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Edward O Wilson

Forel non fu l’unico caso di infanzia difficile, che trovò sfogo e consolazione nell’affascinante regno delle formiche. Edward O. Wilson è un biologo e naturalista statunitense, nato nel 1929 a Birmingham (Alabama), che mostrò fin da piccolo un vivo interesse per le scienze naturali. Tra l’altro, accenna Sleigh240, il libro per bambini Ladis

and the Ant, scritto nel 1968 dallo spagnolo José María Sánchez-Silva, potrebbe essere considerato il racconto romanzato dell’infanzia proprio di Forel o di Wilson. È la storia di un bambino di 8 anni, costretto a trasferirsi in campagna a causa della sua salute precaria, che porta con sé la timidezza e un marcato senso di inferiorità. Solo quando una gentile regina lo riduce alle dimensioni di una formica, Ladis comincia a stare meglio, ed entrando in contatto con il mondo delle formiche, a sentirsi a proprio agio. Il ragazzo apprende molto da questo mondo, e al momento del suo ritorno fra gli uomini, ha fatto ormai suoi un nuovo senso del potere e una rinnovata fiducia.

Wilson, come Forel, ha avuto un’infanzia segnata da eventi conturbanti: la separazione dei genitori quando aveva 7 anni lo costrinse a cambiare residenza sovente, e a condurre un’infanzia nomade (“a nomadic existence made Nature my companion of choice, because the outdoors was the one part of my world I perceived to hold rock steady”241)

che ne determinò il carattere solitario e socialmente ansioso. Lo stesso anno, un incidente di pesca lo rese quasi completamente cieco da un occhio. Il più conosciuto fra i mirmecologi al mondo suggerisce che la solitudine potrebbe essere un fertile terreno di coltura, e questo rimane sicuramente vero per lui, che trovò molti compagni di viaggio negli eserciti di minuscoli soldati piuttosto che fra gli umani: “They were my friends […] I

240 Sleigh (2003), p. 32. 241 Wilson (1994), p. 52.

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kept harvester ants in a jar of sand under my bed, and watch them excavate. I discovered fairy tales"242.

Nell’autobiografia racconta che l’interesse nei confronti di questi insetti nacque prestissimo, durante una visita al Rock Creek Park, quando “I pulled away the bark of a rotting tree stump and discovered a seething mass of citronella ants underneath”243, e che

la loro osservazione “left a vivid and lasting impression on me”244.

Wilson manifesta stima e rispetto nei confronti dei militari; va infatti ricordato che la sua prima educazione gli venne impartita proprio da accademie militari (la prima a soli 7 anni fu la Golf Coast Military Academy245), e che da giovane tentò questa carriera invano,

poiché venne scartato per la sua cecità all’occhio destro. Ma della formazione militare ha conservato per tutta la vita la disciplina, il rispetto e il senso del dovere, che ha fatto propri e portato con sé nella sua carriera scientifica.

Wilson studiò presso la University of Alabama, dove conseguì la laurea in Biologia nel 1949, per trasferirsi poi alla Harvard University e conseguire il dottorato nella stessa disciplina nel 1955, con un’accurata analisi tassonomica delle formiche del genere Lasius. Dall’anno successivo fino al 1996 fece parte della stessa università, come membro delle facoltà di Zoologia e di Biologia. Tra il 1973 e il 1997 fu inoltre curatore della sezione di Entomologia al Harvard’s Museum of Comparative Zoology. Inizialmente i suoi studi sulla tassonomia delle formiche si concentrarono sulla loro evoluzione. Le sue ricerche lo condussero in Australia e nell’area del Sud Pacifico, dove lavori sulla classificazione e sull’ecologia ne fecero subito un’autorità nel campo e gli valsero l’appellativo di “Dr. Ant”.

242 Ibidem. 243 Ivi, p. 59. 244 Ivi, pp. 59-60. 245 Ivi, p. 17.

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Lui stesso sottolinea l’importanza della tassonomia, definendola “a craft and a body of knowledge that builds in the head of a biologist only through years of monkish labor”246, e

sottolinando che “If a biologist does not have the name of the species, he is lost”247. Per

procedere nelle sue ricerche, un biologo deve necessariamente avere precise nozioni circa la classificazione dei suoi oggetti di studio.

