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L’eliminazione di Anscario II

Possiamo scorgere dietro lo stilizzato ma preciso racconto di queste macchinazioni il riferimento a qualche reale vicenda occorsa durante il regno di Ugo? Certo è che in generale i principali gruppi parentali dei vecchi proceres attivi nel regno all’arrivo di Ugo (in primo luogo gli Anscarici e gli Adalbertini di Toscana, entrambi uniti per via matrimoniale agli stessi Bosonidi, gli Hucpoldingi, gli Attonidi “di Lecco” e ciò che restava dei Supponidi37) escono fortemente ridimensionati se non spazzati via dall’operato di Ugo, a favore, come detto, di stirpi originariamente di

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rango inferiore. Proprio alla fine di uno degli ultimi esponenti degli Anscarici, la famiglia marchionale più vicina geograficamente e politicamente all’orizzonte d’azione di Attone, sembrerebbe alludere il vescovo: Anscario II, ultimo a ricoprire incarichi di rango marchionale, se si eccetua ovviamente Berengario II fuggito in Germania dopo questi avvenimenti, fu eliminato da Ugo, secondo il racconto di Liutprando38, con una macchinazione simile a quella appena esposta da Attone.

Nel 936-937, alla morte di Tebaldo, nipote del re e titolare della marca di Spoleto, Ugo decide di elevare a quella sede Anscario; Liutprando sottolinea come la promozione al titolo marchionale di un esponente della famiglia più potente del regno abbia il fine principale di allontarlo da Pavia e, possiamo aggiungere, dal nucleo territoriale del potere della famiglia nel cuore del regno39. La vedova del precedente marchio Tebaldo, era stata data in sposa al conte di palazzo Sarilone, uno degli uomini borgognoni del re; secondo Liutprando fu proprio Ugo a suggerire a Sarilone di attaccare Anscario, sfruttando le parentele e le risorse spoletine della nuova moglie. Così avviene e Anscario trova la morte in battaglia non prima di aver ucciso, trapassandone con la lancia la bocca spergiura, un conte Attone che era un suo fedele passato al nemico, cioè un miles secundi ordinis di Anscario passato al partito regio. Di più: secondo la Destructio monasterii

Farfensis40 Ugo reagì duramente all’atto da lui stesso istigato attaccando il conte palatino invece di nominarlo marchio di Spoleto; Sarlione si arrese e invocò la pietà del re, ottenendo, oltre ad aver salva la vita, anche

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LIUDPRANDI CREMONENSIS Antapodosis, cit., Lib. V, cap. 4 -8, pp. 131-134. 39

Cfr. G.SERGI, Una grande circoscrizione del regno italico: la marca arduinica di Torino, Studi medievali, serie III, 12 (1971),pp. 637-712, in particolare p.651.ID.,I confini del potere, Marche e signorie fra due regni medioevali, cit, p. 45, 147 n. 16. T.LAZZARI, Le donne del

regno Italico, in L’eredità culturale di Gina Fasoli, Atti del convegno Bologna-Bassano del Grappa (24-26 novembre 2005), a cura di F. Bocchi, Nuovi studi storici 75, Roma 2008, pp.

209-217. 40

HUGONIS ABBATIS Destructio monasterii farfensis, in Il Chronicon Farfense di Gregorio di

Catino, ed. U. Balzani, Roma 1903 (FISI 33), p. 42; il passo è ripreso da Gregorio di Catino nel Chronicon, ibid. p. 333; Sarilone è inoltre inserito nella lista degli abati di Farfa come marchio et abbas: Catalogus abbatum farfensium, ibid. p. 99. Gli Annales Farfenses riportano la morte

l’amministrazione dei monasteri regi della Tuscia e delle Marche, mentre il figlio di Ugo, Uberto, riceveva la nomina a conte palatino e la marca spoletina. Per effetto della morte di Anscario inoltre, molti dei beni da lui ereditati per via materna dagli Adalbertini di Tuscia sarebbe riconfluita nelle mani del re41.

Ancora una volta l’uso della vicenda da parte di Attone differisce dalla versione di Liutprando nei particolari: Sarilone secondo il vescovo di Vercelli avrebbe istigato Anscario alla ribellione42 per poi farsi difensore del regno e combatterlo, nella speranza di ottenere la marca come ricompensa. Pur nella diversa caratterizzazione il riferimento resta riconoscibile per il lettore che fosse a conoscenza dei fatti: abbiamo un esponente di una famiglia dei vecchi proceres che in quel momento è tra i

consones del re; dal re ottiene qualcosa, una promozione che per la

dislocazione geografica non può mettere a frutto politicamente, ma che in compenso lo mette in pericolo, per l’invidia di un altro membro del seguito regio, il conte di palazzo. Il risultato è che Anscario viene eliminato, come in seguito il suo avversario, mentre entrambe le cariche ritornano nelle mani del re che si arrichisce inoltre della preda dei beni del marchio. L’abilità del vescovo di Vercelli gli permette ancora una volta di piegare avvenimenti reali alla logica generale del suo trattato.

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Così secondo V. Fumagalli, che perviene a questa conclusione analizzando i passaggi di una serie di proprietà emiliane (in particolare Vallisnera e Vilinianum) da Adalberto di Tuscia, ad Anscario, a Ugo e Lotario e quindi a Sigefredo e finalmente ad Adalberto Atto. Sembra però ignorare l’esistenza di un altro possibile erede, il figlio di Anscario II, Amedeo, che unitosi all’arduinica Guntilda (un caso quindi di ipogamia), concluderà la vicenda di questo ramo anscaride su orizzonti politicamente e territorialmente limitati al nucleo piemontese dei beni di famiglia. Al momento della morte (939-940) Anscario II doveva avere non più di 29 anni e il figlio minorenne del marchio ribelle sarà stato facilmente estromesso dal re; a questo riguardo sarebbe fondamentale sapere chi fosse la madre e che sorte abbia avuto; cfr. infra cap. 6.3. V. FUMAGALLI,Le Origini di una grande dinastia feudale. Adalberto-Atto di Canossa, Tuebingen,

1971, pp.46-47. Per Amedeo e Guntilda: G.SERGI,I confini del potere. Marche e signorie fra due regni medioevali, cit., pp. 206-210.

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C.G. Mor in effetti ipotizza che Anscario avesse in quel periodo preso accordi con Alberico per eliminare Ugo: C.G.MOR, L’età feudale, cit., vol. I pp. 150-151; per la fine di Anscario cfr. G.FASOLI, I re d’Italia, cit., pp. 142-145.