• Non ci sono risultati.

Formiche. Da Ulisse Aldrovandi a Edward O. Wilson

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "Formiche. Da Ulisse Aldrovandi a Edward O. Wilson"

Copied!
204
0
0

Testo completo

(1)

Formiche.

(2)

2

Indice

Introduzione p. 3

I. Le formiche fra ‘500 e ‘700 p. 7

1.1 Ulisse Aldrovandi e il De animalibus insectis libri septem, cum singulorum iconibus ad viuum expressis p. 7 1.2 Jan Swammerdam e il Preformismo p. 14 1.3 Maria Sibylla Merian e la metamorfosi p. 24 1.4 René-Antoine Ferchault de Réaumur p. 30

1.5

Christian Friedrich Lesser tra scienza e teologia p. 46 1.6 William Gould e le formiche inglesi p. 54

II. L’Ottocento p. 63

2.1 José Celestino Mutis e le formiche del Sud America p. 63 2.2 Latreille entomologo p. 80 2.3 Pierre Huber e le formiche schiaviste p. 97 2.4 Auguste Forel p. 114

III. Il Novecento e la mirmecologia p. 128

3.1 Erich Wasmann p. 128 3.2. William Morton Wheeler e la mirmecologia p. 137 3.3 Theodore C. Schneirla p. 151 3.4 Edward O. Wilson p. 163

Bibliografia p. 181

(3)

3

Introduzione

La forza dell’unione di esseri individualmente deboli, quasi insignificanti, è fonte di speranza per i più indifesi. Questa visione delle formiche è condivisa da molte culture. In Vietnam c’è il detto “con kien cong con vua”: unendosi le minuscole formiche possono sostenere un elefante.

Fantasticando sulle formiche, già da piccolo Forel giocava con le dimensioni, per trionfare, mentalmente, sui suoi nemici. Quei piccoli insetti rappresentavano per lui la vittoria del povero sul ricco, del bambino sull’uomo, di Davide su Golia. Le formiche hanno sempre svolto questo ruolo anche in letteratura, simbolizzando il successo, contro le probabilità, del piccolo sul grande. La versione indonesiana del gioco “sasso, carta, forbici” ne dà dimostrazione. Le tre componenti sono infatti sostituite da “formiche, uomo, elefante”, e mentre l’uomo può calpestare la formica e l’elefante schiacciare l’uomo, la formica vince sull’elefante che non riesce a sopportarne (ovviamente nel gioco), la sensazione di solletico avendo l’insetto nell’orecchio.

Anche il poeta inglese William Blake esprime un’empatia con l’insignificante nella sua poesia Auguries of Innocence, la cui struttura suggerisce l’affinità del poeta con questo mondo in miniatura, nel quale l’autore ha sempre visto racchiusa la complessità del mondo:

To see a World in a Grain of Sand And Heaven in a Wild Flower Hold infinity in the palm of our hand

And Eternity in a hour.1

(4)

4

È questa, secondo Susan Stewart, poetessa e critica statunitense, l’essenza del fascino delle piccole cose: creando una versione in miniatura della realtà, cerchiamo di contenerla dentro di noi2. I nidi artificiali per le formiche, popolari già nel XIX secolo, sono infatti una

versione “viva” della casa delle bambole.

Il documentario del 1996 Microcosmos, di Marie Pérennou e Claude Nuridsany, fotografa gli insetti nel loro mondo, giocando con il senso delle proporzioni dell’osservatore. In questo microcosmo il tempo sembra durare di più e siamo costantemente rimbalzati dal mondo degli insetti al nostro, portandoci dietro un misto di stupore e sensazione di grandezza.

La diffusione dell’immagine delle formiche è ampia e spazia fra le varie culture di tutto il mondo, risalendo a tempi antichi: trova posto nei testi sacri, nei miti dell’antica Grecia, nelle favole, nell’arte aborigena australiana, in storie tradizionali cinesi, nei cartoni animati americani, nell’arte, nella filosofia (basti pensare a Francis Bacon, e al suo noto paragone degli empirici con le formiche3, contro la ratio media delle api).

Il testo si concentra sulle formiche in quanto oggetto di studio prima della storia naturale, poi dell’entomologia fino alla nascita della più specifica mirmecologia.

Partendo da Ulisse Aldrovandi che nel ‘500 si cimentò in una notevole opera di catalogazione della realtà naturale, dando vita ad uno dei primi musei di storia naturale, il viaggio, prevalentemente europeo, prosegue nel corso del ‘600. Anche se lo studio degli insetti sociali era principalmente rivolto alle api, si sviluppò un primo interesse per le formiche: attraverso la dissezione e l’uso del microscopio, Jan Swammerdam riuscì ad intuire che si trattava di una regina e non di un re, come si era dato per scontato fino ad allora.

2 Stewart (1984), p. 61. 3 Bacon (1889), p. 300.

(5)

5

Fu poi grazie a Maria Sibylla Merian che si diffuse la consapevolezza della completa metamorfosi, prima solo ipotizzata.

René-Antoine Ferchault de Réaumur fu solo il primo di una lunga serie di naturalisti francesi a dirottare il suo interesse, inizialmente rivolto agli insetti in generale, verso le formiche in particolare.

Christian Friedrich Lesser si trovò ad esprimere un punto di vista diverso, leggendo spesso le proprie scoperte come segno della maestria divina, in un costante sforzo di conciliazione fra teologia e scienza. Il trattato di William Gould, accanto a quello di Lesser, fu un’importante testimonianza della crescente attenzione per le formiche, ma anche il suo era un tentativo di celebrare la gloria di Dio accanto allo sviluppo della conoscenza4.

Il secondo capitolo, che prende in esame l’espansione dell’entomologia e della mirmecologia (anche se il termine ancora non era nato), ha un’impronta quasi completamente francese: diverso da quello di Lesser e Gould è il caso di Pierre André Latreille, che abbandonò la carriera ecclesiastica non prestando giuramento, per dedicarsi, in seguito alla scarcerazione, allo studio degli insetti, e delle formiche in particolare.

A Pierre Huber va il grande merito della scoperta dello schiavismo presso certe specie di formiche, un’intuizione fondamentale per gli studi che seguirono, tra cui quelli di Auguste Forel, uno dei primi ad introdurre nei propri studi le contemporanee scoperte circa l’evoluzionismo. A questo ‘800 quasi esclusivamente francese fa eccezione lo spagnolo José Celestino Mutis, che visse e studiò però soprattutto in America Latina.

Il capitolo conclusivo vede la nascita della mirmecologia come disciplina vera e propria, all’inizio del ‘900, per opera di William Morton Wheeler. Prima di lui era obbligatorio il rifermento a Erich Wasmann e alla sua distinzione fra zusammengesetzten Nester und gemischten Kolonien.

(6)

6

Anche in questo caso, Wasmann si distingue come unico europeo fra soli autori statunitensi: accanto a Wheeler, nel capitolo figurano Theodore C. Schneirla, con i suoi ammirevoli studi sulle army ants, e Edward O. Wilson, mirmecologo contemporaneo riconosciuto come uno dei massimi conoscitori mondiali di formiche, che grazie ai suoi studi si meritò l’appellativo di “the ant man.

L’interesse per questo argomento è nato in maniera del tutto casuale: appassionandomi allo studio dell’evoluzionismo, un’amica biologa mi ha illustrato lo straordinario sistema di riproduzione di questi piccoli insetti a sei zampe. Da lì a cercare di capire come lo studio delle formiche sia sempre stato secondario a quello delle api, il passo è stato breve. Inoltre il costante paragone fra la società umana e quella di questi insetti che formicolano ai nostri piedi ha impresso un’ulteriore spinta alla ricerca.

L’obiettivo non era tanto scovare nuove teorie quanto richiamare l’attenzione su autori, studiosi e uomini o donne spesso sottovalutati, sconosciuti o semplicemente dimenticati.

