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Grafico 1. Alunni con cittadinanza non italiana per alcuni Paesi di Provenienza Anno scolastico 2007/

14. CAPITOLO 5: TRA ITALIA E MAROCCO

14.11 Khouribga: la città di origine

15.1.2 Febbraio 2007 Aeroporto di Casablanca

15.1.1 Settembre 2003 Siracusa e Pachino

Conosco Buschaib a Settembre 2003 al porto di Pachino, in occasione di uno dei tanti sbarchi che l’estate disseminano le nostre coste sicule. Siamo entrambi volontari per Medici Senza Frontiere: lui come mediatore culturale ed io come stagista.

E’ tra i non – luoghi di Siracusa che imparo a conoscere Buchaib: la sua storia trapela dalle parole che rivolge agli amici, ai compaesani a coloro appena arrivati. Parole, gesti sempre più automatizzati, sempre più carichi di amarezza e disillusione per un futuro già scritto. “Una sorta di percorso obbligato, dai cui a volte ti redimi, altre volte soccombi. Io ci sono già passato, tutti noi, ci siamo già passati.” E’ la storia del migrante, di colui che non ha “niente da perdere” a sfidare i confini che lo separano dal MacMondo.

Buchaib proviene dalla periferia di Casablanca. Arriva in Italia nel 1991 dopo essere stato qualche tempo in Spagna. Lavora come venditore ambulante a Siracusa da qualche anno, dove è riuscito faticosamente ad ottenere la licenza. Ha una modesta casa in affitto, poco fuori del centro della città. Durante la permanenza in Italia sposa una ragazza marocchina, ma il matrimonio fallisce e lei chiede il divorzio: un vero e proprio haram di fronte alla comunità. Qualche tempo dopo, trova lavoro per MSF come mediatore culturale, una situazione che gli permette, oltre certamente a stare vicino alla “sua gente” come lui ama chiamare i migranti, tutti, anche a sfuggire alle dicerie dei compaesani. Lasciare la piazza per un po’ sembra l’opzione migliore per svincolarsi dalla pressione comunitaria.

Quando conosco Buchaib erano 8 anni che non tornava a casa. Gli mancava certamente la sua famiglia, ma la paura di dover affrontare il passato, di trovare forse la sua gente e molte cose cambiate e soprattutto di giustificare alla sua famiglia il disonore arrecatogli con il divorzio, lo costringe a rimandare.

Nel 2004 il progetto su cui stavamo collaborando giunge al termine ed ognuno di noi riprende la sua vecchia strada: io ritorno allo studio e lui al lavoro ambulante. Negli anni abbiamo continuato a sentirci, purtroppo senza avere più la possibilità di vederci. Nel 2006 vinco il dottorato: ho bisogno di una guida per le città del Marocco e di un mediatore per avvicinare i ragazzi e certamente penso alla sua professionalità, nonché amicizia. All’inizio sembra propenso ad accompagnarmi, ma poi scusandosi, dice che non “ce la fa”, non ha voglia di affrontare il suo passato, la sua “vita è in Italia”, l’altra è “ormai passata”. Mi dà però il numero di Mustafa, un suo carico amico, che a breve sarebbe tornato a casa a fare visita alla famiglia. Lo chiamo subito.

Un mese dopo si parte, prima tappa Casablanca

15.1.2 Febbraio 2007 - Aeroporto di Casablanca

Siamo all’aeroporto di Casablanca, carichi di regali. Regali per la famiglia, gli amici, i parenti di Mustafa e regali per gli amici e la famiglia di Buchaib e pacchi e pacchetti di amici di amici. Si tratta di vestiti, scarpe rigorosamente italiane e giocattoli per i più piccoli.

Ci viene a prendere all’aeroporto il fratello di Mustafa e ci porta diritti a casa dove ci aspettano la mamma, due zii, due cugine, e la sorellina più piccola. Purtroppo il papà è morto il primo anno del suo esilio: mancavano tutti e 9 i suoi figli perché sparsi in Occidente. Di lì a poco mi renderò conto che questa è la norma: a casa rimangono gli anziani, i giovani cercano “miglior vita” altrove, in Europa. A Casablanca come a Khourigba l’emigrazione è pervasiva, scontata, parte di una quotidianità che non anela ad altro.

Già da queste prime diapositive etnografiche emergono alcuni elementi chiave del tema che stiamo affrontando: la pressione della comunità di appartenenza quando il singolo “trasgredisce” le regole: è il caso appunto di Buchaib che preferisce cambiare mestiere – anche se momentaneamente - pur di non avere “gli occhi addosso della sua gente”; la paura di affrontare il proprio passato quando si è voluto/ dovuto operarvi con una censura netta per sopravvivere al nuovo contesto; il ruolo dei legami transnazionali e dei network migratori che si esplica a maggior ragione quando gli immigrati rientrano nel proprio paese colmi di doni, simbolo di ostentazione del benessere e sedativo per il senso di colpa di essere distanti; e ancora emerge evidente il carattere dell’emigrazione, nella sua dimensione totalizzante, pervasiva, viscerale.

È su questo ampio campionario di produzioni semantiche, cognitive ed affettive che questo lavoro vuole concentrarsi, nel tentativo più ovvio di comprendere i percorsi di vita dei giovani marocchini di Khourigba, ma anche nell’intenzione di collegare le condizioni strutturali di partenza con la ricca costruzione di senso che in esse si genera e da cui esse stesse, attraverso l’elaborazione soggettiva dell’esperienza, vengono riformulate. Assistiamo a tutta la complessità di un processo che si produce in diversi luoghi, fisici e retorici, che vanno esplorati contemporaneamente ed in modo complementare, per cogliere le sfaccettature ambigue dei profili e dei percorsi che vi si costituiscono: da un lato abbiamo i contesti di origine, con le loro determinanti macro e micro - sociali che fanno della partenza un’opzione a senso unico; da un altro abbiamo i giovani migranti, che si definiscono in un progetto che informa potentemente le soggettività e che si riverbera in azioni e categorie; da un altro ancora abbiamo le classificazioni disciplinari, con i dispositivi che ne conseguono, che contribuiscono a rimodulare l’esperienza secondo linee non casuali. È nell’articolazione di questi snodi, in cui le aspirazioni ideali si confrontano con i vincoli del reale, che il minore prende forma in un “costante dissidio fra desiderio e confini” (Vitocchiaro, 2007).

Rimango a Casablanca un paio di giorni, ospite di Mustafa, dopo di che si parte alla volta di Khourigba, la città da cui provengono la maggior parte dei minori in Italia ed in particolare a Roma. Andiamo in macchina, percorrendo la strada nazionale, la quale è, assieme alla ferrovia dei fosfati, l’arteria che unisce la Tadla e la Chaouia Ouardigha al corridoio urbano della costa. Troin (2002) descrive quest’area del paese come una delle “antenne della metropoli”, in quanto guarda verso Casablanca per l’esportazione dei prodotti e la migrazione delle persone.

Il viaggio dura circa due ore durante il quale Mustafa mi introduce alla storia di Khourigba, la città dei “fantasmi” come la chiama lui. Arriviamo intorno alle 15.00 dirigendosi verso il centro per mangiare qualcosa; attraversiamo il shari’ shufuni, il “viale guardatemi” dove gli immigrati di ritorno fanno sfoggio delle mercanzie acquistate in Italia. Mangiamo un kebab e ci dirigiamo verso la casa dal suo amico, Ali, il quale ci avrebbe ospitato per qualche giorno.