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Il “re presente”

A questo punto della narratio, contestualmente al “vuoto” rappresentato da Lotario, incontriamo l’unica figura regia delineata da Attone in termini non completamente negativi. Mettiamo a fuoco il nesso della struttura logico- dimostrativa del Perpendiculum in cui ci troviamo: l’improvvisa caduta dell’usurpatore consegna il regno in mano a un gruppo di congiurati; questi lasciano fuori dalla spartizione del potere una parte delle aristocrazie, definite da Attone minores o iuvenes. Questo secondo gruppo è giunto, proprio grazie all’usurpatore, a condividere lo stesso rango degli altri congiurati e, avendo preso parte alla caduta del re, pretende un trattamento eguale ai maiores o prisci. Questi dal canto loro si rendono conto di aver bisogno di un re per sanzionare il nuovo status quo e sottomettere i

minores.

“Ma non possono godere a lungo di questa situazione senza suscitare l’invidia di qualcuno, essendo pari per ordine ad altri ma essendo insigniti di una dignità tanto superiore. Lo sforzo comune genera infatti concordia mentre la tracotanza prepara i dissidi. I minori divisi si affrettano a unirsi a danno dei maggiori e adducono come motivo il fatto che molte delle cose che i maggiori possiedono le devono a loro e gli rimproverano di non condividerle equamente. Questi li superano per numero di truppe e il loro coraggio ribolle invigorito. Quelli hanno invece una maggiore esperienza, eccellono per mezzi e sono rassicurati dall’altezza delle mura cittadine. Ma ciononostante non si considerano in grado di spegnere la rivolta a meno di non darsi un re al quale però rifiutano di sottoporsi. Decidono dunque di darsi un re debole attraverso il quale fare ciò che più loro aggrada, il quale non osi mettere in discussione o sostituire alcuno di loro. Lo costringono addirittura a giurarlo sulle reliquie. Se anche verrà fatto debole principe

sarà inutile perché non sarà in grado di sedare la ribellione. I minores, anzi, ribadiscono di volere abbattere i maiores e che non appoggeranno il re a meno che non si allontani da quelli che, da parte loro, minacciano invece a gran voce di colpire ancora più aspramente i minori, e tormentano il principe ricordandogli la sua promessa di combattere i loro avversari e gli indicano cosa fare. Potrà evitare entrambe le rovine? Ma nessuna soluzione verrà in soccorso all’inetto. Può solo fuggire agli avversari e ritirarsi a vita privata. Ma se invece il re che si sono dati si è finto inizialmente incapace e dopo aver ricevuto la corona dimostra la saggezza che lo illumina, essi terrorizzati fanno in modo di sopire nascostamente gli odi che li dividono e ritornano a fare causa comune per potere con questo accordo tornare a causare la rovina del loro signore”87.

La struttura logica sottostante a questo passaggio, dopo la serie di nessi causa-effetto che hanno preso le mosse dall’apoteosi dell’usurpatore e hanno portato all’empasse seguita alla sua caduta, torna a presentare l’analisi di possibilità alternative:

I maiores per sedare la ribellione dei minores devono darsi un re:

A) un re forte non lo vogliono. B) un re debole risulterebbe inutile.

C) un re forte che si finga inizialmente debole porterebbe alla tregua tra maiores e minores che si riunirebbero contro di lui.

Attone sviluppa la possibilità C tornando ai nessi causali e quindi alle necessarie conseguenze che questa provocherebbe (e, come il lettore sa, ha in effetti provocato):

Quae cognitione clara nec poterunt delitescere duci. quas abolire nugas parat cum nugacibus una. Quem etiam adverse solio et ipsi gestiunt excludere ab

87

aucto. Impediunt quos plurimum quae precedentia ducem informant. Arbitrentur at si verenda haec et dumtaxat semet opinentur deficere in ipsis, tum quoque gazas dirigunt heroes eminus conducere sibi. Hinc augenda tenent solatia. Extimum quin etiam atque robustum inde promovere parant ducem (et submiterre colla. Tum quidem **** suffragia et primum per vicarios si non fuerit fas) celebrare conventus, quibus digesta di(fferrantur si haec imperfecta pau)lisper deficient88.

“Ciò non può sfuggire alla chiara comprensione del re che già si appresta ad annullare questi vani tentativi insieme con i loro autori. Questi a loro volta si sforzano di toglierli il trono, ma sono ostacolati da ciò che è avvenuto in precedenza che rende del tutto consapevole il re riguardo a simili azioni. Se temendo per questo ritengono di non farcela da soli, allora mandano tesori per far venire eroi da lontano. Così pensano di ottenere aiuti; anzi si preparano addirittura a fare re un forte straniero e a sottomettergli i propri colli. Allora certamente **** aiuti e prima tramite dei messi, se non sarà possibile incontrarsi; se le decisioni prese dai milites fossero rimandate anche per poco, rimarrebbero incompiute”.

