• Non ci sono risultati.

Grafico 1. Alunni con cittadinanza non italiana per alcuni Paesi di Provenienza Anno scolastico 2007/

14. CAPITOLO 5: TRA ITALIA E MAROCCO

14.11 Khouribga: la città di origine

15.1.9 Le informazioni nella rete

Gli eventi e gli incontri che si verificano nel periodo immediatamente successivo all’ingresso in Italia giocano un ruolo importante nell’indirizzare i futuri passi del minore. La pratica più diffusa per ottenere informazioni risulta essere quella del passaparola, attraverso il contatto con connazionali e/o familiari che hanno già intrapreso lo stesso percorso. Il passaparola funziona soprattutto per quanto riguarda l’iscrizione ai diversi CTP (ai quali viene indirizzato chi vuole imparare l’italiano velocemente o completare un percorso scolastico già iniziato in Italia ed arenatosi); per indicare la presenza sul territorio di associazioni che si occupano di stranieri, e in alcuni casi per l’inserimento di alcuni minori in comunità. In diverse occasioni, ci dicono gli operatori, è stato un parente ad occuparsi di queste prime formule di “integrazione”: Il secondo giorno dopo il suo arrivo, il fratello lo ha subito portato a fare i documenti e poi si è preoccupato di iscriverlo a scuola. Poi lo ha accompagnato qui da noi.

E’ stato il cugino che gli ha fatto fare la richiesta del permesso di soggiorno e dopo un po’ a farlo venire in comunità.

Importante il passaparola anche per l’inserimento del minore nelle comunità di accoglienza. Nelle storie di X e A. le indicazione sono pervenute mediante l’incontro fortuito con un connazionale:

Mio zio vendeva CD e allora pure io mi sono messo a vendere CD. Alla fine dipendevo da lui. Tutti i soldi li teneva lui e a me dava solo mangiare. Poi un giorno ho conosciuto un connazionale mentre lavoravo e detto di comunità Mediterraneo e allora io venuto qui. Lasciata casa mio zio e venuto a vivere qui.

Io ero per strada e sentito uno parlare marocchino. Allora io chiesto lui qualche soldo per magiare e lui dato me. Poi mi ha accompagnato in una comunità. Io ci ho pensato un po’ e poi ho pensato che meglio andare in comunità. Lui detto me che io poi non obbligo di rimanere in comunità se io non piaceva. Poi però sono rimasto.

Ma l’incontro con la struttura di accoglienza può essere anche la conseguenza di un controllo da parte delle forze dell’ordine o il risultato dell’intercettazione di un mediatore.

Come sei arrivato in questo centro di accoglienza? Ero sul treno per venire a Roma e fermato dalla polizia e venuto prima in un posto (si riferisce alla Casa Famiglia) e poi qui (Comunità Virtus).

E tu?

Era in strada a vendere Cd e mi ha fermato Nazim (è il mediatore culturale della Caritas). Lui mi ha detto che comunità era meglio per me. All’inizio no creduto. Poi però dopo giorni alla fine sono venuto.

In altri casi ancora l’arrivo al centro può avvenire in seguito ad una detenzione nel carcere minorile dove il ragazzo per un periodo si trova in custodia cautelare. Si tratta di minori che prima di arrivare al centro di accoglienza hanno dormito per determinati periodi in luoghi disagiati, in strada o in case abbandonate e che spesso per sopravvivere si sono trovati coinvolti in attività illecite.

All’inizio io vendevo fazzoletti, poi CD e così qualcosa guadagni. Poi la droga. Perché non sempre riesci a guadagnare e ti devi pure fare altre cose, a volte però. E così sono finito in carcere e poi mi hanno portato qui in questo centro.

Nel momento in cui questi ragazzi vengono inseriti nelle comunità, i rappresentanti di questi centri diventano spesso il loro punto di riferimento e la principale fonte di informazione: sono loro che, infatti, si preoccupano dell’intero iter burocratico da seguire ai fini della regolarizzazione dei ragazzi e a indicargli il percorso “integrativo” più idoneo.

