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Grafico 1. Alunni con cittadinanza non italiana per alcuni Paesi di Provenienza Anno scolastico 2007/

14. CAPITOLO 5: TRA ITALIA E MAROCCO

14.11 Khouribga: la città di origine

15.1.6 L’effetto pervasivo dei media

La matrice dei fenomeni migratori contemporanei è da ricercare anche nel suo aspetto ideativo e rappresentazionale: i Paesi occidentali hanno acquisito una “visibilità” senza precedenti, una rappresentazione pervasiva, quasi familiare, che si diffonde non solo attraverso le imprese, i marchi dei prodotti e i racconti dei migranti di ritorno, ma soprattutto grazie ai media. Mediante i canali via satellite, le reti telematiche, il cinema d’azione e notiziari, ma anche i viaggi e il turismo, il mondo “occidentale”, omologato nel suo complesso in modelli stereotipati e decontestualizzati, ha acquisito un’evidenza incomparabile al passato, in grado di alimentare i fenomeni diasporici attuali. Come emerge da alcune esperienze, la scarsità di occasioni lavorative determina una perdita di speranza nel futuro e fantasie di fuga. Mentre quotidianamente si devono affrontare problemi come la mancanza di acqua potabile o di corrente elettrica, dalla televisione e dall’ostentato benessere di coloro che tornano dall’estero emerge solamente un’immagine positiva dell’Europa, come se fosse un mondo ideale dove tutto è possibile.

Si vedono gli europei come se fossero tutti ricchi, ricchissimi. Tutti stanno bene, i loro sembrano Paesi della felicità; sembrano posti dove basta arrivare.

Era il mio sogno emigrare, passare la frontiera del Marocco perché fuori Marocco c’è libertà, la prima cosa è libertà di tutto ciò che è buono, bello, non tutto, ma quasi. Quando vedi televisione tutto è bello.

In questo passaggi si delinea l’importanza del rapporto quanto mai ricco e produttivo fra realtà ed immaginario come vettore di una costruzione di senso altamente performativa. Se nel corso dell’ultimo secolo le descrizioni dei Paesi meta di migrazioni erano veicolate principalmente dalle comunicazioni degli emigranti, oggi, a questo già potente vettore si è affiancata l’efficacia della diffusione mediatizzata, in grado di operare su scenari rappresentazionali ampi e pervasivi. Sottolineo questo aspetto per evidenziare come le “precomprensione” dell’emigrante siano spesso segnate da figure retoriche in grado di influenzare in modo massivo quegli ideorami (Appadurai, 2001) in cui ci si proietta già prima della partenza. Si tratta, va detto, di ricostruzioni ad hoc, artefatti che reificano forme culturali irreali e illusorie, finalizzate quasi sempre all’invenzione di un simulacro di realtà ad uso e consumo (per l’uso e il consumo) di un prodotto.

Ciò che colpisce maggiormente, tuttavia, è che l’immagine dell’Occidente non presenti sfumature. Dai racconti degli intervistati, emerge un Occidente interamente rappresentato da un’idea di benessere di facile accesso; altresì è la stessa idea di povertà, di miseria e privazione ad essere bandita. L’Occidente rappresenta l’altra faccia della medaglia, riassumibile con le parole di un ragazzo “l’Occidente è ciò che non siamo noi, ciò che il Marocco non può offrire”. Dopodiché il giovane continua portando esempi a favore di questa sua affermazione:

Io dormito a Termini (la stazione centrale di Roma) e avevo una piccola valigia con poche cose. Il giorno dopo niente valigia, qualcuno rubata mentre dormivo.

Gli chiedo allora perché non la avesse tenuta stretta a sé:

Perché pensavo che Italia tutti ricchi e nessuno frega di valigia di uno ragazzo come me. Io non pensavo che in Italia ci sono poveri che hanno bisogno.

