• Non ci sono risultati.

Al fine di individuare possibili connessioni tra il mutamento del paradigma dell’immagine, l’emergere d’istanze che individuano nelle tecnologie digitali caratteri preminentemente interattivi, contenuti legati agli aspetti didattici e pedagogici maggiormente legati all’ambito dell’educazione estetica, tra cui si possono enumerare lo sviluppo della visual literacy nell’infanzia e i rapporti che intercorrono tra questa e la media education, intesa come l’ambito più vasto all’interno del quale si situa la media literacy, è possibile far riferimento al digital storytelling. In ambito educativo, con digital storytelling si fa riferimento a una metodologia operativa che tramite l’utilizzo di una varietà di strumenti tecnici permette la creazione e la condivisione di narrazioni multimodali e interattive (Robin, 2008; Schrock, 2013, 2017; Xu, Park, & Baek, 2009). Secondo Ohler (2007; 2008) ciò che caratterizza le narrazioni digitali è il processo di costruzione stesso, che fa riferimento sia alle competenze narrative che a quelle legate all’utilizzo di tecnologie digitali, includendo allo stesso tempo l’utilizzo del pensiero critico, la capacità di problem-solving e lo sviluppo di competenze collaborative e creative. Secondo Jenkins (2009), il digital storytelling permette inoltre di sostenere l’apprendimento delle competenze del XXI secolo, tramite un processo attivo di ingaggio centrato sulla realizzazioni di contenuti multimodali su cui si ha la possibilità di esercitare un’azione riflessiva e critica (Stewart & Ivala, 2017).

In generale, con digital storytelling si fa riferimento a un variegata tipologia di artefatti digitali (Lundby, 2008; Miller, 2014); tuttavia, nella sua ideazione originaria (Lambert, 2007) con tale denominazione fa riferimento a un processo creativo che vede come protagonisti persone con poca o nessuna esperienza nell’utlizzo di tecnologie digitali, e ha come finalità lo sviluppo delle competenze necessarie per raccontare una breve storia associando il voice-over alla componente visiva (Dunford & Jenkins, 2017). Infine, con tale denominazione si fa riferimento prevalentemente a storie auto-rappresentative create in contesti collaborativi denominati story circle, caratterizzati dalla presenza di stimoli utili all’ideazione e allo sviluppo di tale narrazione. Lambert (2013) ha inoltre sottolineato la rilevanza dell’aspetto partecipativo,

41 che richiede apertura e disponibilità a collaborare con altri, individuando sette passaggi centrali che contribuiscono alla definizione del processi di realizzazione di storie digitali. I passaggi delineati non rappresentano un percorso da seguire necessariamente nel processo di costruzione della storia ma, “più semplicemente, un paradgima utile alla discussione della qualità estetica di questa particolare forma narrativa” (Lambert, 2013, p. 67)87.

Nelle prime tre fasi viene sviluppato l’aspetto narrativo, decidendo inoltre su quali elementi si vuole porre particolare attenzione. Nel passaggio successivo vengono scelte le immagini e studiato l’aspetto visuale della narrazione, per poi procedure all’elaborazione dell’intreccio tra l’aspetto narrative e quello visivo. Si passa poi alla fase di registrazione, di editing e, infine, di condivisione della storia realizzata. In riferimento all’ambito educativo, in cui il paradigma del digital storytelling ha avuto un rapido sviluppo (Hartley & McWilliam, 2009; Robin, 2012), la realizzazione di progetti di digital storytelling è stata ancora una volta messa in relazione allo sviluppo delle competenze del XXI secolo (Gregori-Signes & Brígido, 2014), processo che ha portato alla ridenominazione “educational digital storytelling”, definizione con cui si fa riferimento a narrazioni digitali realizzate da bambini e studenti sotto la supervisione dell’insegnante (Robin, 2012).

Con educational digital storytelling ci si riferisce inoltre a uno strumento metodologico che può essere utilizzato in progetti in continuità con le conoscenze, abilità e competenze di cui i bambini sono già in possesso (Lambert, 2013; McGee, 2015; Robin, 2008; Rossiter & Garcia, 2010). Inoltre, rispetto al paradigma classico elaborato da Lambert (2006), nell’educational digital storytelling sono da tenere in considerazione fattori quali la valutazione (Gregori-Signes & Brígido, 2014), gli aspetti legati alla familiarizzazione con problematiche narrative e alla didattica dell’immagine. Si tratta dunque di una particolare declinazione del paradigma del digital storytelling, basato sulla connessione tra gli elementi alla base di quest’ultimo ed elementi specifici dei contesti educativi in cui vengono realizzate le narrazioni (Robin, 2012; Barrett, 2006). Al fine di dare maggior struttura alle possibili connessioni tra i due elementi delineati, Robin (2016) ha ripreso i sette elementi elaborati da Lambert, proponendone una reinterpretazione basata su dodici fasi. La fase iniziale consiste nella scelta dell’argomento (1), la seconda prevede che venga effettuata una ricerca sulla tematica individuata (2), per poi passare alla scrittura di una prima bozza dello script narrativo (3) e, conseguentemente, revisionare lo script in base ai feedback ricevuti (4-5). A questo punto si dovrebbe procedere con la ricerca o creazione delle immagini (6), facendo attenzione all’origine e al copyright delle stesse (7), per poi creare uno storyboard (8), passare alla fase di registrazione (9), aggiungere