La glossa al primo “quae” recita:

Quae neutrum absolutum est, id est quae res. Dicit enim quia si ante adsumptum honorem stultum se princeps simulaverit et potestate adepta suam ostenderit sapientiam, cuncti proceres eius pavore clam ad concordia

88

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, cit., c. 9, p. 19.ATTONIS VERCELLENSIS

Perpendiculum B, cit., p. 39: “Quae nec poterunt delitescere duci iam clara sui cognitione. Quas

nugas parat abolere una cum nugacibus. Quem etiam et ipsi gestiunt adverse excludere ab aucto solio. Quos plurimum impediunt precedentia quae informant ducem. At si arbitrentur haec verenda et opinentur dumtaxat semet deficere in ipsis, tunc quoque eminus dirigunt gazas conducere sibi heroes. Hinc tenent augenda solatia. Quin etiam et parant inde promovere extimum atque robustum ducem et submiterre colla. Tum quidem ***** suffragia et primum per vicarios si non fuerit fas caelebrare conventus, quibus si haec digesta paulisper differrantur deficient imperfecta”. Glossa a eminus: “Heminus aliquod longe extra regnum”; fas: “Fas licitum, scilicet propter metum presentis ducis”; Quibus: “Scilicet militibus”.

revocantur ut eius a se iugum facilius simul excutere valeant. Non volunt autem

imperantem habere dominum, vel potius obsequentem89.

Il fatto che le aristocrazie si riuniranno contro di lui non può certo sfuggire alla “chiara comprensione” del nuovo re, la cui saggezza risplende non appena eletto.

L’unica speranza per i potenti italici è, necessariamente, l’appello a un forte re straniero, che venga in loro aiuto, al quale addirittura sono pronti a promettere la corona. Il “re presente”, Berengario II non può essere facilmente eliminato da una congiura organizzata dagli stessi elementi con cui egli ha tramato contro Ugo, che lo hanno richiamato in Italia e che hanno accettato il suo ruolo di consors regni credendolo stolidus, facendogli precauzionalmente giurare per sacra che non avrebbe alterato lo

status quo.

Non rimane dunque che l’ipotesi di chiamare in Italia un “re esterno”. Con essa entriamo nel cuore del Perpendiculum: il passaggio conclusivo della

narratio che analizza sistematicamente le possibili conseguenze di questa

chiamata.

L’analisi delle possibilità alternative è introdotta dalla spiegazione di come il tentativo dei proceres sia destinato a un iniziale fallimento; data la situazione che ha appena delineato, il “re presente”, del tutto consapevole delle trame tessute alle sue spalle, non potrà che rivolgere la sua ira sui traditori, cercando di eliminare i più forti tra di essi (a questo si riferiva Attone qualche riga più su, asserendo che se il tentativo dei congiurati non verrà portato subito a termine rimarrà incompiuto); se egli riuscirà subito a eliminare i più forti tra i congiurati, il re esterno, a quel punto, temendone la forza e dubitando del partito che lo ha chiamato preferirà tradire i congiurati superstiti, nella speranza di ottenere una ricompensa:

89 Ibid..

Presidis interim ne cessabit praesentis concussus sevire furor torpebitque depascere sontes? Perpetitores insuper num aget enixius hostire subversis. Et si subvenire parent his olim producere quos saepe salutando temptabant; hoc primum labentis ut famae sibilum persenserint immo declinant vigentis referunt et ducis ad aures ipsius quod a propriis fuerit militibus pestis ad ipsos exquisita nimis quorum animis potuit persuadere nullus et karitate relicta inficiunt quae metus deluerat. Talibusque figmentis foenera expectant eius a latere quamvis praerogativas dudum his proceres infidi praemiserint quae sunt degerando mercati. Porrigit sed pauca providus quibus dux arguitque modestus maturius haec nobis vestra si panderetur a parte dum caeca laterent iuvaret. Quorum et invalidos despectat artus cordaque tabida subsannat90.

