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AGISTRALE IN
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CIENZE
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MBIENTALI
Effetti dell'inquinamento outdoor sulla salute respiratoria di un
campione di popolazione generale di Pisa/Cascina: metodi
tradizionali e innovativi per la valutazione dell'esposizione
individuale
Relatore: Dott.ssa Sandra Baldacci
Correlatore: Dott.ssa Sara Maio
Prof. Giovanni Viegi
Controrelatore: Prof.ssa Elisabetta
Orlandini
Candidato:
SOFIA TAGLIAFERRO
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Indice
Riassunto 4 Abstract 6 1. Introduzione 7 2. Inquinamento atmosferico 102.1. Definizione di inquinamento atmosferico 10
2.2. Classificazione degli inquinanti atmosferici 11
2.3. L’inquinamento atmosferico in ambiente urbano 12
2.4. La situazione in Italia 14
2.5. Principali inquinanti in ambiente urbano 19
2.5.1. Ossidi di zolfo (SOx) 19
2.5.2. Ossidi di azoto (NOx) 20
2.5.3. Particolato atmosferico (PM) 22
2.5.4. Ozono (O3) 24
2.5.5. Composti Organici Volatili (COV) 27
2.6. Interazione fra il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico 27
2.6.1. Cambiamento climatico nell’area mediterranea 29
2.6.2. Ondate di calore 31
2.7. Normativa attuale in materia di inquinamento atmosferico 33
2.7.1. I valori guida dell’OMS 34
3. Esposizione all’inquinamento atmosferico 37
3.1. Definizione di esposizione 37
3.2. Valutazione dell’esposizione a inquinanti ambientali 39
3.2.1. Metodi diretti 40
3.2.2. Metodi indiretti 42
3.3. Progetto BEEP: un nuovo approccio dell’epidemiologia ambientale 50
3.3.1. Modelli deterministici 52
3.3.2. Modelli di apprendimento automatico 54
4. Effetti sulla salute dell’inquinamento atmosferico 58
4.1. Effetti respiratori cronici 62
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4.1.2. Inquinamento atmosferico e mortalità per effetti respiratori cronici 62
4.1.3. Morbosità delle malattie respiratorie croniche 65
4.1.4. Inquinamento atmosferico e morbosità degli effetti respiratori cronici 68
4.2. Effetti respiratori acuti 71
4.2.1. Inquinamento atmosferico e mortalità per effetti respiratori acuti 71
4.2.2. Inquinamento atmosferico e morbosità degli effetti respiratori acuti 74
5. Materiali e metodi 77
5.1. Popolazione di studio 77
5.2. Metodi di raccolta dati 77
5.2.1. Questionario 77
5.2.2. Prove di funzionalità respiratoria 78
5.2.3. Modellistica ambientale 78
5.3. Dati ambientali 79
5.3.1. Esposizione al traffico veicolare 79
5.3.2. Inquinanti ambientali 79
5.4. Dati sanitari 80
5.4.1. Sintomi, malattie e condizioni respiratori investigati 80
5.5. Fattori di confondimento 81
5.6. Analisi statistiche 82
6. Risultati 86
6.1. Campione trasversale (soggetti partecipanti a PI3) 86
6.1.1. Caratteristiche descrittive del campione di studio e fattori di confondimento 86
6.1.2. Esposizione all’inquinamento atmosferico 86
6.1.3. Prevalenza degli outcome sanitari 88
6.1.4. Associazione tra inquinamento atmosferico e outcome sanitari 88
6.1.5. Valutazione del rischio per la salute 90
6.2. Campione longitudinale (soggetti partecipanti a PI2 e PI3) 92
6.2.1. Caratteristiche descrittive del campione di studio e fattori di confondimento 92
6.2.2. Esposizione all’inquinamento atmosferico 92
6.2.3. Incidenza degli outcome sanitari 94
6.2.4. Associazione tra inquinamento atmosferico e outcome sanitari 94
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7. Discussione 98
7.1. Qualità dell’aria 98
7.2. Esposizione all’inquinamento atmosferico 103
7.3. Fattori di rischio ambientali per la salute nel campione trasversale 104
7.3.1. Effetti sulla salute dell’esposizione a traffico veicolare 104
7.3.2. Effetti sulla salute dell’esposizione a inquinanti atmosferici 107
7.4. Fattori di rischio ambientali per la salute nel campione longitudinale 113
7.4.1. Effetti sulla salute dell’esposizione a traffico veicolare 113
7.4.2. Effetti sulla salute dell’esposizione agli inquinanti atmosferici 116
7.5. Limitazioni e punti di forza 121
8. Conclusioni 126 Tabelle 128 Allegato 1 165 Allegato 2 171 Ringraziamenti 177 Bibliografia 179
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Riassunto
Background: L’inquinamento atmosferico outdoor costituisce uno dei più gravi problemi di salute pubblica a livello globale in quanto associato ad effetti avversi sulla salute, in particolare respiratoria. La valutazione dell’esposizione all’inquinamento atmosferico è un aspetto cruciale sia per la valutazione dell’impatto sulla salute sia per la gestione del rischio.
Scopo dello studio: Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare la relazione tra l’esposizione individuale di un campione di popolazione adulta all’inquinamento atmosferico ed il rischio di avere o sviluppare effetti respiratori cronici, utilizzando e confrontando, in termini di impatto sulla salute, metodi differenti per la valutazione dell’esposizione individuale: dati da questionario (metodi tradizionali) e da modellistica ambientale (metodi innovativi).
Metodi: Il campione di popolazione generale investigato è relativo a due indagini trasversali condotte dall’Unità di Epidemiologia Ambientale Polmonare dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR nell’area di Pisa/Cascina: l’indagine Pisa 2 (PI2) svolta nel 1991-1993 e l’indagine Pisa 3 (PI3) svolta nel 2009-2011. In particolare, sono stati analizzati i dati del campione trasversale PI3 (n= 1615) e del campione longitudinale partecipante all’indagine PI2 e PI3 (n=1107). L’esposizione individuale all’inquinamento atmosferico è stata valutata mediante: dati di esposizione al traffico veicolare derivati da questionario (PI3); dati ambientali (PM10, PM2.5, NO2 e O3 estivo) relativi all’anno 2013, con risoluzione spaziale a 1 km ed a 200 m, ottenuti nell’ambito del progetto nazionale Bigdata in Epidemiologia AmbiEntale ed occuPazionale (BEEP) mediante metodologie statistiche avanzate (modelli
machine learning). I dati sanitari, ottenuti da questionari standardizzati e prove di
funzionalità respiratoria, sono stati raccolti nelle indagini PI2 e PI3. Le analisi statistiche sono state effettuate mediante il software SPSS versione 17. In particolare, sono state stimate prevalenza, incidenza cumulativa e rischio di effetti respiratori in relazione all’esposizione ad inquinamento atmosferico sul campione totale e stratificato per gruppi di età, aggiustando per i principali fattori di confondimento.
Risultati: Il campione generale di popolazione di PI3 è risultato esposto a livelli di concentrazione media annuale degli inquinanti inferiori agli attuali standard di qualità dell’aria. Nel campione trasversale, l’esposizione individuale al traffico veicolare valutata mediante questionario (metodo tradizionale), è risultata associata in maniera significativa
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con: rinite allergica (OR=1.46, IC 95% 1.17-1.82) ed attacchi di asma (OR=1.88, IC 95% 1.00-3.54) nel campione di popolazione generale; rinite allergica (OR=1.88, IC 95% 1.28-2.76) nei soggetti con età ≥ 65 anni. L’esposizione individuale agli inquinanti, valutata mediante modellistica ambientale (metodi innovativi), ha mostrato le seguenti associazioni significative di outcome sanitari con incrementi di 1 µg/m3 di inquinanti: sintomi respiratori cronici (SRC) con NO2 (OR=1.06, IC 95% 1.00-1.12) nel campione generale; BPCO ed ostruzione bronchiale con NO2 (OR=1.12, IC 95% 1.01-1.24; OR=1.19, IC 95% 1.06-1.34, rispettivamente), rinite allergica con PM10 (OR=1.25, IC 95% 1.03-1.51) nei soggetti ≤ 64 anni. Nel campione longitudinale (follow-up di 18 anni), utilizzando metodi tradizionali, si evidenziano le seguenti associazioni significative con l’incidenza di: rinite allergica (RR=1.67, IC 95% 1.21-2.30) ed attacchi di difficoltà di respiro (RR=1.78, IC 95% 1.04-3.02) nel campione generale; rinite allergica (RR=1.55, IC 95% 1.01-2.39) nei soggetti con età ≤ 46 anni a PI2; rinite allergica (RR=1.83, IC 95% 1.13-2.97) nei soggetti con età ≥ 47 anni. Invece, utilizzando metodi innovativi, si evidenziano le seguenti associazioni significative fra incidenza di outcome sanitari ed incrementi di 1 µg/m3 di inquinanti: attacchi di asma e NO2 (RR=1.18, IC 95% 1.00-1.39) nel campione generale; rinite allergica e PM10 (RR=1.29, IC 95% 1.02-1.64) ed attacchi di asma e NO2 (RR=1.27, IC 95% 1.02-1.60) nei soggetti con età ≤ 46 anni; SRC e NO2 (RR=1.14, IC 95% 1.00-1.29) ed O3 estivo (RR=1.17, IC 95% 1.01-1.34, rispettivamente), tra diagnosi di asma ed O3 estivo (RR=1.48, IC 95% 1.07-2.06) nei soggetti con età ≥ 47 anni.