Grazie alla collaborazione con il matematico William Bossert, anche lui della Harvard University, fece presto una grande scoperta, ovvero che la comunicazione fra le formiche avviene principalmente tramite la trasmissione di sostanze chimiche note come feromoni248, e non per via tattile come si era soliti credere.

Nel 1971 uscì The Insect Societies, un testo che rimase a lungo uno dei punti di riferimento per l’entomologia contemporanea. Ecco le ragioni che spingono Wilson ad interessarsi allo studio di queste società, e fra queste, quella delle formiche in particolar modo:

Because, together with man, hummingbirds and the bristlecone pine, they are among the great achievements of organic evolution. Their social organization […] is nonpareil. The biologist is invited to consider insect societies because they best exemplify the full sweep of ascending levels of organization, from molecule to society. Among the tens of thousands of species of wasps, ants, bees, and termites, we witness the employment of social design to solve ecological problems ordinarily dealt with by single organisms.

[…] A second reason for singling out social insects is their ecological dominance on the land. In most parts of the earth ants in particular are among the principal predators of other invertebrates.249

Il testo si propone come “an attempt to provide a modern synthesis of insect sociology”250,

e Wilson ricorda che gli ultimi memorabili tentativi fatti in questo senso erano The Social

246 Ivi, p. 203. 247 Ivi, p. 204.

248 Wilson, Bossert (1963). 249 Wilson (1971), p. 1.

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Insects di Wheeler (1928) e il quasi dimenticato Die Lebensgewohnheiten und Instinkte der Staatenbildenden Insekten di Franz Maidl (1934).

Gli insetti sociali, o meglio in questo caso eusociali, sono formiche, termiti e le più organizzate specie di api e vespe. Le caratteristiche che ne definiscono appunto la socialità sono una divisione del lavoro in senso riproduttivo, la presenza di un gran numero di individui sterili che cooperano nella cura della prole, e di individui specializzati nella riproduzione, e ancora un sovrapporsi di almeno due generazioni che possano contribuire al lavoro della colonia e occuparsi almeno in parte della cura dei genitori.

Le formiche, a cui è dedicato un ampio capitolo, sono considerate sotto molti aspetti come i primi insetti sociali: sono le più largamente diffuse nel globo fra gli insetti eusociali, le più numerose, e quelle che contano il maggior numero di generi e specie al loro interno. Inoltre “the diversity of their ecological and social adaptation is truly remarkable. Food specialization is extreme”251, e comprende specie che si cibano solo di isopodi, altre che

mangiano solo uova di artropodi, o le secrezioni zuccherine degli omotteri; altre ancora che predano solo collemboli o altre specie di formiche. Il parassitismo sociale è molto sviluppato e arriva a comprendere forme di schiavismo.

Nel capitolo vengono elencati e rappresentati alcuni fra i generi più diffusi, tenendo conto che una stima compiuta nel 1968 da Francis Bernard calcolò l’esistenza di circa 7600 specie diverse di formiche, ma considerando anche che nuovi studi arrivavano a un numero compreso fra 12mila e 14mila. Wilson considera la tassonomia ancora piuttosto inadeguata, ma il diagramma che segue mostra la filogenesi delle formiche e la possibile duplice origine della loro eusocialità (fig. 26).

250 Ivi, p. 2. 251 Ivi, p. 27.

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Figura 26

Dopo aver analizzato le caratteristiche principali del genere Myrmecia, e in particolare delle Myrmica rubra, il cui ciclo vitale è piuttosto comune ed esplicativo per molte specie superiori di formiche (volo nuziale, fondazione del nido da parte della regina dopo aver perso le ali, operaie che si adoperano per nutrire le pupe), prende in esame una specie il cui ciclo è invece “modificato” rispetto al più comune, le Monomorium pharaonis. Queste formiche hanno abbandonato nel tempo il volo nuziale e la propria territorialità, adottando

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il “budding” come metodo per moltiplicare la colonia (un processo che si verifica quando “groups of workers carrying brood migrate to new nest sites”252).