Ma è proprio qui che scatta il conflitto! Il ragazzo inizia a conoscere il sistema italiano, va a scuola con ragazzi italiani. Sa che qui in Italia se sei minorenne non puoi lavorare, ecc … Si trova nell’occhio del ciclone. Seguire cosa dice la famiglia? La comunità di accoglienza? Preferire il guadagno facile? Non sa più che fare.

La lacunosa conoscenza delle modalità con cui avviene il percorso di regolarizzazione genera, infatti, in alcuni minori, una forte diffidenza nei confronti dell’Ufficio stranieri per paura che “uscire allo scoperto” porti all’espulsione. L’assistente sociale

Venire qui e dare le proprie generalità significa per loro come denunciarsi e così da qui inizia la trafila di bugie. Poi però se riesci realmente ad entrarci in confidenza, tutto cambia.

Acquisita la fiducia dei ragazzi, in alcuni casi si riesce di riflesso a “conquistare” anche quella dei loro familiari. Questi ultimi infatti non di rado finiscono per considerare l’inserimento in comunità la scelta migliore rispetto all’anomia e alla solitudine cui i ragazzi sembrano destinati quando ci si rende conto che i ritmi e/o le condizioni di vita e di lavoro sono tali da non consentirne la “cura”.

Un operatore della comunità Virtus infatti ci spiega:

Ora … se il minore e il parente o genitore che sia, entrano irregolarmente sul territorio italiano, la normativa prevede che l’adulto venga espulso, mentre il minore può decidere di seguirlo o meno. Così può accadere che il genitore, seppur clandestino, decida di tenere con sé il figlio, oppure preferire di lasciarlo in comunità perché ottenga il permesso di soggiorno e sia iscritto a scuola. Spesso non hanno modo di accudirli e la scelta della comunità può sgravarli di parecchie incombenze.

Padre Gaetano altresì racconta la storia di un ragazzo marocchino ospite presso la comunità di nonostante sia in Italia con il papà e due fratelli. A. era in Italia già da un anno, prima di essere fermato dalle forze dell’ordine. I fratelli, al momento dell’intervista, sono entrambi in carcere e il papà vive a Genova dove, dopo molti anni di soggiorno irregolare, riesce a trovare un contratto di lavoro regolare.

A. ha detto che stava in Italia già da un anno. E’ arrivato e lavorava come lavavetri. E’ arrivato in Italia perché aveva due fratelli qui, entrambi dediti allo spaccio e infatti e ora stanno tutti e due in carcere e già da un po’ di tempo. Anche il papà quando era in Italia era stato denunciato, ma non è venuto in carcere, ha avuto una denuncia a piede libero per spaccio. I fratelli vivevano nel campo del casalino e lui viveva con loro. E’ stato fermato - ed essendo minore non accompagnato – perché non ha rivelato di essere qui con il fratello- è stato portato in un centro di pronta accoglienza, la sacra famiglia. Poi qui da me.

Lui ha anche due fratelli qui, coinvolti da sempre coinvolti nello spaccio, quindi sono stati in carcere più volte. Irregolari. Il papà invece è regolare, ma ha ottenuto il permesso solo recentemente, per più di 10 anni è stato irregolare.

Io l’ho conosciuto l’estate scorsa, perché gli ho detto “Dì a papà di farsi vedere”. E’ venuto il papà, l’ho incontrato, ho cercato di responsabilizzarlo. E’ qui da tantissimi anni. Anche lui, nonostante fossero 10 anni che stava qui, viveva ancora in una situazione molto marginale, facendo il manovale, non aveva mai avuto un’assunzione vera e propria regolare. Quindi delle difficoltà oggettive.

Questo alla metà di Luglio, ad Agosto il papà se ne è andato in Marocco ed è rientrato dopo tanti mesi, ad Ottobre e è venuto a Roma, è stato pochi giorni e se ne è andato a Genova, dove ora lavora. Sembra che lì abbia trovato un’occupazione lavorativa regolare, sempre come manovale presso un’azienda edile. Il ragazzo è rimasto qui. Ha pensato che il ragazzo potesse essere più seguito qui da me che a casa da solo lì a Genova. Al ragazzo manca molto il papà, ma ora studia ed è inserito in un percorso di inclusione che il ragazzo ha accettato.