• Non ci sono risultati.

Grafico 1. Alunni con cittadinanza non italiana per alcuni Paesi di Provenienza Anno scolastico 2007/

14. CAPITOLO 5: TRA ITALIA E MAROCCO

14.11 Khouribga: la città di origine

15.1.7 I legami parentela durante l’emigrazione

Il MSNA, una volta individuato dalle forze dell’ordine, e probabilmente in seguito a ciò condotto nelle comunità di accoglienza, è “gestito” all’interno di una categoria di ordine giuridico che presta non pochi scollamenti dalla realtà. Secondo la legge, il minore “non accompagnato” necessita, e ciò per definizione, di potestà in quanto privo di autonomia soggettiva. Ricordiamo infatti che dalla definizione data dal Comitato Minori Stranieri il MSNA sono definiti tutti quei minori “non aventi cittadinanza italiana o di altri stati membri dell’Unione che, non avendo presentato domanda di asilo, si trovano per qualsiasi causa nel territorio dello stato privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano219”.

E’ evidente già da questi primi tratti come la figura del minore marocchino giunto in Italia si presti a fatica ad essere inquadrato nel paradigma giuridico pensato per i MSNA in generale. Non solo tale minore risulta “fisicamente accompagnato” da adulti di riferimento, identificabili dai parenti o dagli stessi genitori, ma è l’intero percorso migratorio ad essere pensato, gestito all’interno di ferree regole comunitarie. Se del peso dei network migratori si parlerà però nel paragrafo successivo, si vuole ora menzionare come la trama dei diritti e degli obblighi esistenti nella qaraba220 del Marocco rurale continui ad essere non solo una determinante degli stessi flussi migratori, ma anche più propriamente a legare i suoi membri anche a distanza.

Per qaraba, i marocchini di Khourigba intendono il principio coesivo fondamentale delle comunità residenziali in cui vivono. La stessa struttura sociale coglie le unità sociali proprio sulla base delle loro attività e dei criteri di appartenenza o aggregazione221. A Khourigba, similmente ad altre aree rurali del Marocco, filiazione e

219DPCM del 9 dicembre 1999, n. 535, art. 1

220 Partiamo ad esempio, scrive Ugo Fabietti ( ), dalla nozione di qaraba che viene usata per. La

traduzione più fedele di questa parola araba (che deriva da qarib “vicino” come contrapposto a ba’id lontano) è appunto “prossimità”.

221 I capo- famiglia se ne hanno la possibilità possono avere 3 o 4 mogli; ogni moglie ha una stanza

discendenza patrilineare, sullo sfondo di un’ideologia di consanguineità agnatica, presiedono la formazione degli aggregati domestici multipli e dei patrilignaggi che comprendono gli agnati discendenti da un avo comune. Essi generalmente risiedono nello stesso duwar222dove possono tuttavia essersi stabilite anche famiglie appartenenti ad altri patrilignaggi. Le varie famiglie del duwar hanno diritti e doveri d’assistenza reciproci dettati anche dalle alleanze matrimoniali (Persichetti, 2003). La vita di un dwar è regolata da una jima, una assemblea alla quale partecipano tutti gli uomini adulti, dove si discute di questioni comuni, indipendentemente da questioni di ordine parentale: la gestione della scuola, il pagamento di un maestro religioso, le eventuali dispute sulle terre, ecc .

Negli aggregati domestici multipli l’obbedienza e l’uguaglianza sono le regole cardine per una convivenza duratura. La vita si basa su un codice implicito di aiuto reciproco tra gli agnati sul piano anche della pura ospitalità e della cura della prole. Motivo per cui questo senso di appartenenza ad uno stesso gruppo permette ai genitori marocchini di affidare in maniera informale il percorso migratorio del figlio minorenne ad un membro della famiglia. Il concetto di asabiyya223, la solidarietà, inoltre, tende a permeare di sé, al di là dell’idea della comunanza di sangue, ogni altro tipo di legame sociale fondato sulla comunità di interessi; costituisce una specie di modello per altre solidarietà fondate sul rapporto cliente – padrone o sul vicinato, di modo che queste ultime vengano espresse attraverso un concetto originariamente tipico dell’idioma parentale.

