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3. Che cos’é il Perpendiculum?

3.2. L’exordium

Qual è allora l’errore che conduce al Chaos, chi sono i Sophistae che fingono di non accorgersi della situazione e perchè si vorrebbe zittire la giusta denuncia del vescovo?

Le risposte a queste domande sono fornite nell’exordium:

Huius aevi fragilis pompa langor est et queritur, pestis est et omnimodis ambitur. Quae arridet in accessu; cum serpit, delectat. In cuius adhulescentia labor ingens est; cum intumerit, prosternit et cum recesserit blasphematur. Solet enim clientes suos ignobiles, spernetes autem se reddere gloriosos. Nam hoc mirum, quia cum hactenus paene omnibus sese appetentibus ruina exstiterit,

nec arrogantes adhuc deficiunt nec elevandi acerbitas moderatur25.

“L’effimera gloria di questo mondo è una malattia eppure viene ricercata, è una peste eppure a essa si ambisce in ogni modo. Inizialmente arride, alletta mentre si insinua strisciando, si accresce poi con grande fatica; una volta che si è gonfiata prostra e andatasene si fa maledire. Infatti è solita rendere ignobili i suoi seguaci e gloriosi coloro che la disprezzano. C’è infatti da meravigliarsi del fatto che, nonostante fino ad ora sia stata la rovina di quasi tutti quelli che l’hanno cercata, non mancano ad oggi coloro che la inseguono né si modera lo sciagurato desiderio di elevarsi”.

L’errore che nell’argumentum Attone definisce assiduum, persistente nel mondo, è l’amore per la vanagloria terrena; esso conduce all’acerbitas

elevandi, dove nel termine acerbitas si fondono sia l’idea di amara

sciagura, sia quella dell’immaturità, l’inadeguatezza di chi pretende di

25

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, cit., cap. 1, p. 14; ATTONIS VERCELLENSIS

Perpendiculum B, cit., p. 28: “Fragilis pompa huius aevi langor est et quaeritur, pestis est et

omnimodis ambitur. Quem arridet in accessu, cum serpit delectat in cuius adhulescientia est ingens labor. Cum intumuerit prosternit et cum recesserit blasphematur. Quia solet clientes suos reddere ignobiles, spernentem autem se reddere gloriosos. Nam hoc mirum quia cum actenus exstiterit ruinam paene omnibus sese appetentibus nec arrogantes deficiunt adhuc; nec acerbitas elevandi moderatur”.

innalzarsi tramite la gloria mondana. La rovina consiste nel preferire questa a quella celeste se non addirittura alla propria salvezza:

Praestantiores se quidem veteribus fallentes, quos provida censura adeo segniores acusat: horum igitur fasces si enucleari gradatim initientur, dignum iudico praenotandos, quos rigentes sertae exhibent redimitos. Num Chronici fraudant hoc qui praesertim summum vae et ipsorum omne concrepant oche. Haud agmen perstrepunt qui perplexum gradiendo perrecta callem rubrica induxerint sequaces, eorum quamvis inextricabilem pingant tesseram qui durantes, nec vixere superstites, nec iocundantur miselli. Sed nec gestorum nunc facies nec eos adnotare privatim autumo sincerum, musta nunc etiam quoniam aetate pupilli clara vident et a suis patribus ructata frequente hauserat haec et certius inculcata restringunt.26

“Un attento giudizio invece riconosce che coloro che si credono migliori di chi li ha preceduti sono in realtà certamente inferiori ad essi: se si intendesse infatti disporre in ordine gerarchico le loro condizioni sarebbe giusto mettere al primo posto chi si mostri cinto di una corona splendente. Si ingannano infatti i Chronici che con grande gioia cantano la massima perdizione di chi và in cerca della gloria terrena. Non esaltano con canti la schiera di coloro i quali, percorrendo un sentiero tortuoso hanno guidato i seguaci tracciando corrette indicazioni, e invece esaltano la moltitudine inestirpabile di quelli che finché furono in vita non vissero, e ora che sono morti non hanno ottenuto la grazia. Io invece non ritengo giusto riportare né i loro nomi né le loro gesta nello specifico, dal momento che anche i bambini dalla più tenera età intendono chiaramente queste cose e avendole

26

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, cit., cap. 1, p. 14; ATTONIS VERCELLENSIS