“Il furore acceso nel re presente cesserà forse nel frattempo di infierire e non sarà pronto nel divorarsi i traditori? Anzi con maggiori sforzi egli cercherà di livellare i più forti tra quelli che gli resistono a quelli già in rovina. E se ora il re esterno decidesse di correre in aiuto a quelli che spesso lo tentavano con omaggi frequenti? Non appena lui e suoi avranno avuto notizia di ciò, di nuovo cambieranno partito e riporteranno alle orecchie dello stesso principe regnante che i suoi milites avevano in tutti i modi cercato di convincerli a combatterlo, senza che loro potessero

90

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, cit., c. 10, p. 19.ATTONIS VERCELLENSIS

Perpendiculum B, cit., pp. 39-40: “An interim cessabit sevire concussus furor praesentis

presidis? Et torpebit depascere sontes? num insuper enixius aget hostire perpetitores subversis? Et si parent subvenire his quos saepe salutando olim temptabant producere; ut primum

persenserint hoc sibilum labentis famae immo declinant et referunt ad aures vigentis ducis quod ipsius pestis nimis fuerit exquisita ad ipsos a propriis militibus quorum animis nullus potuit persuadere; et karitate inficiunt relicta quae metus deluerat. Et talibus figmentis expectant foenera a latere eius quamvis infidi proceres dudum praemiserint his praerogativas quae sunt mercati degerando. Quibus sed providus pauca porrigit dux et modestus arguit si haec maturius panderetur **********varet. Quorum et invalidos artus despectat et subsannat tabida corda”. Glossa a praesentis: “Praesentis instantis; illum videlicet dicit qui iam provintiae dominatur”; sontes: “Nocentes vel infideles”; enixius: “Enixius incumbentius vel acrius; nam quanto magis rebelles resistere contendunt, eo magis principes ad subversionem illorum inflammantur”; Perpetitores: “Perpetitores toleratores, qui sunt et potentiores, maioribus vero fulti praesidiis magis praevalent adversa tolerare”; parent: “Parent disponant, siquidem tam ipse invitatus dux quam et sequaces ipsius quorum agitur consilio, quibus etiam superius gazas directas

commemorat”; vigentis: “Vigentis potentis, vigere proprie est viribus valere”; inficiunt: “Inficiunt fingunt; inficere itaque proprie est in colorem alium mutare”; deluerant: “Deluerant reppullerant; quippe si dux segniter ageret, profecto venirent populo imperare, quem quia vigentem intellegunt, dicunt se noluisse imperare suis, quia non audent cum eo dimicare”.

persuaderli a desistere; fingono di aver abbandonato per amore del re presente ciò che la paura ha loro impedito di fare. E per queste menzogne si aspettano una ricompensa da parte del principe, nonostante i proceres infedeli gli abbiano già inviato i loro doni, comprati in cambio di un empio giuramento. Ma il provvido re offre una magra ricompensa e risponde mitemente che se queste informazioni ci fossero state più opportunamente svelate quando non le conoscevamo già, ci avrebbero certo giovato. E ride guardando le loro membra stanche e i loro animi logorati”.

Se Attone qui si riferisca a circostanze storiche particolari non è facile capirlo; a rigor di logica dovrebbe essere così: in questa parte del trattato sta alludendo al periodo che va dall’incoronazione di Berengario alla venuta di Ottone. L’unica idea che ci possiamo fare è che questo passo rappresenti una improbabile versione attoniana dei fatti legati alla prima discesa di Liudolfo; Attone allora insinuerebbe che Enrico di Baviera avesse avvisato gli italici della spedizione del nipote non tanto per mandarne a monte la spregiudicata iniziativa, quanto dubitando del suo successo e sperando di ottenere una ricompensa da parte di Berengario, (salvo poi poter stringere nuovi patti con i congiurati in cambio di nuove remunerazioni); il fatto che Attone parli degli stranieri al plurale, glossato “tam ipse invitatus dux quam et sequaces ipsius quorum agitur consilio, quibus etiam superius gazas directas commemorat” potrebbe in una certa misura avvalorare questa ipotesi. Certo è che questo passo ha la funzione di chiarire l’urgenza dei congiurati di dare seguito ai loro piani prima di essere annientati dal re; permette inoltre di introdurre l’analisi dei possibili sviluppi della chiamata di un re esterno. La prima possibilità presentata riprende infatti quella appena delineata; ricordiamo la struttura generale di quest’ultima parte di narratio:

Se non agiscono subito i congiurati saranno eliminati dal “re presente”; il re esterno allora rendendosi conto della forza dell’avversario non lo attaccherà e preferirà tradire i

congiurati superstiti, rivelandogli che essi lo hanno tradito nella speranza di una ricompensa; il re presente a quel punto lo ringrazierà ma gli comunicherà che era già al corrente. Quali sono infatti le possibilità relative alla chiamata di un re esterno?

1- Il re esterno non attacca il regno italico perchè

A- preferisce tradire i congiurati rivelando al re la loro cospirazione.

B- appena attraversato il confine terrorizzato dalle schiere nemiche torna indietro.

2-Il re esterno attacca realmente il regno italico e: A- soccombe.

