7. Discussione
7.4. Fattori di rischio ambientali per la salute nel campione longitudinale
7.4.2. Effetti sulla salute dell’esposizione agli inquinanti atmosferici
A differenza dei metodi tradizionali, con i metodi innovativi emergono associazioni con i sintomi bronchitici: i soggetti con età ≥ 47 anni mostrano un aumento del rischio di incidenza di SRC (sintomi specifici di BPCO) con PM10 a risoluzione spaziale di 1 km, NO2 e O3 estivo (Figura 7.10).
Recentemente, nell’ambito del progetto BEEP, in un sotto-campione di Pisa (soggetti residenti allo stesso indirizzo per tutto il periodo di studio), è stata mostrata un’associazione tra incrementi di 1 µg/m3 di PM2.5 ed aumento di rischio di sviluppare espettorato cronico (317%) e tra incrementi di 1 µg/m3 di PM
10 ed aumento di rischio di sviluppare BPCO (196%) (Fasola et al., 2020). Analogamente, i risultati derivati da un follow-up di 4 anni su una coorte britannica di 40-89 anni, mostrano un’associazione significativa tra aumenti interquartili di PM10 (3 µg/m3), PM2.5 (1.9 µg/m3) e NO2 (10.7 µg/m3) stimati all’indirizzo di residenza mediante un modello di dispersione, e il rischio di sviluppare BPCO, con un
Hazard Ratio (HR) di 1.10, 1.12 e 1.17 rispettivamente, mentre con l’O3 emerge un effetto protettivo (HR=0.88) (Atkinson et al., 2015). Cambiando prospettiva, nell’ambito dello studio SAPALDIA è stato mostrato che un declino dei livelli di PM10 (10 µg/m3) è associato
Figura 7.10 – Effetti respiratori significativi e borderline (% variazione del rischio di incidenza) dell’esposizione ambientale a traffico veicolare e agli inquinanti ambientali nel campione longitudinale stratificato per gruppi di età (≥ 47 anni) (modelli a singolo inquinante e multi-inquinante).
Q = esposizione al traffico veicolare da questionario; S_1km = Modelli di regressione logistica a singolo inquinante a risoluzione spaziale di 1km; S_200m = Modelli di regressione logistica a singolo inquinante a risoluzione spaziale di 200m; M1 = Modelli di regressione logistica multi-inquinante (PM10, NO2, O3 estivo a risoluzione spaziale di 200m); M2 = Modelli di regressione logistica multi-inquinante (PM2.5, NO2, O3 estivo a risoluzione spaziale di 200 m). In grassetto sono rappresentati i valori significativi (p value ≤ 0.05) e in corsivo i valori borderline (0.05 < p value ≤ 0.07).
83 58 83 -55 -93 -93 14 35 17 48 Ostruzione bronchiale Sibili Attacchi di difficoltà di respiro Attacchi di asma Diagnosi di asma Rinite allergica Dispnea SRC Diagnosi di BPCO Percentuale (%)
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ad un minor numero di nuove segnalazioni di espettorato cronico (OR 0.74, IC 95% 0.56- 0.99), tosse cronica (OR 0.77, IC 95% 0.62-0.97), tosse/espettorato cronico (OR 0.78, IC 95% 0.62-0.98) durante un follow-up di 11 anni, suggerendo una relazione tra la riduzione nell’inquinamento atmosferico e quella di sintomi bronchitici (Schindler et al., 2009).
Nei soggetti più giovani emerge anche una debole associazione tra il rischio di incidenza di dispnea (+43%) e incrementi unitari di PM10 a risoluzione spaziale di 200 m (Figura 7.9). Invece lo studio di Jacquemin e colleghi, mostra un’associazione tra il rischio di incidenza di sintomi correlati alla dispnea e l’esposizione a NO2 su un campione di popolazione giovane (20-44 anni al basale del follow-up) (Jacquemin et al., 2009b).