Perpendiculum B, cit., p. 28: “Fallentes se quidem praestantiores veteribus quos provida censura

adeo acusat segniores . ********** enucleari ******* quos rigentes sertae exhibent redimitos. Num fraudant hoc Chronici qui presertim concrepant omne ipsorum summum vae et omne ipsorum oche. Haud perstrepunt agmen eorum qui gradiendo perplexum callem induxerint sequaces perrecta rubrica quamvis pingant inextricabilem tesseram qui durantes nec superstites vixere nec miselli iocundantur. Sed nec autumo sincerum nunc privatim adnotare facies gestorum nec eos quoniam pupilli musta aetate vident nunc etiam haec clara et hauserant frequenter ructata a suis patribus et restringunt certius inculcata”.

apprese dai loro padri che le raccontano di frequente, le hanno imparate a memoria”.

Complici della follia di innalzarsi in questo mondo per poi precipitare in quello futuro sono dunque i Chronici, termine glossato come “descriptores

temporum27”, e quindi gli scrittori di storia “profana”, se intendiamo il termine tecnicamente, oppure in senso generale tutti coloro i quali si affannano a cantare ciecamente le lodi di chi ha ottenuto la gloria terrena senza saper distinguere tra chi lo ha fatto perdendo se stesso e gli altri, e chi invece ha guidato rettamente chi gli era stato affidato, tanto da rimanere da esempio per i posteri. L’agmen eorum qui gradiendo perplexum callem

induxerint sequaces perrecta rubrica, è infatti da intendere come la schiera

dei re giusti, in accordo con la glossa a perrecta rubrica che suona così: “rubrica linea rubro colore pertincta id est qui sic sapienter in saeculari

honore feliciter vixissent, ut suo exemplo postero instruendo beatificassent28”.

I Chronici che non ne glorificano l’esempio sono dunque sophistae, falsi sapienti, che, non comprendendo l’errore da cui scaturisce il Caos, non possono certo spiegarlo; anzi, quali cantori della gloria terrena piuttosto che di quella celeste, sono corresponsabili di quell’errore e quindi del conseguente disordine che regna nel mondo presente. Attone al contrario non vuole rendere conto della vanagloria terrena, bensì spiegarci cosa la cieca ricerca di essa realmente provochi, ed evitando di cadere nella trappola “narrativa” dei Chronici, non citerà direttamente nomi e azioni dei singoli che hanno condotto alla presente situazione, che del resto tutti conoscono fin troppo bene, ma ci mostrerà la logica inevitabile che porta da quell’errore al Chaos. Con una interpretazione sintatticamente un po’ più problematica Schramm vedeva in quelli di cui Attone non farà nomi i re giusti; il passo sarebbe da intendere quindi: “non mi occuperò di loro

27

Ibid., p. 28, n. 51. 28

perché tutti già ne conoscono le gesta, ma racconterò i misfatti di chi invece lotta per la gloria terrena”. Un’interpretazione incerta perchè il termine più vicino cui si dovrebbe riferire eorum, è miselli, ma che comunque non modifica il senso dell’introduzione. Inoltre, se accettiamo l’ipotesi precedente, e ciò che il vescovo non citerà per nome i protagonisti della lotta per la vanagloria mondana, il passo permetterebbe ad Attone di giustificare elegantemente perchè abbia scritto un’opera dove narra moltissimi avvenimenti politici riconoscibili ai suoi lettori, senza però fare mai alcun nome.

Il vescovo ha chiarito quale sia l’errore iniziale e ora si accinge a spiegarcene le conseguenze. Com’è possibile che dall’aspirazione alla conquista del potere a tutti i costi, errore umano del resto sempre presente nel mondo, si sia potuti arrivare al Chaos odierno?

Nequitiae membra nunc iam praelibatae impromptum est censere, secundum

quod cura perlambens repraesentaverit ypocondria stilo29.

“Ora è tempo che descriva i particolari della già citata perversità secondo ciò che la sollecitudine inzuppata di sdegno suggerirà alla penna”.

Tale quod resolvimus discrimine trino scanditur fastigium: quidam et adiiciunt assem, numinum aut cum praeses, claris quem nutibus signat provehere, calat omnium vox: vel cum eadem unum, aut cum parentis valido iure fas est perfrui throno, improbus aut labor, et cum vaesana triumphis proelia conveniunt propere trucibus alteri insurgere, quem iam cantaverat praeco, profanis dum coniurati manibus execrabiles favent30.

