il