Conclusioni: I risultati ottenuti forniscono nuove informazioni riguardo agli effetti a lungo termine dell’inquinamento atmosferico sulla salute respiratoria in un campione di popolazione generale, in particolare in relazione al rischio di incidenza di rinite allergica, asma e sintomi respiratori bronchitici e asmatici, sia con metodi innovativi sia con quelli tradizionali. A differenza dei metodi tradizionali, i metodi innovativi forniscono informazioni più specifiche sull’esposizione all’inquinamento atmosferico ed il relativo impatto sulla salute. L’inquinamento atmosferico si conferma essere un fattore di rischio per la salute respiratoria della popolazione adulta, anche al di sotto dei correnti standard di qualità dell’aria, suggerendo la necessità di considerare nel futuro prossimo valori limite più stringenti.
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Abstract
Background: Outdoor air pollution is a major public health issue. It is associated with adverse health effects, particularly on respiratory system. Air pollution exposure assessment is a crucial aspect both for the evaluation of health impact and for risk management.
Methods: a general population sample was investigated within two cross-sectional surveys in Pisa/Cascina (PI2, 1991-1993; PI3, 2009-2011) carried out by Pulmonary Environmental Epidemiology Unit of the Institute of Clinical Physiology, CNR. Data from the cross-sectional sample PI3 (n=1615) and the longitudinal sample participating in both PI2 and PI3 (n=1107) were analyzed. Individual air pollution exposure was estimated using: vehicular traffic exposure from questionnaire (PI3) (traditional method); PM10, PM2.5, NO2, summer O3 (year 2013), at 1 km and 200 m spatial resolution, estimated in Bigdata in Environmental and occuPational Epidemiology (BEEP) project, with machine learning model (innovative method). Health data, from standardized questionnaires and spirometry, was collected in the PI2 and PI3 surveys. Prevalence and cumulative incidence and logistic regression analyses, adjusted for the main confounding factors, were run (SPSS 17) to assess the risk of respiratory effects due to air pollution exposure in the total sample and stratified by age.
Results: cross-sectional sample statistically significant associations between traffic exposure, assessed through questionnaire, and: allergic rhinitis (OR=1.46) and asthma attacks (OR=1.88) in the total sample; allergic rhinitis (OR=1.88) in subjects ≥ 65 years. Statistically significant associations between air pollutants increase of 1 µg/m3 and the following outcomes: CRS and NO2 (OR=1.06) in the total sample; COPD and bronchial obstruction and NO2 (OR=1.12; OR=1.19, respectively), allergic rhinitis and PM10 (OR=1.25) in subjects ≤ 64 years. Longitudinal sample: positive associations between traffic exposure and allergic rhinitis (RR=1.67) and attacks of breathlessness (RR=1.78) in the total sample; allergic rhinitis (RR=1.55) in subjects ≤ 46 years; allergic rhinitis (RR=1.83) in subjects ≥ 47 years. Associations between asthma attacks and NO2 (RR=1.18) in the total sample; allergic rhinitis and PM10 (RR=1.29) and asthma attacks and NO2 (RR=1.27) in subjects ≤ 46 years; CRS and NO2 and summer O3 (RR=1.14; RR=1.17, respectively), asthma diagnosis and summer O3 (RR=1.48) in subjects ≥ 47 years.
Conclusions: These
results provide new insights into the long-term respiratory health effects
of air pollution exposure estimated through both traditional and innovative methods.7
1. Introduzione
L’inquinamento atmosferico viene definito come la presenza di sostanze inquinanti in atmosfera a concentrazioni che possono incidere negativamente sulla salute umana, l’ambiente ed il patrimonio culturale (Decreto Legislativo 152/06). A livello globale, l’inquinamento atmosferico outdoor è uno dei più gravi problemi di salute pubblica (Sicard et al., 2019; Boogaard et al., 2019). L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha stimato che nel 2016 l’esposizione all’inquinamento atmosferico outdoor è stata responsabile di 4.2 milioni di decessi (WHO, 2018). Negli ultimi anni l’esposizione della popolazione mondiale all’inquinamento atmosferico è aumentata a causa di: aumento della popolazione; invecchiamento di questa; aumento della migrazione della popolazione verso le aree urbane (WHO, 2016). Nel 2010 è stato stimato che più del 50% della popolazione viveva in un’area urbana, abbandonando così l’ambiente rurale e determinando un aumento ulteriore dell’esposizione, e nel 2050 si prevede che questa percentuale aumenterà raggiungendo valori superiori al 70% (WHO, 2010). Pertanto, negli ultimi anni, l’esposizione della popolazione all’inquinamento atmosferico è aumentata a causa della rapida urbanizzazione e industrializzazione (Baldacci et al., 2015). I principali inquinanti atmosferici caratteristici dell’ambiente urbano NO2, SO2, PM10, PM2.5 e O3 negli ultimi decenni hanno generalmente mostrato, nei paesi sviluppati, una riduzione delle concentrazioni, mentre nei paesi in via di sviluppo i livelli di questi inquinanti sono aumentati drasticamente (Thurston et al., 2017; Dominici et al., 2019; WHO, 2016; Boogaard et al., 2019).
L’inquinamento atmosferico può causare effetti sulla salute acuti o cronici. Gli effetti acuti si manifestano in seguito ad un’esposizione di breve durata, dell’ordine di ore o giorni, ad elevate concentrazioni degli inquinanti, mentre gli effetti cronici si manifestano in conseguenza ad un’esposizione a lungo termine a livelli di concentrazione degli inquinanti anche lievi (Sarno et al., 2013). Diversi studi epidemiologici riportano associazioni tra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico ed effetti avversi sulla salute, in particolare su quella cardiovascolare e respiratoria, anche a livelli inferiori ai correnti
standard di qualità dell’aria (Dominici et al., 2019; Thurston et al., 2017).
Tra gli effetti avversi dell’inquinamento atmosferico sulla salute respiratoria, i più rilevanti sono le malattie respiratorie croniche come BroncoPneumopatia Cronica Ostruttiva (BPCO), asma e rinite allergica (Thurston et al., 2017; WAO, 2013; WHO, 2016). Nonostante ci siano evidenze dell’impatto dell’inquinamento atmosferico sulla mortalità respiratoria,
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l’esacerbazione di malattie respiratorie e l’associazione tra inquinamento e prevalenza di malattie respiratorie, gli effetti a lungo termine dell’inquinamento sull’incidenza di malattie respiratorie, come BPCO, asma e rinite allergica, necessitano di ulteriori approfondimenti (Schikowski et al., 2014; Jacquemin et al., 2015; Eguiluz-Garcia et al., 2020; Fasola et al., 2020). Ci sono evidenze che il tasso di prevalenza di queste malattie sia aumentato nelle ultime decadi, in particolare nei paesi industrializzati (Maio et al., 2019; Baldacci et al., 2015; WAO, 2013; Burte et al., 2018; Jacquemin et al., 2012). Numerosi studi epidemiologici hanno suggerito una relazione potenziale tra l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico e il trend di aumento di queste malattie (Baldacci et al., 2015; Bedada et al., 2007; De Marco et al., 2012; Jacquemin et al., 2012; Maio et al., 2019). Tuttavia, vi sono alcune evidenze scientifiche che non confermano tale relazione (Bedada et al., 2007; Burte et al., 2018; Heinrich et al., 2005).
