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3. Esposizione all’inquinamento atmosferico

3.2. Valutazione dell’esposizione a inquinanti ambientali

3.2.2. Metodi indiretti

L’approccio indiretto di valutazione dell’esposizione si basa sulla combinazione di dati di concentrazione degli inquinanti con le informazioni sulla popolazione (Watson et al., 1988; Dias & Tchepel, 2018; U.S.EPA, 2019). Rispetto ai metodi diretti, l’approccio indiretto risulta essere più economico ma meno preciso (Watson et al., 1988). L’esposizione della

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popolazione viene valutata, ad esempio, tramite il monitoraggio ambientale, biomonitoraggio di organismi viventi, modelli di inquinamento e diversi proxy, come riportato in seguito.

Monitoraggio ambientale

La rete di monitoraggio della qualità dell’aria consiste in una serie di centraline fisse, distribuite sul territorio, le quali registrano concentrazioni di specifici inquinanti (Sarno et al., 2013). Le stazioni di misura vengono classificate in base alla tipologia della stazione stessa, alla tipologia ed alle caratteristiche della zona, in seguito a quanto stabilito dalla Decisione 2001/752/CE (De’Munari et al., 2004). Si individuano, quindi, le seguenti stazioni (Decisione 2001/752/CE):

➢ per tipologia di stazione: • traffico

• di fondo (background) • industria

➢ per tipologia di area: • urbana

• suburbana • rurale

L’obiettivo principale dello sviluppo di una rete di monitoraggio della qualità dell’aria è la protezione della salute umana e degli ecosistemi (De’Munari et al., 2004). Le centraline devono fornire dati di qualità dell’aria indicativi dell’esposizione della popolazione, all’interno di zone o agglomerati rappresentativi dal punto di vista dell’inquinamento atmosferico (De’Munari et al., 2004). Per agglomerati si intendono zone costituite da un’area urbana o da un insieme di aree urbane, con popolazione superiore a 250000 abitanti, o inferiore ma con una densità abitativa per km2 superiore a 3000 abitanti; mentre per zone si intendono tutte le altre aree che sono esterne agli agglomerati (D.lgs. 155/2010). Secondo le indicazioni del D.lgs. 155/2010, in seguito alla classificazione delle zone, all’individuazione degli inquinanti da misurare in siti fissi ed alla determinazione del numero di punti di misura, devono essere individuate stazioni di fondo e di traffico per le fonti diffuse, mentre devono essere individuate stazioni industriali per le fonti puntuali. Per quanto riguarda l’ozono, è

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previsto solamente l’utilizzo di stazioni di fondo, mentre la zona può essere urbana, suburbana o rurale (D.lgs. 155/2010).

La frequenza dei dati ottenibili tramite la strumentazione disponibile in Italia varia da un’ora a 24 ore, a seconda dell’inquinante misurato (Sarno et al., 2013). Alcuni inquinanti, come CO, SO2, NOx, O3, PM10, vengono monitorati esclusivamente con strumentazione automatica; altri, come il benzene, possono essere determinati con strumentazione automatica o con tecniche manuali, mentre i metalli e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) richiedono tecniche analitiche non automatizzate (Sarno et al., 2013). Generalmente, i valori rilevati mediante analizzatori automatici vengono espressi in medie orarie, mentre quelli rilevati manualmente vengono espressi in medie giornaliere (Sarno et al., 2013).

La gestione della rete di monitoraggio è attribuita alle regioni od alle province autonome, le quali possono delegare il compito alle Agenzie Regionali o Provinciali per la Protezione dell’Ambiente (ARPA o APPA) oppure ad altri soggetti pubblici o privati (D.lgs. 155/2010). I compiti attribuiti a questi enti riguardano le modalità di gestione della stazione e di raccolta, trattamento e validazione dei dati (D.lgs. 155/2010). Inoltre, le regioni e le province autonome ogni anno devono stilare e mettere a disposizione del pubblico relazioni annuali contenenti una sintetica illustrazione circa i superamenti dei valori limite, dei valori obiettivo, degli obiettivi a lungo termine, delle soglie di informazione e delle soglie di allarme con riferimento ai periodi di mediazione previsti e con una sintetica valutazione degli effetti di tali superamenti (D.lgs. 155/2010).