Altre particolarità vengono riscontrate nelle specie solite coltivare funghi, ad esempio quelle appartenenti alla “tribe Attini”, della sottofamiglia Myrmicinae. Queste formiche, tipiche delle Americhe, tagliano e trasportano un gran numero di foglie dalle piante all’esterno del formicaio, divenendo talvolta un problema per la vegetazione locale. Come già ricordato fu Thomas Belt a ipotizzare per la prima volta a cosa servissero le foglie raccolte e portate all’interno del nido:

Some naturalists have supposed that they use them directly as food; others, that they roof their underground nests with them. I believe the real use they make of them is as manure, on which grows a minute species of fungus, on which they feed; -that they are, in reality, mushroom growers and eaters. […] That they do not eat the leaves themselves I convinced myself; for I found near the tenanted chambers, deserted ones filled with the refuse particles of leaves that had been exhausted as manure for fungus, and were now left, and served as food for larvae of Staphylinidae and other beetles.253

Di questa specie Wilson descrive dettagliatamente la fondazione della colonia, partendo dagli studi compiuti da Hermann Von Ihering: prima del volo nuziale la regina prepara un mucchietto di micelio e lo nasconde all’interno di una piccola camera orale. In seguito all’accoppiamento si libera delle ali e scava un nido nel terreno, al cui interno sputa il bolo composto da parte dei funghi, che nel giro di tre giorni cominciano a ricrescere a pieno ritmo. Dopo la deposizione delle uova, la regina continua ad occuparsi della coltivazione dei funghi personalmente; mentre inizialmente la covata e la coltivazione di funghi vengono tenute separate, con il crescere di antrambe vengono accostate. “At the end of

252 Ivi, p. 40.

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the first month the brood, now consisting of eggs, larvae, and possibly pupae as well, is embedded in the center of a mat proliferating fungi”254.

Tutti questi passaggi sono ben riassunti nella figura 27.

Figura 27

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In seguito, Wilson esamina le “ant plants” e le loro formiche, e dedica un ampio paragrafo alle army ants, con numerosi riferimenti al lavoro di Schneirla.

In conclusione, analizza quelle che potrebbero essere state le origini del comportamento sociale delle formiche, prendendo in considerazione studi compiuti precedentemente alla luce delle sue nuove osservazioni:

It seems likely, in the present state of our knowledge, that the existent wealth and variety of Formicid social structures, with their tremendous range of variation from group to group, took their evolutionary beginnings in the activities of solitary, winged, ground-dwelling wasplike types in which the female, having delated herself after fertilization, constructed a shelter in the ground and reared a small family to maturity.255

Nel capitolo conclusivo, Wilson, riconosciuto come il fondatore della sociobiologia, accenna all’argomento che approfondirà di lì a breve. Già da tempo si discuteva nell’ambiente scientifico di questa disciplina: Charles F. Hockett, linguista statunitense, ne scrisse in un articolo pubblicato nel 1948 come di una disciplina ancora incerta, utile a tradurre conoscenze sociologiche in termini biologici:

The problem of describing human-sociological phenomena in the terminology of biological (and physical) science is as intricate and as important as the problem of biophysics […] but activities directed toward this have so far received no name. […] we shall speak of sociobiology.256

Nel novembre dello stesso anno, si tenne una conferenza sulla metodologia e sulle tecniche di studio delle società animali, finanziata dalla New York Academy of Sciences insieme alla New York Zoological Society; il contenuto del dibattito divenne poi l’oggetto di 12 articoli scientifici, pubblicati grazie alla collaborazione di John Paul Scott, genetista ed esponente della psicologia comparata statunitense, con Theodore Schneirla, che

255 Ivi, p. 73.

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definirono sommariamente così il loro lavoro: “this series of papers may serve as an adequate general introduction to the study of sociobiology and animal behavior under field conditions”257, precisando poi: “as one part of an over-all program, the biologists can give

material help by establishing a theoretical science of sociobiology, one of the main subdivisions of which should be the study of comparative sociology of all living species”258.