Per la valutazione indiretta dell’esposizione individuale all’inquinamento atmosferico esistono diversi metodi, tra cui i più comuni sono l’utilizzo di proxy derivati da specifici questionari e, negli ultimi anni in particolare, la modellistica ambientale. Tramite questionari si possono ottenere informazioni sulla presenza, durata, frequenza e tipo di esposizione (Nieuwenhuijsen, 2005). Uno dei proxy di esposizione più utilizzati è la frequenza di traffico in prossimità della residenza, il quale costituisce una misura soggettiva dell’esposizione individuale (Ferguson et al., 2004; Lindgren et al., 2009; Modig et al., 2006). La modellistica ambientale, invece, permette di stimare le concentrazioni degli inquinanti atmosferici su un determinato territorio, anche dove le reti di monitoraggio degli inquinanti non sono ben distribuite (U.S.EPA, 2019). Mediante l’utilizzo di modelli machine learning è possibile ottenere misure individuali ed oggettive di esposizione agli inquinanti atmosferici, combinando dati provenienti dalle stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria e dati satellitari, con dati territoriali e parametri meteorologici, attribuendo le concentrazioni medie annuali degli inquinanti agli indirizzi residenziali (Fasola et al., 2020; Stafoggia et al., 2019). Entrambi i metodi possono essere soggetti a sottostima e misclassificazione; infatti l’utilizzo di questionari può portare ad una sottostima dell’esposizione, in quanto i soggetti possono avere difficoltà nel ricordare l’esposizione passata (recall bias), mentre l’esposizione ambientale derivante da modellistica può essere soggetta ad incertezza relativa alle limitazioni delle informazioni disponibili o dei dati di input dei parametri considerati e alle limitazioni delle tecniche di modellazione utilizzate nella stima degli inquinanti ambientali (Nieuwenhuijsen, 2005; Coggon, 1995; U.S.EPA, 2019).
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Nell’ambito di queste problematiche, è stato definito il presente lavoro di tesi, con l’obiettivo di investigare gli effetti respiratori a lungo termine (sintomi, malattie e ostruzione bronchiale) causati dall’inquinamento atmosferico su un campione di popolazione generale di Pisa/Cascina. Tale studio è stato svolto analizzando i dati ottenuti da un questionario standardizzato e da prove della funzionalità respiratoria condotte in precedenti indagini epidemiologiche realizzate tra il 1985 e il 2011 dall’Unità di Epidemiologia Ambientale Polmonare dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR.
In particolare, con questo studio si è voluto valutare la relazione tra l’esposizione individuale di un campione di popolazione adulta all’inquinamento atmosferico ed il rischio di avere o sviluppare effetti respiratori cronici. Si sono utilizzati e confrontati, in termini di impatto sulla salute, metodi differenti per la valutazione dell’esposizione individuale: dati da questionario (metodi tradizionali) e da modellistica ambientale (metodi innovativi).
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2. Inquinamento atmosferico
2.1. Definizione di inquinamento atmosferico
L’atmosfera è un sottile involucro gassoso che avvolge la Terra ed è caratterizzata dalla presenza di gas a diversa densità (Seinfeld & Pandis, 2016). Lo strato più vicino alla superficie terrestre è denominato troposfera ed ha uno spessore che varia tra gli 8 km ai poli ed i 16 km all’equatore (Seinfeld & Pandis, 2016). Nella troposfera il mescolamento dell’aria è efficace, in senso sia verticale sia orizzontale, a causa degli eventi meteorologici che si verificano principalmente in questo strato (Seinfeld & Pandis, 2016). La composizione della troposfera varia da luogo a luogo, presentando così una certa disomogeneità dovuta, non solo a fattori antropici, ma soprattutto all’irregolare distribuzione delle terre emerse, dell’orografia, alla presenza di venti prevalenti, all’influenza delle correnti oceaniche e atmosferiche, alle emissioni di sostanze inquinanti (Seinfeld & Pandis, 2016; Hemond & Fechner-Levy, 1999).
Secondo il Testo Unico Ambientale (Decreto Legislativo 152/06), per inquinamento atmosferico si intende “ogni modificazione dell'aria atmosferica, dovuta all'introduzione
nella stessa di una o di più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da ledere o da costituire un pericolo per la salute umana o per la qualità dell'ambiente oppure tali da ledere i beni materiali o compromettere gli usi legittimi dell'ambiente”.
L’inquinamento atmosferico è quindi definito come la presenza di sostanze inquinanti in atmosfera a concentrazioni che possono incidere negativamente sulla salute umana, l’ambiente ed il patrimonio culturale. Pertanto, ne deriva che non tutte le sostanze presenti in atmosfera sono inquinanti (EEA, 2013). Anche secondo la Direttiva Europea 2008/50/CE, con il termine “inquinante” si intende qualsiasi sostanza presente nell’aria ambiente che può avere effetti nocivi per la salute umana e/o per l’ambiente nel suo complesso. Gli inquinanti presenti in atmosfera non sono dovuti interamente all’inquinamento antropico, ma sono emessi anche da sorgenti naturali, tra le quali le principali sono le eruzioni vulcaniche, gli incendi boschivi, l’aerosol marino e l’erosione eolica (EEA, 2013). Gli inquinanti prodotti vengono trasportati per tutto il globo, con tempi di residenza diversi a seconda del tipo di inquinante e, nel caso di particelle solide o liquide, delle loro dimensioni (Seinfeld & Pandis, 2016). Si stima che una massa di gas impieghi circa una settimana per diluirsi in senso verticale e raggiungere la tropopausa (strato dell’atmosfera che costituisce il limite tra la
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troposfera e la stratosfera), un anno per diluirsi in senso orizzontale in tutto il globo (Seinfeld & Pandis, 2016) ed un anno per passare da un emisfero all’altro (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Perciò, l’inquinamento atmosferico non è un problema solamente locale ma paneuropeo, di tutto l’emisfero e globale (EEA, 2013). Una parte degli inquinanti atmosferici e dei loro precursori che si trovano in Europa provengono dall’Asia e dall’America settentrionale (EEA, 2013). Allo stesso modo, una parte degli inquinanti emessi in Europa vengono trasportati in altre regioni e continenti (EEA, 2013). A scala locale, si può osservare che la qualità dell’aria nelle aree urbane è influenzata solitamente da quella presente nelle zone rurali o suburbane circostanti e viceversa (EEA, 2013).
2.2. Classificazione degli inquinanti atmosferici
Gli inquinanti atmosferici vengono classificati a seconda della loro formazione in primari e secondari, a seconda del loro stato fisico in gassosi e particolati, a seconda dell’ambiente in cui si trovano in outdoor e indoor (Tabella 2.1).
Per quanto riguarda la formazione, gli inquinanti primari sono quelli che vengono direttamente emessi in atmosfera dalle rispettive sorgenti, senza subire modificazioni (WHO, 2006; Baldacci et al., 2009; Sarno et al., 2013). Gli inquinanti secondari, invece, derivano dalle modifiche chimico-fisiche che subiscono gli inquinanti primari una volta emessi in atmosfera a causa delle reazioni e delle interazioni con gas o altri inquinanti atmosferici (WHO, 2006; Baldacci et al., 2009; Sarno et al., 2013).
Per quanto riguarda lo stato fisico, gli inquinanti gassosi sono quelli presenti nello stato di aggregazione di gas o vapore (WHO, 2006). Rientrano in questa categoria gli ossidi di zolfo (SOx), gli ossidi di azoto (NOx), l’ozono (O3), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) ed i composti organici volatili (COV) (es. il benzene) (Sarno et al., 2013). La pericolosità associata a questi inquinanti è dovuta al fatto che penetrano facilmente nel corpo umano tramite la respirazione e tendono a depositarsi nel tratto respiratorio superiore, anche in base alla loro solubilità (WHO, 2006). Gli inquinanti particolati sono quelli presenti in sospensione in atmosfera sotto forma di fase solida o liquida (WHO, 2006). La composizione del particolato atmosferico (PM) è varia: infatti, le particelle possono essere costituite da una miscela di elementi quali metalli pesanti, nitrati, solfati e composti organici o inorganici (Sarno et al., 2013).
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La dimensione degli inquinanti particolati è molto variabile, andando da dimensioni nanometriche a millimetriche, mentre la composizione chimica varia a seconda della natura chimica della sorgente da cui provengono (WHO, 2006). La pericolosità associata a questi inquinanti è fortemente dipendente dalla loro dimensione, in quanto particelle con dimensioni maggiori vengono captate nel tratto respiratorio superiore, mentre quelle con dimensioni minori riescono a raggiungere e depositarsi anche nel tratto respiratorio inferiore fino agli alveoli (Sarno et al., 2013). Recenti evidenze suggeriscono che tali inquinanti possano oltrepassare la barriera alveolare e giungere nel flusso ematico, così da poter raggiungere organi esterni all’apparato respiratorio (Thurston et al., 2017).
Per quanto riguarda l’ambiente in cui vengono rilasciati, gli inquinanti outdoor sono quelli che si trovano nell’aria ambiente mentre gli inquinanti indoor sono quelli che si trovano in ambienti confinati (Baldacci et al., 2009; Sarno et al., 2013).