Biomonitoraggio mediante licheni e muschi

Le tecniche di biomonitoraggio si avvalgono dell’utilizzo di organismi viventi per valutare la qualità dell’aria, basandosi sulla risposta di questi alle variazioni indotte dall’inquinamento (bioindicatori) o alla loro capacità di accumulare sostanze inquinanti (bioaccumulatori) (Gerdol et al., 2014). I licheni epifiti sono organismi simbiotici composti da cianobatteri (organismi unicellulari procarioti) e funghi, che si procurano i nutrienti dall’atmosfera, accumulando così anche gli inquinanti atmosferici (Paoli et al., 2015; Landis et al., 2019). Diversamente dalle piante vascolari, i licheni non hanno una cuticola o cellule specializzate per controllare lo scambio di acqua, nutrienti, gas e contaminanti con l’ambiente esterno (Paoli et al., 2015; Landis et al., 2019). Di conseguenza, i licheni sono eccellenti bioindicatori, incorporando inquinanti atmosferici organici ed inorganici mediante i processi di deposizione umida e secca (Landis et al., 2019). Inoltre, variano il loro stato

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fisiologico, la composizione della comunità vivente ed il contenuto degli elementi al loro interno in base alle variazioni spaziali e temporali degli inquinanti atmosferici (Paoli et al., 2015). I muschi hanno anch’essi una grande capacità di accumulare inquinanti atmosferici, come metalli e composti organici, grazie alle loro caratteristiche morfologiche e fisiologiche (Gerdol et al., 2014).

Il monitoraggio viene effettuato con ripetute indagini, rivelando trend temporali della qualità dell’aria (Gerdol et al., 2014). Da diversi studi, risulta che esiste una correlazione negativa fra la quantità di licheni e le concentrazioni di metalli in tracce nei muschi e/o nei licheni (Gerdol et al., 2014). I licheni rispondono con relativa velocità al peggioramento della qualità dell’aria e possono ricolonizzare in pochi anni ambienti urbani e industriali nel caso in cui si verifichino miglioramenti delle condizioni ambientali, come evidenziato in molte parti d’Europa (Sarno et al., 2013) grazie anche ad una riduzione delle emissioni di SO2 (Gerdol et al., 2014). Durante il biomonitoraggio si possono andare ad osservare diverse caratteristiche dei licheni, come la loro dimensione, la densità della popolazione, il colore e la forma del tallo (Sarno et al., 2013). I vantaggi di questa tecnica sono diversi: ha costi decisamente contenuti e tempi di esecuzione brevi, determina la possibilità di realizzare reti di monitoraggio diffuse sul territorio ed evidenzia gli effetti sinergici dei vari inquinanti atmosferici (Sarno et al., 2013).

Sistema Informativo Geografico (GIS)

La tecnologia avanzata GIS, insieme ad una maggiore disponibilità dei dati geografici, ha determinato nuove opportunità per lo sviluppo dell’epidemiologia ambientale, permettendo di approfondire lo studio dell’associazione fra l’esposizione ambientale e la distribuzione spaziale delle malattie (Nuvolone et al., 2011). Il GIS è uno strumento informatico che permette di acquisire, analizzare e gestire elementi grafici e geografici (Sarno et al., 2013). In un software GIS gli oggetti possono essere interrogati e, caratteristica ancora più importante, sono georeferenziati, mediante coordinate spaziali attribuite secondo determinati sistemi di riferimento cartografici (Noti, 2014). Ogni oggetto è caratterizzato da una geometria, definita da primitive geometriche o dati vettoriali (punto, linea poligono), e da un

database degli attributi, nel quale sono racchiuse le informazioni descrittive dell’oggetto

stesso (Noti, 2014). L’insieme di oggetti costituisce i layers, ovvero gli strati o livelli sovrapposti, che possono essere confrontati fra loro (Noti, 2014).