Il dibattito sulla Sociobiologia si protrasse ancora, ed è su questo terreno che Wilson concepì il suo lavoro Sociobiology, The new Synthesis, in cui definisce la disciplina come “the systematic study of the biological basis of all social behavior”259, sottolineando come

questa si concentri in particolar modo sulle società animali, la struttura delle loro popolazioni, le caste e la psicologia che sottende al loro adattamento sociale. Inoltre, la sociobiologia “is also concerned with the social behavior of early man and the adaptive features of organization in more primitive contemporary human societies”260.

Wilson amplia questo aspetto pochi anni dopo, in un articolo in cui evidenzia come la sociobiologia si sia sviluppata “as the newest branch of evolutionary biology”261,

difendendosi dalle accuse ricevute in seguito all’uscita del libro, e in particolare rivolte all’ultimo capitolo riguardante l’uomo. Il testo “ignited the most tumultuous academic controversy of the 1970s”262, come si legge nell’introduzione all’edizione di Sociobiology

uscita venticinque anni dopo la prima, e creò un dibattito a cui è dedicato un capitolo dell’autobiografia263.

Nella sua difesa ribadì:

Sociobiology theory does not rest on any assumptions that human behavior must be genetically controlled. It leaves open the possibility that a highly intelligent species 257 Scott (1950), pp. 1004-1005. 258 Scott (1950), p. 1009. 259 Wilson (1975), p. 4. 260 Ibidem. 261 Wilson (1980), p. 27. 262 Wilson (2000), p. vi. 263 Wilson (1994), p. 307.

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can abandon genetic programs and come to depend more or less exclusively on cultural evolution (although it always seemed unlikely to me that even the most intelligent species could make a total shift and survive for very long).264

Nonostante le critiche (che gli valsero anche una brocca di acqua gelata in testa durante un’assemblea dell’American Association for the Advancement of Science nel gennaio del 1978265) Wilson vinse il Premio Pulitzer nella categoria General Non-Fiction l’anno

successivo alla pubblicazione di On Human Nature, nel 1978, che riprendeva e ampliava i concetti già proposti in Sociobiology. Le sue idee risultano tuttora controverse, sebbene il tempo abbia attenuato il calore delle polemiche, e come segno del cambiamento di rotta, Wilson vinse il Distinguished Humanist Award of the Year nel 1999.

Dopo questa parentesi, tornò sull’argomento negli anni ’90, pubblicando The Ant insieme a Bert Hölldobler, accolto come "a masterpiece" da Scientific American e definito "the greatest of all entomology books"266 dalla rivista Science. Il testo, uno studio enciclopedico

sulle formiche e sulla loro vita sociale, valse agli autori un secondo premio Pulitzer nella stessa categoria Non-Fiction, anche se si tratta essenzialmente di un libro tecnico, rivolto principalmente ad altri biologi e mirmecologi, per usare le parole di Wilson “[it] is not a book one casually purchases and reads cover to cover. Nor does it try to convey in any manner the adventure of research on these astonishing insects”267, ma “[it] contains just

about everything one could ever wish to know about these insects”268.

The Ant è una revisione degli argomenti trattati intorno alle formiche, e contiene virtualmente tutte le conoscenze disponibili fino allora, spaziando dalla tassonomia al complesso e organizzato sistema sociale, dalla divisione in caste a quella del lavoro, dall’origine del comportamento altruistico fino alle complicate forme di comunicazione

264 Wilson (1980), pp. 27-28. 265 Wilson (1994), p. 307. 266 Franks (1990), p. 897.

267 Hölldobler, Wilson (1994), Prefazione. 268 Sleigh (2003), p. 194.

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chimica, senza trascurare la loro importanza nell’ambiente, che ne fa “the culmination of insect evolution, in the same sense that human beings represent the summit of vertebrate evolution”269.