La cultura dell’esilio, o almeno alcune dimensioni di questo repertorio di significati condivisi, si è diffusa all’interno dello spazio sociale cittadino, fino a trasformare la città dell’oro bianco, la “ville OCP”, che ruotava intorno alle miniere e da esse traeva la sua linfa vitale, nella città harrraga, degli zmagria, le cui rimesse sono ormai la principale fonte di ricchezza, e che costituiscono il gruppo di riferimento nella sfera dei consumi e dei comportamenti. L’intera comunità locale vive come “sospesa” nella propria emigrazione, che chiama ora Italia, ora Francia, ora Spagna.

La comunità è costantemente in agguato e in ascolto di quella parte di sé che è separata da se stessa; svolge il compito di amplificare a modo suo gli echi che le giungono; adotta i ritmi imposti dalle notizie che riceve e dai ritorni che avvengono periodicamente

Allo stesso modo, la vita a Khourigba va avanti in attesa di un richiamo, di un racconto, di una legge disattesa, una sanatoria. E’ l’intera pratica quotidiana a Khourigba ad essere determinata dal progetto di emigrare: gli immigrati di ritorno, vivono al villaggio solo provvisoriamente raccontando delle proprie “gesta” compiute in terra straniera e chi è rimasto vive nella costante illusione di poter presto partire per poter raccontare lo stesso.

La migrazione costituisce al tempo stesso una risposta ovvia e vitale agli squilibri del sistema globale, nella misura in cui la partenza verso un paese “ricco”, non necessariamente “occidentale”, diventa la strategia per compensare l’immobilità sociale e la mancanza di risorse che si avvertono nel proprio Paese. Esercitando il loro “diritto di fuga” (Mezzadra, 2001), i migranti si sottraggono alle condizioni di abuso e marginalizzazione operanti nei contesti di origine, ma si misurano allo stesso tempo le contraddizioni disciplinari che la logica dei confini (sintetizzata nella celebre metafora della Fortress Europe) oggi impone, riproducendo, nei nuovi contesti, le condizioni sistemiche di sfruttamento già in opera negli scenari globali.

La partenza e il viaggio: un progetto familiare condiviso

Per i minori provenienti da Khourigba, l’emigrazione rappresenta la fase finale di un lungo processo di valutazione e di discussione all’interno del contesto familiare,

spesso stremato da difficoltà economiche e finanziarie. Per far fronte alla partenza del minore, la famiglia vende lotti di terreno o proprietà familiari fino anche ad indebitarsi. Tale debito dovrà essere risarcito poi con le rimesse inviate dal ragazzo una volta in Italia. Come ci sottolinea Lassaad, mediatore culturale del CPIM di Napoli:

Su tutti i minori pesa indistintamente lo stesso pesante mandato; tutti i minori hanno indistintamente un obiettivo cogente da soddisfare: quello di fare soldi, di mandare soldi alla famiglia che su di loro ha investito, di contribuire alla crescita economica della famiglia, all’ampliamento e al miglioramento delle aziende agricole familiari, di avviare, o abbracciare, attività economiche in Italia

Il nucleo del conflitto familiare è quindi spesso per i minori soli, un nodo nevralgico, un punto di forte criticità, il motivo profondo di nevrosi, paure, tentativo estremo di nascondere ai familiari le reali condizioni di vita, orgoglio irriducibile; una serie di tasselli che spesso finiscono per costituire l’humus per l’insorgenza di gravi disturbi a livello della personalità e del comportamento. “Ci troviamo di fronte a ragazzi caricati da responsabilità da adulti in un corpo e in una mente da bambino” ci dice Abdullah. Il peso delle decisioni familiari condiziona la partenza del minore così come graverà su tutto il percorso successivo. Lo stesso viaggio prende piede all’interno della rete comunitaria: il minore è affidato ad un passepartout, un membro della famiglia allargata o un connazionale, che lo accompagnerà in Italia, mascherandolo sul proprio passaporto.