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Il GIS permette di creare collegamenti spaziali fra diverse tipologie di dati, come ad esempio gli indirizzi residenziali, il livello di esposizione ambientale e le informazioni demografiche, mediante tecniche di geoprocessing (Noti, 2014). Queste tecniche hanno la finalità principale di analizzare ed estrarre nuove informazioni dai dati geografici, vettoriali (punto, linea, poligono) e raster (caratterizzati da pixel), mediante una serie di operazioni spaziali, creando nuovi layers di output (Noti, 2014). Il geoprocessing comprende operazioni come la sovrapposizione di layers (overlay), l’analisi di prossimità (buffer, poligono di Thiessen),

join spaziali (spatial join) e la realizzazione di superfici statistiche attraverso processi

interpolativi (Digital Elevation Model, DEM) (Noti, 2014).

Negli ultimi anni, il GIS è diventato una componente essenziale negli studi epidemiologici, in quanto permette di approfondire la valutazione delle relazioni tra gli indicatori di danno alla salute e l’esposizione ambientale (Sarno et al., 2013). In epidemiologia ambientale, vengono utilizzate in particolare le seguenti analisi (Sarno et al., 2013):

• il processo di overlay, che permette di sovrapporre più layers informativi. Ad esempio può essere utilizzato per sovrapporre all’area di indagine i layers relativi all’indagine epidemiologica, all’analisi del suolo ed alla qualità dell’aria;

• creazione di buffer, ovvero aree di rispetto intorno ad una primitiva geometrica. Ad esempio, per la valutazione dell’esposizione al traffico, possono essere costruiti

buffer a 100 metri dalle strade di interesse, che permettono di analizzare indicatori

sanitari dei soggetti che vi risiedono rispetto a quelli di coloro che risiedono a maggiore distanza;

• la georeferenziazione dei dati, ovvero l’individuazione per ogni elemento delle proprie coordinate geografiche sul territorio. Ad esempio, viene georeferenziato l’indirizzo dei soggetti partecipanti allo studio epidemiologico.

Proxy di esposizione al traffico

I proxy di esposizione al traffico maggiormente utilizzati in epidemiologia ambientale sono la distanza della residenza dalle strade, i flussi di traffico lungo le strade residenziali ed i chilometri percorsi in una determinata sezione stradale (Sarno et al., 2013).

Negli studi epidemiologici, la distanza della residenza dalle strade rappresenta una misura di esposizione al traffico veicolare molto utilizzata (Nuvolone et al., 2011; Lindgren et al., 2009; Ferguson et al., 2004; Yi et al., 2017; Cesaroni et al., 2008; Zou et al., 2009). Questo tipo di proxy viene anche definito come modello di prossimità, basato sulla misura della

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prossimità del recettore alla sorgente di inquinamento, assumendo che l’esposizione vicino alla fonte di emissione sia più elevata rispetto a quella che si può osservare lontano dalla sorgente (Zou et al, 2009). Dalla letteratura, ci sono evidenze sempre più marcate che questo metodo sia un’approssimazione accurata per valutare l’esposizione all’inquinamento da traffico (Zou et al., 2009). Nel caso dei bambini è stata utilizzata anche la distanza della scuola da strade principali con alti volumi di traffico (Ferguson et al., 2004; Yi et al., 2017; Zou et al., 2009). Questo metodo viene spesso applicato con l’ausilio del software GIS, quando vi è la possibilità di georeferenziare gli indirizzi (Nuvolone et al., 2011; Lindgren et al., 2009; Ferguson et al., 2004; Yi et al., 2017; Cesaroni et al., 2008). Solitamente per classificare i soggetti in relazione all’esposizione, si utilizza la distanza dell’abitazione dalla strada pari a 100 metri, supponendo che oltre questa distanza il traffico non influenzi o influenzi in modo minore i livelli di inquinamento (Sarno et al., 2013; Dias & Tchepel, 2018).

I flussi di traffico lungo le strade residenziali o in prossimità della residenza costituiscono una misura più valida rispetto alla distanza dalle strade (Ferguson et al., 2004). Il metodo consiste nel misurare quanto traffico scorre nella strada di residenza o, nel caso dei bambini, in prossimità delle scuole (Ferguson et al., 2004).

