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Gli studi dedicati all’utilizzo del digital storytelling in ambito educativo si occupano soprattutto di contesti quali la scuola secondaria di primo o di secondo grado92, mentre l’utilizzo di tale approccio in contesti prescolari risulta tutt’oggi un argomento non molto esplorato dalla letteratura scientifica (Bertolini, 2018, p.53). Tuttavia, alcune ricerche sono state condotte negli ultimi anni in riferimento a questo ambito. Yuksel (2016), ad esempio, rifacendosi sia al costrutto elaborato da Nelson e Hull (2008), che individua nell’educational digital storytelling un processo di apprendimento centrato sulla riflessione, sia alla lettura di Robin (2008), che riconosce in tale approccio una modalità tramite cui bambini e insegnanti possono sviluppare competenze cognitive e collaborative, ha realizzato uno studio basato su un impianto metodologico di matrice fenomenologica, con il fine di elaborare alcune linee guida per la creazione di narrazioni digitali nell’ambito della scuola dell’infanzia. Si tratta, in particolare di sette elementi, che l’autrice raccomanda di prendere in considerazione nella fase di progettazione di attività educative finalizzate alla realizzazione di narrazioni digitali. L’autore insiste anzitutto sull’importanza che il coinvolgimento di diversi gruppi di bambini della sezione riveste, soprattutto qualora venga preso in considerazione il diverso grado di sviluppo di ciascuno e venga attribuita particolare attenzione al coinvolgimento attivo dei bambini. Nel delineare quest’ultimo elemento, Yuksel sottolinea l’importanza di considerare il digital storytelling in prima istanza come uno strumento teso a sostenere i processi di apprendimento dei bambini, in quanto risulta particolarmente efficace nel progettare e realizzare esperienze in cui sia possibile creare continue connessioni tra attività pratiche e apprendimenti teorici. Il terzo elemento è invece individuabile nei processi metacognitivi di riflessione su quanto realizzato, elemento che la creazione di storie digitali contribuirebbe a sostenere. La condivisione coi genitori rispetto quanto è stato realizzato coincide con il quarto dei sette punti centrali individuati, la cui finalità specifica consiste nel rendere maggiormente visibile alle famiglie la rilevanza dei processi di apprendimento che possono avvenire già a partire dalla scuola dell’infanzia. Il quinto consiste invece nello sviluppo del senso di autoefficacia nei bambini e negli insegnanti, strettamente collegato a quello successivo, il sesto, individuabile invece nel garantire maggior equità rispetto alle opportunità di apprendimento per tutti i bambini coinvolti

44 nel progetto in atto. L’ultimo, infine, riguarda l’utilizzo di tecnologie e, nello specifico, da un lato lo sviluppo delle competenze degli insegnanti, dall’altra, la promozione di un utilizzo attivo e critico di quest’ultime da parte dei bambini. Una recente ricerca (Yuksel, Robin, & Yildrim, 2014) ha ulteriormente messo in luce le potenzialità del digital storytelling in ambito prescolare, in particolare rispetto allo sviluppo di competenze legate alla media literacy, in un percorso che ha visto alcuni gruppo di bambini selezionare il tema della storia, discutere gli elementi narrativi, creare la componente visuale della narrazione anche attraverso l’utilizzo di disegni e, infine, realizzare e condividere le narrazioni digitali.

Sempre nell’ambito della scuola dell’infanzia, Kildan e Incikabi (2015) hanno studiato l’impatto che la realizzazione di storie digitali ha avuto sulle competenze di 13 insegnanti, mostrandone l’efficacia rispetto allo sviluppo di una maggiore consapevolezza rispetto al paradigma del TPACK. Nell’ambito educativo prescolare, le esperienze di digital storytelling possono infatti essere lette come parte del più ampio modello TPACK - Technological

Pedagogical And Content Knowledge (Koehler & Mishra, 2006; Schmidt et al., 2009; Lisenbee

& Ford, 2018), che permette di integrare le conoscenze degli insegnanti e l’utilizzo delle tecnologie tramite la progettazione di pratiche educative che comprendono tre componenti principali: tecnologia, pedagogia e contenuti. Se si applica tale modello al digital storyetelling è infatti possibile notare, come recentemente messo in luce dalla letteratura scientifica (Bertolini, Contini, Pagano, & Manera, 2019), la stretta relazione tra tecnologie e strumenti del digital storytelling, pedagogia e teorie dell’apprendimento a cui si fa riferimento nella fase progettuale, tra contenuto, struttura delle storie e l’intrecciarsi di diversi ambiti condivisi da entrambi i paradigmi. Al contenuto pedagogico corrisponde infatti l’aspetto didattico, legato alle strategie atte a sostenere lo sviluppo di narrazioni complesse, mentre all’ambito tecnologico corrisponde l’analisi dei limiti e delle potenzialità espresse dai diversi device, soprattutto in rapporto ai determinati contenuti che si intendono affrontare. Il quadro complessivo che emerge suggerisce la necessità di sviluppare pratiche in cui gli studenti abbiano la possibilità di sviluppare le competenze del XXI Secolo (Kennedy, Judd, Churchward, Gray, & Krause,

2008). Al fine di sviluppare tali competenze, la letteratura scientifica (Tan, Lee, & Hung, 2014), suggerisce che nel corso dello svolgimento di attività didattiche, il ruolo dell’insegnante dovrebbe corrispondere idealmente a quello di facilitatore, cioè di colui che incoraggia le attitudini di scoperta e invenzione dei bambini, che supporta processi di autonomia e tende a proporsi come una risorsa. Inoltre, con “insegnante facilitatore” si intende una figura in grado di trasferire le competenze acquisite dai bambini in nuovi contesti, riflettere sui processi di apprendimento individuali e di gruppo, operare processi di metacognizione, proporre l’utilizzo di tecnologie appropriate e discutere i risultati raggiunti (Phajane, 2014). L’insegnante viene