29

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, cit., cap. 1, p. 14; ATTONIS VERCELLENSIS

Perpendiculum B, cit., p. 28: “Nunc iam impromptu est cenasere membra praelibatae nequitiae

secundum quid cura perlambens ypocondria rapraesentaverit stilo”. 30

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, cit., cap. 2, p. 14; ATTONIS VERCELLENSIS

Perpendiculum B, cit., pp. 28-29: “Tale fastigium quod resolvimus scanditur trino discrimine et

quidam adiciunt assem. Aut cum praeses numinum signat quem claris nutibus vel cum eadem vox omnium calat ********** parentis valido iure aut cum improbus labor et vesana praelia

“Alla dignità alla quale ci riferiamo, quella regale, si ascende per tre vie (anche se alcuni ne aggiungono una quarta): (1) quando Dio con chiari segni indichi che uno debba essere scelto, oppure (2) quando la voce unanime di tutti concordi nel designare uno solo, oppure (3) quando sia opportuno che per giusto diritto uno disponga del trono del genitore; oppure (4) quando un empio sforzo e folli guerre fanno sì che con truci trionfi un re venga in fretta innalzato contro un altro, che già l’araldo aveva proclamato, mentre esecrabili congiurati lo sostengono con mani sacrileghe”.

Ecco il centro del problema che spinge il vescovo a scrivere: la legittimità regia. O meglio, l’illegittimità. Non è infatti la definizione delle tre corrette modalità d’accesso alla dignità regia, conforme peraltro alla tradizione carolingia e post-carolingia, che interessa ad Attone. È la quarta esecrabile via l’argomento e insieme la causa che lo induce a scrivere. É dall’illegittima appropriazione di un trono che aveva già il suo re che egli sviluppa il suo ragionamento; infatti da questo punto prende inizio la

narratio il racconto delle necessarie conseguenze che un tale sacrilego atto

comporta.

Il Chaos al quale, secondo Attone, i suoi contemporanei stanno assistendo e al quale il suo filo a piombo vuol porre rimedio scaturisce dunque dall’errore su cui sono state poste le fondamenta della regalità; il “peccato originale” che ha portato all’odierna disorganica situazione del regno e del mondo è dunque la decisione da parte di esecrabili coniurati, accecati dalla ricerca della (vana)gloria mondana, di darsi un re illegittimo.

Definita la “quarta via” l’autore si chiede Quid? “Che succederà dunque in quel caso?”, “Cosa conseguirà da una simile usurpazione” e apre il percorso logico che si conclude solo quando Attone porta a termine la

trucibus triumphis conveniunt propere insurgere alteri quem praeco iam cantaverat dum exsecrabiles coniurati favent profanis manibus”.

prima parte del suo trattato con la cupa profezia della infinita e vana lotta dell’uomo per la gloria mondana, che si protrarrà indeterminatamente se si persevera a costruire il potere su basi illegittime e che chiude la narratio:

“...Hoc totum gradatim aetas donec demoliatur in annis. Et superest hos funus si forte praecidat in istis labenti ut aevo valeant nec gratulari futuro. Non deperit quapropter vitium. Insurgunt alii et rursus rotantur in hisdem”31

“...ciò andrà avanti finché il tempo ne cancellerà ogni memoria. Se i protagonisti della lotta per il potere moriranno in queste vicende non potranno rallegrarsi né nel fallace mondo presente, né in quello futuro; nonostante ciò il vizio non scompare. Altri insorgono e cadono negli stessi errori”.

La narratio è costruita come un’unica lunga concatenazione di cause ed effetti necessari; l’analisi della realtà del potere derivato dall’usurpazione non è narrata in un’ottica cronologica né facendo i nomi dei protagonisti (modalità narrative che, come abbiamo visto, Attone lascia ai falsi sapienti che non sanno riconoscere la vera gloria), quanto piuttosto attraverso lo smascheramento dei meccanismi che esso inevitabilmente comporta, presentati appunto come una serie di nessi causali necessari. Armato della propria sapientia e guidato da una corretta comprensione del passato e del futuro, lo sguardo del vescovo delinea una serie di fasi in cui dal primo errore il Chaos inizia a germogliare, autoalimentandosi fino all’irreparabile.