Io mi sono fatto accompagnare da una persona che mia famiglia ho pagato per venire qua in Italia. Sapevamo che accompagnava tanti ragazzi qui. Lui ti faceva passare per suo figlio. Lui aveva il suo passaporto, con il nome dei suoi figli veri, e poi ti faceva la foto, e l’attaccava sopra il passaporto al posto di quella dei suoi figli. Sono partito da Khourigba con questa persona, lui era del mio paese. Tu gli portavi i soldi, gli dicevi dove volevi andare e lui ti portava. Tutto questo per 4 milioni di lire italiane che mia famiglia ha dovuto pagare. Abbiamo viaggiato in macchina fino in Italia. Siamo partiti da Khourigba e siamo andati fino a Ceuta. Da li abbiamo preso il traghetto e siamo arrivati fino in Spagna. Poi Torino.

Con mio zio ho fatto un viaggio lungo e schifoso. Prima l’autobus, poi un treno fino a Tangeri. Poi siamo passati per Spagna, tutti nascosti dentro un camion che prendeva un traghetto per passare il mare. Treno, macchina, autobus, poi tutto a piedi. Dopo tutte le tappe, arrivo in Italia…da Khourigba sono di tempo due settimane. Poi Torino e poi Roma che mi ha accompagnato un altro marocchino da un altro zio. Mia famiglia ha dato lui 5000 Euro. Senza soldi, tu non lasci Marocco.

L’attitudine alla flessibilità e alla mobilità, connotato essenziale della figura del migrante, appare particolarmente spiccata nei marocchini, favorita appunto dall’alto potenziale dei punti di appoggio, ovvero, come vedremo nei successivi paragrafi, dal valore che l’ospitalità e la parentela assumono nella cultura di origine.

Ritornando infatti alle storie dei ragazzi intervistati, A., di cui si è prima parlato, è stato aiutato da un connazionale che è riuscito a farlo entrare in Italia mascherandolo sul proprio passaporto, mentre la famiglia si è sobbarcata delle spese. Analogamente M. ha raggiunto Torino con lo zio anche lui immigrato da molti anni e poi è sceso a Roma con

un connazionale per raggiungere un secondo zio. Ma ancora si potrebbe parlare della storia di B. che parte per ricongiungersi al padre, con il quale però non può rimanere perché clandestino e privo di mezzi per sostenerlo o della storia di A., l’ultimo arrivato del gruppo dei ragazzi, che intraprende il viaggio verso l’Italia per raggiungere suo padre e i fratelli maggiori, seppur anch’essi minorenni.

Da Khourigba quindi i minori giungono a Torino, di lì decidono o di rimanere o scendere ancora verso Napoli. Roma, come abbiamo visto nelle storie precedenti, si configura quale tappa intermedia del percorso del migrante: in genere il minore vi sosta per poi raggiungere Napoli. Sembrerebbe che il clima piuttosto favorevole e un tipo di relazioni sociali più “calde” rispetto a quelle provate nel Centro- Nord, spingano i minori a lasciare Torino per il Centro- Sud dell’Italia.

I minori marocchini si fermano o a Torino dove arrivano tutti o scendono giù a Napoli. Tutti quelli che sono a Napoli provengono da Khourigba e sono passati come seconda tappa per Roma. C’è una corrispondenza tra la città di provenienza e quella di arrivo. La vita nel sud Italia corrisponde alla precarietà della vita che si incontra lì, nel loro paese. La conosco perfettamente perché me l’hanno raccontata in lungo e largo. Poi sicuramente il clima è un altro fattore che li porta qui, gioca un ruolo fondamentale, ma non solo questo. L’ambiente del centro- sud è meno impersonale, meno freddo, di quello che c’è al Nord.

Oppure più semplicemente, la tappa su Roma è frutto di una causalità che se seguita da eventi e incontri “fortuiti” può tramutarsi anche nella scelta di stanziarvisi. Come nel caso di questo ragazzo:

Perché sei arrivato a Roma?

Ma che Roma!!! Io arrivato a Torino, poi prendere treno per Milano, ma senza parlare italiano e capire niente, preso treno per Roma.

E come mai ti sei fermato qui?