(7)

7

I

Le formiche fra ‘500 e ‘700

1.1 Ulisse Aldrovandi e il De animalibus insectis libri septem, cum singulorum iconibus ad viuum expressis

Già nella Bibbia, precisamente nel Libro dei Proverbi dell’Antico Testamento, si trova un riferimento alle formiche, elogiate dall’autore come “popolo”:

Va dalla formica, o pigro,

guarda le sue abitudini e diventa saggio. Essa non ha né capo

né sorvegliante, né padrone […]

Quattro esseri sono fra le cose più piccole della terra, eppure sono i più saggi dei saggi:

le formiche sono un popolo senza forza, eppure si provvedono il cibo durante l’estate.5

Ma la Bibbia non è l’unico “luogo” antico dove si possano trovare accenni a questi insetti: nella mitologia greca i Mirmidoni sono un popolo della Tessaglia guidato da Achille, che li condusse durante la guerra di Troia. Secondo il poema omerico l’isola di Egina, devastata da una pestilenza, aveva perso tutti i suoi abitanti, animali compresi, ad eccezione del suo re Aeco, il quale supplicò per questo Zeus di trasformare le formiche rimaste in persone per ripopolare l’isola. A queste assegnò appunto il nome di Mirmidoni, da myrmex, formica. L’esercito dei Mirmidoni condivideva con quegli insetti diverse caratteristiche, dalla lealtà alla fierezza, fino all’aspetto fisico in una delle battaglie al seguito di Achille: combatterono indossando un’armatura e uno scudo neri, muovendosi in un’unica massa

(8)

8

come formiche soldato. Mirmidoni è anche il titolo di una tragedia di Eschilo, andata però quasi completamente perduta.

In un altro mito classico, raccontato nelle Metamorfosi di Apuleio, si fa ricorso alle formiche come esempio di esercito ben organizzato. Psiche, punita da Venere, deve cercare di riconquistare l’amore perduto attraverso tre prove, la prima delle quali consiste nel dividere differenti grani mescolati in mucchietti dello stesso tipo. Esausta la ragazza desisterebbe anche dal suo proposito, se non ricevesse l’aiuto di un esercito diligente di formiche che separano uno per uno i grani radunandoli per tipo, e sparendo appena finita l’impresa. Dalle favole di Esopo, al riadattamento di La cicala e la formica di La Fontaine, fino ai cartoni animati più recenti, questi piccoli e saggi insetti hanno spesso popolato anche il discorso letterario.

Spunti notevoli vengono dal discorso scientifico. Ulisse Aldrovandi, naturalista enciclopedico, botanico ed entomologo bolognese, realizzò a Bologna uno dei primi musei di storia naturale. Studioso delle diversità del mondo vivente ed esploratore, negli ultimi decenni del Cinquecento e fino ai primi del Seicento s’impose come una delle maggiori figure della scienza, tanto che verrà considerato da Linneo e Georges-Louis Leclerc de Buffon il fondatore della storia naturale moderna. Nacque a Bologna l’11 settembre 1522, e manifestò sin da giovanissimo uno spirito avventuroso: dodicenne appena e a insaputa della famiglia, se ne andò a Roma per tornarci spesso durante l’adolescenza e spingersi in pellegrinaggio fino a Santiago de Compostela. Studiò lettere e legge a Bologna, diventando notaio, e si trasferì a Padova per seguirvi corsi di filosofia e logica, matematica e medicina. Gli anni padovani furono decisivi per la sua formazione accademica.

Laureatosi in Filosofia e Medicina all’Università di Bologna, parallelamente alla sua attività di docenza manifestò un vivo interesse per la botanica e per la natura in generale. Organizzava infatti spedizioni per raccogliere materiali ed era forte sostenitore del metodo empirico, accompagnando sempre le sue lezioni teoriche con esercitazioni per mostrare ai

(9)

9

suoi studenti come applicare quanto avevano appreso. Condusse anche esperimenti embriologici, osservando e annotando quotidianamente le diverse fasi di sviluppo del feto nell'uovo di gallina. Questa esperienza, tipica delle ricerche embriologiche di naturalisti e scienziati, s’inserisce nel più vasto contesto delle indagini zoologiche aldrovandiane, ampiamente basate sul metodo empirico,oltre che sulle dissezioni anatomiche. Questo approccio lo portò a chiedere con insistenza alle autorità bolognesi un orto botanico pubblico, concessogli nel 1568.

Si cimentò nella straordinaria impresa di catalogazione della realtà naturale affidata ai volumi della sua storia naturale, e prima ancora, a un “teatro” o “microcosmo di natura” che gli permise di riunire, nello spazio chiuso del museo, ricavato entro le mura della propria casa, la raccolta ordinata e la raffigurazione completa degli esseri che popolano i tre regni della natura: minerale, vegetale, animale. La sua Storia naturale, un insieme di opere in 13 volumi, in parte pubblicate postume, si proponeva come la più completa descrizione di quei tre regni che fosse stata fino ad allora concepita.

Tra questi figura un testo di particolare interesse per la mia ricerca: De animalibus insectis libri septem, cum singulorum iconibus ad viuum expressis, di cui esistono due edizioni, la prima uscita a Bologna nel 1602 con incisioni in legno, la seconda a Francoforte nel 1618 con incisioni in rame. Il testo comprende 740 figure xilografate, ed è il primo libro stampato dedicato agli invertebrati in cui siano descritti e riprodotti anche vermi, molluschi e stelle di mare. È dedicato in gran parte agli insetti, divisi inizialmente in acquatici e terrestri, e successivamente ripartiti in vari gruppi a seconda della presenza, del numero e della disposizione delle zampe e delle ali, il tutto ripartito in sette libri, di cui il quinto si apre con un capitolo dedicato alle formiche. Aldrovandi cita diverse fonti fra cui Aristotele, Plinio, Plutarco e Orazio, prima di passare a una loro analisi più dettagliata e specifica che le distingue in principio fra velenosi e non velenosi, fra alate (quelle vecchie e inutili e tutte dello stesso genere) e non alate.

(10)

10

L’autore concentra il suo interesse sulle formiche europee, di cui nota differenze per colore e dimensione, ancora per essere velenose o innocue ma di cui ritiene difficile descrivere ciò che le caratterizza a seconda delle regioni che abitavano. Successivamente descrive le loro abitudini circa la costruzione dei nidi, aventi l’aspetto di gallerie, “non più piccoli di una testa umana”, generalmente sferici e in cui si entra attraverso piccoli condotti. I nidi, nonostante siano fatti con il fango, sono descritti come solidi e resistenti, al punto che nemmeno il ferro potrebbe penetrarli, resi in questo modo sicuri e protetti dai nemici.

Il testo riferisce di vari tipi di formiche in Grecia, in India, trattando in varie sezioni le loro abitudini di accoppiamento, la generazione e la nascita, i cicli vitali, le abitudini alimentari le loro relazioni e problematiche con gli altri animali. Si trovano inoltre riflessioni circa la loro storia, i danni e i possibili rimedi e la morale (è nuovamente evidenziata la natura industriosa delle formiche, che pur essendo piccole offrono un esempio da imitare, con riferimento al già citato testo biblico di Salomone). Si accenna inoltre alla mistica (spesso definito come abietto animaletto, la formica ha avuto anche i suoi cultori, tra i quali alcuni popoli che la immolavano al Sole) e ai geroglifici: presso gli egizi i sacerdoti denotavano tre interessanti pitture raffiguranti formiche che di nuovo si mostrano come esempio di operosità. Aldrovandi conclude il capitolo affrontando gli usi delle formiche in medicina e in cucina, i proverbi, le favole e le icone che le hanno riguardate.

(11)

11

(12)

12

Nella figura 1 si può osservare l’immagine di un formicaio all’interno del quale agiscono varie formiche, presente nel De animalibus insectis libri septem. Ma questo testo non è il solo nel quale Aldrovandi dedica spazio alle formiche. Il suo immenso lavoro conta centinaia di tavole acquerellate a colori, frutto della sua opera di catalogazione della realtà naturale, la maggior parte delle quali conservate al Museo Aldrovandiano presso il Museo di Palazzo Poggi a Bologna. Qua di seguito nella figura 2 sono illustrati due tipi di formica, una con e l’altra senza ali, mentre nella figura 3 si può osservare un altro esempio di formicaio.

(13)

13

(14)

14

1.2 Jan Swammerdam e il Preformismo

Jan Swammerdam, nato nel 1637 ad Amsterdam, fu un naturalista ed entomologo olandese. Studiò fisiologia e anatomia all’Università di Leida, e si laureò in medicina nel 1667. Già nell’infanzia aveva mostrato un vivo interesse per gli insetti, e in seguito alla laurea vi dedicò gran parte del suo tempo e della sua attenzione, fatto che guastò i rapporti con il padre farmacista, il quale lo avrebbe voluto medico. Fu tra i primi a capire l’importanza del microscopio, applicato tanto allo studio degli insetti quanto al corpo umano, grazie al quale nel 1658 osservò e descrisse i globuli rossi.