87 “More simply, a framework for the discussion of the aesthetic quality of this particular form” (Lambert, 2013,

42 eventuali elementi musicali (10) e, infine, editare e condividere l’artefatto digitale creato (11- 12). Le evidenze finora raccolte in letteratura in relazione all’utilizzo del digital storytelling in ambito educativo riguardano la possibilità di sostenere la partecipazione attiva dei bambini, lo scambio delle competenze acquisite e lo sviluppo di facoltà creative (McGee, 2015; Shelby- Caffey, Úbéda, & Jenkins, 2014; Niemi & Multisilta, 2016). In uno dei più rilevanti contributi scientifici pubblicati sul tema delle narrazioni digitali88 (Hartley & Mcwilliam, 2008), Lambert

ha attribuito alle attività svolte a inizio Anni ’90, all’interno del Center for Digital

Storytelling89, la nascita di quel filone di studi che sarebbe stato dedicato al fenomeno della

narrazione digitale, coinvolgendo sin dalle prime esperienze anche i contesti educativi. L’autore, in un recente contributo (Lambert, 2017), ha sottolineato che nei processi di sviluppo delle esperienze e degli studi legati alla creazione di storie digitali, il gruppo di ricerca californiano ha sempre cercato di evitare di formalizzare l’approccio del digital storytelling in termini troppo rigidi90, ponendo piuttosto il focus sul continuo scambio tra esperienze pratiche ed elaborazioni teoriche che starebbe alla base della modalità progettuale caratteristica di tale approccio.

In riferimento alle competenze creative, la letteratura scientifica ha inoltre messo in luce il rapporto tra la strutturazione di progetti finalizzati alla realizzazione di narrazioni digitali e lo sviluppo della capacità di co-creatività91, termine che riferisce alla capacità di esercitare competenze creative in situazioni collaborative (Schmoelz, 2017; Stenning et al., 2016; Walsh, Craft, & Koulouris, 2014). Ohler (2016) ha proposto di inserire le attività di digital storytelling all’interno di quanto ha definito il “DAOW of literacy”, cioè l’insieme dei processi di alfabetizzazione riguardanti anzitutto l’utilizzo attivo delle tecnologia (digital), lo sviluppo delle competenze artistico-espressive (art), lo sviluppo delle competenze comunicative (oral) e, infine, quelle di organizzazione testuale (writing). Oltre agli elementi delinati, va tuttavia messo in luce che le dimensioni implicate nella realizzazione di progetti di digital storytelling riguardano non solo elementi cognitivi, ma anche la dimensione emotiva, in quanto le esperienze narrative permettono di dare forma e attribuire significati all’esperienza (Bruner, 1991). Infine, nei contesti educativi le esperienze di digital storytelling non sono legate esclusivamente alla realizzazione di storie, ma possono riguardare anche, ad esempio, la

88 Tra le pubblicazioni di maggior impatto sul tema del digital storytelling si segnala anche Digital Storytelling, Mediatized Stories—Self Representations in New Media (Lundby, 2008).

89 Nel 2015 il Center for Digital Storytelling, situato in California, è stato rinominato StoryCenter.

90 “We have deliberately avoided situating our work as addressing a singular theoretical framework” (Lambert,

2006, p. 21).

91 Le caratteristiche specifiche di tale costrutto (co-creativity) vengono individuate da Schmoelz (2018) in diverse

categorie riassumibili in 1) impatto, cioè il legame tra creatività e impatto positivo che quest’ultimo può esercitare positivamente sulla comunità; 2) dialogo: la competenza creativa intesa nella sua dimensione dialogica; 3) attivismo: offrire contesti in cui i bambini abbiano la possibilità di agire concretamente contesti.

43 creazione di filmati dedicati a contenuti scientifici, o presentazioni da utilizzare durante gli incontri allargati ai genitori (Lisenbee & Ford, 2018).