Ora è chiaro che non esista una correlazione biunivoca tra ciò che noi intendiamo con i termini famiglia” o “parentela” e ciò che queste formule significano in Marocco, ed più in generale in tutto il Medio Oriente”. Non a caso già Hildred Geertz (1979, p. 315) faceva riferimento già nel 1979 sia alla confusione generata dal fatto di mettere insieme, sotto la voce “famiglia”, componenti che altrove sarebbero riassunte dalle voci “parentela”, “amicizia” e “patronato” che al legame di vincoli e obbligazioni reciproche esistenti tra i membri di una stessa “famiglia” marocchina solo lontanamente assimilabili ai nostri:

Ognuno in Marocco costruisce nel corso della sua vita varie reti di relazioni su cui fare affidamento, che includono legami di amicizia, di patronato, nonché di tipo familiare. Sebbene nel linguaggio parlato sussistano distinzioni fra ciò che noi chiameremmo “parenti”’ e chi, su basi essenzialmente bio-genetiche, considereremmo “non parenti”, le definizioni operative, messe in atto nel quotidiano, non si basano su nette e semplici distinzioni fra familiare, amico e patrono (…) Per molti marocchini (…) i legami sociali di amicizia e di patronato si integrano con la famiglia e molte delle sue norme si applicano anche ad essi. I singoli membri della famiglia possono essere o non essere

chiamiamo hatta (tenda). Per Khima invece intendiamo una hatta con numerosi individui dello stesso sangue, ma che sono su materassi separati.

222 Un dwar può derivare sia dall’espansione di una sola hatta, cioè di un unico patri lignaggio, che

dall’aggregazione di hatta corrispondenti a patri lignaggi (fakhdah) differenti. Pertanto il dawr, al contrario del fakhdaj, non comprende per definizioni solo agnati, ma può accogliere anche stranieri, cioè membri di altre tribù.

223 Nobili e onorabili sono coloro che si conformano all’ideale della asabiyya sopprimendo le spinte

centrifughe al fine di conservare nel corso di più generazioni possibili il nome e l’unità del lignaggio: la

asabiyya è presupposto di onorabilità. Vi può essere asabiyya senza onore, ma non il contrario. L’uomo

alleati affidabili, ma questo non dipende da una distanza biogenetica o dall’appartenenza ad un gruppo genealogico, bensì dal bilancio di debiti ed obbligazioni reciproche che storicamente si sono definite fra essi .

Non stupisce allora neanche che uno dei problemi maggiori che si trovano ad affrontare gli operatori sia proprio quello di documentare il grado di parentela dei loro giovani interlocutori

Il problema è documentare il legame di parentela perché il Tribunale affidi il minore alla persona che si dichiara un suo parente. La situazione è chiaramente complicata dal fatto che questi minori provengono da famiglie allargate. Così non sai mai bene come fare.

Durante l’emigrazione dunque i legami presenti nella propria qabala di origine continuano ad essere vigenti. L’appartenenza al medesimo dwar, (o anche firqa e qabala224) – e non solo l’appartenenza ai cerchi più stretti della parentela – si rivela infatti determinante sia nell’offerta di canali di informazione e di sostegno in Italia che nella costituzione di catene migratorie vere e proprie (Persichetti, 2003). L’aver attratto un alto numero di persone valorizza il richiamante, conferendogli la statura ideale del capo tribù che con generosità ospita la gente della sua qabala. La frequenza poi di attivazione dei richiami e le stesse modalità con cui viene effettuato dipendono anche dalle dimensioni del nucleo dei richiamanti, dalle loro possibilità economiche, dagli obblighi morali che li legano ai parenti nel paese di origine.

L’alto numero di contatti dispiegati sul territorio nazionale e il valore dell’accoglienza e ospitalità vigente nel sistema marocchino sembrano quindi essere alla base di quel sentimento di fiducia espresso dai ragazzi e delle loro famiglie incontrate a Khourigba prima della loro partenza:

Noi sappiamo dove andare. Abbiamo molti contatti prima di partire. E i vostri genitori non si preoccupano per voi?

Ma come, per quale motivo si dovrebbero preoccupare? Qui ci sono qui anche mia zia, mio zio, e tutti i miei cugini.