Negli stessi anni in Italia anche Francesco Redi aveva intuito l’utilità del microscopio: letterato, medico e scienziato aretino, non ebbe nel nostro paese grande fama di microscopista, eppure nei suoi studi ne fece ampio uso, e anche grazie a questo riuscì ad arrivare a conclusioni rivoluzionarie proprio nel campo della generazione degli insetti6. La

teoria della generazione spontanea era stata accettata come un dato di fatto fino al Seicento, e aveva messo d’accordo diversi illustri autori provenienti da campi differenti, e una sua confutazione non era certo impresa facile. Eppure Redi, in questa lettera indirizzata a Carlo Dati, getta le basi per l'affermazione del principio dell'universalità della generazione parentale.

Nel testo ci sono pochi accenni alle formiche, poiché le principali protagoniste dei suoi esperimenti furono le mosche. In ogni caso, studiò comunque le formiche al microscopio, e ne descrisse tre differenti “razze non alate che si trovano in Toscana”7, delle quali sono

presenti tre tavole molto accurate.

6 Redi (1668). 7Ivi, p. 67.

(15)

15

(16)

16

(17)

17

Probabilmente Swammerdam non era a conoscenza dei lavori di Redi. Fu comunque all’avanguardia per ricerche scientifiche sistematiche sugli insetti sociali, conducendo numerose osservazioni principalmente su api, formiche, vespe e calabroni.

Al tempo delle ricerche di Swammerdam, come ho già accennato, dominavano le convinzioni di Aristotele circa la generazione spontanea degli insetti, dei quali non si

(18)

18

conoscevano le fasi evolutive: uovo, larva e adulto erano considerati tre esseri distinti, a causa delle loro dimensioni gli insetti venivano generalmente trascurati per una presunta insignificanza. Non erano stati infatti oggetto di quegli studi, riservati in passato a rettili e mammiferi. Swammerdam fece invece di questi piccoli organismi il centro delle sue ricerche durante le quali praticò la dissezione e si servì del microscopio. Il largo uso della dissezione gli consentì tra l’altro di osservare e descrivere dettagliatamente il cervello dell’ape, distinguendo i nervi ottici che si diramano dai due occhi composti e dai tre ocelli, nonché la bocca, il pungiglione e le ghiandole preposte alla produzione del veleno. Ma determinante fu l’aver riconosciuto le ovaie all’interno del corpo del “re”, rivelando così che si trattava in realtà di una regina. Qualcuno già era al corrente della reale identità della regina (ad esempio Luis Méndez de Torres, autore spagnolo di un trattato di apicoltura del XVI secolo, chiamava l’ape regina “la grande madre”), ma Swammerdam fu in grado di mostrare pubblicamente le sue dissezioni che rivelavano le ovaie della regina e i testicoli nell’addome del fuco, assegnando così un genere ai membri chiave dell’alveare.

Il suo riguardo per i dettagli strutturali e il suo lavoro pionieristico nella messa a punto di tecniche per la conservazione dei campioni ne fecero uno dei fondatori dell’entomologia. Fu tra coloro che, nella seconda metà del secolo, combinarono dissezione e sperimentazione.

Il suo lavoro complessivo circa le api e gli altri insetti sociali fu pubblicato in due fasi, la prima rappresentata da Historia Generalis Insectorum del 1669, che include una breve serie di studi sul ciclo di vita delle api e delle formiche; e la seconda che concentra le principali scoperte in Biblia Naturae, corredato di più di 500 figure, pubblicato postumo tra il 1737 e il 1738 grazie al medico olandese Herman Boerhaave, all’interno del quale si trova uno dei maggiori contributi di Swammerdam all’entomologia e alla storia naturale in generale. L’autore infatti vi enunciò la tesi secondo cui le varie fasi durante la vita di un insetto (uovo, larva, pupa e adulto) sono appunto differenti stadi di sviluppo dello stesso

(19)

19

animale, e non organismi a sé stanti, come invece era credenza comune. Swammerdam interpretò questo processo non nei termini di una metamorfosi, ma come la normale evoluzione (ovviamente non in senso darwiniano) di strutture già esistenti. In effetti in alcuni casi (come ad esempio nel bruco) aveva potuto osservare caratteristiche adulte presenti allo stato di larva. Nonostante altrove avesse rilevato l’assenza di continuità strutturale fra i differenti stadi di crescita, resta indubbia la sua adesione alla teoria preformista, secondo cui il germe (uovo o spermatozoo) contiene già in sé l’animale adulto con tutti i suoi organi e le sue qualità, e lo sviluppo degli esseri viventi rappresenta lo svolgimento (in latino evolutio) delle caratteristiche contenute nel germe, con successive mutazioni quantitative (accrescimento e allungamento).

Il suo metodo sperimentale in realtà non suggeriva che tutte le specie mostrassero un qualche tipo di preformismo, ma Swammerdam morì prima che la teoria si espandesse e perciò non ebbe nemmeno l’opportunità di smentire o di correggere eventuali fraintendimenti.

Biblia Naturae, tradotto impropriamente in inglese con il titolo The Book of nature, in francese e in tedesco, si apre con una generale descrizione delle trasformazioni degli insetti, basata sulle sue osservazioni e analisi personali, li suddivide poi a seconda del tipo di metamorfosi a cui vanno incontro: il primo ordine comprende quegli insetti che escono dall’uovo già perfettamente formati, e da quel momento semplicemente crescono, e l’unico cambiamento riguarda la muta della pelle; al secondo appartengono gli insetti che al momento della schiusa hanno già sei zampe, e che una volta perfezionate le ali passano allo stadio di ninfa; nel terzo ci sono gli insetti che usciti dall’uovo si presentano senza arti, con sei o più zampe e le loro membra continuano a crescere sotto pelle, in maniera impercettibile per noi, fino a farla cadere mostrando una ninfa o una crisalide; i membri del quarto e ultimo ordine si distinguono da quelli del terzo solamente perché raggiungono lo stadio di ninfa o crisalide sotto quella stessa pelle, senza mutarla.

(20)

20

Il terzo ordine è caratterizzato dallo stato di ninfa propriamente detto e ne fanno parte due generi: Swammerdam prese le formiche come rappresentanti del primo genere e dedicò all’argomento una decina di pagine (che nell’Historia Generalis Insectorum si riduceva a circa mezza pagina) in cui fornì tra l’altro una dettagliata descrizione dell’illustrazione scrupolosamente eseguita (figura 7).

(21)

21

Per studiare il comportamento degli insetti sociali Swammerdam dovette osservare direttamente le colonie, cosa relativamente facile nel caso delle api, e meno semplice per quanto riguarda le formiche, che studiò attraverso un nido (forse il primo) artificiale, da lui costruito:

I provided a large deep earthen vessel, and about six inches from the brim or verge of it, I put a bank or artificial rim of wax, and then on the outside of the circumference of this I poured water, in order to prevent the Ants confined in this enclosure from getting out. I afterwards filled the cavity of this dish with earth, and therein placed my little republic of Ants. It happened that in a few days the Ants laid their eggs in this vessel.8

In questa situazione cercò tra l’altro di nutrire lui stesso gli insetti, ma si accorse ben presto di come senza l’aiuto delle operaie ogni suo tentativo fosse destinato a fallire. Rimase stupito e meravigliato dalla dedizione con cui le formiche si prendevano cura della prole, le nutrivano e cambiavano loro dimora nel momento in cui il terreno diventava troppo secco o al contrario subiva allagamenti (di cui lui stesso una volta si rese artefice). Nell’immagine precedente la figura I mostra un uovo di formica al microscopio, ovvero il suo primo stadio di sviluppo (ninfa). Una volta persa la forma di uovo non resta che una membrana sottile di cui pian piano la formica si sbarazza. Swammerdam precisa che quello che viene impropriamente chiamato uovo di formica è in realtà una creatura a tutti gli effetti: della larva dotata di vita e movimento anche se ancora non completamente formata, si può infatti già intravedere la testa (nella figura II si nota piegata verso l’addome, come comunemente si trova in natura in questa fase evolutiva), ma è ancora priva di zampe. Quando la larva ha concluso la sua crescita all’interno del nido ei suoi arti, il suo torace e la sua testa a poco a poco si sono sviluppati, si ha la perdita della pelle. A questo

(22)

22

punto le zampe cominciano a mostrarsi e la formica assume le sembianze di una vera e propria ninfa, esemplare perfetto del terzo ordine (la figura IV la mostra di profilo, e la figura VI ne evidenziale parti con lettere differenti: aa indicano gli occhi, b i denti, cc le antenne, dd il primo paio di zampe, ee il secondo paio, ff il terzo e infine g gli anelli dell’addome).

