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La sezione successiva della scheda di analisi delle buone pratiche prendeva in considerazione il contesto educativo e, più nello specifico, il tipo di approccio didattico a cui gli insegnanti hanno fatto riferimento nella progettazione e nello svolgimento di ciascun progetto.

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Strategie didattiche Drammatizzazione

Discussione Problem solving Giochi didattici Cooperative learning Brainstorming Gallery walk Uscita didattica Project-based learning Altro:……. Contesto educativo Composizione dei gruppi di progetto Omogenei Eterogenei

Criteri adottati per la composizione dei gruppi Genere Età Competenze linguistiche Competenze cognitive Interesse Competenze sociali Anni di frequenza al nido/scuola dell’infanzia

Scelta autonoma dei bambini Composizione casuale Gruppo già coeso

Gruppo unico a causa del numero insufficiente di bambini

Altro: …………

Dinamiche di

collaborazione di gruppo durante il processo di creazione delle storie

Lavoro a coppie durante l’intero svolgimento del progetto

Lavoro a piccoli gruppi durante l’intero svolgimento del progetto Alternanza tra lavoro a coppie e a piccolo gruppo

Se c’è stata alternanza tra le due dinamiche (lavoro a coppie e in piccolo gruppo), specificare quali fasi hanno caratterizzato l’uno o l’altro

Contestualizzazione del progetto

I bambini avevano già esperienze a familiarità in ambito narrativo I bambini avevano già esperienze a familiarità con l’utilizzo di tecnologie digitali

I bambini avevano già esperienze a familiarità con il digital storytelling

176 A seguire vengono riportati e presi in analisi i risultati relativi alle strategie didattiche adottate nella progettazione e realizzazione delle schede di valutazione.

Strategie didattiche f Cooperative Learning 8 Brainstorming 7 Uscita didattica 6 Project-Based Learning 6 Drammatizzazione 2 Giochi didattici 2 Gallery Walk 2

Problem Based learning 1

Tabella 6.5.2Dati relativi alle strategie didattiche adottate nelle buone pratiche

Il cooperative learning, come si può desumere dai dati riportati, risulta la strategia didattica adottata con maggiore frequenza. Come messo in luce dalla letteratura scientifica (Denton, 2012), il cooperative learning è una strategia didattica particolarmente adatta a progetti che si pongono come obiettivo lo sviluppo della media literacy, in quanto sostiene processi di acquisizione di competenze in contesti di cooperazione, anche in casi in cui i soggetti risultino avere conoscenze disomogenee in riferimento all’utilizzo delle tecnologie digitali. Da un punto di vista didattico, l’efficacia del cooperative learning nel sostenere processi di apprendimento complessi è stato più volte oggetto di ricerche empiriche (Roseth, Johnson, & Johnson 2008; Sharan, 2002; Slavin, 2010, 2013; Webb, 2008). Slavin (2013) ha inoltre formulato alcune ipotesi relativamente alle possibili ragioni di tale efficacia, che sarebbero legate principalmente ai processi cognitivi di rielaborazione delle informazioni che tale metodologia didattica sostiene, nonché alle basi motivazionali legate al sentirsi parte di un gruppo. In molti progetti è stata organizzata un’uscita che, nonostante non rappresenti una vera e propria strategia di natura didattica, nel caso delle scuole che fanno riferimento all’approccio reggiano all’educazione rappresenta un elemento di particolare importanza, in quanto da tali esperienze dovrebbe conseguire il darsi di processi di crescita e analisi che, coinvolgendo la comunità locale, offrono ai bambini la possibilità di mettere in connessioni elementi proveniente dall’ambiente esterno con i progetti svolti all’interno del contesto scolastico. In sei dei progetti presi in analisi, gli insegnanti hanno fatto riferimento al paradigma del project based learning, un approccio didattico centrato sul bambino e basato su tre princìpi ispirati al sociocostruttivismo (Kokotsaki, Menzies, & Wiggins, 2016). Il primo elemento consiste nell’ipotesi che i processi di apprendimento siano legati alla predisposizione di contesti specifici, il secondo riguarda l’idea che per dar vita ad apprendimenti significativi sia necessario coinvolgere attivamente gli studenti, mentre il terzo riguarda l’ipotesi che le interazioni sociali e la condivisione della

177 conoscenza giochino un ruolo centrale nei processi di apprendimento. Si tratta pertanto di un approccio didattico centrato su esperienze autentiche e sulla risoluzione di problemi reali, un elemento che contraddistingue anche la “partecipazione reale” (Rinaldi, 2006), come definita nell’ambito dell’esperienza educativa prescolare reggiana. Il project based learning si caratterizza, inoltre, come un approccio che ha vari aspetti in comune con altre metodologie didattiche, quali ad esempio il problem-based learning (Helle, Tynjälä, & Olkinuora, 2006), approccio utilizzato in uno solo dei progetti presi in analisi.