I chilometri percorsi in una determinata sezione stradale sono un’ulteriore misura di valutazione dell’esposizione al traffico, che consiste nella moltiplicazione del flusso di traffico per la lunghezza di una sezione stradale (Ferguson et al., 2004). Questo metodo ha il vantaggio di ottenere una valutazione dell’esposizione più accurata rispetto alla misura del flusso di traffico (Ferguson et al., 2004).

L’utilizzo dei proxy di esposizione al traffico ha alcune limitazioni, perché si presuppone che i soggetti appartenenti alla stessa classe di esposizione siano sottoposti allo stesso livello di esposizione (Sarno et al., 2013). In realtà, per quanto riguarda i modelli di prossimità, non tutte le persone che abitano entro una certa distanza dalla strada sono sottoposte allo stesso livello di inquinamento (Sarno et al., 2013). Inoltre, non viene tenuto di conto degli spostamenti giornalieri dell’individuo e del tempo trascorso in ambienti confinati o esterni, i quali influiscono sull’esposizione giornaliera individuale (Ferguson et al., 2004). Sarebbe utile anche considerare la tipologia di traffico preponderante che interessa la strada considerata (Ferguson et al., 2004). Infatti, l’inquinamento da traffico pesante (bus, camion) risulta essere più nocivo per la salute umana rispetto a quello leggero (auto) (Ferguson et al., 2004). I camion producono quantità maggiori di particolato dalla combustione parziale del

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diesel rispetto alle auto (Ferguson et al., 2004). Inoltre, nessuno di questi metodi tiene in considerazione l’influenza degli edifici sulla dispersione degli inquinanti, la presenza di fermate dell’autobus e di incroci in prossimità dell’abitazione, che possono essere fattori rilevanti nella valutazione dell’esposizione (Ferguson et al., 2004). Pertanto, utilizzando questi proxy si ottiene con alta probabilità una misclassificazione dell’esposizione, ovvero una serie di errori sistematici relativi all’attribuzione dell’esposizione ai soggetti (Zou et al., 2009; U.S.EPA, 2019).

Dati da questionario

L’esposizione ambientale può essere stimata anche tramite la somministrazione di questionari ad un campione di popolazione (Nieuwenhuijsen, 2005). Questo metodo può essere utilizzato nel caso in cui non siano disponibili altre sorgenti di informazione relative all’esposizione e/o nel caso di indagini con dimensioni campionarie molto ampie (Nieuwenhuijsen, 2005; Coggon, 1995).

Dai questionari si possono ottenere informazioni sulla presenza, durata, frequenza e tipo di esposizione (Nieuwenhuijsen, 2005). L’utilizzo di questionari può portare ad una sottostima dell’esposizione, in quanto i soggetti possono avere difficoltà nel ricordare l’esposizione passata oppure nel comprendere le domande (Nieuwenhuijsen, 2005; Coggon, 1995). Tuttavia, è possibile ottenere anche una sovrastima dell’esposizione dipendente dall’alterata percezione del soggetto nel valutare il proprio stato di salute (Coggon, 1995). È importante, quindi, che le domande siano poste correttamente, in modo chiaro e semplice (Nieuwenhuijsen, 2005). I questionari possono essere autosomministrati o somministrati da un intervistatore mediante intervista face to face o telefonica (Nieuwenhuijsen, 2005). Solitamente, i questionari somministrati da un intervistatore hanno un tasso di risposta maggiore rispetto alle altre modalità (Nieuwenhuijsen, 2005). È necessario che il questionario non sia troppo lungo, per non diminuire il tasso di risposta e di completezza (Nieuwenhuijsen, 2005).

Modellistica ambientale

La valutazione dell’esposizione tramite modelli matematici si esplica nella stima delle concentrazioni ambientali di un determinato territorio sulla base di dati di monitoraggio esistenti, e nell’estrapolazione a popolazioni ed aree nelle quali non sono disponibili tali dati (Özkaynak et al., 2013; U.S.EPA, 2019).

