• Non ci sono risultati.

3. Esposizione all’inquinamento atmosferico

3.2. Valutazione dell’esposizione a inquinanti ambientali

3.2.1. Metodi diretti

L’approccio diretto si basa sulla valutazione dell’esposizione a livello dell’individuo (Dias & Tchepel, 2018; U.S.EPA, 2019). Solitamente, tale approccio risulta essere più preciso nella valutazione dell’esposizione, ma anche più costoso (WHO, 2006). In epidemiologia ambientale, i metodi diretti possono essere applicati solamente a popolazioni ristrette perché i metodi di misura disponibili richiedono una fase operativa molto complessa, costosa e talvolta invasiva e quindi difficilmente accettabile dalle persone interessate (WHO, 2006). Rientrano in questi metodi il monitoraggio personale ed il monitoraggio biologico.

Monitoraggio Personale

Il monitoraggio personale è considerato come la stima più accurata dell’esposizione “totale” del soggetto (Zou et al., 2009). Questo metodo consiste nell’utilizzo di dosimetri, o monitori personali, che vengono indossati dall’individuo durante le normali attività giornaliere, in modo da avere una misura diretta dell’esposizione personale agli inquinanti (Sarno et al., 2013; Watson et al., 1988). Nell’ambito di uno studio epidemiologico, ai partecipanti solitamente viene richiesto di tenere un diario delle attività giornaliere durante tutto il periodo di monitoraggio (Watson et al., 1988). Diversi studi hanno integrato i monitori personali con l’utilizzo di GPS per ottenere informazioni sugli spostamenti giornalieri relativi alle attività dell’individuo (Dias & Tchepel, 2018). I dispositivi consistono in tubi di diffusione o a filtro, e vengono distinti in monitori attivi e passivi (Watson et al., 1988; Dias & Tchepel, 2018; Zou et al., 2009). I monitori attivi sono caratterizzati da una pompa ed una sorgente di energia per determinare un’aspirazione forzata verso il sensore e vengono utilizzati per valutare l’esposizione nel breve termine, ovvero in un arco temporale di 8-24 ore (Watson et al., 1988). Lo svantaggio di questi strumenti è che sono ingombranti, rumorosi e richiedono frequenti calibrazioni per garantire la validità dei dati raccolti (Watson et al., 1988). Invece, i monitori passivi sono semplici, piccoli, silenziosi, economici e facili da utilizzare e vengono indicati per la valutazione della concentrazione degli inquinanti

41

relativa ad un’esposizione media, ovvero in un arco temporale di diversi giorni (Watson et al., 1988; Sarno et al., 2013). Le misure ottenute con questo tipo di campionatori dipendono dalla diffusione degli inquinanti nell’aria, i quali vengono poi a contatto con il collettore o con il sensore (Watson et al., 1988; Zou et al., 2009). I monitori passivi possono essere usati sia per gli ambienti esterni sia per quelli interni e non necessitano di alimentazione elettrica (Sarno et al., 2013). In commercio vi sono campionatori con superficie diffusiva cilindrica anziché piana e con il substrato adsorbente contenuto in una cartuccia cilindrica coassiale (Sarno et al., 2013). La portata di campionamento è indipendente dall’umidità relativa, dalla velocità del vento (tra 0.01 e 10 m/s) ed è tale da garantire basse soglie di rilevabilità, dell’ordine di 0.1 µg/m3 (Sarno et al., 2013). Con un singolo campionatore possono essere rilevate diverse sostanze tossiche contemporaneamente (Sarno et al., 2013). Alcuni campionatori forniscono misure simultanee dei vari inquinanti, mediante sensori attivi per inquinanti inorganici e organici, altri invece devono essere sottoposti ad analisi chimiche in laboratorio specifiche per i diversi inquinanti (Koehler & Peters, 2015; ARPAV, 2013; IFC- CNR, 2016). La limitazione relativa all’uso dei monitori è che sono strumenti complessi, costosi (monitori attivi) e, in generale, richiedono molto tempo ed alta intensità di lavoro (Watson et al., 1988; Zou et al., 2009).