45 pertanto inteso come colui che attua strategie tese a sostenere i bambini nel processo di creazione di narrazioni digitali tramite la messa in campo di un ampio set di saperi e competenze. Vivitsou, Niemi, Wei, Kallunki e Miao (2017) hanno recentemente proposto uno schema quadripartito degli ambiti in cui la figura dell’insegnante risulta rilevante, riferito in particolare alla realizzazione di progetti di digital storytelling. Tale schema prende in considerazione il processo di alfabetizzazione digitale, lo sviluppo di competenze legate all’utilizzo creativo delle tecnologie digitali, la collaborazione tra pari e il lavoro di gruppo. Il processo di realizzazione di artefatti digitali richiede infatti l’applicazione di un approccio che supporti sia la collaborazione tra bambini che la partecipazione attiva. Risulta pertanto centrale che l’insegnante concorra a progettare attività che consentano ai bambini di sentirsi subito coinvolti in ciascun processo di costruzione della storia, così da poter gradualmente permettere agli stessi di realizzare narrazioni digitali in maniera sempre più indipendente, garantendo inoltre l’opportunità di percepirsi ed essere, nella maggior misura possibile, autori degli artefatti digitali.

De Rossi e Petrucco (2013) hanno proposto un modello generale che mira a delineare le diverse fasi di realizzazione a cui è possibile fare riferimento in ambito didattico. Tale modello prevede il susseguirsi di diversi passaggi, il primo dei quali è individuabile nella scelta delle finalità principale perseguita e dell’eventuale pubblico a cui l’artefatto digitale è rivolto. A questa fase segue l’analisi delle tecnologie digitali di cui si dispone, nonché delle risorse a cui si può fare riferimento. Si passa poi alla fase di realizzazione, che prevede che venga innanzitutto scelto un genere, per poi procedere alla scrittura della sceneggiatura, alla realizzazione dello storyboard e alle registrazioni audio e video. Le ultime due fasi consistono nel montaggio e la diffusione del prodotto realizzato. Le tipologie narrative a cui si può fare riferimento sono state definite in letteratura da Robin (2008), che ha proposto uno schema tripartito che enumera narrazioni autobiografiche, informative e narrative. Un’ulteriore potenzialità del digital storytelling in ambito educativo è individuabile nella possibilità predisporre contesti di apprendimento dove le modalità di apprendimento tipiche dei contesti educativi formali siano messe in relazione con quelle tipicamente attribuite ai contesti educativi informali.

Nell’ambito della letteratura scientifica, in riferimento all’ambito specifico del digital storytelling, Hartley & McWilliam (2009) hanno messo in rilievo i limiti che tale approccio ha riscontrato nel permettere agli insegnanti di utilizzare le potenzialità offerte dagli ambienti digitali, legati principalmente alla scarsa familiarità e alla diffidenza espressa dagli educatori nei confronti dell’utilizzo delle tecnologie digitali, specialmente in relazione all’ambito narrativo. Nei contesti prescolari italiani coinvolti nel progetto STORIES, che verrà presentato

46 e discusso nei paragrafi seguenti, il tentativo perseguito è stato invece quello di contestualizzare la pratica del digital storytelling da un lato mettendola anzitutto in forte relazione con l’esplorazione dei linguaggi artistico-espressivi, proponendola inoltre all’interno di ambienti immersivi, tramite l’utilizzo di device quali videoproiettori, I-Theatre e prioettori interattivi utilizzati all’interno delle sezioni e degli atelier.

Questa caratterizzazione del digital storytelling risponde da un lato alla necessità, messa in luce dalle Indicazione Nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia, di elaborare proposte didattiche che concorrano allo sviluppo di competenze legate all’integrazione di nuove tecnologie con i linguaggi espressivi, legate in particolare al saper “rielaborare in modo creativo le immagini con molteplici tecniche, materiali e strumenti (grafico-espressivi, pittorici e plastici, ma anche audiovisivi e multimediali)” (Miur, 2012, p.74). Dall’altro, risponde all’esigenza di un rinnovamento delle possibilità offerte nei contesti di apprendimento di ambito educativo, recentemente esplicitata da vari documenti nazionali e internazionali, che sottolineano la necessità di innalzare il livello di padronanza delle competenze digitali (EU, 2017/C), e di formare insegnanti in grado di realizzare ambienti digitali nei diversi contesti scolastici (CE, 2018), proponendo una definizione di competenza digitale riferita solo parzialmente all’acquisizione di abilità tecniche, legata invece soprattutto al saper scegliere e riflettere criticamente sull’utilizzo di diversi device e ambienti digitali (Miur, 2018a). Da tali documenti emerge inoltre la necessità che la scuola si renda protagonista nell’elaborare strategie positive per l’utilizzo delle tecnologie digitali, sostenendo bambini e adulti nel rendersi utilizzatori attivi e realizzatori responsabili di contenuti e ambienti mediali (Miur, 2018b), facendo riferimento a un’idea di tecnologia abilitante, quotidiana, al servizio di attività orientate anzitutto alla formazione e all’apprendimento (Miur, 2015). L’innovazione in questo senso risiede non solo nella specifica tecnologia digitale utilizzata, ma soprattutto nelle modalità di adozione che vengono attuate: l’innovazione scaturisce infatti dal realizzarsi di un’idea che, in dialogo con le nuove tecnologie e posta in un contesto che la comprende e la fa propria, modifica comportamenti e abitudini tramite una progettualità che permette di generare valore.