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La tematica discussa nel precedente paragrafo si lega a quella dell’indagine dei processi attenzionali84 in ambito estetico che, nella lettura proposta da Desideri (2011), si determinano all’interno della relazione che si instaura tra contesti ambientali e sistemi percettivi. Lo spazio sarebbe dunque determinato dalla presenza di oggetti che svolgono una funzione di richiamo attenzionale e, nel caso di ambienti sostenuti da tecnologie digitali, i device possono pertanto configurarsi come oggetti a cui viene attribuito un connotato emotivo, che agiscono come “compagini oggettuali di situazioni ambientali” (Desideri, 2011, p. 44). Le modificazioni operate dalle tecnologie digitali riguardano sia il campo delle sensazioni, maggiormente soggettivo, che quello delle esperienze percettive, rendendole dunque elementi di grande rilevanza da un punto di vista estetico.

Questa prospettiva, come messo in luce da Diodato (2014), oltre a comportare un riposizionamento dell’estetico tra il percettivo e il categoriale, permette di reinterpretare il concetto di interfaccia, inteso come un “dispositivo di mediazione attiva tra mente e mondo caratterizzato da una ricerca di esteticità che funzioni da vettore e da acceleratore del formarsi

83 “Aesthetic experience makes us conscious of the acquisition of experience and is accompanied by continual

insight into the conditions that give rise to it. (…) While the structure of everyday experience leads to pragmatic action that of aesthetic experience serves to reveal the workings of this process. Its totality lies not so much in the new experience brought about by interaction, as in the insight gained into the formation of such a totality” (Iser, 1980, p. 82).

84 Con riflessività, Desideri fa riferimento all’espressione kantiana di reflektierte Wahrnemung, dunque a

un’esperienza estetica che implica un percezione non speciale, bensì riflessa, caratterizzata da una tensione performativa che la porta a tornare su se stessa.

37 di spazi d’interattività” (Desideri, 2011, p. 204). Approfondendo tale riflessione, Diodato (2012, 2014) individua nelle interfaccia veri e proprio luoghi che non si esauriscono nel processo di fenomenizzazione algoritmica su uno schermo, ma includono invece ambienti sensibili e virtuali, offrendo un’esperienza estetica dotata di tratti peculiari, legati in particolare alla funzione connettiva e relazionale svolta dall’interfaccia, in quanto luogo caratterizzato da una natura sistemica in grado di fare interagire sistemi indipendenti, garantendo appartenenza e operatività. In questa lettura viene infatti proposta un’utile distinzione tra ambiente virtuale e interfaccia, in quanto nel primo prevarrebbe la fenomenizzazione sugli schermi, mentre nel secondo la dinamica relazionale tra periferica e corpo organico.

L’analisi interpretativa delineata permette di problematizzare quanto teorizzato da Vial (2013), laddove quest’ultimo individua nell’interfaccia un artefatto principalmente in grado di rendere il digitale un fenomeno visibile e percettibile. L’interesse estetico dell’interfaccia risiede invece, secondo Diodato, nell’intrinseca qualità relazionale che lo caratterizza, dovuta anche all’impossibilità di configurarlo del tutto quale oggetto o quale evento. Tale qualità relazionale, secondo Marfia e Matteucci (2018), sarebbe emersa con sempre maggiore rilevanza nel corso dell’evolversi dei sistemi informatici, all’interno di un processo caratterizzato dalla diffusione di un modello interazionista che ha visto “il prevalere dell’integrazione di componenti esperienziali sugli elementi oggettivi e soggettivi” (Marfia & Matteucci, 2018, p. 7).

Al fine di affrontare il tema della percezione facendo riferimento a una prospettiva interazionista, gli autori invitano a distinguere tra due modalità percettive tra loro distinte. Se da una parte è possibile identificare uno stile percettivo maggiormente legato al mero processo di ricezione e trasposizione di dati, dall’altra è individuabile invece una dimensione percettiva di natura relazionale, che dà accesso a contenuti emozionali e immaginativi, e che assume dunque caratteristiche estetiche. In questo senso, secondo gli autori lo sviluppo dei sistemi digitali è legato a un paradigma estetico basato su un complesso modello percettivo che fa riferimento a un modello incarnato e incorporato della mente, particolarmente visibile nei meccanismi percettivi che determinano l’esperienza che si verifica negli ambienti immersivi. A tal proposito, nel descrivere quella che definisce estetica del medium, Murray (2017) argomenta a favore delle possibilità che gli ambienti screen-based possano assumere alcune delle caratteristiche proprie degli ambienti immersivi85. Quest’ultimi, tuttavia, per poter essere definiti tali, devono garantire determinate caratteristiche, riassunte da Marfia e Matteucci (2018, p. 17) all’interno un’analisi categoriale che enumera anzitutto la presenza di un ambiente

85 “Screen-based electronic environments can also provide the structure of an immersive visit” (Murray, 2017, p.

