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L’argumentum e la dispositio dell’opera

3. Che cos’é il Perpendiculum?

3.1. L’argumentum e la dispositio dell’opera

L’opera si apre con un Argumentum in cui l’autore stesso presenta le motivazioni e lo scopo del Perpendiculum:

Non chaos explicant sophistae. Bombinare levum exsequar assiduum orbi. Non otia hoc calamo concussa pistico nec osilla pinsabunt. Fessus iam hinc perpendiculum ponam non aciare cuius vocem compescere poterit nec attica in rumine zema12.

“I falsi sapienti non spiegano il Caos. Io desidero dare conto dell’errore sempre presente nel mondo. L’indifferenza non fermerà questa veritiera penna né il pendolo messo in movimento. Ormai stanco porrò qui il filo a piombo la cui voce non si potrà zittire né con l’acciaio né con una bevanda attica versata in gola”.

Con toni fortemente polemici Attone introduce dunque un’opera che presenta come necessaria: nel mondo regna il Chaos, causato da un errore persistente; l’opera costituisce un Perpendiculum13, un filo a piombo, una

12

ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum A, in G.GOETZ, Attonis, cit. p. 14; Le citazioni del

Perpendiculum nel testo, quando non diversamente indicato verranno sempre dalla versione A,

mentre per l’interpretazione mi avvarrò di entrambe; fornirò sempre in nota il testo

corrispondente della seconda versione. Riporterò ove significativo il contenuto le glosse e gli scolii, ma dal momento che non abbiamo elementi decisivi per attribuirne la paternità ad Attone o a un successivo commentatore dello scriptorium vercellese, non farò dipendere dalla loro interpretazione particolare quella generale, che pure in molti passi è confortata dal raffronto con essi; ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum B, in G.GOETZ, Attonis, cit., p. 27: “*********

******* bobina ***** assiduum orbi exsequar. Non pinsabunt hic hoc pistico calamo otia nec concussa osilla. Iam fessus hinc ponam perpendiculum cuius vocem non poterit compescere aciare nec attica zema in rumine”.

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Notiamo subito che è questo il vero nome dell’opera a discapito dell’uso comune di chiamarla Polittico, dovuto alla doppia intitolazione con cui è conservato: Incipit Polipticum quod

appellatur Perpendiculum. Il primo termine viene glossato “Polipticum est multorum descriptio pol(is) grece multorum dicitur, non enim specialiter tantum de uno loquitur sed plurimorum corripit (crimin)a”; ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum B, cit., p. 27, n. 1; ed è dunque aggettivo da unirsi a un sottinteso liber: l’intera espressione è da intendersi come “Inizia il libro in molte parti chiamato Perpendiculum”; un’altra ipotesi che implica però che il glossatore non sia Attone potrebbe essere che Polipticum, vada inteso nel senso etimologico greco di

Πολύπτυχον “più volte ripiegato” oppure “in molti fogli”, e quindi al pari di molti termini

norma14 indiscutibile che correggendo quell’errore permetta di tornare all’ordine; dovendo risolvere una situazione ormai intollerabile egli, a differenza dei falsi sapienti, non terrà in alcun conto né le minacce né le blandizie di chi vorrebbe fermare la sua penna.

La “bevanda attica” infatti rappresenterebbe, piuttosto che la cicuta che viene immediatamente in mente al lettore moderno, le “blandizie” dei suoi avversari, o almeno così se dobbiamo prestare fede alle glosse apposte ad

attica zema e a in rumine nella versione B: Attica zema graecisca sorbiciuncula, Grecia siquidem abundat pigmentis quibus zema saporatur15”; in rumine in gutture; (...) *** hunc libellum nec minis posse

(nec) blandiciis suaderi16. Una squisita pozione orientale dunque che, piuttosto che raddoppiare le minacce rappresentate dall’acciaio, indicherebbe il tentativo di zittire l’autore tramite la corruzione.

In ogni caso è importante notare che pur tenendo conto della retorica proemiale e dei suoi topoi, è innegabile che l’autore intenda l’opera sì come

norma, e cioè esposizione dottrinale, ma motivata dalla situazione

contingente e finalizzata all’urgente azione nella realtà secolare. Il campo in cui il vescovo situa lo scritto fin dall’argumentum è quello dell’intervento nel secolo attraverso armi dottrinali e teoriche e non quello della speculazione filosofica indirizzata allo studio.

All’argumentum, sotto l’intestazione POLIPTICUM QUOD APPELLATUR PERPENDICULUM, segue il testo; Goetz nella sua

edizione ha mantenuto la suddivisione in capitoli (19 più la preghiera conclusiva) stabilita arbitrariamente da Angelo Mai, senza in effetti motivare questa scelta, pur precisando brevemente nell’introduzione che il

semplice Incipit liber quod appellatur Perpendiculum. Cfr. ad es.: Liber Praeloquiorum quod

appellatur Agonisticum, ovvero il nome completo dei Praeloquia di Raterio di Verona.

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Norma recita infatti la glossa a Perpendiculum: “Perpendiculum normam. Perpendiculum

quidem est quod semper adtenditur; denique in fabrica nisi omnia ad perpendiculum fiant cuncta mendosa construuntur. Perpendiculum namque aeditor et hunc vult appellare libellum in quo noxia redarguere et honesta sancire disponit”.

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ATTONIS VERCELLENSIS Perpendiculum B, cit., pp. 27-28, n. 69. 16

testo nel manoscritto non presenta alcuna suddivisione: Die Maische

Kapitelangabe habe ich beibehalten; in den Handschriften fehlt jede Andeutung dieser Art17.

