• Non ci sono risultati.

Gli effetti sul comparto carni bovine dell’applicazione in Italia della condizionalità Con la riforma del 2003 è stata introdotta in via obbligatoria anche la “condizionalità”, ovvero una

L E POLITICHE COMUNITARIE PER IL COMPARTO DELLE CARNI BOVINE

3.2 Gli effetti sul comparto carni bovine dell’applicazione in Italia della condizionalità Con la riforma del 2003 è stata introdotta in via obbligatoria anche la “condizionalità”, ovvero una

serie di norme legislative, i cosiddetti criteri di gestione obbligatori (CGO) e di buone condizioni agrono- miche ed ambientali (BCAA), che devono essere rispettate dal destinatario dell’aiuto.

Si tratta di vincoli che ricadono su tutti gli agricoltori che ricevono pagamenti diretti, “pagamento unico” compreso, ed il mancato rispetto di tali obblighi comporta la riduzione fino all’esclusione dell’a- gricoltore inadempiente dal pagamento degli aiuti.

Il comparto zootecnico è direttamente interessato solo ai CGO e, in sostanza, si tratta di una serie di atti normativi già cogenti, riconducibili ad obiettivi di salvaguardia dell’ambiente, della salute e del benessere degli animali, della sanità pubblica.

I criteri previsti dall’allegato III che hanno specifiche implicazioni per il comparto bovini da carne si riferiscono:

nitrati provenienti da fonti agricole che ha un notevole impatto sul comparto carni bovine soprattutto per i sistemi produttivi più intensivi, quelli cosiddetti “da ingrasso”;

• alle normative relative all’identificazione e registrazione dei bovini;

• alla normativa sulla rintracciabilità per quanto riguarda la gestione e lo stoccaggio dei mangimi e di tutte le sostanze che finiscono nell’alimentazione dell’animale destinato alla catena alimentare umana;

• alle norme per il benessere degli animali.

Il regolamento 1783/2003 prevede che la riduzione degli aiuti sia in proporzione “della gravità, della portata, della durata e della frequenza dell'inottemperanza constatata” e comunque stabilisce limiti inferiori e superiori che tengono conto dell’intenzionalità dell’infrazione, ovvero:

• in caso di negligenza, la percentuale di riduzione dovrà essere inferiore al 5%; • in caso di recidiva, al 15 %;

• in caso di infrazione dolosa, la percentuale di riduzione deve essere superiore al 20 %

• le sanzioni possono arrivare fino all'esclusione totale da uno o più regimi di aiuto per uno o più anni civili.

L'ammontare complessivo delle riduzioni non può comunque superare l’ammontare del pagamen- to diretto, quindi non si configura come una sanzione amministrativa, ma come un’esclusione dai benefi- ci del sostegno.

Di tutti i requisiti previsti attualmente nella condizionalità, il rispetto degli obblighi che nascono dalla direttiva nitrati si presenta come quello probabilmente più oneroso per la zootecnia italiana, a causa del prevalere di sistemi produttivi intensivi. In particolare, i maggiori oneri nascono dalla necessità di adeguare le caratteristiche degli impianti di stoccaggio, nonché di investire in terreni per spargere i reflui qualora quelli aziendali siano inferiori a quanto previsto dalla direttiva. Inoltre, si impongono cambia- menti organizzativi ed agronomici, per esempio nei periodi di spargimento dei liquami.

Per quanto riguarda le altre norme, ragioni sanitarie indipendenti dai pagamenti della PAC, già prima che la condizionalità fosse introdotta, i controlli sistematici sull’identificazione e su tutti i requisiti di igiene e salute degli animali da produzione erano una pratica consolidata di competenza dei servizi di sanità pubblica veterinaria.

Inoltre, il possesso del “passaporto” dell’animale era richiesto per accedere ai pagamenti diretti pre- visti nel comparto delle carni bovine già prima della Riforma Fischler. La mancata registrazione in anagra- fe e gli eventuali esiti negativi dei controlli sanitari sull’identificazione erano comunque motivo di ridu- zione dei pagamenti diretti. L’introduzione della condizionalità ha, però, richiesto una maggiore attività di coordinamento tra ente pagatore e servizi veterinari territoriali che risulta facilitato nelle regioni che hanno organismi pagatori regionali. Comunque, in base a quanto emerge dalla relazione che la Commissione ha prodotto nel marzo 2007 sull’applicazione del sistema di condizionalità, il 71% delle ina- dempienze constatate complessivamente riguardano l'identificazione e la registrazione dei bovini (Commissione europea, 2007a). Anche in Italia, in base ai dati forniti da Agea, i controlli per la condizio- nalità hanno rilevato infrazioni riguardanti l’identificazione degli animali, sebbene sembrerebbe trattarsi di infrazioni non gravi dal momento che hanno dato luogo a riduzioni di entità contenuta, cioè entro il 5%.