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I modelli di qualità dell’aria stimano le concentrazioni di diversi tipi di inquinanti ad una scala spaziale e temporale definita, utilizzando come input dati meteorologici e delle sorgenti di emissione, ed equazioni numeriche per definire i processi fisico-chimici di trasporto, dispersione e deposizione degli inquinanti (modellistica euleriana e lagrangiana) (Zou et al., 2009; Özkaynak et al., 2013). Esistono differenti modelli di qualità dell’aria in base alla scala spaziale considerata (regionale, urbana, locale) e al livello di dettaglio definito dalle equazioni numeriche (Özkaynak et al., 2013). Recentemente, per gli studi epidemiologici vengono utilizzati anche dati ambientali rilevati tramite remote sensing o satellite (Özkaynak et al., 2013). Il remote sensing è particolarmente utile nelle aree dove le centraline di monitoraggio sono scarse ed hanno, quindi, una bassa risoluzione spaziale e temporale (Zou et al., 2009; Özkaynak et al., 2013). Questa tecnica si basa sull’utilizzo delle proprietà ottiche dell’aerosol atmosferico in combinazione con le immagini satellitari per produrre stime indirette delle concentrazioni degli inquinanti al livello del suolo (Özkaynak et al., 2013). Diversi studi hanno mostrato un’alta correlazione fra le misure stimate con il remote sensing e le misure dirette a livello del suolo dei PM10, PM2.5 e NO2 (Zou et al., 2009; Özkaynak et al., 2013). Sebbene questi modelli abbiano il vantaggio di migliorare la risoluzione spaziale e temporale della stima dell’esposizione, sono molto costosi e richiedono l’analisi di molti dati (Özkaynak et al., 2013).

I modelli di dispersione sono una tipologia di modelli di qualità dell’aria che permette di stimare la concentrazione degli inquinanti in atmosfera tenendo conto delle caratteristiche meteo-climatiche e topografiche del territorio e delle caratteristiche delle emissioni derivanti da sorgenti presenti nell’area (Özkaynak et al., 2013; Baldacci et al., 2009). Grazie allo sviluppo di questi modelli, è possibile valutare l’esposizione agli inquinanti emessi dal traffico in un contesto urbano (Baldacci et al., 2009; Zou et al., 2009). In particolare, questi modelli sono indicati per la valutazione dell’esposizione a breve termine (Gulliver & Briggs, 2011).

I modelli di land-use regression (LUR) sono modelli empirici che combinano il monitoraggio dell’inquinamento dell’aria in un numero limitato di punti con lo sviluppo di modelli stocastici utilizzando predittori generalmente ottenuti mediante sistemi di informazione geografica (GIS) (Hoek et al., 2008). Il modello viene poi applicato ad un’area più grande, dove non si hanno misure dirette (Hoek et al., 2008). Questi modelli vengono utilizzati spesso per capire se ci sono associazioni fra le variazioni spaziali delle malattie ed i differenti livelli di esposizione agli inquinanti atmosferici (Özkaynak et al., 2013). Nei

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modelli land-use regression vengono inserite anche variabili meteorologiche, di altitudine, di traffico, densità di popolazione ed uso del suolo (Hoek et al., 2008; Özkaynak et al., 2013). I modelli land-use regression vengono utilizzati generalmente per valutare l’esposizione a lungo termine, considerando le concentrazioni medie annuali di inquinanti come NOx, PM2.5 e VOCs (Hoek et al., 2008). Questo metodo utilizzato in ambiente urbano è praticamente equivalente o anche migliore dei metodi geo-statistici, come il kriging e i modelli di dispersione convenzionali (Hoek et al., 2008). Rispetto ai modelli di dispersione, i modelli di land-use regression richiedono meno dettagli riguardo ai dati di input ma, allo stesso tempo, richiedono dati di monitoraggio per un numero sufficientemente grande di siti (Hoek et al., 2008).

L'incertezza associata alla modellistica ambientale in genere è relativa alle limitazioni delle informazioni disponibili o dei dati di input dei parametri considerati ed alle limitazioni delle tecniche di modellazione utilizzate nel simulare processi fisici, chimici e comportamentali o stocastici complessi (U.S.EPA, 2019).