Una volta persa la pelle, la ninfa presenta arti fluidi e bianchi, e si ritrova allo stesso stato in cui è all’interno dell’”uovo”, con la differenza che prima le sue zampe erano talmente piccole da essere impercettibili. In questo modo, Swammerdam sostenne che la formica passasse due volte dallo stadio di feto, e per due volte appunto “nascesse”. Ma le differenze fra i vari stadi non gli sembrarono sostanziali, limitate all’aspetto esteriore: uovo, verme, ninfa e formica erano considerati in realtà come un’unica creatura che semplicemente assumeva diverse sembianze:

For in reality the egg, worm, nymph, and ant are all about the same creature variously clothed, and lying under different yet accidental forms. Therefore the Ant […] is covered or surrounded in the beginning, when it is an egg, with an oval or spheroidal skin; and afterwards, when it appears under the form of a Vermicle or Worm, is covered with an annular and hairy skin; and thirdly, when It is a Nymph, and is found wrapped up in a divided and articulated veil; until, fourthly, it at length casts this skin, and afterwards retains this its last form, wherein it is a perfect insect, stript of all its integuments; is still the same Ant, in this variety of appearances: so that having thus, at certain distances and stated times, cast off all these coverings, the creature is perfect, and is never changed more.9

Swammerdam ripropose tutti i cambiamenti intervenuti nella ninfa al momento della perdita della pelle: osservò gli occhi mutare forma e colore, così come le zampe, le antenne e il resto del corpo; registrò una certa umidità esalare da ogni parte, e le membra, fino a quel momento prive di movimento e spessore, cominciare a muoversi. Solo da quel momento si poteva davvero parlare di quell’insetto come di una formica.

(23)

23

Nelle figure successive Swammerdam presentò le differenze fra le formiche operaie (fig. VII), descritte in modo molto particolareggiato, nelle quali non trovò gli organi sessuali (in realtà erano presenti ma atrofizzati), i maschi alati (fig. VIII e IX), e le femmine (fig. X e XI), che si distinguono principalmente per grandezza, colore e forma della bocca, oltre che naturalmente per la presenza di ali nei maschi, i quali, specificò l’autore, erano ammessi all’interno della colonia solo al momento della riproduzione al fine di propagare la specie, esattamente come avviene per le api, con le quali avrebbero molti altri punti in comune. Grazie alla dissezione Swammerdam poté trovare le uova all’interno del corpo della regina, e riconoscere così la larghezza del ventre che deve contenerle come l’unico punto di diversificazione esteriore rispetto ai maschi e alle operaie.

Dopo aver ritratto formiche che comunemente si potevano trovare e che lui stesso aveva potuto studiare nei campi e nei vigneti d’Olanda, Swammerdam offrì un piccolo elenco di altre specie, alcune delle quali non solo osservate ma anche conservate. Una di queste (fig. XIV), proveniva dal Capo di Buona Speranza, altre dall’Olanda, e un’altra ancora, il cui ciclo vitale si svolge da luglio a ottobre, è piccolissima (la figura XV la ritrae a grandezza naturale). Concluse il suo discorso sulle formiche riportando vari esempi di specie di cui era stato informato da altri ricercatori.

L’interesse per gli insetti impegnò per molti anni Swammerdam, che anche quando preferì occuparsi quasi esclusivamente di cose spirituali, non abbandonò del tutto la sua vocazione. Morì a soli 43 anni di malaria.

Vorrei concludere questa sezione citando l’elogio che Friedrich Christian Lesser dedicò all’autore di Biblia Naturae, che al tempo stupì per la sua audacia e si distinse tra i naturalisti contemporanei.

Non può negarsi che Swammerdam non abbia sopraffatti tutti coloro che prima di lui avevano corsa la stessa carriera. Andava in persona alla caccia di questi animaletti per boschi, e per le campagne, ne raccoglieva le uova, le faceva nascere, e ne

(24)

24

allevava i figli con tutte le immaginabili precauzioni. Vedevasi tener loro compagna dal mattino alla sera , e raddoppiare ad ogni momento le sue diligenze per tema che un minimo lor cangiamento non sfuggisse alla sua curiosità. Conoscer solo fondatamente le parti esteriori degl’insetti, saria stato per lui una cognizione troppo superficiale; servivasi degli istrumenti dell’anatomia per l’incisione di codesti piccoli corpicciuoli, e penetrava fin dentro ai seni delle loro viscere. Tre volte la settimana faceva venire in sua casa un pittore che lavorava sotto i suoi occhi, e che gli rendea col pennello ciò che prestavagli la Natura. Per fine raccolse e conservò nel suo gabinetto tutti questi animaletti, le loro parti interne ed esterne, le loro ova, le loro scorze e i loro nidi. Tanta suppellettile, tanti esperimenti, tante fatiche, accompagnate da tanta penetrazione, non potevano non produrre un’Opera eccellentissima.10

1.3 Maria Sibylla Merian e la metamorfosi

Un’altra fonte a cui farei riferimento è Maria Sibylla Merian, naturalista e pittrice tedesca, nata a Francoforte nel 1647. A tre anni perse il padre e il secondo marito della madre le insegnò il disegno e la pittura, passione che la condusse a soli 13 anni a disegnare insetti e piante. Pochi anni dopo il matrimonio del 1665 si trasferì a Norimberga, dove cominciò a studiare gli insetti e a porsi domande circa la loro trasformazione: prese così l’abitudine di raccogliere bruchi per studiarli, nutrirli e osservarne i comportamenti. Li disegnò nel diverso periodo del loro sviluppo, insieme alle piante sulle quali erano soliti soffermarsi e delle quali si nutrivano. Inizialmente non conosceva il rapporto fra i bruchi e le loro piante alimentari, e in questo campo condusse una ricerca pionieristica registrando ad esempio il bisogno di certe piante ospiti nel rapporto con diverse specie di insetti. Capì presto come gli oggetti del suo studio nascessero dalle uova, si racchiudessero in un bozzolo dal quale uscivano trasformati in farfalle, contribuendo così a dimostrare la diffusione della completa

(25)

25

metamorfosi (uovo-larva-crisalide-adulto) fra gli insetti, in un tempo in cui, come ho già accennato, l’idea aristotelica della generazione spontanea di questi ultimi era praticamente universale, e in cui anche gli entomologi classificavano distintamente i bruchi e le farfalle. Il suo contributo scientifico in questo senso fu enorme: si oppose fermamente all’idea preformistica e alla convinzione della generazione spontanea, passo che all’epoca e per una donna era decisamente rivoluzionario.

Dopo cinque anni di ricerche e osservazioni sui bruchi, pubblicò Der Raupen wunderbare Verwandelung und sonderbare Blumennahrung (La meravigliosa metamorfosi dei bruchi e il loro singolare nutrirsi di fiori), che includeva circa 50 incisioni con didascalie e testi di spiegazione. Dopo il lavoro di Aldrovandi nel 1602, quello di Merian era il primo libro corredato di bellissime illustrazioni fra gli Insectis libri.

Iniziò le pratiche di divorzio nel 1691 e si trasferì ad Amsterdam con le due figlie, dove riuscì ad approfondire le sue ricerche entrando in contatto con collezioni private di piante e insetti, visitando l’orto botanico, e abitando in una casa frequentata da naturalisti e collezionisti, nella quale stabilì anche il suo laboratorio. Studiò una piccola collezione di esemplari che il marito della prima figlia Johanna le aveva procurato, essendo titolare di un'impresa di commercio con le colonie olandesi.

Nel 1699 partì con la figlia minore e dopo tre mesi di navigazione arrivò in Suriname, dove trascorse i successivi due anni collezionando e illustrando esemplari. Per problemi di salute fu costretta a rientrare in Europa, dove poté elaborare il materiale collezionato. Il frutto del suo lavoro diede vita al testo che le assicurò fama mondiale: Metamorphosis Insectorum Surinamensium, pubblicato per la prima volta nel 1705. Ricco di illustrazioni a colori, incisioni minuziose e dettagliate degli insetti e delle piante osservati, accompagnate da testi che descrivono ogni stadio di sviluppo, il libro è un insieme di arte e scienza, indubbiamente il più importante della sua carriera.