Una situazione lavorativa precaria, un alloggio indigente, favoriscono il “richiamo” di parenti lontani ai quali il codice di ospitalità prescrive degli obblighi elementari di ospitalità. E comunque in ogni caso ci dice Ali:

224La tribù, la qabila, è divisa in una serie di unità minori, le fakhdah o fakhidh, a loro volta suddivise in

dwar, le comunità locali. Con il termine fakhdah, che significa “coscia”, si indica in parecchie aree del

mondo arabo tribale, vengono definiti i gruppi di discendenza sui quali si fonda l’intera tribù. Il fakhdah è traducibile con il termine di “lignaggio”. Un lignaggio minimo comprende 3-4 generazioni (nel caso dei gruppi prestigiosi anche 6 -7).

All’interno del fakhidh, la relazione tra cugini paralleli patrilineari è informale ed egualitaria: un uomo può arrivare anche ad insultare, maltrattare, anche litigare con il cugino suo pari, ma lo aiuterà in caso di bisogno e prenderà le sue difese, fino anche a rischiare la vita per lui, qualora sia attaccato da un estraneo. Al contrario, rispetto e obbedienza assoluta sono dovuti al capo lignaggio, al capo dell’aggregato domestico multiplo, ai genitori, ai fratelli maggiori.

Un marocchino anche viene clandestinamente e bussa alla tua porta, devi dargli ospitalità.

Alla base delle scelte di richiamo dei parenti lontani, continua a spiegare Ali, vi è un sentimento di affinità che scaturisce dall’appartenenza allo stesso dwar o sottosezione tribale o dalla medesima provenienza territoriale, ma anche, specie per determinate unità migratorie, dall’osservanza inderogabile delle norme e dei valori tribali tradizionali. Il richiamo invece di un parente vicino è favorito dall’avere un lavoro regolare, un alloggio dignitoso e nella migliore delle ipotesi anche la possibilità di trovargli un lavoro.

Un ultimo cenno va al legame tra fratelli, in quanto questa è una situazione più volte incontrata durante la ricerca. In generale va detto che è il primogenito colui a cui spetta il compito di aiutare fratelli e mantenere l’unità familiare. Qualora l’immigrato non si sia bene assestato nel paese di accoglienza, esprimerà la sua solidarietà nei confronti dei fratelli inviando loro del denaro piuttosto che richiamandoli. Fare entrare clandestinamente qualcuno in Italia rappresenta infatti un rischio che si può correre con amici e parenti lontani, ma non con i fratelli più piccolini. Per di più l’arrivo di un fratello clandestino complicherebbe molto di più la vita dell’immigrato il quale si vedrebbe costretto a mantenerlo a costi sicuramente superiori di quelli che avrebbe dovuto affrontare se fosse rimasto in Marocco; inoltre dovrebbe vegliare su di lui e proteggerlo finché non abbia rimediato il permesso di soggiorno.

I casi intervistati infatti di fratelli minori che hanno raggiunto i maggiori ancora irregolari riguardano o tentativi di fuga da parte dei ragazzi o sono il frutto di decisioni prese nell’ambito familiare, mai dal richiamante. A conferma di quanto detto, A. dichiara di essere fuggito dal Marocco per raggiungere il padre e i fratelli maggiori da più tempo in Italia.

Mio padre in Italia, poi dopo primi anni miei fratelli. Loro dicevano tutto bene, ma mai chiedere me di venire. E così sono fuggito!

Nel caso riportato di seguito, invece, la responsabilità di un fratello minore a carico in Italia è tale da far ritenere che il suo inserimento in comunità sia la cosa migliore, almeno per il momento. Come si evince dallo stralcio di questa storia raccontatami dall’operatore di una comunità:

M. è arrivato qui in comunità un anno fa, prima viveva con i suoi fratelli al Casilino. E’ stato un investimento programmato. Visto che il padre e gli altri fratelli sono comunque emigrati, tanto vale invece di aspettare che diventasse grande e farlo partire all’avventura… loro sanno della difficoltà di trovare un permesso di soggiorno per maggiore età quando vengono e della difficoltà di vivere da clandestini. Conoscono le norme. Vivevano in un campo Rom, sul Casalino. Il fratello è andato poi al nord per cercare lavoro e tutto sommato il fatto di sapere che il fratello fosse in comunità è stato un sollievo. Era stato contento di poter partire per lavorare, sgravandosi di questo carico.