Questa affermazione non è del tutto precisa: in entrambe le stesure del

Perpendiculum è presente una chiara suddivisione in due parti: in fondo al recto del folium 42 si trova un segno grafico di interpunzione che

corrisponde forse alla nota diacritica definita da Isidoro di Siviglia

paragrafus18, e indicante il passaggio a un argomento differente o a una sezione successiva di un opera. La parte superiore del folium è purtroppo estremamente lacera e non permette di sapere in che modo fosse demarcato l’inizio della parte successiva sul verso. Nello stesso punto del testo nella redazione B si ripropone la medesima divisione: il testo finisce in coincidenza dell’ultima riga del recto del folium 61 (questa volta senza segni grafici di divisione – ma il testo occupa per intero l’ultima riga). In alto sul verso dello stesso folium il testo riprende ma solo dopo una breve

didascalia esplicativa (quasi del tutto illeggibile) e l’enigmatica iscrizione

XPYCYN19.

Il Perpendiculum è dunque diviso in due parti principali. La divisione in capitoli del Mai, totalmente arbitraria (ma come vedremo non del tutto errata), manca di comprendere l’unica suddivisione effettivamente presente nel manoscritto. La prima parte del testo corrisponde nella sua edizione ai primi undici capitoli. L’ultimo periodo della prima parte, quello immediatamente precedente il segno diacritico descritto, è staccato dal capitolo precedente e unito dal Mai all’inizio del capitolo dodicesimo.

17

G.GOETZ, Attonis qui fertur Polipticum, cit., p. 13. Nell’edizione Goetz la suddivisione in capitoli è mantenuta solo nella versione A del testo della fonte e nella traduzione tedesca allegata.

18

ISIDORO DI SIVIGLIA, Etimologie o Origini, a c. diA. Valastro Canale, Torino, 2004, Lib. I, 21, 8, p. 111.

19

Lo studio di Carla Frova è il primo a enfatizzare la presenza di questo “stacco” grafico come segnale di una suddivisione in due parti dell’opera, rilevato già da Goetz nella sua introduzione: G.GOETZ,Attonis qui fertur Polipticum, cit., p. 9. Riguardo alla didascalia e all’iscrizione

Curiosamente lo stesso tipo di errore è ripetuto in un altro punto dell’edizione, ovvero nella lunga sezione in cui il vescovo cede fittiziamente la parola ai suoi avversari in una lunga percontatio, anche qui l’ultima parte della perorazione degli oppositori di Attone è unita al capitolo successivo (il tredicesimo)20. Al di là di queste sviste la divisione in capitoli operata dal Mai, per quanto arbitraria e non corrispondente all’intenzione di Attone, coglie in diversi punti le scansioni logiche del testo21.

Come si articolano internamente le due sezioni principali del

Perpendiculum?

La prima metà è suddivisibile a sua volta in due parti. Il testo che corrisponde al capitolo 1 delle edizioni moderne costituisce chiaramente un’introduzione che spiega il problema preso in considerazione da Attone, le motivazioni che lo spingono a scrivere e il metodo che utilizzerà nella sua analisi. I capitoli corrispondenti numerati 2-11 dal Mai costituiscono la lunga e oscura trattazione di avvenimenti politici del regnum sui quali si è concentrata l’attenzione degli storici ottocenteschi. Nella seconda metà e individuabile una prima sezione (i capitoli 12-17 delle edizioni moderne) in cui il vescovo torna sul problema trattato utilizzando passi scritturali ed esempi tratti dalla storia antica per argomentare le tesi assunte. Nell’ultima sezione (capitoli 18-20) il vescovo invoca l’intervento della Gratia divina perché favorisca la soluzione del problema trattato e conclude l’opera con la preghiera finale.

Queste quattro parti corrispondono perfettamente alle quattro partes

orationis raccomandate da Isidoro di Siviglia nella sua trattazione sulla

retorica e la dialettica nel secondo libro delle Origini. L’opera di Isidoro, come ha sottolineato Carla Frova, costituisce la fonte principale per

20

Vedi infra c. 6.1. 21

Si è deciso di segnalare la numerazione dei capitoli esclusivamente in nota per facilitare la consultazione delle edizioni.

l’erudizione del vescovo di Vercelli: la maggior parte dei termini desueti usati e delle spiegazioni contenute negli scolii provengono dal “manuale enciclopedico” del vescovo di Siviglia, o direttamente, o indirettamente attraverso il Liber Glossarum che dalle Etimologiae deriva moltissime delle sue voci. Nella biblioteca di Vercelli sono tuttora presenti ben tre copie di decimo secolo dei venti libri che compongono l’opera di Isidoro22.

Quali sono le quattro parti in cui va articolata l’oratio secondo Isidoro?

Partes orationis in rhetorica arte quattuor sunt: exordium, narratio, argumentatio, conclusio. Harum prima auditoris animum provocat, secunda res gestas explicat, tertia fidem adsertionibus facit, quarta finem totius orationis conplectitur23.

La scelta di di seguire le norme proprie della Rhetorica proposte da Isidoro tradisce il campo in cui il vescovo intende agire attraverso la sua opera; nelle parole di Isidoro: Rhetorica est bene dicendi scientia in civilibus

quaestionibus, [eloquentia copia] ad persuadendum iusta et bona.24 Come già faceva intuire il contenuto dell’argumentum, lo scritto di Attone è dunque pensato per l’intevento nel secolo, per questo fine è costrutito, sfruttando nel modo più efficace possibile le tecniche retoriche.

22

Sono i MSS LVIII (39), CXXVIII (167) e CII (61). Cfr. R.PASTÉ, Vercelli, archivio

capitolare, cit..

23

ISIDORO DI SIVIGLIA, Etimologie o Origini, cit., Libro II, c. 7, 1, p. 194. 24