(26)

26

Figura 8

La figura 8 rappresenta tre grossi ragni su un ramo di Guava, albero tipico del Sud America. Merian osservò la vita degli insetti intorno alla vegetazione locale, e spiegò come i ragni si nutrissero di formiche, o in alternativa del sangue di piccoli uccelli. Descrisse

(27)

27

inoltre la capacità di certe formiche, in particolare di alcune specie sudamericane molto grandi, di spogliare un intero albero nel giro di una notte: usando i due denti frontali a mo’ di forbice le guardò tagliare le foglie e lasciarle cadere ai piedi dell’albero, dove altri membri della colonia, a migliaia, le attendevano per trasportarle all’interno del nido11.

Merian notò poi le formiche volanti rilasciare seme (come le mosche), da cui si sarebbero generati sia “vermi” (da lei definiti tali) avvolti in un bozzolo, sia uova piccolissime che costituivano fra l’altro nutrimento per il pollame. Dai bozzoli sarebbero poi nate formiche non alate, che in seguito alla muta avrebbero appunto messo le ali. A loro volta queste avrebbero rilasciato seme da cui si sarebbero generati i piccoli, accuditi a suo dire con cura e attenzione, tanto da farne la loro principale occupazione.

Merian precisò che nei paesi caldi come il Suriname le formiche non dovevano preoccuparsi di mettere da parte rifornimenti per l’inverno. Nel testo si trovano inoltre indicazioni circa l’abitudine delle formiche di scavare delle “cantine” sotterranee profonde 8 piedi (circa 2 metri e mezzo), così ben rifinite che sembrano fatte dall’uomo, e a proposito della loro straordinaria abilità nel costruire ponti per raggiungere posti altrimenti inaccessibili. Studiò infatti le formiche impegnate nella realizzazione di una fila siffatta: la prima si agganciava a un qualche appiglio mordendolo, la seconda formica si univa alla prima allo stesso modo, la terza alla seconda e così via. Dopo aver formato una sequenza abbastanza lunga, si lasciavano trasportare dal vento come una ghirlanda, finché l’ultima non riusciva ad afferrare un valido sostegno dalla parte opposta. In questo modo il resto della colonia poteva passare sopra le proprie compagne usandole come ponte12.

Avendo come nemici i ragni e molti altri insetti, secondo la descrizione di Merian le formiche escono dal nido tutte insieme solo una volta all’anno: in quantità incalcolabile entrano in una casa, passando da una stanza all’altra e consumando tutto quello che

11 Merian (1705), capitolo 15. 12 Ibidem.

(28)

28

trovano, dagli animali piccoli a quelli grandi (compresi i ragni che solitamente se ne cibano, ma disarmati di fronte a tale abbondanza di formiche) costringendo anche gli uomini a ritirarsi. Dopo aver saccheggiato tutta la casa, passano alla successiva, e solo una volta soddisfatte tornano al nido.

Durante la sua permanenza in Suriname nota che dalla sera alla mattina successiva interi alberi vengono spogliati, e ne deduce che durante la notte le formiche del luogo, dotate di potenti mandibole, riescono a staccare e lasciar cadere tutte le foglie, che altre formiche in attesa a terra sono pronte a raccogliere e trasportare all’interno del formicaio, come cibo per le larve. Oggi sappiamo che questi fatti si verificano realmente, ma che l’utilizzo che questi insetti fanno delle foglie è ben diverso, servendosene come concime in cui allevare funghi, che nutriranno sia loro sia le larve. Il testo prosegue e si conclude descrivendo altri insetti del Suriname e facendo riferimento anche a uccelli e alla vegetazione del paese, non solo descritta ma anche ritratta con immagini a colori dettagliate e suggestive.

Maria Sibylla Merian morì nel 1717. La sua seconda figlia pubblicò nello stesso anno la terza parte di La meravigliosa metamorfosi dei bruchi e il loro singolare nutrirsi di fiori. Il testo si apre con l’immagine di una corona di fiori, in cui sono raffigurate formiche indifferenti stadi di sviluppo (Figura 9). Poiché le uova di formica (in realtà si trattava di pupae) erano cibo per i canarini, le formiche furono considerate come “insetti utili”.

Linneo era a conoscenza del lavoro di Merian e in particolare di La meravigliosa metamorfosi dei bruchi: usò infatti le sua illustrazioni e descrizioni delle piante alimentari nel suo Systema naturae, e nella decima edizione la cita fra i più notevoli rappresentanti nel campo della ricerca sulla metamorfosi: “Entomologi praestantiores figuris, proprietatibus attributes inclaruere. Metamorphosii: Godart, Meriana, Albinus, Frisch, Wilkes, Roesel”13. Senza dubbio le ricerche di Merian hanno avuto una grande importanza

(29)

29

nel mondo scientifico, e una notevole influenza sui successivi naturalisti, in particolare nel campo dell’entomologia.

(30)

30

1.4 René-Antoine Ferchault de Réaumur

Durante uno scambio con l’Università di Parigi nel 1925, William Morton Wheeler entrò in contatto con Louis Eugène Bouvier, entomologo e allora presidente dell’Académie des Sciences, che gli permise di consultare un manoscritto inedito di René-Antoine Ferchault de Réaumur. Dopo un paziente sforzo di traduzione, reso particolarmente difficile dalla presenza di arcaismi, errori ortografici e correzioni, Bouvier confrontò l’opera con l’originale, aggiunse delle note, e ne nacque il settimo volume dell’immenso lavoro di Réaumur Mémoires pour servir à l’histoire des insectes14, riguardante una grande quantità

di insetti, compresi animali invertebrati oggi inclusi in altre classi. Il progetto avrebbe dovuto comprendere ben dieci volumi, ma è stato impossibile capire con certezza di cosa avrebbero trattato quelli conclusivi, proprio per l’uso che sia Réaumur sia i suoi contemporanei facevano della parola “insetto”.

In una lettera di Pierre Lyonnet (nel testo Lyonet) a Réaumur (sicuramente la risposta ad una precedente corrispondenza), emerge la volontà dell’autore di occuparsi nel settimo volume non solo degli scarabei (ai quali è riservata la seconda parte dello stesso), ma anche delle formiche.

I very much wish to see your seventh volume in print. The beetles have been little studied up to the present time […].

The ants, of which you will also treat, I believe, in the same volume, excite my curiosity no less. Although this animal has been more observed than the beetles, it is still very imperfectly known. I once began to study it, but I failed to continue.15

14 Réaumur (1734-1742).

(31)

31

Histoire des fourmis, il manoscritto consultato e tradotto da Wheeler, non riporta alcuna data, ma da alcuni fatti storici l’entomologo statunitense è stato in grado di collocarne la stesura fra l’ottobre del 1742 e il 1744; non è però chiaro il motivo per cui il manoscritto rimase inedito nonostante Réaumur avesse avuto ben tredici anni a disposizione per portarne a termine la pubblicazione. Ma è pur vero che il suo interesse per altre materie e il suo impegno in vari campi potrebbero averlo tenuto lontano per qualche tempo dalle ricerche sugli insetti (si pensi ad esempio al fatto che per molti Réaumur era conosciuto soprattutto come inventore del termometro, e fisici e metereologi ne ignoravano il grande contributo portato all’entomologia, così come gli entomologi non erano al corrente del suo impegno nel campo della metallurgia).

L’Histoire è incompleta, spesso di difficile lettura perché scritta con scarso riguardo per la forma e la punteggiatura, e nonostante ciò Wheeler la giudica un’opera interessante, mai noiosa per il lettore, per certi versi pionieristica (ritiene che se non fosse rimasta inedita per così lungo tempo, avrebbe aiutato lo studio della mirmecologia e risolto molti problemi, soprattutto quelli relativi alla formazione e allo sviluppo delle colonie). Sostiene infine che debba essere considerata “as the most important myrmecological document of the eighteenth century”16, soprattutto se comparata ai più importanti contributi del tempo sulla

materia, tra cui quello di Swammerdam, che non era stato in grado d’identificare completamente le caste, e quello di William Gould, di cui anticipa molte delle scoperte (e di cui avrò modo di parlare più avanti).