L’associazione tra l’esposizione al traffico veicolare ed il rischio di incidenza di rinite allergica viene confermata dalle misure oggettive dell’inquinamento atmosferico solamente nei soggetti più giovani (Figura 7.9). In letteratura sono pochi gli studi che hanno indagato le associazioni tra l’esposizione agli inquinanti atmosferici ed il rischio di incidenza di rinite allergica negli adulti e non è possibile confrontare l’incidenza di rinite allergica negli adulti con quella nei bambini perché i fenotipi della malattia risultano differenti (Burte et al., 2018). A differenza dei risultati di uno studio svolto su 2 coorti europee, in cui non era stata trovata associazione tra l’esposizione a lungo termine agli inquinanti (NO2, PM10 e PM2.5) e l’incidenza di rinite allergica (Burte et al., 2018), i nostri risultati mostrano un’associazione significativa tra incrementi unitari di PM10 a risoluzione spaziale di 200 m ed il rischio di incidenza di rinite allergica nei soggetti più giovani. Fasola e colleghi, hanno mostrato un’associazione tra incrementi di 1 µg/m3 di PM
2.5 ed il rischio di sviluppare rinite (125%) nel sotto-campione pisano (Fasola et al., 2020). Comunque, il ruolo del PM nell’incidenza di rinite allergica non è ancora ben conosciuto (Sompornrattanaphan et al., 2020), anche se è noto che è responsabile dell’aumento delle risposte immunologiche agli allergeni e dell’induzione di reazioni infiammatorie nelle vie aeree (Brunekreef & Sunyer, 2003; Lindgren et al., 2009; Eguiluz-Gracia et al., 2020).
Utilizzando i metodi innovativi per la valutazione dell’esposizione individuale, emergono associazioni con l’asma ed i sintomi dell’asma nel campione totale e stratificato per gruppi di età (Figura 7.8; Figura 7.9; Figura 7.10).
Il ruolo dell’inquinamento dell’aria sullo sviluppo di asma negli adulti è stato investigato solo in pochi studi (Jacquemin et al., 2012; Young et al., 2014; Modig et al., 2006) e non può essere estrapolato dagli studi sui bambini poiché l’incidenza di asma negli adulti e nei
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bambini è associata a fenotipi differenti (Jacquemin et al., 2015; Burte et al., 2016). In misura ancora minore sono disponibili studi sullo sviluppo di sintomi asmatici.
I nostri risultati mostrano un’associazione debole tra l’esposizione a incrementi unitari di PM10 a risoluzione spaziale di 200 m ed il rischio di incidenza di asma nel campione totale (Figura 7.8) e nei soggetti con età ≥ 47 anni al basale (Figura 7.10). Anche l’O3 estivo costituisce un fattore di rischio per l’incidenza di asma nei soggetti con età più avanzata (associazione confermata in parte dai modelli multi-inquinante), mentre nei soggetti più giovani (Figura 7.9) l’esposizione a incrementi unitari di NO2 aggiustato per PM2.5 e O3 estivo è associata debolmente ad un aumentato rischio di incidenza di asma.