INQUINANTI PRIMARI E SECONDARI
Primari: inquinanti direttamente emessi in atmosfera (ad esempio SO2, NO, PM, CO) Secondari: inquinanti che si formano dall’interazione degli inquinanti primari con gas e altri inquinanti atmosferici (ad esempio O3, NO2, PM)
INQUINANTI GASSOSI E PARTICOLATI
Gassosi: inquinanti presenti nello stato di aggregazione di gas o vapore (ad esempio SOx, NOx, O3, IPA, COV)
Particolati: inquinanti presenti in sospensione in atmosfera sottoforma di fase liquida o solida (ad esempio PM)
INQUINANTI OUTDOOR E INDOOR
Outdoor: inquinanti presenti nell’aria ambiente Indoor: inquinanti presenti in ambienti confinati
Tabella 2.1 – Modalità di classificazione degli inquinanti atmosferici.
2.3. L’inquinamento atmosferico in ambiente urbano
L’ambiente urbano è un’area caratterizzata, solitamente, da alta densità di popolazione e di traffico (Nuvolone et al., 2011). L’inquinamento atmosferico tende a concentrarsi in questo tipo di ambiente (WHO, 2006) a causa di diversi fattori, tra cui la topografia urbana ed il microclima, che spesso non sono favorevoli alla dispersione degli inquinanti (Nuvolone et al., 2011). Di conseguenza, nell’ambiente urbano l’esposizione a sostanze dannose risulta
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essere rilevante a livello di popolazione, determinando un maggior rischio di sviluppare malattie croniche respiratorie (Nuvolone et al., 2011). Si stima, infatti, che in ambiente urbano la popolazione sia esposta allo stesso tempo a circa 200 inquinanti o classi di inquinanti (Sicard et al., 2019). La rapida industrializzazione e urbanizzazione hanno determinato un aumento dell’inquinamento dell’aria e, di conseguenza, un aumento della popolazione esposta (Viegi et al., 2019; Baldacci et al., 2015).
Gli inquinanti presenti nell’ambiente urbano provengono principalmente da tre sorgenti: traffico veicolare, impianti industriali e riscaldamento domestico (Sarno et al., 2013). In Europa, il traffico autoveicolare è considerato essere la sorgente più significativa per le emissioni di ossidi di azoto (NOx), monossido di carbonio (CO) e composti organici volatili diversi dal metano (COVNM) (Nuvolone et al., 2011). Per quanto riguarda le emissioni di particolato atmosferico fine (PM2.5), il traffico veicolare è la seconda sorgente più importante dopo le sorgenti fisse (impianti industriali e riscaldamento delle abitazioni) (EEA, 2019b). Dal 1990 al 2017 la qualità dell’aria è migliorata in molte città europee (EEA, 2019b) in seguito all’attuazione di provvedimenti volti ad abbassare i livelli di concentrazione degli inquinanti (EEA, 2013). In particolare, al 2017 risultano essere significative le riduzioni degli SOx (-91%), CO (-69%), COVNM (-61%), NOx (-58%) e benzo(α)pirene (-47%). Riduzioni minori si osservano per PM2.5 (-29%) e PM10 (-27%). L’abbattimento dei principali inquinanti nei diversi paesi europei è legato all’introduzione di misure di abbattimento delle emissioni, al passaggio dal carbone al gas nei settori relativi alla produzione di elettricità ed energia ed all’utilizzo di convertitori catalitici nelle auto (EEA, 2019b). Anche misure quali tasse di congestione (es. la London congestion charge) o incentivi fiscali per autovetture a minor impatto sono state determinanti nel miglioramento della qualità dell’aria europea (EEA, 2013). L’efficiente riduzione delle emissioni di SOx è dovuta principalmente alla sostituzione dei combustibili solidi ad alto contenuto di zolfo nei settori energetici con combustibili liquidi a basso contenuto di zolfo, come il gas naturale (EEA, 2019b). Inoltre, sono risultate efficaci l’assunzione di tecnologie per l’abbattimento dello zolfo e l’applicazione delle direttive europee relative al contenuto di zolfo in certi combustibili liquidi (EEA, 2019b). Le varie misure adottate hanno determinato, in Europa, la riduzione del cosiddetto smog “di Londra”, ovvero un inquinamento caratterizzato dalla presenza di nebbia, costituita da alte concentrazioni di particolato atmosferico e SO2 (Whittaker et al., 2004; Fenger, 2009; Kumar et al., 2017). Infatti nel dicembre 1952, a Londra, si verificò un episodio di aumento altamente significativo della mortalità associato
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ad una grande cappa di nebbia (Whittaker et al., 2004). Nei quattro giorni successivi alla “Grande Nebbia” si registrarono 4000 morti in eccesso, a causa di altissimi livelli di SO2 e particolato carbonioso determinati da fenomeni di inversione termica ed assenza di venti, con conseguente stagnazione degli inquinanti al suolo (Whittaker et al., 2004; Fenger, 2009). Da allora molte cose sono cambiate. Nei sessanta anni successivi alla “Grande Nebbia”, una maggiore sensibilizzazione pubblica e politica ha portato ad introdurre misure legislative a livello nazionale, europeo ed internazionale, volte a ridurre l’inquinamento atmosferico prodotto da sorgenti fisse come abitazioni, esercizi commerciali ed impianti industriali (EEA, 2013).Negli ultimi anni, però, l’inquinamento urbano ha cambiato aspetto (Fenger, 2009; Kumar et al., 2017). Infatti, le emissioni legate al traffico veicolare determinano la formazione di inquinanti secondari, come O3, NO2 e composti organici volatili (COV), che caratterizzano uno smog di tipo fotochimico, detto anche “di Los Angeles” (Seinfeld & Pandis, 2016). Questo tipo di smog risulta essere più nocivo di quello classico, in quanto è caratterizzato da gas altamente reattivi con un forte potere ossidante (Kumar et al., 2017). Pertanto, a fronte di tali variazioni nello stato della qualità dell’aria ambiente nelle città urbane europee, gli effetti sulla salute dell’inquinamento non sono diminuiti come ci si aspettava, ma continuano ad essere un problema per la società (Baldacci et al., 2009; EEA, 2013).
2.4. La situazione in Italia
L’Italia ha uno dei più alti tassi di motorizzazione al mondo ed in Europa è solamente seconda al Lussemburgo (Sarno et al., 2013). Dal rapporto “Mal’aria” di Legambiente del 2019, è stato stimato che in Italia c’è una media di 65 auto ogni 100 abitanti, un valore elevato rispetto a gran parte dei paesi europei (Legambiente, 2019). Al 2018, si registrano 38 milioni di auto private, meno di 100 mila autobus e 6 mila auto in car sharing (Legambiente, 2019). Nell’annuario statistico del 2020 dell’Automobile Club d’Italia (ACI) risulta che dal 2000 al 2019 si è registrato un incremento del parco veicolare italiano di quasi il 29%: i motocicli sono aumentati del 104% circa mentre le autovetture del 21% circa (ACI, 2020). Il problema principale legato all’alto tasso di motorizzazione italiano è la mancanza di trasporto pubblico (Legambiente, 2019). In Italia non si investe su un miglioramento dell’efficienza del trasporto pubblico, pertanto gli italiani tendono a preferire l’utilizzo dell’auto per gli spostamenti (Legambiente, 2019). Si stima, infatti, che il 75% degli spostamenti siano inferiori ai 10 km ed il 25% sia inferiore ai 2 km (Legambiente, 2019). Inoltre, la mancanza di un vero e proprio piano strategico nazionale ha un grande impatto
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sulla qualità dell’aria italiana (Legambiente, 2019). I piani antismog attuati dalle regioni risultano essere inefficienti a causa dell’assenza di un coordinamento a livello nazionale (Legambiente, 2019). Nelle varie città italiane, quindi, mancano misure strutturali effettivamente capaci di abbattere le concentrazioni degli inquinanti atmosferici, riportando l’aria ad una qualità accettabile (Legambiente, 2019). Per questo motivo, l’Italia è stata deferita diverse volte alla Corte di Giustizia europea in merito alle procedure di infrazione per la qualità dell’aria, dovendo pagare così multe onerose (Legambiente, 2019). Nel 2018, in Italia, sono stati superati i limiti giornalieri previsti per il particolato atmosferico (35 giorni all’anno per il PM10) e per l’ozono (25 giorni all’anno) in 55 capoluoghi di provincia; in 24 di questi, è stato superato il limite per entrambi i parametri (Legambiente, 2019). Conseguentemente i cittadini sono stati esposti ad aria inquinata per circa 4 mesi (Legambiente, 2019). La città che ha registrato un maggior numero di giorni di superamento dei limiti europei nel 2018 è Brescia, con un totale di 150 giorni (Legambiente, 2019). Gran parte delle città in cui sono stati superati i limiti sono situate nella Pianura Padana (Legambiente, 2019), dove l’assetto oro-geografico non è favorevole a ricambi d’aria. A Pisa nel 2018 è stato superato il limite dell’ozono per 32 giorni (Legambiente, 2019).