La tabella successiva riguardava la composizione delle sezioni ed è, nello specifico, finalizzata ad esplicitare se queste fossero omogenee (composte da bambini della stessa età), o eterogenee.

Composizione delle sezioni f

Omogeneo 1

Eterogeneo 7

Non menzionato 2

Totale 10

Tabella 6.5.3Criteri di composizione delle sezioni prescolari

In sette dei dieci progetti presi in analisi le sezioni erano eterogenee, e prevedevano pertanto la presenza di bambini di età differenti, situazione che ha tendenzialmente sostenuto dinamiche di confronto e reciprocità tra i bambini, in virtù delle occasioni di aiuto reciproco e di socializzazione favorite da tale contesto.

Criteri di suddivisione dei gruppi f

Competenze linguistiche 5

Età 3

Scelta autonoma dei bambini 3 Interesse spontaneo dei bambini 2

Competenze sociali 2

Genere 1

Competenze cognitive 1

Anni di frequenza al nido/scuola dell’infanzia

1

Nessun criterio 1

Tabella 6.5.4 Criteri di composizione delle sezioni

Dai dati riportati si può inoltre notare che, nella metà delle buone pratiche individuate il criterio utilizzato per la suddivisione dei gruppi è legato alle competenze linguistiche dei bambini. Nell’ambito della letteratura scientifica di riferimento (Pezzot, 2016), il digital storytelling è indicato quale approccio didattico funzionale allo sviluppo competenze linguistiche, in quanto si tratterebbe di una metodologia centrata sulla mediazione sociale, affine dunque a quella dell’educazione linguistica interculturale, entrambe basate sull’interazione tra pari e sul

178 superamento di una prassi didattica di tipo erogativo. In tre dei casi presi in disamina la suddivisione dei gruppi è stata basata sulle scelte autonome dei bambini, mentre in due sull’interesse emerso spontaneamente. A tal proposito, in una recente pubblicazione dedicata al valore dei processi di autodeterminazione dei bambini nella scuola dell’infanzia, Baraldi e Cockburn (2018) hanno affrontato il tema della partecipazione attiva di quest’ultimi nei processi decisionali, mettendo in luce come le esperienze educative ispirate all’approccio reggiano diano un contributo particolarmente rilevante in questo senso2. La tabella successiva prende invece in considerazione la suddivisione tra coppie e piccoli gruppi riscontrata nel corso dello svolgimento dei progetti.

Dinamiche di collaborazione di gruppo durante il processo di creazione delle storie

f

Lavoro a piccoli gruppi durante l’intero svolgimento del progetto

7 Alternanza tra lavoro a coppie e a piccolo gruppo 3

Totale 10

Tabella 6.5.5 Dati relativi alle dinamiche di collaborazione di gruppo durante il processo di creazione delle storie

Come emerge dai dati, in nessuno dei progetti presi in analisi i bambini hanno lavorato esclusivamente in coppia, mentre in tre casi è stata riscontrata un’alternanza tra questa modalità e il lavoro a piccolo gruppi, che è invece stato l’approccio adottato nella maggior parte dei casi.

Contestualizzazione del progetto f

I bambini avevano già esperienze a familiarità in ambito narrativo

8 I bambini avevano già esperienze a

familiarità con l’utilizzo di tecnologie digitali

8 I bambini avevano già esperienze a

familiarità con il digital storytelling

5

Tabella 6.5.6. Dati relativi alle dinamiche di collaborazione di gruppo durante il processo di creazione delle storie

Inoltre, come si può notare dai dati riportati, nella più parte dei progetti individuati come buone pratiche i bambini avevano già familiarità sia con l’utilizzo di tecnologie digitali sia in ambito narrativo. Nella metà dei casi, invece, avevano già avuto esperienze di digital storytelling. Per poter interpretare correttamente questo dato occorre tuttavia tenere in considerazione il fatto che, dei dieci progetti presi in disamina, quattro sono stati realizzati nel corso della prima sperimentazione, mentre i restanti sei nel secondo anno. Questo significa che solo in tre casi i bambini avevano già avuto esperienze di utilizzo di tecnologie digitali, mentre in un solo

2 Si rimanda in particolare al paragrafo 2.2 del volume citato, “Children’s Agency in Educational Contexts”, pp.

179 contesto i bambini avevano avuto esperienze legate al digital storytelling, confermando gli elementi di novità che il progetto di ricerca ha contribuito a portare all’interno delle scuole coinvolte.