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4. Effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico

4.1. Effetti respiratori cronici

4.1.2. Inquinamento atmosferico e mortalità per effetti respiratori cronici

A livello globale, l’OMS ha stimato che il 23% di tutti i decessi possano essere attribuiti a condizioni di vita e lavorative in un ambiente malsano (WHO, 2016). In totale, sulla base dei dati del 2012, il numero di decessi legati all'inquinamento ambientale, considerato nel suo insieme, è pari a 12.6 milioni all’anno: di questi, circa 8 milioni di decessi sono attribuibili all’inquinamento atmosferico, sia in ambienti confinati (4.3 milioni), sia all’aperto (3.7 milioni) (WHO, 2016).

Secondo i risultati dello studio Global Burden of Disease 2017, nel 2017 l’inquinamento atmosferico ha determinato 4.9 milioni di decessi per tutte le cause (GBD, 2018b). In particolare, l’inquinamento atmosferico outdoor da particolato ha determinato 2.9 milioni di decessi per tutte le cause, di cui 433000 a causa di infezioni al tratto respiratorio inferiore e 633000 a causa di BPCO (GBD, 2018b). Dal 2007 al 2017, il numero di decessi a livello globale a causa dell’inquinamento atmosferico outdoor da particolato è aumentato del

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21.6%: del 2.9% per infezioni al tratto respiratorio inferiore e del 22.1% per la BPCO (GBD, 2018b).

Dai risultati dello studio Global Burden of Disease 2015, a livello globale 4.2 milioni di decessi sono attribuibili all’esposizione a lungo termine a PM2.5, che è quindi risultato il quinto fattore di rischio per decessi a livello globale nel 2015 (Cohen et al., 2017): il PM2.5

outdoor ha contribuito alla mortalità per infezioni alle vie respiratorie inferiori per il 24.7%

e per BPCO per il 27.1% (Cohen et al., 2017). L’O3 è risultato essere invece il 34° fattore di rischio per mortalità globale, con 254000 decessi nel 2015 (Cohen et al., 2017). La mortalità per BPCO attribuibile all’esposizione a O3 è risultata aumentata (Cohen et al., 2017). Sulla base dei risultati delle numerose indagini esiste una forte evidenza che l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico porti ad un aumento della mortalità per tutte le cause (Dominici et al., 2019). Esistono inoltre prove epidemiologiche convincenti che esposizioni a lungo termine ad inquinanti atmosferici, tra cui PM, ozono, black carbon e ossidi di azoto siano associate ad un aumento della mortalità respiratoria (Thurston et al., 2017).

Nel 2002 Pope e colleghi hanno pubblicato i risultati di una delle prime indagini epidemiologiche sugli effetti cronici dell’esposizione a lungo termine a PM2.5 (Pope et al., 2002). La popolazione di studio ha riguardato 500000 americani, appartenenti a 50 Stati ed 1 distretto federale, per un periodo temporale di 16 anni (1982-1998). Per quanto riguarda il PM2.5, sono stati utilizzati i dati dei periodi 1979-1983 e 1999-2000 (Pope et al., 2002). Lo studio ha riportato un’associazione fra l’inquinamento atmosferico outdoor da particolato fine ed il rischio di mortalità cardiopolmonare (Pope et al., 2002). In particolare, ogni incremento di 10 µg/m3 di PM2.5 è risultato associato ad incrementi del rischio di mortalità per tutte le cause, per cause cardiopolmonari e per cancro polmonare del 4%, 6% e 8%, rispettivamente (Pope et al., 2002).

Lo studio longitudinale americano Cancer Prevention Study II dell’American Cancer

Society, eseguito dal 1982 al 2000, ha inoltre evidenziato un incremento del 4% nella

mortalità per cause respiratorie in associazione ad un aumento di 10 ppb nella concentrazione di O3 (Jerrett et al., 2009).

Dominici e colleghi, mediante uno studio su un campione di popolazione americano con età maggiore di 65 anni hanno osservato un’associazione fra mortalità totale ed esposizione a lungo termine a PM2.5 e O3, anche a livelli inferiori agli standard nazionali di qualità dell’aria (Dominici et al., 2019).

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A livello europeo, secondo i dati aggiornati al 2016 pubblicati dall’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA) su 28 Stati Membri (UE-28), le morti premature per il PM2.5 sono state 374000, per il NO2 sono state 68000 e per l’O3 14000 (EEA, 2019a). Gli anni di vita persi (YLL) per il PM2.5 sono stati 3.8 milioni, per il NO2 sono stati 682000 e per l’O3 149000 (EEA, 2019a).