Dal rapporto dell’Agenzia Europea dell’Ambiente del 2019, nel 2017 l’Italia risulta avere una delle peggiori situazioni a livello europeo per la qualità dell’aria (EEA, 2019a). Per quanto riguarda la concentrazione media giornaliera del PM10, l’Italia è successiva solamente ai paesi dell’Europa orientale, con valori comunque vicini al limite europeo (50 µg/m3) (Figura 2.1). Considerando la concentrazione media annuale del PM10, il valore italiano risulta essere compreso fra il limite europeo (40 µg/m3) e quello proposto nelle linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) (20 µg/m3) (Figura 2.2). In Figura 2.3, si può osservare che l’Italia rientra nei limiti annuali europei per il PM2.5 (25 µg/m3) ma non in quelli dell’OMS (10 µg/m3) e risulta essere sempre tra i primi 10 paesi europei per quanto riguarda la concentrazione media annuale di PM2.5 (µg/m3). Per quanto riguarda i valori massimi di concentrazione media giornaliera su 8 ore dell’O3, l’Italia al 2017 risulta avere i valori più alti fra gli Stati membri (Figura 2.4). Valutando la concentrazione media annuale del NO2, l’Italia risulta essere al di sotto del limite europeo (40 µg/m3), in linea con gli altri Stati membri (Figura 2.5). Infine, per quanto riguarda il benzo[α]pirene, la situazione appare critica in Polonia, dove si osservano le concentrazioni medie annuali maggiori, mentre l’Italia presenta concentrazioni medie annuali inferiori ai limiti europei (1 ng/m3) (Figura 2.6).
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Fig. 2.1 – Grafico basato sul 90.4 percentile per ogni nazione dei valori di concentrazione media giornaliera di PM10 (µg/m3) corrispondenti alla 36esima media giornaliera più alta. Nelle parentesi, è riportato il numero di stazioni considerate. I valori riportati nel grafico corrispondono ai valori più alti, medi e più bassi del 90.4 percentile registrati nelle stazioni di ogni paese. I rettangoli individuano il 25° e 75° percentile. La linea rossa continua rappresenta il limite giornaliero europeo. In rosso è evidenziata l’Italia (modificato da EEA, 2019a).
Fig. 2.2 – Grafico basato sui valori di concentrazione media annuale di PM10 (µg/m3). Nelle parentesi, è riportato il numero di stazioni considerate. I valori riportati nel grafico corrispondono ai valori più alti, medi e più bassi registrati nelle stazioni di ogni paese. I rettangoli segnano il 25° e 75° percentile. La linea continua in rosso rappresenta il limite annuale europeo mentre quella tratteggiata rappresenta il valore delle linee guida della qualità dell’aria dell’OMS. In rosso è evidenziata l’Italia (modificata da EEA, 2019a).
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Fig. 2.3 – Grafico basato sui valori di concentrazione media annuale di PM2.5 (µg/m3). Nelle parentesi, è riportato il numero di stazioni considerate. I valori riportati nel grafico corrispondono ai valori più alti, medi e più bassi registrati nelle stazioni di ogni paese. I rettangoli segnano il 25° e 75° percentile. La linea continua in rosso rappresenta il limite annuale europeo mentre quella tratteggiata rappresenta il valore delle linee guida della qualità dell’aria dell’OMS. In rosso è evidenziata l’Italia (modificata da EEA, 2019a).
Fig. 2.4 – Grafico basato sul 93.2 percentile dei valori massimi di concentrazione media giornaliera su 8 ore dell’O3 (µg/m3), corrispondenti al 26esimo massimo giornaliero della media su 8 ore. Nelle parentesi, è riportato il numero di stazioni considerate. I valori riportati nel grafico corrispondono ai valori più alti, medi registrati nelle stazioni di ogni paese. I rettangoli segnano il 25° e 75° percentile. La linea continua in rosso rappresenta il valore di riferimento europeo. In rosso è evidenziata l’Italia (modificata da EEA, 2019a).
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Fig. 2.5 – Grafico basato sui valori di concentrazione media annuale di NO2 (µg/m3). Nelle parentesi, è riportato il numero di stazioni considerate. I valori riportati nel grafico corrispondono ai valori più alti, medi e più bassi registrati nelle stazioni di ogni paese. I rettangoli segnano il 25° e 75° percentile. La linea continua in rosso rappresenta il limite annuale europeo. In rosso è evidenziata l’Italia (modificata da EEA, 2019a).
Fig. 2.6 – Grafico basato sui valori di concentrazione media annuale di benzo[α]pirene (ng/m3). Nelle parentesi, è riportato il numero di stazioni considerate. I valori riportati nel grafico corrispondono ai valori più alti, medi e più bassi registrati nelle stazioni di ogni paese. I rettangoli segnano il 25° e 75° percentile. La linea continua in rosso rappresenta il valore di riferimento europeo mentre quella tratteggiata rappresenta il valore delle linee guida della qualità dell’aria dell’OMS. In rosso è evidenziata l’Italia (modificata da EEA, 2019a).
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L’impatto sulla salute dell’inquinamento atmosferico in Italia risulta essere notevole. Dal
Report del 2019 dell’Agenzia Europea dell’Ambiente, in Italia nel 2016 si stimano circa
58600 morti premature per il PM2.5, 14600 per l’NO2 e 3000 per l’O3 (EEA, 2019a). I valori sono veramente elevati se si tiene di conto che in Europa nel 2016 le morti premature per il PM2.5 sono state 374000, per il NO2 sono state 68000 e per l’O3 14000 (EEA, 2019a). L’Italia risulta essere così al primo posto in Europa per morti premature per l’O3 e l’NO2, e al secondo posto per il PM2.5, dopo solamente la Germania (59600) (EEA, 2019a). Rispetto al
Report del 2018, comunque le morti premature risultano essere diminuite (EEA, 2018). Per
quanto riguarda gli anni di vita persi (YLL) a causa di morte prematura per malattia, ovvero una stima del numero medio di anni che una persona avrebbe vissuto se non fosse morta prematuramente, in Italia si stimano nel 2016 circa 550600 anni di vita persi per il PM2.5, 137500 per l’NO2 e 29100 per l’O3 (EEA, 2019a).
2.5. Principali inquinanti in ambiente urbano
In ambiente urbano sono presenti inquinanti sia primari sia secondari. Di seguito sono riportati i principali inquinanti caratterizzanti l’ambiente urbano.
2.5.1. Ossidi di zolfo (SOx)
Gli ossidi di zolfo presenti in atmosfera sono il biossido di zolfo (SO2), o anidride solforosa, e l’anidride solforica (SO3) (Baldacci et al., 2009). Questi sono gas inquinanti incolori, di odore acre e pungente, prodotti principalmente durante la combustione di combustibili fossili contenenti zolfo (Sarno et al., 2013). Le emissioni di SO2 sono esclusivamente legate alla percentuale di zolfo contenuto nel combustibile (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Durante la combustione, tutto lo zolfo contenuto nel combustibile viene convertito in SO2 gassosa (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Una volta emesso, il biossido di zolfo ha due destini possibili: depositarsi come SO2 oppure ossidarsi in SO3 e poi depositarsi come tale (Seinfeld & Pandis, 2016; Hemond & Fechner-Levy, 1999). L’ossidazione della SO2 procede più o meno rapidamente a seconda delle condizioni meteorologiche: una maggior intensità dell’irraggiamento solare determina una maggior produzione di radicali liberi ossidrilici (OH.) che, a loro volta, catalizzano l’ossidazione della SO
2; la presenza di acqua in atmosfera sotto forma di nubi o nebbia determina la catalizzazione dei processi ossidativi della SO2 per la presenza di radicali liberi OH. (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Di conseguenza, anche le deposizioni umide della SO2 dipendono dalle condizioni meteorologiche. Il tempo di
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residenza della SO2 varia da qualche ora a qualche giorno, con una media di 25 ore (Seinfeld & Pandis, 2016). Gli ossidi di zolfo sono i principali inquinanti che determinano il fenomeno delle deposizioni acide, le quali possono arrecare danni alla vegetazione, ai manufatti lapidei ed agli ecosistemi, a causa dell’acidificazione dei terreni e dei laghi (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Inoltre, la presenza di SO3 determina l’innalzamento della temperatura di rugiada, rendendo più frequente la formazione di nubi e nebbia, portando così ad alterazioni climatiche locali (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Gli ossidi di zolfo vengono rimossi dall’atmosfera principalmente per deposizione secca, ovvero senza intervento dell’umidità atmosferica, o per deposizione umida, ovvero tramite precipitazioni (Hemond & Fechner-Levy, 1999).