Wheeler non è l’unico ad avere tanta stima del lavoro di Réaumur: in una lettera a sua moglie, Thomas Henry Huxley17 scrive che da certi punti di vista sarebbe stato l’uomo più

importante tra Aristotele e Darwin, e in un’altra corrispondenza ribadisce il concetto

16 Wheeler (1977, p. xvi). 17 Cfr. Huxley (1901, pp. 514-15).

(32)

32

sostenendo che nessun altro uomo possa essere messo sullo stesso piano di Darwin eccetto Réaumur.

Nato nel 1683 a La Rochelle, è considerato uno dei più influenti naturalisti e scienziati francesi: il suo interesse non si limitò all’entomologia, ma si estese a svariati campi, fra cui fisica, metallurgia, matematica e storia naturale. Divenne membro dell’Académie des Sciences nel 1708, in seguito alla presentazione di un articolo su problemi geometrici, e ne fu uno dei più attivi associati, curando numerose pubblicazioni. Ma la sua opera per eccellenza è senz’altro Mémoires pour servir à l’histoire des insectes, comprendente 6 volumi pubblicati fra 1734 e il 1742, considerata come uno dei mattoni fondamentali per la nascita dello studio del comportamento animale, quantomeno in Francia. Ma l’influenza di Réaumur si estende ben oltre i confini francesi: in Svezia Carl De Geer ne fece il punto di riferimento tanto da dare alla sua opera principale lo stesso titolo18 di quella del collega

francese; mentre lo svizzero Charles Bonnet divenne suo discepolo a soli otto anni, e il suo futuro lavoro influenzerà quello di François Huber sulle api19, che a sua volta ispirò

suo figlio Pierre il cui lavoro sulle formiche svizzere (di cui tratterò più avanti) fu straordinario.

Senza dubbio Histoire des fourmis è un testo non privo di difficoltà, e il fatto che sia rimasto inedito per quasi due secoli potrebbe renderlo marginale, ma è in realtà di grande rilievo per quanto riguarda la futura mirmecologia. Il primo richiamo dell’autore è a Ulisse Aldrovandi, che nell’osservazione e nell’ammirazione della vita laboriosa e faticosa delle formiche, aveva trovato motivo di vergogna per il lusso che troppo spesso si era concesso, e molti altri illustri personaggi avrebbero tratto lo stesso insegnamento.

18 De Geer (1752-78). 19 Cfr. Huber (1792).-

(33)

33

Fin dall’incipit dei Mémoires, si evince che l’interesse di Réaumur nei confronti degli insetti riguardi più il loro comportamento che la loro struttura o classificazione, che avevano invece maggiormente coinvolto Aldrovandi e Swammerdam:

Ce qui nous suffit, ce me semble, et ce dont notre curiosité doit se contenter, c’est d’en connoître les principaux genres, et surtout de connoître ceux qui se présentent à nos yeux; de sçavoir ce qui leur est propreà chacun, ce qu’ils offrent de particulier, comment il se nourrissent, les différentes formes qu’ils prennent pendant la durée de leur vie, comment ils se perpetuent, les merveilleuses industries que la nature leur a apprises pour leur conservation. D’ailleurs, j’avoue que je ne serois nullement touché d’une énumération bien exacte des espèces de chaque genre, pussions-nous la faire. […] La partie par ou elle (l’histoire des insectes) m’a le plus interessé, est celle aussi à laquelle on sera plus generalement sensible, c’est elle qui embrasse tout ce qui a rapport au génie, aux moeurs, pour ainsi dire, aux industries de tant de petits animaux.20

Fin dall’inizio dell’Histoire des fourmis Réaumur differenzia le varie specie in marroni, nere, alcune rosse, color ambra e bianche. Ritiene che non ci siano, o quanto meno precisa di non aver mai visto, formiche che emergessero per la bellezza del loro colore, che fosse blu, giallo o verde. E subito scorge nei loro comportamenti e nelle loro abitudini il criterio principale per poterle distinguere ed eventualmente classificare (va ricordato che al tempo di Réaumur le specie di formiche esotiche dai colori più appariscenti erano sconosciute). Tutte a suo dire sono fatte per la vita sociale, e non vi sono, come tra le api e le vespe, specie di formiche che conducano una vita solitaria, ma ogni specie si comporta diversamente dall’altra. Ogni individuo nella società svolge la mansione cui è destinato, e nel formicaio ognuno ha un posto e un compito specifici. Nella costruzione di quest’ultimo il numero di formiche all’opera è grandissimo, e osservando la complessità e l’ampiezza dei formicai sembra incredibile che insetti così piccoli ne siano gli artefici: i cunicoli sotterranei sono così articolati da reggere il paragone con opere ingegneristiche e i

(34)

34

materiali utilizzati sono spesso talmente pesanti che difficilmente si potrebbe credere che vi siano stati trasportati senza aiuto.

Alcune specie hanno bivacchi temporanei, mentre altre preferiscono essere stanziali, e costruire il proprio alloggio all’interno di tronchi d’albero parzialmente decomposti, e in questo caso il luogo scelto fornisce loro già tutto il necessario alla preparazione del luogo. Inoltre le condizioni atmosferiche spesso costringono le formiche a lasciare i loro formicai per trovare riparo ad esempio all’interno di fessure nei muri, per uscire solo durante le pause della pioggia a cercare viveri. Una volta migliorato il tempo, escono e in meno di un giorno costruiscono un nuovo formicaio, in cui ogni parte è destinata a una funzione specifica. Per questo sono particolarmente ammirevoli, più per la loro tenacia e operosità che per l’opera stessa, la cui architettura è estremamente semplice.

Se volessimo comparare il formicaio a una città, allora si tratterebbe di città in cui tutte le strade sono coperte, o se ancora volessimo parlarne come di un edificio, allora dovremmo immaginarlo come composto esclusivamente di scale che si intersecano fra loro, e in cui lo spazio più ampio è costituito dal pianerottolo fra una rampa e l’altra. Anche Gould ne parlerà attraverso la metafora della città, paragonando i vicoli dei formicai alle strade di Londra, in cui c’è un traffico perenne, ma “Only with this Difference, that not a single Ant is unemployed, or deserves theTitle of a Vagrant”21.

L’antropomorfismo di Réaumur ha un significato particolare, e fa comprendere la sua volontà di rivolgersi a un pubblico non esclusivamente specialistico: vuole infatti consentire al lettore di capire meglio un mondo a lui estraneo attraverso l’analogia con quello a cui invece appartiene, e questo come vedremo riguarda anche il comportamento delle formiche oltre alla loro organizzazione sociale.

Nell’intento di studiare meglio la struttura del formicaio, l’autore si lancia in un esperimento: costringe le formiche alla costruzione di un formicaio davanti ai suoi occhi,

(35)

35

rinchiudendole in un vaso trasparente (un alveare di vetro) e inserendo all’interno anche il materiale che avevano raccolto prima della cattività forzata. Le nutre e dà loro materiale extra, e queste, dopo un primo vano tentativo di fuga, cominciano a lavorare alla costruzione del formicaio, simile sia interiormente che esteriormente a quello in cui vivevano fuori. Ma a suo dire i più ammirevoli alloggi restano quelli costruiti nella terra compatta o nei tronchi degli alberi.

Gli alveari, di cui si occupa maggiormente, costituiscono per Réaumur l’occasione per studiare meglio le formiche, che cercano ogni inverno di approfittare del calore che le api sono solite mantenere all’interno delle loro abitazioni: l’alveare infatti era costruito in modo tale da permettere all’autore di aprire una piccola finestra di tanto in tanto per poter osservare il lavoro delle api, e più di una volta riporta di aver trovato colonie piuttosto popolate di formiche che tentavano di occupare un interstizio fra la finestra e l’alveare stesso. Ma oltre ad analizzare le loro abitazioni, fra i maggiori interessi di Réaumur figurano le abitudini e il modus vivendi degli insetti.

Uno dei passaggi più importanti riguarda le supposte scorte che le formiche farebbero durante la stagione secca prima dell’inverno; a partire da Esopo, e probabilmente già prima di lui, questi insetti sono stati esaltati per la loro lungimiranza e prudenza nel preoccuparsi del futuro e fare approvvigionamento prima dell’arrivo del freddo. Réaumur è stato uno dei primi a provare che la formica comune nel Nord Europa non fa scorte e non accumula semi per l’inverno. Solitamente viene considerato William Gould il fautore di tale scoperta, ma in realtà già Swammerdam prima di entrambi aveva osservato questo comportamento.