Non so… conosciuto amici, amici marocchini che stavano qui. Pensi di rimanere qui?

E perché no?

Adolescenti (e) immigrati la cui vita si svolge tra “qui” e “ora”, tra due o più stati nazionali. Il loro percorso è intessuto di piccole casualità - incontri, parole, piccoli gesti - che ne determinano l’intrigo. Sono storie fatte di alternanza di successi e sbandamenti, integrazione e devianza, intreccio di trame che si snodano sul confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è. “Minori al bivio”, qualcuno dice, tra integrazione e rimpatrio.

I legami transazionali che i minori intessono derivano la loro forza dalla dipendenza reciproca tra gli emigrati- immigrati e la comunità di origine: quest’ultima ha bisogno degli emigranti, che oltre ad inviare rimesse, mantengono in modo continuativo attività e interessi in patria, mentre i primi hanno bisogno della società di origine come punto di riferimento per i loro progetti esistenziali e per ottenere il riconoscimento e il prestigio che la società di immigrazione non può offrire loro. Tramite questi legami, e grazie all’alta frequenza dei rientri e alla stabilità dei contatti, prende corpo uno spazio sociale, immaginativo e culturale liminare tra la società di origine, Khourigba, e le città di approdo all’estero, nel nostro caso, Roma. Perché ragionare in termini di transnazionalismo significa anche costruire nuovi “campi sociali” che collegano i due

poli del movimento migratorio, mantenendo un ampio arco di relazioni sociali, affettive o strumentali attraverso i confini (Ambrosini, 2004).

Harraga: bruciare le frontiere e dimenticare il passato

Mshat r- rjal Harga: “gli uomini sono partiti come clandestini” celebra la nota canzone Sabi ad indicare le molteplici dimensioni dei “viaggi della speranza”:

Gli uomini sono partiti harga

Hanno attraversato a nuoto mari profondi Che Dio aiuti il vero uomo

E faccia cadere gli occhi a chi non lo è Il poverino, il suo desiderio è un orecchino E’ partito uomo, è tornato rovinato

Uno è sparito, e il giorno che è tornato E’ ritornato con un sacco di soldi

E ha sradicato la sofferenza sua e dei suoi genitori Uno è saltato ed è caduto

E ha riportato la fame senza guadagno Dieci anni all’estero

E ancora sua madre lo mantiene Uno è partito harraga

Assieme a degli uomini

Ha conosciuto gli uomini e i viaggi E’ male invidiarlo

Che Dio lo aiuti E l’altro segue la moda

E anche le sue parole sono cattive Non pensa all’avvenire

Non fa i conti per il suo futuro Ya Sahab! Ascoltate

Quelli che sono più vecchi di voi, e riflettete!

Ascoltate le parole che vi possono aiutare Anche se poi non le seguirete

Allontanatevi dalla gente cattiva e pazza Che non parla di niente e fa solo bla bla Loro non sono niente né qui né là218.

Higue è la via dell’emigrazione clandestina e harraga sono gli immigrati illegali, “incendiari”; a livello metaforico, invece, le due espressioni indicano una

218La musica sha bi popolare è diventata negli ultimi ani uno dei più notevoli mezzi di espressione delle

tensioni e delle trasformazioni della società marocchina, e soprattutto uno dei maggiori canali di diffusione della cultura dell’esilio e della sua ideologia. La musica sha’bi è, a tutti gli effetti, la musica degli emigranti, degli harraga.

volontà di cesura con il proprio passato, il desiderio di un “taglio” netto. Come mi spiegano Ali e Mustafa:

A. hrigue perché è come se tu volessi bruciare tutta la vita precedente, anche se restano i ricordi, questa almeno è la mia opinione .

M. Quando hai bruciato il paese, hrigti l- bled, è come se avessi bruciato il libro della tua vita

A. L’uomo che ha perso tutte le sue speranze in Marocco attraversa la frontiera e quindi il fuoco per ricominciare.

Per i minori di Khourigba, quindi, a fronte di un crescente e pervasivo desiderio di fuga, non esiste altra possibilità che “bruciare”, affidandosi alle filiere della migrazione illegale.