Le emissioni antropiche di SO2, come detto precedentemente, sono dovute soprattutto all’utilizzo di combustibili fossili e, ad oggi, costituiscono il maggior flusso di zolfo a livello globale nel ciclo geochimico dello zolfo (Seinfeld & Pandis, 2016). Le sorgenti antropiche principali sono, quindi, impianti di riscaldamento non metanizzato, centrali termoelettriche, impianti industriali, traffico veicolare e trasporto marittimo (Sarno et al., 2013). Esistono, però, anche sorgenti naturali di SO2: la biosfera terrestre e i vulcani contribuiscono direttamente alle emissioni di SO2 in atmosfera, mentre la biosfera oceanica agisce indirettamente, producendo emissioni di dimetilsolfuro ((CH3)2S) che viene rapidamente ossidato in SO2, per l’azione dei radicali OH. e NO.3 (Seinfeld & Pandis, 2016).
Grazie a normative relative al controllo della qualità dell’aria, all’utilizzo di combustibili con minor tenore di zolfo ed all’adozione di misure di abbattimento e mitigazione, negli ultimi anni, le concentrazioni di SO2 hanno visto una riduzione drastica (EEA, 2019b). Nonostante ciò, ancora costituisce un pericolo per la salute umana.
2.5.2. Ossidi di azoto (NOx)
Gli ossidi di azoto che troviamo principalmente in atmosfera sono il monossido di azoto (NO) ed il biossido di azoto (NO2) (Seinfeld & Pandis, 2016). Il primo è un gas incolore e inodore, il secondo è rossastro e con odore pungente (Sarno et al., 2013). Gli ossidi di azoto sono prodotti naturalmente dall’attività batterica nel suolo, dagli incendi boschivi e dai fulmini, ma il loro carico atmosferico è notevolmente aumentato a causa dei processi di combustione industriale (Seinfeld & Pandis, 2016; Hemond & Fechner-Levy, 1999). Le sorgenti antropiche sono gli impianti di riscaldamento, le centrali termoelettriche, il traffico veicolare, gli impianti di produzione di acido nitrico e di fertilizzanti azotati (Sarno et al.,
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2013). Durante la combustione, le impurità di azoto organico nel combustibile e l’azoto presente nell’aria (N2) possono essere ossidati ad ossido nitrico (NO), protossido di azoto (N2O) e biossido di azoto (NO2) (Hemond & Fechner-Levy, 1999). L’ossidazione di N2 atmosferico è più pronunciata durante la combustione ad alte temperature (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Poiché le alte temperature sono desiderabili dal punto di vista dell’efficienza termica di una centrale elettrica, in molti sistemi di combustione sono stati trovati compromessi tra una maggiore efficienza e minori emissioni di NOx (Hemond & Fechner-Levy, 1999).
Gli ossidi di azoto contribuiscono al fenomeno delle deposizioni acide (Hemond & Fechner-Levy, 1999), anche se con minor intensità rispetto agli ossidi di zolfo, in quanto producono acido nitrico (HNO3) (Seinfeld & Pandis, 2016). Il loro tempo di residenza in troposfera è abbastanza breve, da circa 1-2 giorni vicino alla superficie a circa 14 giorni nell’alta troposfera (Seinfeld & Pandis, 2016). Vengono rimossi dall’atmosfera reagendo con il vapore acqueo e formando acido nitrico, oppure con idrocarburi e radicali, formando sostanze organiche (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Un’altra modalità di rimozione è la produzione di particolato secondario a causa della formazione di nitrati solidi (Hemond & Fechner-Levy, 1999; Sarno et al., 2013). Il biossido di azoto è uno dei principali costituenti dello smog fotochimico (Hemond & Fechner-Levy, 1999). Questo è un inquinante secondario che si forma sostanzialmente dall’ossidazione del monossido di azoto, che può avvenire mediante il consumo di ozono, secondo la seguente reazione chimica (Seinfeld & Pandis, 2016):
O3 + NO O2 + NO2
oppure mediante una serie di reazioni con i composti organici volatili (Seinfeld & Pandis, 2016).
Il biossido di azoto può reagire anche con i radicali liberi OH., producendo un ulteriore inquinante, l’acido nitrico (HNO3) (Seinfeld & Pandis, 2016):
NO2 + OH. HNO3
Secondo questa reazione, alti livelli di inquinanti ossidabili tendono a ridurre la concentrazione di OH.. Altri inquinanti che possono essere prodotti dagli NOx sono i periossiacetilnitrati, l’acido nitroso (HONO) e l’ozono (Seinfeld & Pandis, 2016). Nell’atmosfera urbana i livelli di NOx sono molto più alti che in condizioni naturali, in
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quanto legati principalmente alle emissioni dovute al traffico veicolare (Nuvolone et al., 2011).
In generale, le emissioni di inquinanti dai processi di combustione possono essere ridotte dall’innalzamento della temperatura di combustione, dall’aumento della disponibilità di ossigeno e dalla possibilità di lunghi tempi di reazione (IARC, 2013). L’utilizzo di convertitori catalitici ha ridotto sostanzialmente la quantità di emissioni di NOx ma, allo stesso tempo, ha determinato l’emissione di ulteriori inquinanti, come ammoniaca (NH3), protossido di azoto (N2O) e acido cianidrico (HCN) (IARC, 2013; EEA, 2016).
2.5.3. Particolato atmosferico (PM)
Il particolato atmosferico, o aerosol, è formato da particelle di dimensioni e composizione chimica varie, presenti in sospensione in atmosfera allo stato liquido o solido (WHO, 2006; Seinfeld & Pandis, 2016). Il tempo di residenza del particolato varia a seconda di un parametro detto diametro aerodinamico equivalente, ovvero un indicatore riassuntivo della dimensione delle particelle, definito come il diametro di una particella sferica di densità unitaria e con le stesse caratteristiche aerodinamiche della particella di interesse (WHO, 2006). Questo parametro è stato introdotto per semplificare la classificazione delle particelle, in quanto evita di considerare la forma e la densità di ogni particella e considera solo la velocità limite di caduta di questa (Seinfeld & Pandis, 2016). Le proprietà aerodinamiche hanno una grande importanza per quanto riguarda gli effetti del particolato sulla salute. Il particolato viene quindi classificato in (Seinfeld & Pandis, 2016; WHO, 2006):
• particolato inalabile (PM10), con diametro aerodinamico inferiore ai 10 micrometri; • particolato grossolano (PM2.5-10), con diametro aerodinamico compreso fra i 2.5 ed i
10 micrometri;
• particolato fine (PM2.5), con diametro aerodinamico inferiore ai 2.5 micrometri; • particolato ultrafine (PM0.1), con diametro aerodinamico inferiore ai 0.1 micrometri. Al diminuire del diametro aerodinamico equivalente, queste particelle possono penetrare più profondamente nell’albero respiratorio determinando effetti sulla salute più gravi. La deposizione dell’aerosol nei polmoni avviene per impatto con le pareti dell’albero respiratorio, sedimentazione gravitazionale e diffusione Browniana (Darquenne, 2014). Le particelle di dimensioni maggiori (PM10 e PM2.5-10) si depositano nel tratto respiratorio superiore (naso, faringe e laringe) a causa dell’impatto dovuto alla turbolenza del flusso d’aria in entrata e poi vengono espulse normalmente tramite la clearance mucociliare
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(Darquenne, 2014; Losacco & Perillo, 2018; Baldacci et al., 2009). La frazione fine (PM2.5) si deposita nelle vie respiratorie inferiori per il processo di sedimentazione gravitazionale fino ai dotti alveolari ed agli alveoli, determinando il possibile rilascio da parte di cellule infiammatorie di mediatori chimici e generando stress ossidativo (Losacco & Perillo, 2018). Il processo di diffusione Browniana riguarda principalmente il particolato ultrafine, i cui effetti sono associati alla sua abilità di attraversare la barriera alveolo-capillare ed entrare nel sistema circolatorio, determinando processi infiammatori (Darquenne, 2014; Losacco & Perillo, 2018). Le particelle depositate in una particolare regione polmonare, veicolano gli inquinanti adsorbiti che possono penetrare o rimanere nella mucosa che riveste l’albero respiratorio, generando danni sistemici o locali (Losacco & Perillo, 2018).
Il particolato inalabile (PM10), essendo la frazione più grossolana, viene rimosso rapidamente dall’atmosfera per effetto di processi di sedimentazione gravitazionale, determinando tempi di residenza che vanno da qualche minuto a qualche ora (Perrino, 2010). Il particolato fine (PM2.5), invece, ha un tempo di residenza che può raggiungere anche qualche settimana (Perrino, 2010). Il particolato ultrafine (PM0.1), può essere trasformato rapidamente in particelle grossolane tramite processi di coagulazione, oppure può essere coinvolto in processi di condensazione ed evaporazione (Perrino, 2010).