Per dare concretezza alla sua scoperta, Réaumur fece numerose osservazioni:

J’ai du etre curieux de voir ces magazins bien fournis dont leur a fait tant d’honneur. Pour les decouvrir j’ai fait fouiller les differentes saisons de l’année un grand nombre de fourmilleres, bien plus bas que l’endroit le plus bas ou elles se tiennent j’ai fait

(36)

36

fouiller jusques dans les androits ou il ne paroissoit dans la terre aucun sentier tracé. J’ai fait fouiller de meme dans les environs de la fourmillere et ca toujours ete inutilement jamais je ne suis parvenu a decouvrir ce lieu ou sont mis en reserve touts ces grains dont elles se doivent nourrir pendant l’hiver. Je connois plusieurs personnes qui curieuses comme moy de trouver ces graniers sous terrains les ont cherche inutilement.22

E Réaumur non si limitò a scavare all’interno dei formicai, osservò di giorno in giorno durante il periodo estivo il comportamento delle formiche che avrebbero dovuto preparare le scorte, ma sempre invano. Probabilmente, sostiene Réaumur, la continua osservazione di formiche che trasportano all’interno del formicaio semi e altri prodotti simili ha portato alla credenza comune dell’esistenza di una “dispensa”, quando in realtà tutto era finalizzato alla costruzione del formicaio stesso (anche se più avanti si scopriranno e saranno descritte anche specie di formiche con questa attitudine all’approvvigionamento). Réaumur conosceva bene le abitudini alimentari delle formiche, lui stesso le nutriva durante le proprie osservazioni, e aveva avuto modo di capire che la loro nota attrazione per lo zucchero, che le conduce fin dentro le nostre case, le portava anche ad avere rapporti con altri insetti. È stato proprio Réaumur a scoprire il rapporto di trophobiosis fra le formiche e altri insetti, come gli afidi e le cocciniglie, anche se la sua concezione ha subito delle correzioni nel tempo. L’autore aveva dedotto dalle sue osservazioni che ciò che portava le formiche a scalare alberi di media e grande dimensione abitati da altre specie di insetti, erano proprio le secrezioni zuccherine rilasciate da queste ultime.

Ovviamente Réaumur non trascura di ricordare i danni che le formiche provocano agli alberi stessi, di cui spesso devastano i fiori o i più morbidi semi, o le battaglie che si disputano fra colonie diverse per il possesso di un albero. Fra l’altro viene citata la

22 Réaumur (1743) in Wheeler (1977, p. 60). Le citazioni riportano il testo originale di Réaumur, rimasto ad uno stato

(37)

37

battaglia descritta da Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II, il cui racconto è stato riportato da molti grandi studiosi di formiche:

One of the older records of an ant battle is given by Æneas Sylvius, afterwards Pope Pius II, which was contested with obstinacy by a great and a small species, on the trunk of a pear-tree. “This action”, he states, “was fought in the pontificate of Eugenius the Fourth, in the presence of Nicholas Pistoriensis, an eminent lawyer, who related the whole history of the battle with the greatest fidelity”. Another engagement of the same description is recorded by Olaus Magnus as having happened previus to the expulsion of Christiern the Second from Sweden.23

E di seguito il resoconto di Olao Magno (il cui nome di battesimo era Olav Manson), arcivescovo cattolico svedese:

[…] all’hora le formiche più piccole, in gran moltitudine s’affrettano di salire sui nidi delle formiche maggiori che le più volte stanno su qualch’albero vecchio di pero, e fanno ogn’opra per cacciarnele via, e così vendicar qualche ricevuta ingiuria, e in pruovar di far questo appiccano una battaglia si grande, che non si parte, prima che molte di loro da l’una, e l’altra banda caschino da quelle frondi mezze morte, e non restino superate le maggiori, e le minori non entrino in possesso delle stanze di quelle.24

Inoltre, le formiche più piccole uscite vittoriose sono state osservate seppellire i propri “soldati” persi in battaglia, mentre lasciavano i nemici in pasto ai predatori.

Le formiche comunque non si accontentano delle suddette secrezioni dolci, o del succo che possono ricavare da sostanze vegetali, ma mangiano anche altri insetti, sebbene questo non accada generalmente in modo violento visto che si nutrono soprattutto di insetti già morti, e che solo occasionalmente ne attaccano invece di vivi. Allo stesso modo

23 Rennie (1831, p. 335). 24 Magno (1561, p. 509).

(38)

38

Réaumur ricorda l’interesse delle formiche per le uova di altri insetti, che rivestite solo di una sottile membrana costituiscono cibo facilmente edibile.

Avendo dedicato tutta la prima parte del suo testo alle abitudini delle formiche, l’autore adesso sente di poter fare un richiamo alla loro descrizione fisica:

Il est temps neantmoins que nous venions à faire remarquer ce qui lui est propre, ce que les parties dont elle est composée ont de constant, et les varietes qui se trouvent dans ces memes parties. La tête est moins epaise considerablement qu’elle n’est large et qu’elle n’est longue, sa figure apeupres triangulaire, l’angle anterieur est pourtant abattu, mais en divers temps il ne paroit pas manquer , il est remplacé par les bouts des deux dents qui se trouvent appliqués l’un contre l’autre. Le dessus n’est pas plan, il est comme divise en deux parties égales selon la longueur, par un cavité peu profonde, chacune de ces parties a quelque rondeur; et c’est assez près de leur bout que part de chaque côté un antenne composé en filet graine; sur chaque côté aussi mais beaucoup plus près du bout postériuer que de l’antérieur est placé un oeil a rezeau assez gros pour être apercu des qu’on le cherche, quoi-qu’il n’ait ni le volume ni l’éclat qu’ont ceux des papillons, et des la plupart des mouches. Trois autres yeux bien moins sensible, trios yeux lisses, disposes triangulairement se trouvent entre les precedents dans la portion creuse.25

Réaumur inoltre le misura attentamente ed è certo che le operaie siano più piccole delle altre, mentre per quanto riguarda la vista cita sia la posizione di Gerolamo Cardano26,

figura di spicco del Rinascimento italiano, matematico e medico, che sosteneva che solo nei grandi animali potessero coesistere perfettamente organi di senso diversi, mentre in quelli piccoli come gli insetti, se presenti, fossero necessariamente poco o male sviluppati, e quindi inutili. Di conseguenza, le formiche dovevano essere cieche e usare le antenne per orientarsi. Aldrovandi, che a sua volta riprendeva Cardano e non voleva contraddirlo, sostenne che gli occhi non potessero trovarsi nella testa, troppo piccola, e che quindi fossero alle estremità delle antenne.

25 Réaumur in Wheeler (1977, p. 71). 26 Cfr. Cardano (1559).

(39)

39

Per quanto riguarda il sesso delle formiche, Réaumur va oltre Swammerdam, che nonostante avesse compreso il sistema delle caste, aveva giudicato che le formiche alate fossero maschi, e quelle non alate al contrario femmine. L’autore di Histoire des fourmis corregge le affermazioni di Swammerdam, capendo che le formiche alate sono sia maschi sia femmine, che le più grandi sono femmine, e nello specifico regine (che potrebbero aver perso le ali in seguito all’accoppiamento), essendo regola generale fra gli insetti che il maschio sia più piccolo. Réaumur riporta di aver osservato diversi voli nuziali, uno in particolare durante un viaggio verso Tours nei primi giorni di settembre: in quell’occasione aveva catturato alcune coppie di formiche con le mani per osservarle, e queste avevano confermato la sua teoria. Inoltre sostiene di aver più volte visto le femmine e i maschi far ritorno al formicaio dopo l’unione in volo. In realtà correggerà questa sua affermazione in seguito: già in alcuni appunti a conclusione del testo riferisce di aver assistito a un volo nuziale, in seguito al quale avrebbe trovato i formicai originari completamente vuoti.

La questione delle ali in generale, la loro perdita in seguito all’accoppiamento, e la composizione delle caste restano per l’autore un enigma. Talvolta dubita che la madre sopravviva in seguito alla deposizione delle uova, ed è invece certo che le ali servano esclusivamente e appositamente per l’accoppiamento, e che questo, secondo le sue osservazioni, avvenga fra formiche provenienti dallo stesso formicaio.