Nel progetto ESCAPE (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects) è stata valutata l’associazione fra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento outdoor e la mortalità (Beelen et al., 2014). Lo studio multicentrico ha riguardato 22 coorti di 13 paesi europei (Beelen et al., 2014). I risultati hanno mostrato un’associazione fra l’esposizione a lungo termine a PM2.5 e la mortalità per cause naturali in gran parte delle coorti europee oggetto di studio (Beelen et al., 2014). Le associazioni sono risultate elevate e statisticamente significative anche per concentrazioni di PM2.5 al di sotto del valore limite annuale europeo di 25 µg/m3 (Beelen et al., 2014).

Anche una revisione di studi europei, condotti nel periodo 2002-2007, ha evidenziato l’associazione tra esposizione a lungo termine a particolato atmosferico e mortalità, in particolare attribuita a cause respiratorie (Pelucchi et al., 2009).

Un follow-up di 12 anni su un campione di popolazione nazionale francese ha confermato gli effetti avversi degli inquinanti atmosferici sulla mortalità totale e respiratoria (Sanyal et al., 2018). In particolare, gli effetti avversi più importanti sono stati attribuiti all’esposizione a lungo termine a PM10 e PM2.5 (Sanyal et al., 2018). Anche la presenza di NO2 nell'atmosfera ha mostrato un’influenza determinante sulla mortalità, al contrario dell’O3 (Sanyal et al., 2018).

Gehring e colleghi hanno valutato l’associazione fra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento originato dal traffico veicolare e la mortalità per cause cardiopolmonari in un campione di 4757 donne tedesche di 50-59 anni: quelle residenti entro 50 metri dalle strade trafficate hanno mostrato un aumento del rischio del 70% di mortalità per cause cardiopolmonari rispetto alle donne residenti oltre 50 metri (Gehring et al., 2006). I risultati del follow-up di 18 anni condotto sullo stesso campione di popolazione, hanno messo in evidenza aumenti significativi del rischio di mortalità per cause cardiorespiratorie per incrementi relativamente modesti di PM10 (7 μg/m3) e del rischio di mortalità per tutte le cause e cause cardiorespiratorie per incrementi di NO2 (16 μg/m3) (Heinrich et al., 2013). Quindi, vivere vicino a strade trafficate è risultato associato ad un aumento del rischio di mortalità sia per tutte le cause, che per cause cardiorespiratorie e respiratorie (Heinrich et al., 2013).

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In Olanda, Hoek e colleghi hanno esaminato il rapporto tra esposizione a lungo termine al traffico e mortalità, nell’ambito dello studio di coorte “Diet and Cancer” (NLCS) svoltosi dal 1986 al 1994, su un campione di 5000 persone di età 55-69 anni (Hoek et al., 2002). È emerso che vivere in prossimità di una strada trafficata rappresenta un fattore di rischio per la mortalità per cause naturali e cardiopolmonari (Hoek et al., 2002).

Uno studio di coorte condotto in Olanda su 120.852 soggetti nel periodo temporale 1987- 1996 mostra un’associazione tra PM2.5 e mortalità generale e tra NO2 e mortalità generale e respiratoria, confermando così l’associazione tra mortalità per cause cardiopolmonari e inquinamento da traffico (Beelen et al., 2008).

A livello italiano, dal Report del 2019 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, nel 2016 si stimano circa 58600 morti premature per il PM2.5, 14600 per l’NO2 e 3000 per l’O3 (EEA, 2019a). Inoltre, in Italia, si stimano nel 2016 circa 550600 anni di vita persi per il PM2.5, 137500 per l’NO2 e 29100 per l’O3 (EEA, 2019a).

Uno studio effettuato nel Nord Italia su 24.000 residenti ha mostrato che l’esposizione a lungo termine a PM2.5 è associata alla perdita annuale, di 433 e 180 anni di vita per 100000 residenti, per mortalità prematura per tutte le cause e per le cause cardiopolmonari, rispettivamente (Fattore et al., 2011).

Renzi e colleghi, hanno effettuato uno studio sulla regione Lazio con un follow-up di 6 anni (2006-2012), riscontrando un’associazione positiva fra l’esposizione a lungo termine a PM10 e la mortalità causa-specifica nell’intera regione; ad un aumento di 1 µg/m3 di PM10 è associato un aumento del rischio della mortalità per cause non accidentali e respiratorie rispettivamente del 0.75% e dell’1.42% (Renzi et al., 2019). Inoltre, i risultati dello studio suggeriscono effetti sanitari diversi del PM10 in relazione alle dimensioni della città, probabilmente a causa di una differente composizione del particolato: effetti sulla mortalità non accidentale in città con meno di 5000 abitanti ed effetti su quella respiratoria nelle città più grandi (Renzi et al., 2019).

Uno studio condotto sui residenti nel Comune di Roma con un follow-up di 9 anni (2001- 2010) ha evidenziato un aumento del rischio di mortalità non accidentale associato ad esposizione a lungo termine sia all’NO2 sia al PM2.5; in particolare, per la mortalità per cause respiratorie è emersa un’associazione con l’esposizione a lungo termine a NO2 (Cesaroni et al., 2013).

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