A livello di composizione chimica, il particolato risulta essere molto eterogeneo, in quanto le sorgenti possono essere sia naturali sia antropiche (WHO, 2006; Seinfeld & Pandis, 2016; Perrino, 2010). Le sorgenti naturali principali sono: erosione eolica, aerosol marino, incendi boschivi, eruzioni vulcaniche e componenti di origine biologica (microrganismi, pollini e spore vegetali) (Baldacci et al., 2009; WHO, 2006; Hemond & Fechner-Levy, 1999). Le sorgenti antropiche principali sono: trasporto veicolare e marittimo, riscaldamento domestico, impianti industriali, lavorazioni agricole, estrazione di minerali, inceneritori, centrali elettriche, usura di manufatti, usura del manto stradale, dei freni e delle gomme delle vetture (Baldacci et al., 2009; WHO, 2006). La combustione di combustibili fossili e di biomassa contribuisce significativamente alle emissioni e formazione di particolato (WHO, 2006). Il PM10 viene prodotto principalmente dalla rottura meccanica di grandi particelle solide (WHO, 2006). Il PM2.5 si forma da gas e particelle ultrafini, mediante i processi di coagulazione o condensazione su superfici di particelle esistenti (WHO, 2006). Il PM0.1 può essere prodotto dalla condensazione di metalli o composti organici che evaporano durante i processi di combustione ad alte temperature e dalla condensazione di gas (WHO, 2006).
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Solitamente, la frazione ultrafine è composta da nitrati, solfati, ammoniaca, black carbon, composti organici e metalli in tracce (Hemond & Fechner-Levy, 1999; WHO, 2006).
Il particolato può essere distinto in primario, se direttamente emesso dalle sorgenti, o secondario, se formato da processi chimico-fisici che avvengono in atmosfera (WHO, 2006; Seinfeld & Pandis, 2016). Nello specifico, il particolato secondario si forma dalla conversione di gas, come SO2, NOx e NH3, in particelle (Hemond & Fechner-Levy, 1999). La rimozione dall’atmosfera del particolato può avvenire per deposizione secca mediante la sedimentazione gravitazionale e la coagulazione con altre particelle, o per deposizione umida, mediante le precipitazioni (Baldacci et al., 2009; Hemond & Fechner-Levy, 1999).
2.5.4. Ozono (O3)
L’ozono è un gas tossico ossidante di colore bluastro, composto da tre atomi di ossigeno, che ne danno la caratteristica di forte reattività (Sarno et al., 2013). L’ozono è presente naturalmente nella stratosfera e la sua esistenza è fondamentale per la vita sulla Terra (Nuvolone et al., 2018). Lo strato di ozono, detto anche ozonosfera, presente tra i 20 e 30 km di altitudine, ha la funzione di filtro per lunghezze d’onda dell’ordine dell’ultravioletto: UV-A, con lunghezza d’onda compresa tra i 315 e 400 nm; UV-B, con lunghezza d’onda compresa tra i 280 e 315 nm; UV-C, con lunghezza d’onda compresa fra i 100 e i 280 nm (Seinfeld & Pandis, 2016). Gli UV-A e gli UV-B hanno una grande importanza per gli effetti biologici che possono provocare, causando anche danni di tipo fotochimico al DNA delle cellule cutanee (Seinfeld & Pandis, 2016). L’ozono, in stratosfera, si genera dalla foto-dissociazione di molecole di ossigeno secondo la seguente reazione (Seinfeld & Pandis, 2016):
O2 + hυ (λ < 243 nm) 2O
Dove h è la costante di Planck, υ è la frequenza della radiazione e λ è la lunghezza d’onda.
Gli atomi di ossigeno sono fortemente reattivi e tendono a reagire con l’ossigeno atmosferico ed altre molecole (M) quali N2 o O2 (Seinfeld & Pandis, 2016):
O + O2 + M O3 + M
La produzione di ozono diminuisce rapidamente con la diminuzione dell’altitudine a causa della diminuzione dell’intensità della luce ultravioletta necessaria per la reazione, dovuta all’assorbimento da parte dell’ossigeno atmosferico (Seinfeld & Pandis, 2016). Invece, al di sopra dei 30 km di altitudine, la produzione di ozono diminuisce a causa della diminuzione
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della pressione, in quanto la velocità della reazione di associazione è proporzionale al quadrato della pressione totale (Seinfeld & Pandis, 2016).
L’ozono presente in troposfera, invece, è un gas tossico per l’uomo e gli ecosistemi (Seinfeld & Pandis, 2016). A differenza dell’ozono stratosferico, quello troposferico è un gas inquinante secondario, con proprietà altamente tossiche (WHO, 2006; EEA, 2018; Nuvolone et al., 2018). L’ozono troposferico si genera per una serie di reazioni chimiche innescate dalla foto-dissociazione del biossido di azoto (WHO, 2006; Seinfeld & Pandis, 2016; Hemond & Fechner-Levy, 1999):
NO2 + hυ (λ<= 430 nm) NO + O
O + O2 O3
Il ciclo si conclude con il consumo dell’ozono, secondo la reazione (WHO, 2006; Seinfeld & Pandis, 2016; Hemond & Fechner-Levy, 1999):
NO + O3 NO2 + O2
Tuttavia, in presenza di un’alterazione in questa serie di reazioni, dovuta alla formazione di eventi che consumano ossido nitrico oppure che favoriscono la produzione di biossido di azoto, si può generare un accumulo di ozono (WHO, 2006). In realtà, il processo è molto più complicato, poiché l’accumulo di ozono in troposfera dipende fortemente dalla concentrazione dei suoi precursori e dalle condizioni meteorologiche (WHO, 2006). I precursori che contribuiscono maggiormente alla formazione di ozono sono gli ossidi di azoto (NOx) ed i composti organici volatili diversi dal metano (COVNM) (WHO, 2006; EEA, 2019a; Nuvolone et al., 2018; Kinney, 2008; Seinfeld & Pandis, 2016). Altri precursori coinvolti nella formazione di ozono sono il monossido di carbonio (CO) ed il metano (CH4) (Nuvolone et al., 2018; EEA, 2018; Orru et al., 2017; Seinfeld & Pandis, 2016). La serie di reazioni chimiche che porta alla formazione dell’ozono inizia con l’ossidazione dei COV o
del CO e la formazione di radicali perossido (H2O2) o organici (RO.), i quali reagiscono con l’NO, formando NO2 (Nuvolone et al., 2018). Il biossido di azoto viene foto-dissociato in NO e O, secondo la reazione vista precedentemente, portando alla formazione dell’ozono per reazione fra l’ossigeno molecolare e quello atmosferico (Nuvolone et al., 2018). Nelle aree continentali, rurali e suburbane, dove le concentrazioni di NOx sono basse, la formazione di ozono aumenta all’aumentare dei livelli di NOx, indipendentemente dai livelli dei COV (Nuvolone et al., 2018). Negli ambienti urbani o industriali, dove si hanno alte
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concentrazioni di NOx, le concentrazioni di ozono diminuiscono con l’aumentare degli NOx e aumentano all’aumentare dei COV (Nuvolone et al., 2018). Ciò avviene perché il biossido di azoto reagisce con i radicali, eliminandoli (Nuvolone et al., 2018). In queste condizioni, i processi di formazione dell’ozono sono influenzati dalla disponibilità dei radicali liberi, la quale produzione dipende dalla radiazione solare e dalla concentrazione dei COV (Nuvolone et al., 2018).
Come detto precedentemente, anche le condizioni meteorologiche influenzano le concentrazioni di ozono: condizioni anticicloniche, quindi con alte temperature, alto irraggiamento solare, venti deboli e umidità bassa favoriscono la produzione di ozono (Chang et al., 2019; Orru et al., 2017). Durante la stagione estiva, con l’alta pressione, il mescolamento verticale dei precursori e la dispersione degli inquinanti è limitata (Nuvolone et al., 2018). In inverno, invece, c’è una correlazione negativa tra l’ozono e gli inquinanti primari (Nuvolone et al., 2018; Mitis et al., 2007).
Gli effetti sulla salute di questo inquinante sono visibili principalmente nel periodo estivo, quando le condizioni meteorologiche favoriscono la produzione di ozono (Chang et al., 2019; Nuvolone et al., 2018; Mitis et al., 2007). Avendo una bassa solubilità, l’ozono penetra nell’organismo solamente tramite inalazione, raggiungendo anche le vie respiratorie inferiori e diffondendo nel sottile strato di liquido di rivestimento epiteliale (Nuvolone et al., 2018). Si formano, così, prodotti secondari di ossidazione che generano stress ossidativo nel tratto respiratorio, determinando processi infiammatori (Nuvolone et al., 2018).
L’impatto dell’ozono non si ha solamente sull’uomo ma anche sulle piante, andando a ridurre la capacità di queste di eseguire la fotosintesi e ad ostacolare l’assorbimento di anidride carbonica (EEA, 2013). Inoltre, ha influenza anche sulla crescita e riproduzione delle piante, portando ad un indebolimento di queste (EEA, 2013). Di conseguenza, l’impatto è visibile nella diminuzione dei raccolti e dello sviluppo di boschi e foreste (EEA, 2013).