Abbiamo visto come il viaggio sia connotato da una serie di caratteri tipici, intrinseci di per sé all’esperienza del “rischio”: il “taglio” con il passato, il rapporto con i compagni di ħreg, la figura potente ed ambigua del passeur, la traversata e l’arrivo in un mondo ostile e sconosciuto, con quello che ne consegue in termini di successo o fallimento. Il “taglio” prodotto dallo sconfinamento e dal confronto con le dimensioni normative del confine, interviene per ridefinire in modo nuovo il rapporto con l’altrove, “presentificando ora di colpo le responsabilità ed anticipando la possibilità di una liminarità prolungata, rappresentata da quel “limbo” che si inaugura con la “combustione” del limite in attesa della complessa costruzione di una nuova cittadinanza” (Vacchiano, 2007). Quella che sta per materializzarsi è ancora una volta una condizione extra, di colui che sta “fuori” (barrânî, .straniero., lett. .colui che è fuori.: alâ l-barra), preso in un limes fatto ancora di reti, muri e barriere da cui si può essere continuamente respinti.

E’ chiaramente la condizione di irregolarità giuridica a pesare in maniera preponderante sull’esito dei loro percorsi. I cambiamenti sono molteplici e improvvisi, le fratture laceranti e inevitabili, i compiti ai cui fare fronte nel paese di accoglienza appaiono in un primo tempo ardui e quasi al di fuori della propria portata. L’arrivo è senza dubbio il momento più critico in quanto si tratta della fase in cui le aspettative e le conoscenze sul paese di destinazione vengono più duramente testate nel contatto con l’esperienza diretta; ci si rende conto della scarsità delle informazioni in proprio possesso e soprattutto dello scarto tra le aspirazioni che hanno motivato il processo migratorio e le opportunità strutturalmente presenti nel paese d’arrivo. L’impatto con l’Italia reale, abbiamo visto essere per tutti molto difficile.

In un percorso comunque molto personale, i minori per raggiungere il proprio obiettivo ricorrono a strategie di prova ed errore. In generale, in accordo alle più recenti teorie sui network, il ruolo dei connazionali è centrale nel fornire risorse di prima accoglienza e nel veicolare opportunità, ma al tempo stesso un’arma a doppio taglio. A parte il primo soccorso, infatti, è del tutto evidente che le informazioni e le opportunità veicolate dalle reti sono sostanzialmente strutturate dal complesso di attività ed opportunità che sono già sviluppate e consolidate all’interno delle reti stesse. La cassetta delle informazioni può comprendere quelle amministrative utili per il minore nel processo di regolarizzazione, così come contemplare la “grammatica dei rischi” in cui risultano chiare le ipotesi illecite di sostentamento.

Una sola parte dei MSNA riesce ad accedere ad un percorso di inserimento accettando di entrare nelle comunità di accoglienza. Anche se è bene sin da subito sottolineare che come l’aver inizialmente intrapreso attività di sostentamento informali e ai limiti della legalità non significa necessariamente che i minori siano approdati e definitivamente inseriti in una cultura deviante, allo stesso modo un tempestivo ricorso e ricovero in comunità di accoglienza non ha impedito un successivo coinvolgimento del minore in attività illecite.

Alcuni dei minori che entrano nelle comunità, infatti, tendono a fuggirvi molto presto in quanto l’accoglienza istituzionale purtroppo stenta a trovare soluzioni adeguate ai bisogni dei ragazzi, i quali a volte “preferiscono” cadere nelle reti di criminalità pur di vedere appagate delle aspettative di guadagno molto alte, legate al loro progetto migratorio.

A ciò si aggiunga che le pressioni familiari e quelle culturali inficiano fortemente il percorso di vita, agganciando le loro giovani esistenze a luoghi, tempi propri forse della prima generazione di immigrati, ma difficili da comprendere e accettare da giovani parzialmente socializzati in terra straniera.