Nonostante alcune evidenze suggeriscano il contributo del PM nello sviluppo di asma, i risultati sono contrastanti (Sompornrattanaphan et al., 2020; Jacquemin et al., 2015). Nell’ambito dello studio SAPALDIA, la variazione in un periodo di 11 anni del PM10 legato al traffico, stimato mediante un modello di dispersione e poi collegato a livello residenziale, è significativamente associata con il rischio di incidenza di asma, con un hazard ratio (HR) di 1.30 (IC 95% 1.05-1.61) per un cambiamento di 1 µg/m3 di PM10 (Künzli et al., 2009). Nell’ambito del progetto ESCAPE, è stata trovata un’associazione positiva tra l’incidenza di asma e l’esposizione a NO2 (stimata mediante modelli land use regression), sebbene le associazioni siano borderline, ma non con il PM10 e PM2.5 (Jacquemin et al., 2015). Bowatte e colleghi, hanno mostrato un’associazione tra l’esposizione a NO2, stimato mediante modelli di land use regression basati su dati satellitari, e l’incidenza di asma al follow-up (50 o 53 anni di età) (OR=1.37, IC 95% 1.00-1.88) (Bowatte et al., 2018). L’associazione tra l’incidenza nei soggetti più giovani e l’esposizione a lungo termine a NO2 viene confermata da altri studi (Jacquemin et al., 2009a; Jacquemin et al., 2009b). Nell’ambito dello studio multicentrico ECRHS su un campione di popolazione di età 20-44 anni al basale, viene mostrata un’associazione positiva tra l’incidenza di sintomi di asma, rappresentata come score, l’incidenza di diagnosi di asma ed incrementi di 10 µg/m3 di NO2, nei soggetti che non presentavano asma e sintomi asmatici al basale, trovando i seguenti risultati: OR=1.25, IC 95% 1.05-1.51 per lo score di asma (Jacquemin et al., 2009a) e OR=1.43, IC 95% 1.02-2.01 per l’incidenza di diagnosi di asma (Jacquemin et al., 2009b). Modig e colleghi, in uno studio multicentrico su un campione di popolazione di 20-44 anni al basale del follow-up, hanno mostrato un’associazione positiva tra l’esposizione a incrementi di 10 µg/m3 di NO
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incidenza di asma (OR=1.46, IC 95% 1.07-1.99; OR=1.54, IC 95% 1.00-2.36, rispettivamente) (Modig et al., 2009).
Per quanto riguarda l’O3, è noto da test sugli animali che l’esposizione a lungo termine a questo inquinante produca infiammazione cronica delle vie aeree (McDonnell et al., 1999). La formazione di O3 è favorita da temperature alte e stabili; ciò fa supporre che i cambiamenti climatici possano favorirne l’accumulo al livello del suolo, determinando un incremento del rischio di effetti sulla salute (D’Amato et al., 2014). I nostri risultati sono compatibili con lo studio di McDonnell e colleghi, nel quale è stata dimostrata un’alta associazione tra incrementi interquartili (27 ppb) di concentrazione di O3, misurato mediante centraline di monitoraggio, ed incidenza di asma negli uomini non fumatori (RR 2.09, IC 95% 1.03-4.16) (McDonnell et al., 1999).
Nel campione totale, l’esposizione a NO2 costituisce un fattore di rischio per l’incidenza di attacchi di asma, anche nel modello aggiustato per gli inquinanti PM2.5 e O3 estivo (Figura 7.8). Tale associazione è confermata nei soggetti con età ≤ 46 anni, rafforzata anche dai modelli multi-inquinante (Figura 7.9). Inoltre, nel campione totale emerge anche un’associazione borderline tra l’esposizione a NO2 e l’aumentato rischio di incidenza di sibili nel modello aggiustato per gli inquinanti PM10 e O3 estivo. Essendo l’NO2 un marcatore del traffico, questi risultati sono in linea con l’associazione ottenuta tra l’esposizione al traffico veicolare e gli attacchi di difficoltà di respiro nel campione totale e nei soggetti con età ≤ 46 anni.
I nostri risultati sono in accordo con lo studio ECRHS, nel quale è stata evidenziata un’associazione tra esposizione a incrementi di 10 µg/m3 di NO
2 e il rischio di incidenza di sintomi asmatici (sibili o fischi negli ultimi 12 mesi, difficoltà di respiro con sibili, sibili o fischi al di fuori dei comuni raffreddori, sensazione di oppressione al risveglio negli ultimi 12 mesi, attacchi di difficoltà di respiro a riposo negli ultimi 12 mesi, attacchi di difficoltà di respiro dopo l’attività negli ultimi 12 mesi, risveglio causato dalla mancanza di respiro negli ultimi 12 mesi) su un campione di popolazione giovane (20-44 anni al basale del
follow-up) (Jacquemin et al., 2009b). Uno studio su una coorte di donne americane ha valutato l’associazione tra l’incidenza di asma e sintomi asmatici ed esposizione a concentrazioni di NO2 stimate all’indirizzo residenziale, usando un modello nazionale land
use regression/kriging (Young et al., 2014). I risultati dello studio hanno mostrato che un
incremento interquartile di NO2 è associato ad un aumentato rischio di incidenza di sibili (OR=1.08, IC 95% 1.00-1.17) (Young et al., 2014).