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continuo, che permette cioè libertà di movimento e di sguardo, per poi prendere in

considerazione gli elementi che rendono riconoscibili ed esperibili pattern interattivi, offrendo ad esempio una risposta fisica nel processo di interazione tra soggetto e l’ambiente. Calleja (2007), affrontando il tema delle interazioni che avvengono all’interno di ambienti mediali, ha proposto di sostituire la metafora dell’immersione a favore del concetto di ambiente incorporato, in quanto tale spostamento semantico permetterebbe di enfatizzare maggiormente la natura noetica del fenomeno digitale. Parallelamente, Marfia e Mattuecci (2018) hanno argomentato a favore dell’utilizzo del termine presenza, che rispetto al concetto di immersività risulta maggiormente correlato alla percezione soggettiva e alla relazione che avviene all’interno di un ambiente reale.

Nella prospettiva delineata paiono emergere elementi complementari a quelli elaborati da Desideri, il quale insiste infatti sull’opportunità di individuare nuove connessioni tra i connotati emotivi e le percezioni oggettuali che consentono di sostenere lo sviluppo di una prima configurazione del simbolico. Affinché questo tipo di processo possa delinearsi, risulta centrale la progettazione degli spazi e degli ambienti di apprendimento in cui i processi di educazione tecno-estetica inevitabilmente si collocano.

Nella riflessione estetologica elaborata da Desideri, la tensione performativa - che implica anche una dimensione percettiva - risulta terminante nella definizione di un’esperienza estetica sia dal punto di vista emotivo che dal punto di vista cognitivo, e risulta pertanto rilevante nel processo di apertura attenzionale nei confronti dell’ambiente.

Tali ambienti possono infatti essere progettati in modo da risultare potenziati dalle tecnologie digitali già a partire dai servizi per l’infanzia86 (Tosi, 2016), contribuendo pertanto

a sostenere una didattica attiva, tesa cioè anche a indagare il valore dell’esperienza su cui è fondata, garantendo ai bambini la possibilità di esplorare, sperimentare strutture di ricerca sempre più sofisticate (Bonilauri & Tedeschi, 2019), dando vita a processi di apprendimento in contesti caratterizzati da un disegno complessivo di trasformazione (Biondi 2016) tale da rendere possibile il pieno dispiegarsi della predisposizione interattiva dell’immaginazione tecnicamente orientata (Montani, 2017). Tali processi, avvenendo in ambienti intermediali che promuovono la radicalità interattiva del digitale, possono così contribuire a istituire nuove forme di educazione estetica che pongono in relazione lo sviluppo di confiurazioni cognitive inedite e la promozione di competenze creative.

86Alcune esplorazioni di ambienti di apprendimento sostenuti dalle tecnologie digitali nell’ambito della scuola

dell’infanzia e primaria sono presentate e discusse in Tedeschi e Manera (2018), a cui ci permettiamo di rimandare, e in Bonaccini (2015).

39 Si ritiene infine rilevante sottolineare che, nel caso specifico delle attività di digital storytelling realizzate in ambienti immersivi, avvenute soprattutto nelle esperienze realizzate nel contesto prescolare reggiano, la sinergia tra la dimensione percettivo-immaginativa e il linguaggio articolato ha reso possibile l’elaborazione di ulteriori ipotesi progettuali utili a dispiegare pienamente il comportamento creativo. Sono stati infatti predisposti contesti in cui la dimensione intermediale ha coinvolto aspetti immaginali, sonori, linguistici e narrativi, mettendo in luce gli intrecci che possono strutturarsi nel processo di realizzazione e trasmissione di artefatti digitali già a partire dalla scuola dell’infanzia, contribuendo dunque ad articolare un ulteriore possibile modello di educazione estetica nell’era digitale.

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Capitolo 2

Digital storytelling tra educazione estetica e media education

nel progetto STORIES