31

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, cit., c. 11-12, pp. 20-21; ATTONIS VERCELLENSIS

Perpendiculum B, cit., p. 42: “Donec aetas gradatim demoliatur hoc totum in annis. Et si forte

funus praecidat hos in istis superest ut nec valeant gratulari labenti aevo nec futuro. Quapropter non deperit vitium. Rursus insurgunt alii et rotantur in hisdem”.

3.3. La narratio.

Vediamo allora brevemente quali sono e come siano scandite queste inevitabili fasi attraverso la narratio, sull’analisi testuale della quale torneremo in seguito (cap. 5).

Nell’introduzione abbiamo assistito dunque all’origine del male. Ma Attone ci mostra come, ferma restando la condanna dell’esecrabile ambizione dell’usurpatore, la vera colpa sia dei congiurati: è la loro brama di vanagloria a mettere in moto tutto il meccanismo perverso. Essi infatti hanno chiamato il nuovo re non per essere comandati, ma per comandare. Ciò appare chiaro non appena il primo re viene spodestato ed essi si rifiutano di giurare fedeltà al nuovo, da loro stessi chiamato. L’usurpatore, in ostaggio dei capricci dei potenti, è un re solo di nome, privo di ogni concreta capacità d’azione. Ma se gli mancano i normali mezzi di cui dispone un re legittimo, egli, per poter affermare la propria autorità, dovrà necessariamente crearsene di nuovi, che saranno quindi, inevitabilmente, perversi. Inizia allora la costruzione del potere dell’usurpatore che Attone caratterizza come un regno alla rovescia. Il nuovo re deve procurarsi dei seguaci e sottrarre forze ai potenti a lui avversi. Decide quindi di innalzare i loro milites a posizioni superiori guadagnandosene così la fiducia e mettendoli al contempo in contrasto con i loro precedenti domini.

Attone ci mostra quindi il re che grazie a questa nuova schiera di indegni servitori ottiene il controllo di tutte le posizioni strategiche del regno, guadi, passi e fortificazioni, riuscendo quindi per la prima volta a ottenere su di esso un controllo concreto. Innalza inoltre una grande fortificazione palaziale, all’interno della quale può perseguire i suoi scopi tranquillamente. Ora che è in una posizione di sicurezza il re torna a occuparsi delle contese da lui stesso scatenate tra vecchi e nuovi proceres

col solo scopo di rinfocolare gli odi quando il suo ruolo regio sarebbe invece di sedarle.

Dopo aver visto il re preoccuparsi di zittire anzitempo chi possa aver capito i suoi subdoli piani, assistiamo alle sue nuove trame, tessute per eliminare progressivamente gli oppositori. A questo punto il re è ormai riuscito a instillare odi e divisioni nelle vecchie e nelle nuove aristocrazie ed è quindi ormai padrone del campo; a ogni tentativo di ribellione segue un’atroce repressione.

Attone ci mostra come anche la fallace amministrazione della giustizia sia un mezzo necessario per l’imposizione della tirannide dell’usurpatore. Qui il potere dell’anti-re giunge all’apoteosi ed egli ci viene mostrato mentre nelle aule decorate del palazzo che si è fatto costruire è intento a spartire tra i suoi fedeli le vedove dei vecchi aristocratici. I suoi seguaci infatti sono necessariamente di origini o ignobili o esterne al regno che egli ha usurpato.

Siamo così giunti a metà della parte del Perpendiculum dedicata allo svelamento delle conseguenze dell’usurpazione del trono. Attone ci ha mostrato quanto siano fallaci le ambizioni dei potentes che per non voler sottostare a un re legittimo finiscono per darsene uno che dovrà necessariamente imporsi con mezzi perversi, fino ad annientarli, e a sostituirli con nuovi e indegni proceres.

Proprio nell’indegnità delle nuove aristocrazie che egli si è dovuto creare risiede la radice della fine della sua tirannide. Ben presto i nuovi potenti, rendendosi conto che la loro fortuna dipende solo dalla volontà regia, iniziano a temerne il capriccio. Si fa strada in loro l’idea di eliminare il re prima che sia lui ad eliminare loro. E infatti così accade e grazie al sodalizio tra nuove e vecchie aristocrazie il re viene eliminato, la corte saccheggiata e i potenti banchettano potendo finalmente godersi l’anarchia a lungo ambita. Può questa situazione durare a lungo?