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I risultati mostrano anche effetti protettivi degli inquinanti sui sintomi asmatici (attacchi di asma e di difficoltà di respiro, sibili) nel campione totale e stratificato per gruppi di età, contrariamente a quanto emerso utilizzando i metodi tradizionali. In particolare, l’esposizione a PM2.5 a risoluzione spaziale di 200 m, considerato singolarmente o in combinazione con altri inquinanti, mostra un effetto protettivo sul rischio di incidenza di attacchi di difficoltà di respiro nel campione totale e di sibili nei soggetti con età più avanzata. L’effetto protettivo sul rischio di incidenza di sibili è determinato anche dall’esposizione al PM10 in combinazione con gli altri inquinanti. Nei soggetti più giovani, l’esposizione a PM10 e PM2.5 a risoluzione spaziale di 1 km mostra un effetto protettivo sul rischio di incidenza di attacchi di difficoltà di respiro, mentre l’esposizione ad O3 estivo, aggiustato per PM2.5 e NO2, mostra un effetto protettivo sul rischio di incidenza di attacchi di asma.
I nostri risultati sono in contrasto con quelli di Young e colleghi, i quali mostrano associazioni significative tra l’esposizione a PM2.5 e l’aumentato rischio di incidenza di sibili (OR=1.14, IC 95% 1.04-1.26) in un campione di popolazione femminile di età media 55 anni (Young et al., 2014).
Come già discusso nei risultati del campione trasversale, gli effetti protettivi sui sintomi asmatici potrebbero essere legati al possibile trasferimento dei soggetti nel periodo intercorso tra PI2 e PI3 oppure all’autocontrollo delle patologie asmatiche, a causa della maggiore sensibilità dei soggetti asmatici.
Nei soggetti più giovani, l’esposizione ad incrementi unitari di PM2.5 a risoluzione spaziale di 200 m mostra un effetto protettivo anche sul rischio di incidenza di ostruzione bronchiale, confermato nel modello multi-inquinante (Figura 7.9). L’ostruzione bronchiale è uno dei primi indicatori di infiammazione cronica respiratoria e sistemica, associato allo sviluppo di BPCO; è quindi utilizzato per investigare gli effetti cronici dell’inquinamento atmosferico (Götschi et al., 2008; Guo et al., 2018). In letteratura, sono poche le indagini epidemiologiche sull’associazione tra l’inquinamento atmosferico e l’incidenza di ostruzione bronchiale (Götschi et al., 2008; Guo et al., 2018). Lo studio multi-centrico europeo ECRHS, con follow-up di 9 anni, su una popolazione di età 20-44 anni al basale, non ha trovato associazioni significative tra l’esposizione a PM2.5, misurato mediante centraline, ed i livelli di funzionalità polmonare (Götschi et al., 2008). In una coorte cinese, l’associazione tra la concentrazione di PM2.5, stimata mediante modellistica all’indirizzo di residenza, e l’incidenza di diagnosi di BPCO è stata analizzata dopo un follow-up di 6 anni
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di media su una coorte adulta: i soggetti esposti al quarto (>31.86 µg/m3), terzo (23.94–31.86 µg/m3), e secondo (21.42–23.94 µg/m3) quartile di PM2.5 mostrano un HR di 1.23, 1.30 e 1.39 per lo sviluppo di BPCO, rispettivamente e una riduzione della funzione polmonare (Guo et al., 2018).