Si l’on fait attention aux differents travaux auquels les fourmis ouvrieres se doivent livrer, entr’autres a celui de trainer de pesants fardeaux dont elles sont si occupees, et a la disposition des chemins entroits, et souvent raboteux de l’interiuer de leur habitation surtout lorqu’elle est costruite de brins de bois, on jurera que des aisles leurs eussent ete souvent inutiles, et meme incommodes, elles les auroient embrasse en mille occasions, et les auroient surcharge dans d’autres. Pour des raisons semblables il est avantageux aux femmelles qui ont ete fecondees de perdre les aisles qu’il leur importoit d’avoir avant leur fecundation. Une fois fecondees ells n’ont plus a parcourrir les airs, ells sont obliges de se tenir dans l’interieur de la fourmillere dabord pour y ponder leurs oeufs, et ensuite pour y

(40)

40

donner aux petits qui eclosent les soins qu’elles leurs doivent. Enfin quand les males n’ont plus de femelles a qui ils puissant faire l’amour ils ont des occupations assez semblables a celles des ouvrieres, il ne leur convenoit donc pas plus alors qu’a celles ci d’avoir des aisles.27

Quest’ultima affermazione oggi sappiamo essere errata, ma avrò modo di approfondire questo argomento successivamente. Ciò che mi sembra opportuno sottolineare è che Réaumur sostiene che sia possibile verificare il sesso delle formiche semplicemente esercitando una pressione sul loro addome fino alla comparsa di una struttura posteriore, che sarebbe assente nelle femmine e nelle operaie, le quali, come anche Linneo e Swammerdam a torto credevano, sarebbero asessuate; e questa convinzione sarà destinata a persistere ancora per molto tempo.

Un passaggio importante mostra come Réaumur sia stato il primo ad osservare la fondazione di una colonia da parte della regina dopo l’accoppiamento, anche se questa scoperta viene solitamente attribuita a William Gould. Il suo testo in realtà è stato pubblicato nel 1747, mentre come ho già precedentemente annotato, Histoire des fourmis risale a qualche anno prima, e sicuramente l’autore non aveva potuto prendere visione di An account on english Ants di Gould.

In ogni caso, le considerazioni di Gould non vanno oltre la deposizione delle uova, mentre Réaumur osserva e illustra il processo prima e dopo la deposizione stessa in un piccolo nido artificiale domestico (un contenitore di vetro) nel quale posiziona tre regine. Le uova, bianche, lisce e dall’aspetto membranoso, si trovano inizialmente unite a formare un’unica massa, ma crescendo, gli permettono di paragonare nel giro di pochi giorni quelle più piccole, ancora intatte, con quelle “evolute” allo stadio di larva, adesso più facili da prendere in esame perché in seguito alla maturazione le une si separano dalle altre. Mentre nelle uova non sono visibili segmentazioni, nelle larve sono ben distinguibili sia la

(41)

41

testa sia gli anelli del corpo, ed essendo ancora prive di zampe sono incapaci di muoversi. Non gli è chiaro come avvenga la deposizione delle uova (se una per volta o insieme), ma ciò che gli preme maggiormente è capire come queste crescano, e sebbene non chiarisca come avvenga la nutrizione, asserisce che la madre ne ha grande cura durante tutto il giorno, e trova per loro il luogo più confortevole.

Per quanto riguarda la formazione delle colonie Réaumur ammette di non aver compreso se, come nella società delle vespe tutto faccia capo a una singola madre, la regina, oppure se siano più femmine che con o senza l’aiuto delle operaie si incaricano di gettarne le fondamenta. Réaumur ipotizza che la regina debba avere bisogno delle operaie, perché deponendo così tante uova in una volta, o comunque in un breve periodo, non potrebbe da sola provvedere al loro nutrimento nel momento in cui queste passano allo stadio di larva, cosa di cui quindi sarebbero incaricate le formiche operaie e di cui Réaumur sembra essere stato il primo testimone. Scrive infatti di aver osservato più volte le operaie somministrare gocce di liquido alle larve, e mai cibo solido di alcun tipo, di averle viste mentre le leccavano come per accarezzarle, per tenerle unite una all’altra vista la viscosità di questo liquido o per altri scopi come ad esempio mantenerle umide e coperte di un liquido che sia loro utile per qualche motivo ancora poco chiaro.

Ma questa cura viene riservata solo alle larve del proprio formicaio o le operaie la estendono a tutte quelle della propria specie? Réaumur, attraverso varie prove nei suoi contenitori domestici, giunge alla conclusione che l’affetto nei confronti delle larve va oltre i confini del formicaio di appartenenza, aprendo così la strada a diverse questioni che nel secolo successivo sarebbero state ampiamente dibattute, come quello delle colonie miste o del parassitismo sociale.

Una volta cresciuta, spiega l’autore, la larva è pronta a diventare ninfa, e lo fa attraverso un bozzolo setoso come quello dei bruchi, anche se per alcune specie potrebbe non esserci bisogno di questo tramite. Restano sorprendenti l’operosità e l’attività delle

(42)

42

formiche, che anche quando le ninfe non hanno più bisogno di essere nutrite, si occupano comunque di loro e del formicaio per tutto il resto. Le proteggono e nel momento in cui si trovino in pericolo, si adoperano per trasportarle in un luogo più sicuro, prendendole fra le mandibole e, per quanto fragili possano essere le larve o le ninfe, hanno cura di non danneggiarle, il tutto in brevissimo tempo; per poi riportarle nel formicaio nel momento in cui la situazione è tornata alla normalità.

Già Swammerdam aveva ammirato l’abitudine di certe formiche di trasportare fuori dal formicaio le larve o le ninfe per permetter loro di godere della luce del sole nelle ore più calde del giorno, per poi spostarle nuovamente una volta calata la temperatura, e Réaumur lo ribadisce riportandone osservazioni dirette.

Resta un interrogativo nelle pagine di Histoire des fourmis quanto tempo occorra alle uova per completare la crescita e gli sembra di poter affermare che prima di diventare individui adulti debbano subire diverse mute, per le quali occorrerebbero, ipotizza, circa due settimane (tempo in realtà troppo breve). Rimarchevoli invece sono le osservazioni sulla tessitura del bozzolo, a cui pochi studiosi in seguito avrebbero prestato attenzione. Réaumur, sempre grazie ai suoi formicai artificiali, riesce a stabilire che in circa 29 ore una larva è in grado di concludere il suo involucro protettivo, ma fino al momento in cui inizia a lavorarci, non può o non vuole compiere alcun movimento, se non quello della bocca necessario a ricevere e deglutire il cibo. Ma nel momento in cui sente l’esigenza di crearsi un involucro, comincia a fare incessanti movimenti per distribuire uniformemente il filo che tesse intorno a tutto il corpo. Ovviamente il filo è talmente sottile da non essere visibile a occhio nudo e addirittura poco percettibile anche attraverso una buona lente, e una volta completato il bozzolo potrebbe apparire come un’unica membrana.

Réaumur capisce anche la necessità per larva di assicurarsi a un solido appiglio per iniziare la tessitura: per iniziare il primo anello deve aggrapparsi a qualche oggetto resistente, e manterrà questo legame fino alla fine del suo lavoro. Ma una volta terminato,

Riferimenti

Documenti correlati

Differenziertes Feedback zu Erfolgen, positivem Verhalten, Kompetenzen und Stärken ist eher selten. Hier sollte die LK mit positivem Beispiel vorangehen. Positive Wahrnehmung

6.0920.130

Per supportare i docenti che intendono ottenere certificazioni internazionali in lingua straniera in funzione dell’insegnamento secondo la metodologia CLIL di discipline

ORARIO E SEDI AGGIORNATO CORSI INGLESE A.S.. 2018/19 RISERVATI AI

Per quanto poco probabile, la rete CLIL si riserva il diritto di cambiare il giorno del corso se necessario per motivi organizzativi. Tutti i corsi sono soggetti a numero minimo

ROMANO FRANCESCA ROMANO MARIA ELENA ROSONE ARIANNA ROTULO NATALLIA RUBBIO DELIA MARIA RUISI LIVIANA RUSSO ARIANNA RUSSO LUCA RUSSO MARIA LUISA. SACCONE ALESSIA ROSALBA SAIA

POSIZIONAMENTO TARGHE DI PORTATA SPALLA POSITIONING OF END-PIECE CAPACITY TABLE POSITIONNEMENT PANNEAU CHARGE ÉCHELLE. PER ULTERIORI INFORMAZIONI VEDI A PAGINA 1.7 FOR

Zanotti-Gerosa, “Mild N-Alkylation of Amines with Alcohols Catalyzed by Acetate Ruthenium Complexes” XXVI Congresso Nazionale della Società Chimica Italiana, Paestum (Sa),