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Grafico 1. Alunni con cittadinanza non italiana per alcuni Paesi di Provenienza Anno scolastico 2007/

14. CAPITOLO 5: TRA ITALIA E MAROCCO

14.11 Khouribga: la città di origine

15.1.5 Emigrazione come prestigio e pubblicizzazione di sè

In un primo momento la maggior parte delle persone mette in luce che il problema principale del Paese sia la mancanza del lavoro, ma poi ammette che le difficoltà in realtà sono molte e, soprattutto, a gravare è una visione pessimistica sul futuro. La speranza sembra ormai essere legata solo all’emigrazione verso l’Europa. A Khourigba scarseggiano i testimoni dell’insuccesso, e quando se ne trovano, come Ali, dicono ben poco, perché sanno che i loro compaesani non sono disposti ad ascoltare storie di fallimenti.

Tra le diverse ragioni che spingono i migranti a perpetuare la “menzogna collettiva”, come la chiama Sayad (2002), c’è la necessità di ostentare di fronte la comunità lo status symbol raggiunto in emigrazione. Come i nostri “zii di America” di un tempo, cioè, gli emigranti in visita ostentano i segni emblematici della fortuna – già

scritti in un immaginario collettivo altamente connotato - rendendo partecipi i familiari e gli amici del loro stesso successo attraverso il denaro e i regali. Questi beni costituiscono il capitale morale del migrante, definendo il peso della sua posizione in rapporto agli altri e la misura delle sue capacità.

La posta in gioco identitaria dell’impresa emerge dalla storia di un ragazzo A. conosciuto in una comunità di accoglienza che racconta di spendere prima della partenza tutti i suoi soldi per fare regali ai parenti e amici:

Prima di tornare in Marocco per vacanze io portavo loro tutti regali possibili! Spendevo tutti miei soldi prima di tornare e quando sono lì, vado in giro pagando tutto da bere a tutti.

“In una città come Khourigba, che fin dal principio è stata implicata nel mercato globale e nella modernità ambivalente del colonialismo, i criteri esterni sono da sempre stati più importanti di quello tradizionali, quali l’onore e l’ascendenza familiare”, scrive Capello (2008, p. 120). In effetti la perdita di importanza a livello economico delle miniere, e la parallela crescita delle rimesse provenienti dall’estero, si riflette a livello di immaginario sociale e ridefinisce le gerarchie di prestigio all’interno della città. Nella loro ricerca di capitale simbolico, di stima e di riconoscimento per mezzo dell’ostentazione del benessere raggiunto all’estero, gli emigrati che rientrano a Khourigba, seppur per brevi periodi, alimentano le speranze e il desiderio di fuga di chi è rimasto. Ricordandomi delle parole di questo ragazzo, chiedo chiarimenti a Mustafa e Ali:

A. Io vedevo i miei amici che venivano qui con la macchina, i soldi spendevano, molti soldi al giorno. Indicandomi i passanti attorno a noi mi dice “potrei raccontarti la vita di ognuno di loro”. Si vede sono tutti passati per l’Italia, basta guardare come sono vestiti o come si atteggiano.

M. Non solo a Khourigba, io sono di Casablanca e la situazione è la stessa. Siamo malati di orgoglio, di protagonismo.

A. Quello che ci fa pensare a el ghorba (la via dell’emigrazione) è che vedevamo tutte le persone che tornavano che venivano bene … stavano meglio di noi del Marocco. Perché tutti quelli che partono hanno trovato un lavoro. La gente pensa che un anno in Italia può permetterti di comprare l’automobile, sfamare la famiglia, investire, ecc.

Come molti autori sottolineano (cfr. Zoubir Chattou, 2002, p. 42) esistano due concezioni opposte di el ghorba: la prima è costituita a partire da un immaginario collettivo che si identifica negli aspetti relativi all’emancipazione, al benessere e alla ricchezza; la seconda è propria di chi ha fatto l’esperienza dell’esilio, ed ha ormai abbandonato la “visione mitica” dei paesi di destinazione. Lo stesso Sayad (2002, p. 42) scrive:

Nella visione idealizzata dell’emigrazione, el ghorba, fonte di ricchezza e atto decisivo di emancipazione, intenzionale e violentemente negato nel suo significato tradizionale, tende ad assumere un’altra verità, senza tuttavia riuscirvi appieno (…). L’esperienza della realtà dell’emigrazione smentisce l’illusione e ristabilisce el ghorba nella sua

verità originaria. L’intera esperienza dell’emigrato oscilla senza sosta tra queste due immagini contraddittorie di el ghorba.