3.3 La zootecnia biologica

L’agricoltura biologica risponde in generale ad una duplice esigenza: da un canto essa produce benefici collettivi in termini di riduzione dell’impatto ambientale e di miglioramento del benessere degli animali, dall’altro risponde alle accresciute esigenze dei consumatori che a volte associano un maggior livello di salubrità agli alimenti provenienti da questo metodo di produzione. Il secondo aspetto può

essere disciplinato dalle regole commerciali che, comunque, vanno dettate in modo chiaro ed esaustivo, mentre la presenza di benefici collettivi giustifica l’impiego di risorse pubbliche per diffondere la cono- scenza e incentivare lo sviluppo del metodo biologico (Commissione Europea, 2004). L’esigenza di un quadro di riferimento normativo ha prodotto innanzitutto il regolamento 2092/1991 che ha stabilito i requisiti comuni per il riconoscimento ufficiale del metodo biologico di produzione. Per quanto riguarda in particolare la zootecnia, il regolamento 1804/1999 intervenuto a dettare norme specifiche per le produ- zioni animali, ha riconosciuto il ruolo positivo dell’allevamento nell’azienda che utilizza metodi di pro- duzione biologici in quanto permette di soddisfare il fabbisogno aziendale di materie organiche e di ele- menti nutritivi. Pertanto l’allevamento biologico è visto in primo luogo come uno strumento che consente all’azienda che opera con metodi di produzione biologica di essere più autonoma nell’approvvigiona- mento. Allo stesso tempo il regolamento prevede che l’animale sia alimentato “preferibilmente” con ali- menti prodotti nell’azienda. Sebbene sia chiaro al legislatore che l’autosufficienza aziendale non è un sistema facilmente perseguibile in concreto, essa è proposta come modello di riferimento per l’azienda biologica perché offre garanzia di affidabilità per il consumatore, nonché si pone come possibilità di instaurare un modello di agricoltura “durevole”. Oltre agli obiettivi ambientali l’allevamento biologico permette all’azienda di ampliare la gamma dei prodotti offerti e quindi migliorare la propria redditività.

Nel giugno del 2007 il regolamento 834 ha abrogato il regolamento 2092/91 dopo 15 anni di applicazione e riorganizzato il quadro normativo cercando di semplificarlo e unificarlo. Nei “consideran- do” del regolamento, entrato in vigore il 1° gennaio 2009, si ribadiscono i contenuti essenziali dell’agri- coltura biologica in termini di salvaguardia degli equilibri ambientali, di biodiversità, di benessere egli animali e si ribadisce il ruolo dell’allevamento come “componente essenziale dell’organizzazione della produzione agricola”, nonché il suo il legame con la terra.

Per quanto riguarda la diffusione in Italia del metodo di produzione biologico, com’è noto si tratta di una realtà di tutto rilievo. L’Italia detiene la più ampia superficie a biologico in Europa ed è seconda, dopo l’Austria, come incidenza del biologico sulla superficie agricola utilizzata (Eurostat, 2007, INEA 2008).

Per quanto riguarda le produzioni zootecniche, esse stanno progressivamente recuperando il ritar- do nell’introduzione del metodo biologico rispetto alle coltivazioni, in particolare i bovini hanno registra- to un trend crescente, che ha fatto raddoppiare il numero dei capi in 5 anni da 122 mila unità del 2002 a 244 mila del 2007 (SINAB 2007 e 2002). Del resto, uno degli obiettivi del Piano d’Azione nazionale per l’Agricoltura Biologica è quello di sviluppare la zootecnia con metodo biologico per valorizzare il patri- monio e la tradizione zootecnica nazionale, nonché “consentire l’ottimale gestione del ciclo della sostan- za organica alla base del metodo biologico e la valorizzazione delle produzioni cerealicole e foraggiere nazionali”.

Secondo analisi recenti, l’allevamento biologico, sebbene meno produttivo, sembrerebbe essere più efficiente di quello convenzionale (Povellato, 2005). Infatti, a causa dei minori costi di produzione, soprattutto variabili, si raggiunge mediamente una redditività più elevata. Ci sono però differenze signifi- cative a secondo di quanto pesa l’allevamento nella produzione complessiva dell’azienda, della tipologia di allevamento e, soprattutto, della capacità di valorizzare il prodotto.

3.4 Igiene, sicurezza e qualità per il comparto delle carni bovine