Dovunque arrivino, l’impatto delle formiche sull’ambiente non è trascurabile, essendo specie divoratrici di altri insetti, invertebrati, semi e piante, rappresentando così una percentuale significativa della biomassa di vari ambienti. Resta forse più importante, però, il fatto che il loro successo dipenda in larga parte dallo sviluppo di un sistema in cui il bene dell’intera colonia abbia la priorità sulla sopravvivenza del singolo individuo. Questo apparente altruismo, come sottolineano gli autori, ha affascinato molti ricercatori. Ma è corretto parlare di altruismo? Da circa 15 anni circolavano le idee di Richard Dawkins, e il suo The Sefish Gene aveva fatto discutere. Molti autori avevano così cominciato a mettere in discussione la validità dell’uso del termine “altruismo”, sostenendo che “the prescribing genes are selfish rather than altruistic, because if our conception of evolution by natural selection is true, it must follow by definition that genes persisting at the expense of others are selfish -even if they prescribe outwardly selfless behavior”270.

Wilson riporta diversi motivi per cui si può continuare a parlare di altruismo, primo fra tutti l’esistenza di una casta di operaie sterili: “The altruistic actions of this caste integrate the colony more tightly and make possible advanced forms of labor specialization”271, ma

ancora indica il sacrificio di molti individui che si espongono a pericoli letali per cercare cibo da mettere a disposizione della regina e delle sue larve, e suggerisce che la chiave per comprenderla stia nella parentela:

How can altruism, which by definition reduces personal fitness, possibly evolve by natural selection? The answer is kinship: if the genes causing the altruism are shared by two organisms because of common descent, and if the altruistic act by

269 Hölldobler, Wilson (1990), p.1. 270 Ivi, p. 179.

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one organism increases the joint contribution of these genes to the next generation, the propensity to altruism will spread through the gene pool. This occurs even though the altruist makes less of a solitary contribution to the gene pool as the price of its altruistic act.272

Alcuni hanno persino parlato di una "disposable" caste, i cui membri “exchange their lives for a high productivity on behalf of the colony”273:

The trade-off between individual sacrifice and colony welfare is even more clear-cut in the case of defense. Aging workers of the green tree ant of Australia (Oecophylla smaragdina), which are distinguished by reduced fat bodies and ovaries, emigrate to special “barrack nests” located at the territorial boundary of the colony. When

Oecophylla workers from neighboring nests or other invaders cross the line, these guards are the first to rush to the attack (Hölldobler, 1983). (It can be said that a principal difference between human beings and ants is that whereas we send our young men to war, they send their old ladies).274

Il testo è ricco di tavole, grafici e illustrazioni, sia fotografie che disegni, informazioni, teorie passate e citazioni. La bibliografia di oltre 60 pagine è solo un segno dell’enorme lavoro scientifico che si cela dietro il testo, la cui abbondanza di dettagli ne fa da un lato un pilastro della mirmecologia e dall’altro una potenziale difficoltà per il lettore, spesso ostacolato dal linguaggio troppo tecnico.

A The Ant seguì nel 1994 Journey to the Ants. A Story of Scientific Exploration, un testo più breve e decisamente più accessibile, scritto ancora una volta in collaborazione con Hölldobler, definito da Charlotte Sleigh come “the best introduction to all things myrmecological”275. Anch’esso ampiamente illustrato, ricco di suggestive foto a colori, è un

viaggio che parte dalla nascita dell’amore per le formiche in tenera età, combinando

272 Wilson (1975), pp. 3-4.

273 Hölldobler, Wilson (1990), p. 179. 274 Ibidem.

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elementi autobiografici, credenze popolari e studi scientifici, chiarendo fin dal principio perché, a detta degli autori, le formiche hanno avuto un così grande successo:

In our view, the competitive edge that led to the rise of the ants as a world-dominant group is their highly developed, self-sacrificial colonial existence. It would appear that socialism really works under some circumstances. Karl Marx just had the wrong species.276

La loro abbondanza e la loro diversità sono universalmente note, si calcola che solo nella Foresta Amazzonica il peso netto di tutte le formiche sia circa quattro volte superiore a