B- giunge a un patto con l’avversario cosicché ciascuno domini sui suoi.

(in entrambi questi casi i milites che lo hanno chiamato otterranno solo di essere oggetto della vendetta del re

legittimo)

C- vince

perché è un re dalla potenza superiore, i congiurati saranno responsabili delle conseguenze:

-il suo copioso e composito esercito si abbandonerà a depredazioni e violenze.

-non appena la loro terra di origine sarà in pericolo le truppe dell’invasore vorranno tornare a difenderla e il re

dovrà ritirarsi con loro.

i congiurati quindi

a-devono seguirlo in esilio.

b-restano a subire la vendetta del re legittimo che non è morto, ma si è rifugiato in qualche fortezza.

Le possibili conseguenze della chiamata del re esterno, tutte inevitabilmente sfavorevoli, se non disastrose, per i congiurati, possono, come abbiamo visto91, trovare riscontro in varie circostanze storiche

conosciute dal lettore. Non tutte possono essere quindi ricondotte univocamente e secondo precisa successione cronologica ai fatti degli anni cinquanta, e infatti in esse il “re presente”, Berengario II, scompare, per ricomparire solo alla fine del percorso logico.

L’ultima possibilità delineata, quella che segue il percorso 2-B-2-b, prospetta la situazione in cui il re esterno, che abbiamo visto essere qui chiaramente identificabile con Ottone92, pur essendo effettivamente

intervenuto direttamente nel regno e avendo vinto lo scontro, dovrà tornare nella “patria depopulata”, il regno di Germania sottoposto alle scorrerie ungare e minacciato dalla ribellione di Liudolfo e Federico di Magonza. A questo punto il “re presente” tornerà alla riscossa:

Milibus inferior praesentis interea patriae dux exulat vel profunde moenibus obstrusus praevalide vel residens eiulat urbis. Sed cum optatam diem discessum noverit hostis in atiem disclusus convocat, clara quos signaverat fide. Primipilos instruit et debita conferre disponit cuique laeta fidis et acerba sinistris. Summe qui tyrannum accierant prae se multatio his et poena adicitur supplicium inde. Nec solum exosor dux est sed et agmina figunt odia, pertulerant quae contumelia, tantum nec illis sed et ipsorum conantur pariter

egestare minores, hoc totum gradatim aetas donec demoliatur in annis93.

91

Vedi supra, capitoli 4.3 e 5.4. 92

Vedi supra, cap. 4.4. 93

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, cit., c. 11, p. 20.ATTONIS VERCELLENSIS

Perpendiculum B, cit., p. 42: “Interea dux praesentis patriae inferior milibus vel exulat profunde

vel residens obstrusus moenibus praevalidae urbis eiulat. Sed cum noverit discessum hostis optatam diem convocat disclusos, quos signaverat clara fide, in atiem. Et instruit primipilos et disponit conferre cuique debita fidis laeta et sinistris acerba. Summe his qui accierant tyrannum prae se adicitur multatio et poena et inde supplicium. Nec solum dux est exosor sed et agmina quae pertulerant contumelia infigunt odia, nec tantum illis sed et pariter conantur egestare minores ipsorum, donec aetas gradatim demoliatur hoc totum in annis”. Glossa a milibus: “Multitudine”; fides: “Clara fides manifesta fidelitas; vere quidem fideles existerant qui in tali persecutione non declinaverant”; tyrannum: “Tyrannum fortissimum regem, tyro enim grece,

“Il dux della patria presente, inferiore per moltitudine di seguaci, nel frattempo sarà lontano in esilio, o a lamentarsi al riparo di alte mura, essendosi stabilito in una città fortificata. Ma quando scopre essere giunto il giorno desiderato e la ritirata del nemico, chiama a raccolta quelli che come lui si erano trincerati, dei quali ha riconosciuto la chiara fedeltà. Distribuisce le cariche e dispone di conferire a ciascuno la ricompensa, lieta per i fedeli, ma amara per gli avversi. Sopratutto per chi ha chiamato il tiranno contro di lui all’ammenda e alla pena si aggiunge il supplizio. E non solo il re è assetato di vendetta, ma anche le sue schiere, che avevano sopportato le offese del tiranno, inaspriscono gli odi, e non solo verso di essi, ma cercheranno di mandare in rovina anche le loro discendenze. E tutto ciò andrà avanti finché il tempo scorrendo ne cancellerà ogni memoria”.

Questa l’amara conclusione del capitolo undicesimo e con esso della prima parte del trattato. La scena si chiude con la repressione da parte di Berengario e dei suoi seguaci sui sostenitori di Ottone e lo strascico di vendette seguite al ritorno in patria del sovrano germanico nel 952.