I precursori dell’ozono sono emessi da sorgenti sia naturali sia antropiche (Nuvolone et al., 2018). Le sorgenti naturali sono: vegetazione, microbi, animali, incendi boschivi, fulmini (Nuvolone et al., 2018). Le sorgenti antropiche sono: trasporto veicolare, impianti industriali e solventi chimici (Nuvolone et al., 2018).
Il tempo di residenza dell’ozono in atmosfera è di circa un mese (Doherty et al., 2017; Seinfeld & Pandis, 2016). Il problema dell’ozono è che, essendo un gas, si diffonde
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facilmente spostandosi con le masse d’aria (Seinfeld & Pandis, 2016). Ciò determina la presenza di concentrazioni elevate di ozono anche a grandi distanze dalla sorgente, comportando un aumento dell’esposizione della popolazione (Baldacci et al., 2009; Seinfeld & Pandis, 2016).
2.5.5. Composti Organici Volatili (COV)
I composti organici volatili sono una serie di sostanze in miscele complesse che evaporano facilmente a temperatura ambiente (Sarno et al., 2013). Si definiscono come COV gli idrocarburi, i composti ossigenati, alogenati ed altri composti del carbonio presenti in atmosfera nella fase vapore (WHO, 2006). L’emissione di COV in atmosfera avviene principalmente per perdite da sistemi pressurizzati o evaporazione di un combustibile liquido, come il benzene, dal serbatoio di un veicolo (WHO, 2006). Tuttavia, anche la combustione di combustibili fossili, per quanto riguarda i settori del trasporto veicolare, le attività industriali e i processi di incenerimento, generano emissioni di COV (WHO, 2006). Altre sorgenti antropiche sono: impianti industriali, prodotti per la pulizia, prodotti per la persona, cosmetici, colle e adesivi, pesticidi, insetticidi e disinfettanti, fumo di tabacco, pitture, paste abrasive, mobili e tessuti, materiali da costruzione (Sarno et al., 2013). Invece, le sorgenti naturali dei COV sono principalmente sostanze di origine umana, animale e vegetale (Sarno et al., 2013).Si stima che le emissioni globali di COV diversi dal metano siano circa il 10% antropogeniche e circa il 90% biogeniche (Seinfeld & Pandis, 2016).
Come abbiamo visto precedentemente, i composti organici volatili hanno un ruolo fondamentale per la formazione dell’ozono e, quindi, nel generare smog fotochimico.
2.6. Interazione fra il cambiamento climatico e l’inquinamento atmosferico
Negli ultimi 150 anni, la temperatura media globale della superficie terrestre è aumentata di 0.98°C (NASA, 2019). Il riscaldamento globale è ormai un’evidenza e si presume che questo possa avere effetti sulla salute. Come visto precedentemente, le condizioni meteorologiche hanno un’influenza importante sulle concentrazioni degli inquinanti. L’emissione di inquinanti, il trasporto, la trasformazione chimica e la deposizione secca o umida possono essere influenzati dalle variabili meteorologiche come la temperatura, l’umidità, le precipitazioni, i venti ed i mescolamenti verticali delle masse d’aria (Kinney, 2008). I cambiamenti climatici influiscono sui processi atmosferici e, di conseguenza, sull’inquinamento atmosferico (Orru et al., 2017). Alcuni studi hanno evidenziato che gli28
effetti sono già visibili: dal 1860 al 2000 si stima che la concentrazione globale di PM2.5 sia aumentata del 5%, mentre quella dell’O3 del 2% (Fang et al., 2013). In particolare, l’aumento del PM2.5 si osserva principalmente sull’Asia orientale, meridionale e nord-orientale, Africa occidentale ed Europa centrale, probabilmente a causa di una diminuzione delle precipitazioni su grande scala (Fang et al., 2013). L’aumento dell’O3 si osserva principalmente in Cina meridionale, India settentrionale, Stati Uniti nord-orientali, Europa centrale e Africa centrale (Fang et al., 2013).
Alcuni inquinanti atmosferici, essendo forzanti climatiche (EEA, 2019a), a loro volta influenzano il clima: il black carbon tende ad assorbire calore, determinando un aumento delle temperature locali, mentre il particolato solfato, come l’acido solforico (H2SO4), contribuisce alla formazione di nubi e tende a riflettere la radiazione solare comportando una diminuzione della temperatura troposferica (Orru et al., 2017), ma un aumento di quella stratosferica. L’aumento delle temperature a causa del cambiamento climatico può portare all’aumento delle emissioni biogeniche di COV, di CH4 dalle zone umide, di NOx dal suolo, e queste, a loro volta, possono determinare un aumento della concentrazione di ozono (Orru et al., 2017; Doherty et al., 2017). Associato al cambiamento climatico si prevede anche un aumento del blocco di sistemi di alta pressione su alcune regioni, causando così un aumento dell’inquinamento atmosferico (Doherty et al., 2017). Episodi maggiori di inquinamento dell’aria si verificano principalmente quando il mescolamento verticale dell’aria e la dispersione orizzontale sono limitate (Kinney, 2008). Queste condizioni si verificano solitamente in concomitanza dell’alta pressione, che determina una bassa ventilazione ed alte temperature (Chang et al., 2019). Anche in inverno sono frequenti questi episodi (Kinney, 2008), quando si hanno giornate soleggiate ed un forte irraggiamento notturno che determina il fenomeno dell’inversione termica, ovvero l’inversione del gradiente termico, con temperature inferiori al suolo e temperature maggiori in quota (Hemond & Fechner-Levy, 1999).
Il cambiamento climatico può agire anche in altri modi sull’inquinamento atmosferico: si suppone che l’aumento delle temperature determini un aumento degli incendi e della concentrazione pollinica in atmosfera (Kinney, 2008). L’aumento delle temperature porta ad una diminuzione dell’umidità presente nel suolo, con conseguente diminuzione dell’evapotraspirazione, che determina a sua volta una maggior estensione e frequenza di episodi di siccità (Kinney, 2008). Suoli e piante privi di umidità tendono a incendiarsi facilmente, di conseguenza si ha una maggior frequenza degli incendi e un’estensione
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maggiore di aree bruciate (Kinney, 2008). Dalle previsioni future tramite modellistica, si stima che nell’area mediterranea l’area bruciata potrebbe aumentare dal 40 al 100% in vista di tre diversi scenari possibili: aumento delle temperature di 1.5, 2 e 3°C (Turco et al., 2018). Un maggior sviluppo di incendi significherebbe un aumento dell’inquinamento da particolato fine nelle zone adiacenti agli incendi o anche in aree distanti ma sottovento (Kinney, 2008).
Per quanto riguarda la presenza di aeroallergeni in atmosfera, diversi studi hanno evidenziato che il cambiamento climatico ha un ruolo rilevante nella produzione del polline (Kinney, 2008; Beggs & Bambrick, 2005). Si suppone che il cambiamento climatico influenzi l’inizio, la durata e l’intensità della stagione pollinica (D’Amato et al., 2010). L’aumento delle temperature e l’aumento dell’anidride carbonica comporterebbero una maggior proliferazione delle piante con conseguente anticipo e dilatazione della stagione pollinica (Kinney, 2008; D’Amato et al., 2010; Beggs & Bambrick, 2005). Questo si rifletterebbe in una maggior esposizione della popolazione ad allergeni (Kinney, 2008).
Orru e colleghi, hanno valutato l’impatto del cambiamento climatico sull’inquinamento atmosferico e sulla salute in termini di tassi di mortalità e morbosità, basandosi su stime previsionali di esposizione agli inquinanti atmosferici (Orru et al., 2017). Per fare ciò si sono avvalsi delle proiezioni future ottenute con i Modelli Globali di Circolazione (GCM), che tengono conto di dati meteorologici, di dispersione chimica e deposizione, di emissioni di inquinanti (Orru et al., 2017). Dai risultati di questo studio si evidenzia un aumento della mortalità relazionata all’ozono in Europa centrale e meridionale, a fronte di una diminuzione in quella settentrionale (Orru et al., 2017). Perciò, in certe regioni il cambiamento climatico può portare ad un miglioramento della qualità dell’aria, probabilmente a causa di cambiamenti nella circolazione atmosferica e, quindi, nel trasporto di inquinanti (Orru et al., 2017).
2.6.1. Cambiamento climatico nell’area mediterranea
Il Mediterraneo è un bacino marino semiaperto circondato da terre emerse. L’area mediterranea è caratterizzata da una forte urbanizzazione, da un elevato traffico marittimo e da formazione e accumulo di inquinanti a causa dell’assetto meteorologico e topografico della zona (Stafoggia et al., 2016). L’area mediterranea è stata indicata come un hot spot climatico, in quanto è fortemente vulnerabile al cambiamento climatico (Ciardini et al., 2016). Infatti, l’aumento di temperatura misurato nelle regioni costali risulta essere maggiore