Monitoraggio biologico

Le diverse caratteristiche della funzione respiratoria determinano dosi differenti di inquinante a livello individuale, pur in presenza della stessa esposizione all’inquinamento atmosferico (Watson et al., 1988). L’esposizione, a sua volta, è fortemente dipendente dalla suscettibilità dell’individuo (Schulte, 1989). Quindi, dosi differenti, associate alla variazione nella suscettibilità individuale, introducono un’elevata incertezza nella valutazione dell’esposizione ambientale personale (Watson et al., 1988). Tali limitazioni insite nel monitoraggio personale possono essere superate con il monitoraggio biologico. Questo consiste nella misura dei contaminanti ambientali, o delle loro conseguenze biologiche, dopo che questi siano penetrati nel nostro organismo e, in particolare, all’interno dei tessuti o dei liquidi corporei (Watson et al., 1988). I marcatori biologici, o biomarkers, sono quindi parametri biologici di tipo biochimico, fisiologico, citologico o morfologico, ottenibili da tessuti o fluidi umani, o da gas espirati, che sono associati, direttamente o indirettamente, con l’esposizione ad un inquinante ambientale (Sarno et al., 2013; U.S.EPA, 2019). Per misurare i marcatori biologici, vengono analizzati preferibilmente i fluidi corporei, come urine, saliva e sangue, e l’aria espirata (Sarno et al., 2013; U.S.EPA, 2019). I marcatori

42

biologici possono misurare i contaminanti ambientali o i loro metaboliti presenti nei fluidi corporei o escreti, o misurare le risposte biologiche rilevabili in specifiche cellule e tessuti (Watson et al., 1998). Il vantaggio del monitoraggio biologico è che tramite i biomarkers si possono misurare le modifiche indotte dall’esposizione agli inquinanti sull’organismo prima che si sviluppi la malattia vera e propria (Sarno et al., 2013). Infatti, quando una sostanza tossica penetra nell’organismo, essa genera una serie di alterazioni o danni che possono essere rilevabili mediante i biomarkers (Sarno et al., 2013). Normalmente, l’organismo tende a proteggersi dalle sostanze tossiche innescando una serie di risposte adattative mediante l’attivazione di sistemi multienzimatici detossificanti, annullando o diminuendo così l’effetto tossico del composto inquinante (Sarno et al., 2013). Nel 1989, Schulte ha proposto un modello ancora oggi attuale, in cui viene rappresentato il processo che va dall’esposizione allo sviluppo della malattia in 7 tappe, ciascuna delle quali può essere studiata attraverso l’uso di specifici markers di esposizione o di effetto (Schulte, 1989). I markers di esposizione comprendono: indicatori di dose esterna, dose interna e dose biologica efficace; mentre nei markers di effetto vi sono: indicatori di effetto biologico precoce, di alterazioni strutturali/funzionali, di malattia e di prognosi (Schulte, 1989). In questo processo occorre comunque considerare la diversa capacità di risposta individuale alle interazioni con i vari tossici in relazione alla suscettibilità dell’ospite; quest’ultima può essere valutata tramite appositi markers: fattori genetici, fattori acquisiti e preesistenti condizioni patologiche (Schulte, 1989; Baldacci et al., 2009).

Le limitazioni relative al monitoraggio biologico riguardano la difficoltà nel distinguere i contributi delle diverse sostanze chimiche, poiché i biomarcatori forniscono una risposta integrata all’esposizione complessiva alla miscela di composti a cui è sottoposto l’organismo (Zou et al., 2009), e la difficoltà nell’individuare le relazioni esistenti fra le risposte a livello individuale e gli effetti a livello ecologico. Inoltre, i metodi analitici non sono disponibili per tutti gli inquinanti (U.S.EPA, 2019) ed hanno costi elevati (Zou et al., 2009).