L’impatto con l’Italia reale è ancora più difficile quando si tratta di minori in partenza soli o “ricongiunti” al padre spesso dopo lunghi anni di lontananza. Per questi giovani adolescenti, la figura del papà diviene quella di un eroe, un mito da emulare a tutti i costi. Probabilmente alle immagini di successo generalmente veicolate dai racconti familiari e/o altrui si aggiunge in questi casi anche la dimensione della fantasia, tipicamente adolescenziale. Il tempo, cioè, contribuisce ad alimentare le aspettative e ad ingigantire le illusioni. Il minore ha bisogno di giustificare l’assenza del genitore dalla propria vita con un immagine di lui altrettanto fantastica, eroica, dai tratti quasi eccezionali. “Se mio padre ci ha lasciati soli, deve esserci una buona ragione” pensano i ragazzi, dall’altra parte il senso di colpa per aver abbandonato la famiglia è giustificato dal genitore con un aumento delle “bugie” sulle proprie condizioni di vita e concretizzato con una crescita dei consumi in regali e doni.

In Marocco mio padre diceva cose sbagliate su Italia. Tutti marocchini dicono cose sbagliate su Italia. Io non piace vita che fa mio padre in Italia. Quando sono arrivato lui ancora senza lavoro e tutte quelle cose - tipo macchine, soldi - erano sbagliate. Lui vive con altri 5,6,7 marocchini in stanza. Io avevo fiducia in mio padre. Ora io non voglio stare con mio padre e fare quella vita.

Mio padre era in Italia quando io sono nato. Visto poche volte. Lui diceva che Italia c’era lavoro e poteva così far crescere me e mia famiglia. Io pensavo fosse facile trovare un lavoro qui in Italia, la facevo più facile di come è. Io speravo di trovare subito lavoro e invece è difficile! Io sono stato più di un anno per strada e mai trovato nessuno che mi ha dato lavoro. Quando sono partito pensavo tutto più facile perché potevo fare qualsiasi cosa. Io volevo essere come lui.

Il ricongiungimento al genitore lontano si rivela in questi casi un’esperienza molto traumatica: i minori mostrano di sentirsi traditi dai propri padri, arrivando anche a metterne in discussione la figura. La delusione di scoprirli in una condizione esistenziale emarginata, fatta di sacrifici è cocente. Padre Gaetano, responsabile della comunità , ci racconta la storia di T. che ha raggiunto il papà di nascosto dopo 10 anni: Nonostante fossero 10 anni che stava qui, il papà di T. viveva ancora in una situazione molto marginale, facendo il manovale, non aveva mai avuto un’assunzione vera e propria regolare. Quindi delle difficoltà oggettive. Anche lo stesso ragazzo dice sempre “ma che papà che ho io… è tanto tempo che sta in Italia e non mi tiene con lui. Non è riuscito a sistemarsi, a farsi una casa come invece hanno fatto tanti altri”. E’ scappato dal Marocco perché il padre gli raccontava di una vita fantastica e gli aveva promesso che prima o poi l’avrebbe fatto venire in Italia. Così il ragazzo si è imbarcato solo, di nascosto alla famiglia, e quando è arrivato ha trovato questa situazione. E’ stato molto difficile per lui.

Nonostante la solitudine, il senso di impotenza, le delusioni vissute, alla domanda “Cosa consigliereste di fare a dei vostri amici in partenza”, le risposte dei ragazzi contengono ancora il germe della speranza:

Non so. In verità no perché mi fa schifo e perché tutte bugie devono finire. Però forse sì perché se in Italia lavori, documenti ecc stai bene.

Penso di sì se solo per qualche anno. Metti i soldi da parte e torni in Marocco per fare la casa.

In tal modo l’immagine del Nord, invece di stemperare la portata proiettiva della fantasia, ne corrobora le conclusioni “in Europa il denaro si trova per strada”, come dicono con ironia i giovani delle periferia di Khourigba.