Certamente no, infatti tutti coloro che sono lasciati fuori dalla spartizione del potere tornano all’attacco. Attone ci mostra la paradossale situazione lasciata in eredità dai guasti compiuti dall’usurpatore: i potenti si rendono conto di doversi dare un re che ne preservi le posizioni; un re forte non lo vogliono, e quindi decidono di darsene uno debole, che però allora non sarà in grado di difenderli. Se invece capita che si eleggano un re che inizialmente sembrava debole ma che poi si riveli forte e riesca quindi in ragione di quella forza a riportare l’ordine, essi torneranno a ribellarsi, e con una nuova coniuratio chiameranno un altro principe esterno a usurpare il trono già occupato, rimettendo in moto l’intero meccanismo.

Attone entra qui nella parte finale della narratio dove affronta, in posizione centrale rispetto all’intera opera32, quella che è la vera e propria quaestio verso cui tende tutta la sua analisi. Il vescovo prende infatti analiticamente in considerazione quali siano le possibili conseguenze a un simile appello per i nuovi congiurati: in primo luogo può essere che il re esterno li tradisca, avvisando in cambio di un lauto compenso il loro re legittimo. Oppure potrebbe essere che varchi il confine fra i due regni fidando in una facile vittoria, ma che alla vista del re legittimo circondato da armati ancora fedeli fugga terrorizzato; anche in questo caso i congiurati saranno perduti. Terzo caso: può essere che invece combatta veramente per conquistarsi il nuovo regno, ma muoia nel tentativo, inutile dire cosa sarà di chi lo ha chiamato. Oppure, quarta possibilità, ammettiamo che vinca, si daranno due sotto-casi: o priverà i congiurati di ogni honor non potendo nutrire alcuna fiducia in chi come loro ha già tradito il proprio re; oppure se deciderà di riservare loro qualche potere questo verrà comunque meno nel momento in cui il nuovo re dovrà tornare nella sua patria originaria per

32

Delle due sezioni principali in cui è articolato il Perpendiculum la prima è leggermente più lunga ponendo quindi questi passi in posizione centrale: il testo che analizza le possibili conseguenze della venuta di un nuovo usurpatore occupa il verso del folium 41 e i recto del 42, il centro esatto dei 14 folia su cui è copiata l’opera nella redazione A e corrisponde infatti ai capitoli 11 e 12 della suddivisione del Mai, centrali nell’organizzazione in venti capitoli proposta dall’editore.

sedare qualche ribellione. Questa circostanza porterà i coniurati a dover scegliere tra seguirlo in quello che altro non sarebbe che un esilio, oppure rimanere aspettando la vendetta del re legittimo e dei suoi seguaci tornati alla riscossa.

Qui si conclude la narratio e la prima parte dell’opera con il già citato commento: “Se i protagonisti della lotta per il potere moriranno in queste vicende non potranno rallegrarsi né nel fallace mondo presente, né in quello futuro; nonostante ciò il vizio non scompare. Altri insorgono e cadono negli stessi errori”.

3.4. L’argomentatio e la conclusio.

Ora che ha portato a termine la descrizione analitica delle conseguenze dell’usurpazione di un trono già occupato, per chi la compie e soprattutto per chi la invoca, Attone può passare all’argomentazione della sua tesi che occupa la seconda parte dell’opera; per prima cosa cede la parola ai suoi avversari, i falsi sapienti seguaci della gloria terrena che non riescono a capire ciò che il vescovo vede chiaramente.

Sed quia sunt qui neque fuerant cyrrati nec poterant pertingere vel laciniam carbasi praefulgorae sophiae et quibus nihil est si duces deferantur ad urnam sandapila, ut liceat perferre eis indemnem domoitionem refertis manubiis hii stimulant memet sic lacessere: Erronee inluderis prae te sutelis confundere singillata a saeculis33.

“Ma poiché vi sono coloro che mai studiarono veramente né poterono sfiorare il lembo della veste di lino della scintillante Sapienza, ai quali non importa nulla che i re vengano gettati in fosse comuni se a loro è lasciata la possibilità di mettersi in salvo dopo aver fatto liberamente bottino, essi mi provocano apostrofandomi così:

«Fallacemente ti illudi se pensi di unire con delle sottigliezze ciò che da secoli procede diviso.”

Da questo punto l’autore cede la parola ai suoi indotti avversari, secondo la tecnica della percontatio; tramite la loro voce fittizia il vescovo muove a